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CAPITOLO 2 “La disciplina dei controlli esterni”

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

“La disciplina dei controlli esterni”

2.1 Dalla legge n. 20/94 ad oggi: il ruolo della Corte dei Conti nell’ambito dei controlli esterni

Sebbene sia molto vasto il campo d’applicazione e le tipologie di azioni con le quali attuare i controlli interni, questi da soli non sono sufficienti per il corretto funzionamento di una qualsiasi amministrazione pubblica.

L’adozione di un sistema di controllo comporta infatti tensioni e conflitti e richiede un cambiamento di stile di management a livello sia politico sia direzionale, che difficilmente può nascere per processo spontaneo. Da qui l’esigenza di controlli esterni efficaci, che devono giocare un duplice ruolo:

- verificare il rispetto dei doveri di informativa esterna - stimolare all’efficienza.

Emerge infatti la necessità di un controllo successivo, esercitato da un organo ausiliario sia dello Stato, che delle Regioni e degli enti locali, e finalizzato esclusivamente ad un’attività di referto agli organi assembleari1.

Tale attività spetta alla Corte dei Conti, in quanto “espressione dello Stato – Comunità, per la sua neutralità, indipendenza e terzietà” e quindi “garante degli equilibri economico-finanziari e della corretta gestione delle risorse collettive, sotto il profilo dell’efficienza, dell’economicità e dell’efficacia dell’agire amministrativo, statale, regionale e locale”2.

In altre parole, alla Corte viene chiesto di riferire al Parlamento ed ai consigli regionali sulla traduzione operativa, da parte dell’esecutivo, degli indirizzi definiti in sede politica. La misura dell’attività di controllo è costituita dalle relazioni inoltrate agli organi rappresentativi della sovranità popolare.

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l. n. 20/94.

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Quindi abbiamo ora e in prospettiva, un robusto sistema di controlli interni, ove si esplica l’autonomia dell’ente, e una tipologia di controllo esterno e successivo esercitato in chiave collaborativa e ausiliaria dalla Corte dei Conti.

Non a caso, dai primi anni novanta la Corte è stata interessata da profondi mutamenti legislativi, che ne hanno ridefinito le competenze, sia in materia di controllo che di giurisdizione, seguendo un percorso evolutivo che, soprattutto nell’ambito dei controlli, è per lo più dettato dal processo di integrazione comunitaria, dalla ridefinizione della riforma dello Stato in senso federale e dalla riorganizzazione dell’amministrazione pubblica secondo la logica del risultato, anziché del mero adempimento.

Uno dei momenti più significativi di tale indirizzo è stata l’emanazione della legge n. 20 del 14 Gennaio 1994 “Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei Conti”, finalizzata alla razionalizzazione del sistema dei controlli incentrati sulla Corte dei Conti ed in particolare su:

a) controlli preventivi di legittimità della Corte;

b) controllo successivo sulle amministrazioni pubbliche, regionali e locali; c) composizione e funzionamento della Corte nell’esercizio delle attività di

controllo.

L’articolo principale del testo normativo ai fini della disciplina del controllo è stato l’art. 3, il quale ha dettagliatamente elencato quali sono gli ambiti che interessano la Corte, assegnandole l’incarico di svolgere un controllo di tipo preventivo e successivo.

Il controllo preventivo, inteso come una verifica sulla conformità alla legge, va esercitato su un preciso elenco di atti non aventi forza di legge, che provengano dal Consiglio dei Ministri, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dai Ministri stessi e dai comitati interministeriali di reparto, insieme agli atti normativi di rilevanza esterna o che siano attuativi di norme comunitarie, ai provvedimenti di disposizione del demanio e del patrimonio immobiliare, i decreti che approvano contratti delle amministrazioni dello Stato o che indichino variazioni del Bilancio dello Stato.

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Il controllo successivo, verrà invece esercitato in corso d’esercizio, e riguarderà la gestione del Bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche, nonché i fondi di provenienza comunitaria e il funzionamento dei controlli interni in ciascuna amministrazione. Verrà contestualmente accertata la rispondenza dei risultati ottenuti agli obiettivi stabiliti dalla legge per l’attività amministrativa, valutandone modi, tempi e costi e secondo programmi e criteri di riferimento del controllo stabiliti dalla stessa Corte.

Dopo la pubblicazione di tale testo, molteplici sono state le proteste da parte di alcune regioni italiane, le quali hanno impugnato l’atto denunciando che alcuni dei suoi articoli andavano a violare pesantemente, non soltanto disposizioni costituzionali, ma la stessa autonomia e indipendenza delle regioni protestanti. Le contestazioni avevano ad oggetto, sostanzialmente, l’ampiezza dei poteri assegnati alla Corte, che avrebbe comportato una lesione del principio del buon andamento dell’attività amministrativa delle regioni, sostenendo inoltre l’inadeguatezza della Corte a svolgere tale compito poiché normalmente atta a svolgere altro tipo di funzione, col rischio che si trasformino le responsabilità per la gestione, di natura politica, in responsabilità giuridiche, pregiudicando gravemente l’attività amministrativa. Infatti, il controllo di gestione, finalizzato a verifiche di efficacia ed efficienza, richiederebbe di essere affidato ad organi che agiscono in forma collaborativa e nell’interesse dell’ente controllato, al contrario di quanto la legge prevede, poiché essa conferisce alla Corte un potere di controllo autoritativo che lede l’autonomia costituzionale delle regioni. Inoltre, l’estensione del controllo agli enti locali e agli enti dipendenti dalla regione va a ledere le competenze regionali di controllo su questi, stabilite dalla Costituzione (art. 130) e pertanto giudicata inammissibile.

Tuttavia, la questione viene risolta con la pubblicazione della sentenza n. 29 del 1995 della Corte Costituzionale, con la quale si definiscono categoricamente infondate tutte le proteste, sostenendo e sottolineando che il compito della Corte, grazie alla legge n. 20/94, diventa quello di svolgere un’attività a carattere eminentemente collaborativo e ausiliario, non atta a vincolare l’autonomia degli enti locali o di qualunque altra istituzione. La legge promuove infatti

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l’autocontrollo da parte dell’amministrazione pubblica, prevedendo che tutto ciò che dalla Corte verrà considerato irregolare e pertanto segnalato al Parlamento, ai consigli regionali e alla stessa amministrazione interessata, porterà alla formulazione di osservazioni volte a suggerire idee risolutive di miglioramento, lasciando poi all’amministrazione la libertà di decidere le azioni da intraprendere per muoversi nella giusta direzione3. Si precisa pertanto che l’attività della Corte è, in questa sede, finalizzata esclusivamente alla redazione e consegna di un referto agli organi assembleari e non ha assolutamente carattere autoritario. La Corte sostiene inoltre che, anche per gli enti locali devono necessariamente valere le disposizioni di controllo poiché altrimenti una quota prevalente della spesa pubblica rimarrebbe fuori dal controllo di gestione ed inoltre, poiché esso servirà da stimolo per i comitati regionali di controllo, non andrà assolutamente a escludere o comprimere la normale autonomia di gestione. A dimostrazione di ciò, si ricorda che è gia dal 1982 che la Corte dei Conti esercita il controllo sugli enti locali con più di otto mila abitanti senza che ciò abbia mai sminuito le attività presso di essi svolte.

Si chiude cosi la disputa sulla legittimità della legge n. 20/94 e le sue disposizioni restano valide per molto tempo. Lo stesso decreto 286/99, all’art. 3 in materia di controlli esterni, ribadisce i poteri della Corte cosi come le sono stati conferiti dalla legge del ’94, prevedendo inoltre, a totale discrezione della stessa, la definizione del numero, della composizione e della sede degli organi adibiti al controllo preventivo sugli atti o successivo su pubbliche gestioni, al fine di adeguarsi alle disposizioni dettate dal decreto.

Anche il TUEL del 2000 specificò la validità di queste stesse disposizioni anche per gli enti locali, attraverso l’art. 148, chiarificando che il rapporto tra gli enti e la Corte dei Conti restava quello disciplinato dalla legge 20/94. Si aggiunse poi al testo unico originario, attraverso la legge 168/2003, l’art. 198 bis, il quale conferì anche alla Corte, la titolarità del diritto a ricevere le conclusioni del controllo di gestione svolto dalla struttura operativa preposta al suo svolgimento, esattamente come già previsto per gli amministratori e i responsabili dei servizi.

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Fin qui non si era fatto altro che porre in essere le disposizioni in merito ai controlli esterni cosi come introdotti e disciplinati dalla Costituzione, art. 125, 126, 127 e 130, affrontando via via il confronto e la competenza con la nascita dei sistemi di controllo interni delle autonomie territoriali.

Alla base della struttura costituzionale si poneva l’art. 125, che attribuiva la legittimazione ai controlli statali sugli atti amministrativi delle Regioni, dando luogo all’imposizione di un controllo di legittimità (obbligatorio) e all’autorizzazione ad un controllo di merito (facoltativo). Le Regioni, a loro volta, per effetto dell’art. 130, erano il soggetto titolare dell’esercizio, tramite un proprio organo, del controllo di legittimità sugli atti delle province, dei comuni e degli altri enti locali. In qualche modo, si subordinava così l’agire amministrativo degli enti territoriali, nel senso che l’efficacia di un atto amministrativo subiva un condizionamento, e l’azione amministrativa ne pagava dazio in termine di aggravio di procedura, ritardo e lentezza.

È al fine di ovviare a tali inconvenienti, che viene promossa la più importante riforma costituzionale mai operata dall’entrata in vigore della stessa Costituzione, tesa ad abrogare gli art. 125 e 130 attraverso la promulgazione della legge costituzionale n. 3 del 2001, sopprimendo automaticamente il regime legislativo ordinario dei controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali, nonché gli organi regionali di controllo. In altre parole si va a recidere quello che era l’aggancio costituzionale con un modello, ormai obsoleto, di controllo di tipo gerarchico e preventivo. Più precisamente, cessano i controlli sugli atti amministrativi degli enti locali previsti dall’abrogato art. 130, infatti Comuni, Province e altri Enti Locali, non dovranno più inviare agli organi regionali di controllo i propri atti amministrativi.

L’impatto che suddetta abrogazione potrà avere sulle disposizioni vigenti previste dal TUEL del 2000, comporta che, all’indomani della riforma, si apra un dibattito in ordine alle tipologie di controllo sugli enti locali costituzionalmente ammissibili, posto che, occorra tener conto sia dell’art. 120 Cost., che contempla fattispecie e principi del solo controllo sostitutivo del Governo, sia, implicitamente, dell’art. 117 Cost. che prevede la necessità di un controllo sugli

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organi di governo attribuito alla legislazione esclusiva dello Stato. Si va dunque alla ricerca dei riferimenti costituzionali in base ai quali predisporre la funzione di controllo a carattere finanziario della Corte dei Conti, cercando di bilanciare da un lato, il potenziamento e la valorizzazione delle autonomie territoriali, dall’altro la sopravvivenza o la revisione di un sistema di controlli esterni che abbiano ragione di esistere in virtù dei principi costituzionali sanciti dagli art. 97 e 81, nonché dall’art. 119 che traccia la cornice in materia di finanza degli enti autonomi.

Si tratta altresì, di riuscire a realizzare sempre di più una sinergia tra controlli interni ed esterni, senza dimenticare che il sistema degli Enti Locali, non può fare a meno di un controllo della Corte dei Conti, che va inteso, non in senso classico come se la Corte stesse solo aspettando di cogliere l’errore nella gestione altrui, bensì come una forma di verifica sul funzionamento delle amministrazioni e dei loro servizi interni, in una logica di collaborazione e sinergia.

D’altra parte, il ruolo della Corte, può essere inserito nell’ambito del “coordinamento della finanza pubblica”, dove la Corte può assumere un ruolo incisivo in merito al coordinamento statico (e quindi normativo) e dinamico (e quindi procedurale), che si esaurisca in controlli di limite o di chiusura del sistema. Non dovrebbe pertanto verificarsi alcuna duplicazione o triplicazione dei controlli da parte di soggetti diversi, abbiano essi le medesime finalità o riguardino gli stessi atti.

Invece, alla luce delle correnti disposizioni, la vita contabile e amministrativa dell’ente appariva gravata da incombenze eccessive e ciò comporta quasi immediatamente, la necessità di dar luogo a una razionalizzazione delle discipline, una riduzione delle unità ed un’unificazione delle procedure di trasmissione dei dati e delle modalità nello svolgimento delle verifiche. Tra l’altro, se è al coordinamento che si vuole puntare, è implicita la necessità di un riassetto efficiente e coerente del sistema, che investa sia i rapporti fra i livelli di governo, sia fra i soggetti deputati a garantire l’equilibrio dei flussi finanziari. A chiarire il complesso, confuso, approssimativo e, per certi versi contraddittorio scenario, ci pensa la legge n. 131/03, che nasce sostanzialmente allo scopo di

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soddisfare l’esigenza di dare attuazione al nuovo assetto dei poteri locali, derivante dalla riforma del titolo V contenuta nella legge costituzionale n. 3/01. In particolare, l’art. 2 contiene la delega per l’adeguamento della normativa statale alla Costituzione riformata, attribuendo “agli statuti dei comuni e delle province la potestà di individuare i sistemi di controllo interno, nonché i principi fondamentali dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali ai fini dell’attivazione degli interventi previsti dall’art 119 Cost.” e si prevede inoltre che vengano mantenuti fermi “i sistemi di controllo sugli organi degli enti locali”. In pratica, viene riconosciuta la centralità e la potestà statutaria, e quindi, il potere normativo degli enti locali, attestandosi sulla prevalente linea di tendenza che lascia che siano gli stessi enti ad organizzare e disporre le norme in merito ai controlli interni. Tuttavia, nella consapevolezza che i controlli interni ed esterni non possano essere considerati tra loro alternativi, l’art. 7 attribuisce alla Corte dei Conti specifici poteri di controllo, da esercitare in merito al rispetto degli equilibri di Bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità interno ed ai vincoli di appartenenza all’Unione Europea. Come già avveniva prima inoltre, tale verifica sfocerà in un referto, che la Corte stessa consegnerà al Parlamento.

La verifica del perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali o regionali di principio o di programma, della sana gestione finanziaria e del funzionamento dei controlli interni, in altre parole la verifica sul controllo di gestione, spetta invece alle Sezioni Regionali4, al cui termine, il relativo referto, verrà consegnato agli organi assembleari dell’ente. La stessa norma ha poi conferito la funzione consultiva in materia di contabilità pubblica nei riguardi delle regioni e degli enti locali e ulteriori forme di collaborazione nei confronti di queste amministrazioni. Tutto ciò mette in evidenza la volontà di promuovere una reale collaborazione con le autonomie territoriali, che si riscontra, tra l’altro, anche sotto il profilo organizzativo, davanti alla previsione dell’integrazione delle sezioni regionali di controllo della Corte con due componenti designati rispettivamente dal Consiglio regionale e dal consiglio delle autonomie locali. Ha attinenza in proposito, il fatto

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che, subito dopo l’emanazione della l. n. 131/03 le Sezioni riunite della Corte, hanno proceduto a modificare disciplina e competenze della “sezione delle autonomie”5, attribuendole diretta espressione delle sezioni regionali di controllo e quindi, conseguentemente, l’onere di effettuare verifiche ai fini del coordinamento della finanza pubblica sugli andamenti complessivi della finanza regionale e locale. Pertanto, appare chiaro che nella sezione delle autonomie trova strutturazione un legame soggettivo della Corte con le sue sezioni regionali, dipendenza che trova espressione principale nell’attività di indirizzo e coordinamento.

Non vi è dubbio a questo punto, che nel nuovo assetto dei controlli pubblici attuato in funzione della recente riforma costituzionale, l’intestazione alla Corte dei Conti di una generalizzata funzione di controllo successivo sulla gestione, esteso alla generalità delle pubbliche amministrazioni, rappresenti l’innovazione di maggior rilievo, a dimostrazione della “crisi” dei più tradizionali sistemi di controllo sulla pubblica amministrazione avvenuta nel nostro Paese, e della primaria rilevanza tra i compiti affidati all’Istituto dall’ordinamento.

Controlli esterni e controlli interni sono profondamente diversi, per finalità e collocazione istituzionale: gli uni di carattere direttivo e legati agli organi di governo; gli altri affidati ad un soggetto indipendente, che si rapporta all’organo legislativo e all’indirizzo politico dell’ente. Le due tipologie non costituiscono però mondi separati e incomunicabili: la nuova concezione del controllo affida infatti, all’organismo di controllo esterno anche il compito di valutare l’affidabilità del controllo interno ed il potere di utilizzarne le conclusioni in maniera strumentale.

Il successo di entrambe le forme di verifica non può che passare da una loro effettiva integrazione: questo non solo evita le duplicazioni ma serve a rafforzare l’autorevolezza e l’incisività dei controlli stessi.

Ciò che si evince dal susseguirsi delle disposizioni in merito ai compiti della Corte è sicuramente la compatibilità con il suo ruolo tradizionale di garante dell’Erario e organo ausiliario all’assunzione di consapevoli decisioni da parte

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degli enti rappresentativi delle comunità, pur marcando in maniera decisiva la relazione che necessariamente deve sussistere tra la sua funzione e l’autonomia degli enti, governata in primis da un rapporto di collaborazione.

Le deliberazioni adottate aiutano proprio a comprendere questo aspetto del lavoro della Corte, ed in particolare, la deliberazione n. 1 del 2004 “Indirizzi e criteri generali per le attività di controllo sulla gestione, comuni a più sezioni regionali” assegna alla Sezione delle Autonomie il compito di programmare, dare impulso e coordinare analisi comuni fra le sezioni, affermando che la comparazione tra l’agire delle diverse sezioni nello svolgimento di una medesima funzione è strumento essenziale del controllo sulla gestione che permette il rafforzamento della funzione ausiliaria della Corte nei confronti delle assemblee elettive e dei governi locali. È data facoltà alla stessa sezione, di rivedere le soluzioni organizzative adottate e risultate non soddisfacenti, costituendo essa stessa la sede presso la quale raccogliere ed elaborare informazione e dati da comparare, individuando standards, parametri, medie nazionali o infraregionali così da fornire utili spunti di riflessione per valutare le performances delle singole amministrazioni.

Quindi, si espande la funzione di verifica avente come esito un resoconto sul controllo di gestione e sul funzionamento dei controlli interni da sottoporre alla libera valutazione dell’organo consiliare, sino a prospettare l’utilizzo di metodi comparativi per operare raffronti, arrivando ad ipotizzare una sorta di bench marking, per capire a quali criteri ciascun Comune si è attenuto, con quali conseguenze, etc.

Tuttavia, l’insieme delle norme finora analizzato, pone una serie di problematiche in ordine alla compatibilità con il sistema delle autonomie locali, soprattutto alla luce delle recenti tesi federaliste che tendono ad equiordinare lo Stato alle Regioni e agli enti locali. In molti, negli ultimi anni del XX secolo, si sono battuti al fine di affermare l’inconciliabilità tra un sistema di controllo interno e un controllo esterno, poiché quest’ultimo veniva visto come una minaccia all’esercizio dell’autonomia dell’ente, come una forza in grado di incidere sulle determinazioni del controllato.

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Gli schemi proposti invece, prima dalla l. n. 20/94 e poi con la n. 131/03, puntano ad un intervento che avvenga in un momento successivo all’adozione degli atti formali, e quindi all’attività amministrativa. Al massimo contemplano un riesame di situazioni pregiudicate dalla mancata osservanza della legge o dal palese sviamento dai canoni della buona amministrazione, che non significa vincolo di conformazione alle determinazioni dell’organo di controllo ma semplice rivalutazione degli esiti dell’attività amministrativa, alla luce delle osservazioni del controllore. Come già detto, si vuole stimolare all’autocorrezione a livello normativo, organizzativo e gestionale, al sinergico collegamento tra controllo interno ed esterno che non comporti sovrapposizione bensì integrazione funzionale. Se da un punto di vista teorico l’idea potrebbe apparire valida, da un punto pratico manca però una seria coordinazione tra le disposizioni che regolano da un lato l’esercizio dell’autonomia dell’ente e dall’altro i poteri di controllo della Corte. Risulta difficile concepire come l’ente locale possa “tenere conto dei parametri e degli indirizzi metodologici formulati dalla Corte dei Conti in armonia con quelli adottati in ambito europeo e sulla base degli studi condotti dal Ministero dell’Interno e dai consigli delle autonomie locali” nell’ambito dell’organizzazione del proprio sistema di controllo interno. Da uno schema di questo tipo diventa inevitabile che sorga un legame tra la Corte e l’ente, tra il controllo esterno successivo e le attività di controllo interno tale che, l’ente finirebbe col divenire soggetto agli indirizzi della Corte secondo una linea del tutto incompatibile con l’espletamento dell’autonomia dello stesso. In realtà la subordinazione tra l’uno e l’atro dovrebbe avvenire laddove risulti possibile porre in essere il principio della collaborazione, con una puntuale formalizzazione in regole, parametri, comportamenti e passaggi che alla luce delle disposizioni vigenti non sembrava trovare rispondenza nella disciplina prodotta in materia.

È da considerarsi errata inoltre, la convinzione in base alla quale gli enti locali risultassero così sprovvisti di controllo, in quanto oltre al controllo del giudice e al vaglio democratico, oltre ai controlli e agli obblighi esogeni sempre maggiori sulla gestione finanziaria e amministrativa, si aggiungono i controlli interni

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all’ente che si imperniano sostanzialmente su organi, quali il collegio dei revisori dei conti, il nucleo di valutazione, l’ufficio del controllo di gestione e, per certi aspetti il difensore civico; a questi si sommano i controlli interni di legittimità, attraverso il visto di legittimità contabile e di regolarità tecnica, che attribuiscono, qualora siano stati determinanti per l’approvazione dell’atto, la diretta responsabilità da parte di chi li ha apposti.

Si tratta quindi di un sistema che non ha affatto diminuito i controlli, semmai li ha aumentai. In passato non esisteva alcun tipo di controllo interno, salvo quello del segretario comunale, e un solo effettivo controllo esterno, quello del Comitato regionale di controllo, spesso tra l’altro vanificato. Oggi invece non si fa altro che aggiungere, anzi sovrapporre, ulteriori forme di controllo a quelle gia esistenti mentre sarebbe molto più opportuno avviare un processo teso al riassetto normativo del sistema, con una visione chiara e lucida dello scenario finale verso cui tendere.

La decisione di incrementare per numero e intensità i controlli interni, se consente un miglioramento dei processi gestionali di queste amministrazioni, certamente non è in grado di garantire che non si verifichino distorsioni in merito alla corretta applicazione delle regole nazionali e comunitarie, al corretto prelievo delle risorse fiscali e contributive, alla sua migliore utilizzazione per le finalità istituzionali. Da qui la necessità di ripristinare i controlli esterni in grado di verificare in modo neutrale e obiettivo il rispetto dei canoni della legalità e della buona amministrazione.

Infatti, l’abrogazione delle previsioni costituzionali relative ai controlli, non implica l’abbandono degli stessi ma soltanto una loro rimodulazione, sotto il profilo della competenza d’esercizio, finalizzata a renderla compatibile con l’autonomia dell’ente e, quindi a ricondurla nell’ambito della sfera dell’organizzazione dell’ente.

Si è giunti pertanto alla conclusione che l’unica strada che possa prevenire un fenomeno deleterio per la nostra economia e per il rispetto degli accordi in sede comunitaria, può essere il monitoraggio e il riscontro degli equilibri dei singoli enti che concorrono alla determinazione della spesa pubblica. Un simile compito

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però, per le conseguenze che certi approcci sulla gestione della spesa comportano sulla vita dei singoli enti, non sembra appropriato per i comitati e le commissioni di controllo, ad oggi appunto soppressi, e lascia perciò intendere che sia la Corte l’organo più appropriato alla loro tutela. Tra l’altro è la stessa Corte Costituzionale che riconosce alla Corte dei Conti un ruolo sicuramente di maggior rilievo, a seguito dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea, ricordando come il “patto di stabilità interno” coinvolga regioni ed enti locali nella realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica definiti dal legislatore sin dal 2002.

Fermo restando l’idea di un rapporto collaborativo, si porta avanti la previsione di una regolamentazione di tutta l’attività amministrativa dove le singole amministrazioni dei diversi livelli di governo, dovrebbero procedere, non sulla base di una divisione dei compiti, ma sulla base di accordi e di intese, di programmi comuni o, quanto meno, condivisi, attraverso processi di armonizzazione e di convergenza. Bisogna considerare, però, che nel modello delle funzioni amministrative, che di fatto si sta realizzando, l’attività amministrativa può andare incontro più facilmente a forme di paralisi, di blocco e di veto, per cui alla fine, se non si realizza l’intesa, il sistema amministrativo tende comunque a raggiungere livelli accettabili di funzionalità, anche attraverso la realizzazione della decisione concreta. Questa, perciò, ove non venga assicurata dal principio di collaborazione, verrebbe garantita dalla gerarchizzazione delle relazioni amministrative tra i diversi livelli di governo: dallo Stato, alla Regione, alla Provincia e al Comune.

In funzione di quanto detto, si è cercato di esercitare la funzione collaborativa anche attraverso forme di interlocuzione con il consiglio delle autonomie, in vista dell’ottimizzazione dell’esercizio della funzione di controllo sia per i profili della programmazione che per questioni di carattere generale.

Ad ogni modo, il disegno normativo dei controlli della Corte per gli enti d’autonomia, s’è completato con la legge finanziaria per il 2006 6, che ha posto a carico degli organi di revisione economico-finanziaria degli enti locali e degli

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enti del servizio sanitario nazionale, l’obbligo di trasmettere alle Sezioni regionali di controllo relazioni sul bilancio preventivo e sul rendiconto, predisposte sulla base di criteri definiti unitariamente dalla Corte e rivolte a dar conto, non solo del rispetto degli obiettivi posti dal patto di stabilità e del limite costituzionale al ricorso dell’indebitamento, ma anche di ogni grave irregolarità contabile e finanziaria in ordine alla quale l’amministrazione non abbia adottato gli interventi correttivi segnalati dall’organo interno di revisione. In base alla normativa, le Sezioni regionali di controllo, qualora accertino comportamenti difformi dalla regole della sana gestione finanziaria, “adottano formale pronuncia e vigilano sull’adozione delle necessarie misure correttive e sull’osservanza dei vincoli previsti dall’ordinamento in caso di mancato rispetto del patto di stabilità”.

La direzione verso la quale ci si muove con questo provvedimento è quella di dare concretezza ad un compito che già l’art. 7 della legge La Loggia attribuiva alla Corte dei Conti. Questo tipo di controllo risponde dunque a una duplice esigenza:

- i bilanci ed i rendiconti devono essere redatti secondo il rispetto sostanziale, non solo formale, dell’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali e secondo i principi contabili emanati dall’Osservatorio; - deve essere salvaguardato il rispetto delle norme di finanza pubblica

concernenti il patto di stabilità, i vincoli dell’indebitamento e gli equilibri di bilancio.

È da sottolineare il fatto che con questa norma si faccia un importante passo avanti verso l’integrazione tra Corte dei Conti e Collegio dei Revisori7, permettendo alla Corte di ricevere informazioni che ritiene utili per il suo controllo di regolarità contabile e amministrativa attraverso soggetti terzi rispetto all’ente locale. Tra l’altro il Collegio aveva già un dovere di verifica in merito alle medesime tematiche, anche se la norma conferisce adesso maggiore

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Si veda “I controlli finanziari e contabili e il ruolo futuro della Corte dei Conti – Un approccio economico aziendale”, S. Bozzoli.

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consapevolezza, rendendolo il fulcro del rapporto tra Corte ed ente locale, contribuendo a rafforzarne ed a qualificarne il ruolo.

Da sempre la questione della sovrapposizione degli incarichi tra revisori e Corte dei Conti è stata oggetto di dibattito, perciò si punta adesso ad una sinergia tra le due figure che si ritiene oramai indispensabile per evitare duplicazioni e per rendere l’audit il più possibile efficace ed effettivamente esteso a tutti gli enti locali.

Se è vero che alla Corte viene attribuito il ruolo di “cabina regia” in materia di audit contabile8, è anche vero che è attraverso i controlli interni che si esplica l’autonomia dell’ente. Allora come far coesistere le due cose?

A tal fine può essere molto utile comprendere la differenza che esiste tra il controllo di gestione ed il controllo sulla gestione, premettendo innanzitutto che l’autonomia degli enti locali non si misura in termini della frammentazione dell’informativa economico-finanziaria loro richiesta, che è implicito debba essere veritiera, corretta e massimamente standardizzata, bensì in termini di libertà nella gestione e quindi anche nella discrezionalità di scegliere gli strumenti direzionali di controllo che si ritengano preferibili, in un ambito laddove alcuna interferenza di organismi terzi possa essere considerata auspicabile o tollerabile. Diverso però è accertare l’effettivo funzionamento del sistema dei controlli interni ai fini di una valutazione del rischio di audit, così previsto dai principi di revisione internazionali e nazionali di tutta Europa, e che pone il controllore a un più diretto contatto con le scelte dell’amministratore, tale per cui non possa che essere svolto da un organo interno dell’amministrazione. Il controllo sulla gestione invece, è affidabile ad un controllore esterno poiché questo, pur tenuto ad operare in veste collaborativa, non partecipa all’amministrazione ma porta avanti due fondamentali finalità:

1) Consentire al cittadino e ai suoi rappresentanti, di essere adeguatamente informati in merito all’attività del Comune e dei risultati gestionali ottenuti;

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L’audit contabile risponde all’esigenza che bilancio e rendiconto siano veritieri e corretti, costituendo perciò un elemento di garanzia necessario ed un dovere etico e giuridico che incide sulla credibilità della pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini e dei mercati finanziari.

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2) Fornire informazioni idonee e pareri qualificati in merito alle possibili aree di miglioramento che gli amministratori potranno esplorare.

Chi svolge il controllo sulla gestione quindi, basandosi sulle informazioni ricevute dagli uffici dell’ente, svolgerà un’attività di analisi e di informazione dell’andamento economico finanziario del Comune e della Provincia, in modo da far si che il consiglio e gli amministratori siano consapevoli dei punti di forza e delle criticità dell’ente locale, così da affrontarle e risolverle.

Secondo quest’ottica i controlli esterni possono rappresentare una parte importante di quegli stimoli di mercato che sono necessari per rendere esplicito negli enti locali il bisogno di controlli interni e renderne quindi effettivo il funzionamento. Tuttavia, pensare di poter assicurare la qualità informativa di bilancio solo attraverso i controlli è irrealistico, e comunque non sufficiente per avere una buona gestione dell’ente locale. Il compito della Corte è infatti, esclusivamente quello di giocare il ruolo di elemento di mercato, introducendo meccanismi affidabili e ragionevoli che permettano di evidenziare e confrontare le performance assicurandosi che questi vengano analizzati con cura ed effettivamente messi a disposizione dei consigli comunali.

È chiaro che attivare un processo di questo tipo richiede del tempo, ed una costante attenzione al cambiamento. Per arrivare a regime occorrono anni, risorse umane e disponibilità al mutamento anche all’interno della stessa Corte dei Conti, che si trova oggi a dover affrontare un ambito nuovo, che richiede approfondite competenze tecnico-contabili ed aziendali.

Tra l’altro, il più recente provvedimento normativo in proposto, risale alle delibere n. 6 e 7 del 27 Aprile 2006, quando la Sezione delle Autonomie ha provveduto ad adottare le linee guida cui devono attenersi rispettivamente, gli organi di revisione economico – finanziaria di comuni e province e i collegi sindacali degli enti del servizio sanitario nelle proprie relazioni alle sezioni regionali di controllo sul bilancio preventivo e il bilancio d’esercizio. Nel mese di Luglio sono state poi emanate anche le linee guida cui devono attenersi gli organi di revisione degli enti locali nella predisposizione della relazione sul rendiconto dell’esercizio, dando maggior rilievo alla presenza di debiti fuor di

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Bilancio, alla sovrastima delle entrate e alla conservazione dei residui attivi, alla non corretta contabilizzazione di voci strategiche, all’incidenza delle entrate straordinarie e agli oneri connessi alla gestione delle società partecipate.

Si puntualizza che le pronunce delle sezioni non sono dirette a segnalare generiche disfunzioni gestionali, ma soltanto irregolarità contabili di rilievo tali da compromettere l’equilibrio finanziario dell’ente: le segnalazioni della Corte agli organi rappresentativi dell’ente hanno soltanto lo scopo di sollecitare l’adozione dei correttivi necessari per eliminare le irregolarità segnalate.

Il carattere collaborativo di questo controllo, se è più evidente quando si svolge sul bilancio preventivo in quanto suscettibile di essere variato dopo la sua approvazione, non è estraneo neppure al controllo sui rendiconti. In questo caso, infatti, se non è più possibile intervenire per modificare un atto contabile divenuto definitivo nella rappresentazione di una gestione già svolta in modo irregolare, tuttavia gli accertamenti e le pronunce della Corte potranno ancora produrre effetti diretti o indiretti a vantaggio dell’ente, costretto a seguire percorsi di risanamento già previsti dalla legge o comunque imposti dai principi di sana gestione.

Tale forma di controllo degli enti territoriali, è già stata introdotta anche nella maggior parte delle regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia) attraverso iniziative concordate dalle sezioni con le amministrazioni regionali interessate, che hanno permesso di tener conto degli ordinamenti speciali previsti dai rispettivi statuti.

Occorre ora che il legislatore completi e concluda il disegno riformatore, di cui è, comunque, possibile intravedere le linee tendenziali tracciate, sia nel controllo che nella giurisdizione; elimini discrasie e contraddizioni; rinnovi e potenzi l’apparato organizzativo della Corte, rimasto a livelli assolutamente inadeguati al nuovo ruolo e alle nuove attribuzioni; si dia anche responsabilmente carico dei problemi che indubbiamente pone la cointestazione all’Istituto di funzioni divenute ormai così diverse.

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2.2 L’Unità di Monitoraggio

Come se la situazione e la disciplina della Corte dei Conti in merito ai controlli esterni non fosse gia sufficientemente ricca di incongruenze e lacune, ecco che con la legge finanziaria statale per il 2007 si introduce, nello scenario dei controlli sugli enti locali, un nuovo istituto, appunto denominato “Unità di Monitoraggio”.

L’art 1, comma 274, della suddetta legge, prevede che “al fine di assicurare un controllo indipendente e continuativo della qualità dell’azione di governo degli enti locali, è istituita un’unità di monitoraggio con il compito di accertare la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento delle misure premiali previste dalla normativa vigente e di provvedere alla verifica delle dimensioni organizzative ottimali degli enti locali, anche mediante la valutazione delle loro attività, la misurazione dei livelli delle prestazioni e dei servizi resi ai cittadini e l’apprezzamento dei risultati conseguiti, tenendo altresì conto dei dati relativi al patto di stabilità interno.”

Le competenze spettanti alla nuova unità, riguarderanno:

- la valutazione della ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento delle misure premiali previste dalla normativa vigente per gli enti locali;

- la verifica delle dimensioni organizzative ottimali degli enti locali medesimi.

A primo impatto, la prima finalità della norma appare generica e potenzialmente estensibile ad ogni misura incentivante eventualmente prevista a livello legislativo e regolamentare, tra l’altro in contrasto col fatto che nel testo definito della legge risultano eliminati gli incentivi alla fusione dei comuni ed all’esercizio associato di funzioni e servizi comunali, della cui gestione avrebbe dovuto occuparsi il neo istituito organo.

A ciò,va aggiunto il fatto che l’attività di verifica delle dimensioni ottimali dell’ente coincide sostanzialmente con i controlli di competenza dei nuclei di valutazione e dei servizi del controllo interno, finalizzati però a una nuova mappatura organizzativa e funzionale del sistema delle autonomie locali. La valutazione delle performance dovrà senz’altro avvenire sulla base di appositi

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indicatori, per i quali però mancano totalmente collaudati sistemi di misurazione e soprattutto un’adeguata standardizzazione dei livelli minimi di qualità dell’organizzazione e dei servizi degli enti locali.

L’introduzione di un organo di questo tipo tra le istituzioni italiane, appare in questo momento, suscettibile di un giudizio di incostituzionalità in funzione del fatto che, da un lato va a comprimere indebitamente l’autonomia degli enti locali e dall’altro, relega le regioni ad un ruolo di coordinamento del tutto marginale. È possibile però che in sede di redazione della disciplina attuativa in proposito, tali vizi possano essere fortemente ridimensionati, pur continuando ad alimentare, tuttavia, la convinzione che il nuovo organo non abbia un chiaro ruolo all’interno dello scenario istituzionale, ma sia semplicemente sovrapposto funzionalmente ad altri organi, tra l’altro più idonei, a svolgere tali funzioni. Implicito è in questo contesto, il riferimento alla Corte dei Conti, ritenuta per eccellenza l’organo addetto al controllo sugli enti locali, il cui ruolo di garante degli equilibri economici pubblici sembra apparire ancor più rafforzato all’indomani delle riforme costituzionali.

Sono evidenti a questo punto, tanto le sovrapposizioni tra le funzioni di controllo della Corte e quelle dell’Unità di Monitoraggio, tanto le future problematiche che scaturiranno da una disposizione di questo tipo sul sistema delle autonomie locali, soprattutto dal punto di vista dei controlli esterni.

Altrettanto complesso è il raffronto con la Ragioneria Generale dello Stato, cui compete principalmente il monitoraggio della gestione finanziaria delle amministrazioni locali, nel contesto dell’analisi degli andamenti di spesa pubblica ed ai fini degli obiettivi di crescita interna e del rispetto dei vincoli comunitari di finanza pubblica.

Tuttavia, onde evitare allarmismi, il legislatore, all’ultimo periodo dell’art. 1, comma 274, della legge finanziaria per il 2007 , precisa che “restano ferme le competenze istituzionali della Ragioneria Generale dello Stato e della Corte dei Conti”. Ma sarà sufficiente?

L’obiettivo per il quale nasce una funzione di questo tipo è del tutto condivisibile: controllo sulla qualità dell’attività amministrativa e sull’ottimale

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gestione delle risorse da parte degli enti locali, nella prospettiva di una futura modifica dell’assetto organizzativo e funzionale dei medesimi; tuttavia altrettanto condivisa non può essere la scelta in merito agli strumenti con i quali raggiungere il suddetto obiettivo.

Quel che non è chiaro, è il perché si preferisca istituire di sana pianta un nuovo organo per lo svolgimento di compiti per i quali esistono gia organi competenti, senza procedere poi ad una rettifica dei compiti degli uni e degli altri al fine di creare un contesto di armoniosa collaborazione tra gli stessi, piuttosto che di mera sovrapposizione di ruoli.

Sembra banale e scontata, eppure è senza dubbio più efficace l’alternativa con la quale optare per un potenziamento di poteri e strutture esistenti, in questo caso della Corte dei Conti, unico organo che possa vantare un fondamento costituzionale al suo ruolo di vigilanza e valutazione sugli altri enti.

Tale fondamento fa sì che mai si possa decidere di fare a meno della stessa o destituirla dal suo ruolo di organo di controllo, e allora, visto che è gia in atto uno “spreco” di norme, dato il volume, l’inconsistenza e la rapidità con la quale si susseguono, sarebbe meglio evitare anche gli sprechi di risorse destinate a “unità” potenzialmente inutili, indirizzandole invece a chi per competenze ed esperienze, in un certo senso se le “merita di più”.

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