• Non ci sono risultati.

TOBIE NATHAN DISPOSITIVO ETNO-PSICOANALITICO DI CAPITOLO 2 IL

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "TOBIE NATHAN DISPOSITIVO ETNO-PSICOANALITICO DI CAPITOLO 2 IL"

Copied!
43
0
0

Testo completo

(1)

1

CAPITOLO

2

IL

DISPOSITIVO

ETNO-PSICOANALITICO

DI

TOBIE

NATHAN

Par.1 Tobie Nathan

Nel capitolo precedente abbiamo dato uno sguardo d‟insieme a quello che é il contesto dell‟etnopsichiatria, in particolare quella francese ,che ha soprattutto in Georges Devereux il suo fondatore. Anche se è stato Devereux a porre le basi per una clinica etnopsichiatrica si deve soprattutto a Tobie Nathan, suo allievo, la sistematizzazione di un dispositivo clinico etnopsichiatrico.

Negli ultimi anni, l‟arrivo massiccio di migranti in Europa ha creato numerosi problemi ai servizi di salute mentale che si sono trovati a dover dare risposte a questo nuovo tipo di paziente. La psichiatria, la psicologia e la psicoanalisi si sono dovute interrogare sui propri strumenti ed hanno affrontato numerosi problemi, primo tra tutti quello di trovare dispositivi di presa in carico dei pazienti che fossero efficaci anche con persone provenienti da altre culture. E‟ sicuramente Tobie Nathan uno dei pionieri in questo campo.

(2)

2

Tobie Nathan nasce in Egitto nel 1948 da una famiglia ebrea, ma a causa di complicate questioni politiche del tempo la sua famiglia compra la nazionalità italiana. A otto anni insieme al padre e alla madre lascia l‟Egitto e si trasferisce in Italia ma vi resterà pochissimo tempo. Si trasferirà in seguito in Francia dove resterà definitivamente. Dal punto di vista linguistico la sua famiglia parlava l‟arabo, lingua veicolare del paese e poi, come succedeva per molti ebrei, aveva una lingua che si parlava in famiglia. Questa lingua non era l‟ebraico che era usata solo a livello rituale bensì il francese. Insomma, Tobie Nathan nasce in Egitto, è ebreo, parla il francese e l‟arabo e vive sulla sua pelle due migrazioni: prima quella in Italia e poi in Francia. E‟ lui stesso che lega queste esperienze di vita alla sua storia professionale. Nell‟intervista fatta da Cecile Marotte e pubblicata su Internet dalla rivista elettronica

Filigr@ne, Nathan si descrive come un ragazzo fino all‟età di diciotto

anni molto tranquillo. Intorno a questa età arriva invece la crisi, come lui stesso dice, quando: “tu deviens toi- même, quand tu dois assumer ton status social”1.E‟in questo periodo che incontra Georges Devereux :“il

faut dire que durant 10 années, le séminaire de Devereux était fréquenté par des jeunes psychiatres et psychologues, qui étaient tous aux prises

1

(3)

3

avec les problèmes cliniques nouveaux que l‟on commençait à rencontrer en France du fait de l‟immigration massive durant le “trente glorieuses”, dès cette époque, l‟ethnopsychiatrie commençait, sous la pression de jeunes cliniciens, à se redéfinir, dépassant son statut de théorie descriptive au profit de l‟invention de dispositif thérapeutiques tournés vers la prise en charge des populations migrants. Cette ethnopsychiatrie était avant toute chose une recherche sur la clinique, mais elle a aussi constitué une expérience tant théorique que politique. Car si elle nous a incité à repenser la pratique de la psychanalyse, de la psychothérapie et du travail social, elle nous a également conduits à réfléchir de manière radicalement nouvelle, je crois, à la place que nous étions prêts à accorder aux populations migrantes et à leur cultures, dans les sociétés modernes que nous contribuions à construire » 2.

Inizialmente Nathan studia gli effetti psicopatologici dell‟ideologia sessuale comunitaria praticata dalla generazione libertaria francese,

2

« bisogna dire che per dieci anni, il seminario di Devereux era frequentato da giovani psichiatri e psicologi,alle prese con i nuovi problemi clinici che si incominciavano ad avere in Francia a causa dell‟immigrazione massiccia durante le trente glorieuses .Da quel momento l‟etnopsichiatria sotto la pressione dei giovani clinici, cominciava a ridefinirsi, superando il suo statuto di teoria descrittiva a favore dell‟invenzione di dispositivi terapeutici rivolti alla presa in carico di popolazioni migranti. Questa etnopsichiatria era prima di tutto una ricerca sulla clinica, ma è stata anche un‟esperienza teorica e politica. Perché se ci ha incitato a ripensare la pratica della psicoanalisi, della psicoterapia e del lavoro sociale, ci ha portato allo stesso modo a riflettere in maniera radicalmente nuova,credo, al posto che eravamo pronti a concedere alle popolazioni migranti e alle loro culture, nelle società moderne che contribuivamo a costruire”Nathan T., “L‟héritage du rebel :le rôle de Georges Devereux dans la naissance de l‟ethnopsychiatrie clinique en France”, in Ethnopsy,les mondes contemporains de

(4)

4

questa sua ricerca è pubblicata nel 1977 con il nome di, Sexualité

idéologique et névrose.Nel 1979 pubblica invece, Psychanalyse et copulations des insectes, in cui analizza addirittura l‟universo degli

insetti nelle fantasie psicoanalitiche. Nel 1979 crea, anche, la prima consultazione in etnopsichiatria nell‟Ospedale Avicenne di Bobigny presso il servizio di psichiatria del bambino e dell‟adolescente a quel tempo diretto da Serge Lebovici. Dal 1988 al 1992 lavora presso il Centro di Protezione materno infantile di Saint Denis dove riceve soprattutto pazienti maghrebini. Nel 1986 diventa professore di Psicologia clinica e psicopatologia all‟università di Paris VIII e qui nel 1993 fonda il centro “Georges Devereux”, Centre universitarie d’aide

psychologyque aux familles migrantes, che dirigerà fino al 1999.

Già durante gli anni di lavoro in ospedale e al centro materno-infantile Nathan perfezionò il dispositivo clinico al fine di affrontare le difficoltà che comportava prendere in carico pazienti migranti. Sin dalle prime consultazioni Nathan e la sua équipe si trovarono di fronte il problema della popolazione immigrata, che veniva descritta soprattutto in termini di carenza, sociale, fantasmatica, di elaborazione . Spesso questi pazienti erano ricoverati in ospedale per problemi fisici nati in genere in seguito ad un incidente sul lavoro. Nonostante tutti gli accertamenti risultava che

(5)

5

i loro disturbi somatici non avevano niente di organico e venivano inviati quindi allo psicologo. Ma davanti allo psicologo essi si zittivano, non solo per problemi strettamente linguistici ma anche perché il loro mondo era lontanissimo dal mondo psicoanalitico. L‟idea che attraversava la nascita della clinica etnopsicoanalitica era quella di pensare che la presa in carico di pazienti di altre culture non funzionasse non per colpa del migrante, in qualche modo deficitario, ma a causa del dispositivo tecnico utilizzato. Il tentativo diventò quindi quello di creare un nuovo dispositivo dove queste carenze si potessero trasformare in fonti di arricchimento e innovazione tecnica. Questa posizione portò Nathan a creare delle soluzioni alternative che rendessero realizzabile la clinica con i migranti, come per esempio la possibilità di parlare la propria lingua o quella di fare le consultazioni in gruppo. Parlare la propria lingua significava anche parlare del proprio mondo, del quale il terapeuta non conosceva niente, motivo per cui aveva bisogno di essere aiutato nella comprensione. Questa organizzazione sovvertiva così il ruolo del paziente che invece di portatore di carenze diventava l‟esperto, colui che più conosce il suo mondo. Quando nel 1992 viene creato il Centro “G. Devereux”, le consultazioni si aprono anche a pazienti non maghrebini man mano che all‟interno della facoltà si formano psicoterapeuti

(6)

6

appartenenti ad altre culture. Il Centro Devereux assolve ad una triplice funzione: è un centro universitario creato all‟interno della facoltà di psicologia di Paris VIII, che conduce ricerche sul campo soprattutto in Africa, è un centro clinico ma è anche un centro di formazione che ha permesso di formare numerosi terapeuti soprattutto africani, tra i quali numerosi hanno avviato con il tempo il loro gruppo di consultazione. In questo modo al centro Devereux arrivano pazienti appartenenti a varie culture. Le consultazioni durano circa due-tre ore e si svolgono sia in francese sia nella lingua madre del paziente e sono per gli utenti completamente gratuite. Normalmente i pazienti vengono inviati al centro per le consultazioni da altri enti, come il centro di protezione materno-infantile o dai giudici. In genere alla prima seduta si presentano la famiglia e il migrante per il quale è stata chiesta la consultazione, accompagnato da un operatore dell‟ente che lo ha inviato al centro, il quale introduce il problema ed esprime la sua opinione. La consultazione avviene alla presenza di un gruppo di terapeuti appartenenti a varie culture ma tutti con un titolo di studio ottenuto in Francia, in genere psicologi e psicoanalisti ma anche a volte medici, antropologi, assistenti sociali. Tra questi terapeuti, una decina circa, ce n‟è sempre uno che parla la stessa lingua della famiglia che viene in consultazione e che

(7)

7

conosce bene anche le tradizioni di quel gruppo culturale e soprattutto i loro dispositivi terapeutici. Tra una seduta e l‟altra passano circa uno -due mesi. La seduta è condotta da un “terapeuta principale” (gli altri vengono chiamati co-terapeuti) che la apre e la chiude spesso con una “prescrizione” a volte molto vicina a quella che farebbero i guaritori delle diverse tradizioni: “Nel dispositivo multiplo creato da Nathan mediatori, terapeuti e pazienti ( e il loro gruppo di familiari e amici) si confrontano su teorie, pratiche e vie di uscita, finendo in genere per concordare sull‟opportunità di metterne una alla prova: la più adatta (forse) a quel gruppo in quella situazione”3

Dopo aver diretto il Centro Devereux, Nathan ha diretto per tre anni

l’Istituto di Insegnamento a Distanza dell‟università Paris VIII e per un

anno l’Agenzia Universitaria della Francofonia in Burundi, dal 2004 è

Consigliere per la Cooperazione e l’Azione Culturale presso

l‟ambasciata francese a Tel Aviv in Israele.

Tobie Nathan ha al suo attivo numerosi libri e numerosissimi articoli, tra i quali ricordiamo, Fier de n’avoir ni pays, ni amis, quelle sottise

c’etait… Principes d’ethnopsychanalyse (1996), La folie des autres

(1986), L’influence qui guérit (1994) e Nous ne sommes pas seuls au

3

(8)

8

monde (2001).Oltre a opere scientifiche Tobie Nathan ha anche scritto

vari romanzi trai quali: Dieu-dope, l‟unico tradotto in italiano4, Saraka

Bô, Mon patient Sigmund Freud, 613 e Serial Eater.

Par 2. Modificazioni tecniche al dispositivo psico-analitico

Uno degli aspetti centrali del lavoro di Tobie Nathan è proprio il fatto che egli è partito dalla tecnica e non dalla teoria per rivoluzionare la psicoterapia dei pazienti “migranti”. Egli stesso lo sottolinea in Principi

di etnopsicoanalisi: “Tenendo conto del fatto che in clinica, come in

molti altri ambiti, non è possibile alcuna innovazione senza modificare il

dispositivo di raccolta dei dati, ho deciso di partire non più da una

posizione teorica (per quanto omogenea) ma dai problemi tecnici incontrati dal clinico quando desidera stabilire una relazione terapeutica con un paziente proveniente da un‟altra cultura. Aggirando il problema iniziale e proiettando in un lontano avvenire la possibilità di rispondere alla questione dottrinale, ho spostato l‟accento e ho focalizzato la ricerca sulla costruzione del dispositivo (corsivo mio), piuttosto che sull‟elaborazione d‟ipotesi generali, che in questa materia non potevano

4

(9)

9

essere che semplici opinioni”5. La sua pratica etnopsicoanalitica lo ha portato a organizzare delle modificazioni tecniche al setting terapeutico, che come sottolinea Coppo, lo pongono in evidente discontinuità con il passato: “ Il setting psicoanalitico e psicoterapeutico individuale (ma anche gruppale) è rivoluzionato. Lo psicoterapeuta o lo psicoanalista non sono più seduti dietro la scrivania o su una poltrona, di fronte all‟altro o alle sue spalle, e costui non è più portatore solo di disturbi ma anche di una cultura da decifrare e rendere presente e viva”6

. E infatti, il dispositivo costruito da Nathan e la sua équipe presso il centro G.Devereux è certamente molto innovativo.

Par 2.1 La traduzione

La possibilità di parlare nella propria lingua all‟interno del setting psicoanalitico ha portato con se numerose problematiche e cambiamenti al dispositivo terapeutico. Per prima cosa ha reso necessaria la presenza di un mediatore detto etno-clinico, uno psicologo appartenente alla stessa lingua e gruppo culturale del paziente, formatosi in Francia.La presenza del mediatore ha modificato completamente la natura della relazione terapeutica: per cominciare la relazione non è più duale come è caratteristico delle terapie psicoanalitiche individuali. Questo

5

Nathan T. , Principi di etnopsicoanalisi, pag.28, ed .Bollati Boringhieri, Torino, 1996

6

(10)

10

cambiamento però ha portato un effetto benefico perché spesso i pazienti migranti, soprattutto di origine africana, vivono la relazione terapeutica duale come pericolosa perché può essere vissuta come un‟ aggressione di tipo stregonesco. Inoltre l‟introduzione della traduzione ha reso le discussioni sulla lingua durante le consultazioni un modello. “En nous demandant ce qui nous permettait de nous mettre d‟accord sur la signification des mots, nous avons pris également l‟habitude de nous mettre d‟accord sur les autres enjeux de la relation thérapeutiques […] Nous avons ensuite glissé de l‟usage qu‟on fait de la langue à l‟usage des objets qui circulent dans le monde du patient et à l‟usage de ce qui nous importait plus que tout : les pensées et les objets propres aux techniques thérapeutiques”7

.

Un altro cambiamento è stato la difficoltà nata rispetto all‟ascolto fluttuante, ascolto che è alla base della terapia psicoanalitica. Il terapeuta normalmente non ascolta tutto ciò che il paziente dice, altrimenti non ascolterebbe niente, ma cerca di abbandonarsi a un ascolto, appunto fluttuante, che gli permette di percepire il dire che c‟è nel detto. Chiaramente questo tipo di ascolto è quasi impossibile nelle

7

« Nel domandarci cosa ci permetteva di metterci d‟accordo sul significato delle parole, abbiamo preso ugualmente l‟abitudine di metterci d‟accordo sulle altre poste in gioco della relazione terapeutica…In seguito abbiamo glissato dall‟uso che si fa della lingua all‟uso degli oggetti che circolano nel mondo del paziente e all‟uso di ciò che ci interessava più di tutto :i pensieri e gli oggetti propri delle tecniche terapeutiche »,Nathan T., La folie des autres,pag XXII.,ed.Dunod,Paris, 2001

(11)

11

consultazioni etnopsichiatriche. Però se l‟introduzione della traduzione ha fatto perdere la possibilità dell‟ascolto fluttuante dall‟altra parte, come dice Nathan: “a fait gagner en multiplication de lieux d‟écoute. Nous nous sommes rendus compte que la médiation laissait apparaître des points des focalisations du discours que nous ne connaissions pas auparavant”8

.

Il significato della traduzione e il suo ruolo nella consultazione sono talmente importanti che l‟équipe del centro Devereux dedica un numero della rivista Nouvelle Revue d’Ethnopsychiatrie a questo argomento: “Traduction et Psychothérapie”. Tradurre significa solo riuscire a dire letteralmente una parola di una lingua in un‟altra? Basta questo per capirsi? Nathan nell‟introduzione della rivista riporta un racconto riguardante il primo incontro tra Cortes e il Messico azteco: quando Moctezuma vide arrivare le navi di Cortes pensando che era il loro dio Quetzalcoatl che arrivava ordinò ai suoi messaggeri di portargli gli ornamenti, cioè gli attributi sacerdotali, che gli erano dovuti. Quando i messaggeri salirono sulla nave, davanti a Cortes baciarono il suolo e lo rivestirono con gli ornamenti sacerdotali. Lui domandò: “Tutto qui?” li fece legare e ordinò di sparare con il cannone. Nathan ci dice che Cortes

8

« Ci ha fatto guadagnare in molteplicità di luoghi d‟ascolto. Ci siamo resi conto che la mediazione lasciava apparire punti di focalizzazione del discorso che non conoscevamo prima” ,

(12)

12

casualmente aveva con lui due traduttori, in particolare una schiava che parlava la stessa lingua degli aztechi. Quindi scrive: “La situation de traduction est parfaitement en place. Ils se comprennent alors mais sans se comprendre”9

. La domanda cui si cerca di dare una risposta in questo numero di Nouvelle revue d’Ethnopsychiatrie è : cosa significa tradurre in etnopsichiatria? Sembrerebbe, dagli interventi che emergono, che tradurre in etnopsichiatria ha un significato ben differente da quello comune.

Il primo saggio di questo numero di Nouvelle Revue d’Ethnopsychiatrie: “Traduire en folie: discussion linguistique” è organizzato quasi come una seduta di etnopsichiatria, un gruppo di ricercatori, linguisti, pedagogisti e clinici, in cerchio, discutono sulla pratica della traduzione-mediazione e inevitabilmente sulla lingua all‟interno della consultazione etnopsichiatrica. Sibille de Pury Toumy, linguista, mette in evidenza due modi di intendere la parola tradurre :

-interpretare un discorso da una lingua ad un‟altra

-interpretare in un discorso ciò che non è detto verbalmente o riformularlo

9

« La situazione della traduzione è perfettamente a posto,essi si capiscono ma senza capirsi”,in Nathan T.,« Introduzione »,Nouvelle Revue d’Ethnopsychiatrie,n°25/26,ed.La Pensée sauvage, Grenoble,1994

(13)

13

E‟ soprattutto il secondo significato che interessa i clinici. In effetti durante una consultazione la parola viene interrogata. Nathan a proposito della lingua afferma: “C‟est vrai que la langue fait partie de la culture mais de façon particulière. La langue est l‟un des systèmes qui constitue une culture donnée, elle est donc un contenu mais elle englobe la culture, elle est en quelque sort son contenant. Ce qui caractérise la langue c‟est précisément qu‟elle est les deux : un contenu culturel et le contenant général de la culture »10. La parola viene interrogata perché attraverso l‟uso delle parole e l‟analisi del non detto si può sapere molto sulla storia del paziente e sul mondo a cui appartiene. In effetti, la presenza di un paziente appartenente a un‟altra cultura permette di rendere espliciti i sottintesi che esistono nella lingua e che quando si parla la stessa lingua si danno spesso per scontati, dando luogo a molti fraintendimenti. E‟ quello che fa notare Sibille de Pury Toumi “Ce qu‟il me semble important de remarquer, c‟est que d‟accepter d‟entrer dans le système lexical de la langue autre et dans l‟opération qui en régissent l‟organisation permet, je dirais “merveilleusement” de faire remonter à la conscience des concepts qui restent sous-jacents lorsqu‟on est à

10

« E‟ vero che la lingua fa parte della cultura ma in una maniera particolare .La lingua è uno dei sistemi che costituisce una data cultura,è dunque un contenuto,ma essa ingloba la cultura,è in qualche modo il suo contenitore. Quello che caratterizza la lingua è proprio che essa è tutte e due:un contenuto culturale e il contenitore generale della cultura” “Traduire en folie: discussion linguistique”,Nouvelle

(14)

14

l‟intérieur de sa propre langue”11

. Il buon traduttore non è colui che traduce fedelmente ma piuttosto chi riesce a far venire alla luce i significati che si annidano negli spazi di intraducibilità, vedi ad esempio la parola ‘ami in arabo che significa zio, ma solo nel senso del fratello del padre e per la quale la traduzione “zio” in italiano sarebbe riduttiva. “En poussant le raisonnement jusqu‟au bout, j‟en arrive à une conclusion qui va vous choquer: la traduction linguistique importe assez peu ! Ou alors n‟est que le déclencheur d‟une autre opération, qu‟on va appeler aussi traduction. L‟essentiel en clinique, c‟est du faire surgir du sens derrière les mots »12.

Par 2.2 Il gruppo

Lo svolgimento della consultazione di etnopsichiatria in gruppo, formato in genere da una decina di co-terapeuti, è un‟altra delle grandi

11

“ ciò che mi sembra importante sottolineare, è che accettare di entrare nel sistema lessicale della lingua altrui e nell‟operazione che ne regge l‟organizzazione permette, direi “sorprendentemente” di portare alla coscienza dei concetti che restano soggiacenti quando si è all‟interno della propria lingua”,ibidem..

12

“Spingendo il ragionamento all‟estremo,arrivo ad una conclusione che vi scioccherà:la traduzione linguistica importa molto poco!O meglio non è che l‟elemento scatenante di un‟altra operazione,che chiameremo ugualmente traduzione. L‟essenziale in clinica è far venire fuori il senso dietro le parole”, ibidem.

Questi discorsi sono molto bene esplicitati in un altro saggio contenuto in questo numero di Nouvelle

Revue d’Ethnopsychiatrie. “Essai d‟analyse des processus interactif de la traduction dans un entretien

ethnopsychiatrique” scritto a due mani da Sibille de Poury Toumy e Marie Rose Moro. Le due donne,una linguista l‟altra clinica,analizzano nel dettaglio una consultazione con una famiglia del Mali. L‟analisi viene affettuata con un metodo molto preciso e esplicita molto bene la funzione della mediazione-traduzione.

(15)

15

innovazioni apportate da Nathan al dispositivo psicoanalitico. Il gruppo ha molteplici funzioni:

“Il contenitore gruppale permette al paziente di installarsi come se fosse all‟interno del proprio originario quadro di riferimento[…] La funzione del contenitore è essenziale poiché l‟emigrazione fa inevitabilmente dissolvere il quadro culturale del paziente e lascia andare alla deriva i suoi contenuti sintomatici decontestualizzati” 13

,il gruppo permette di enunciare la teoria eziologica che potrebbe contenere il disagio del paziente. Per alcuni pazienti enunciare direttamente un‟interpretazione viene vissuta come un‟aggressione, infatti Nathan ci dice che “è estremamente difficile-se non impossibile-dire ad un paziente: “lei è posseduto da un ginn”. Ma è perfettamente possibile far circolare la parola all‟interno del gruppo lasciando apparire degli enunciati quali: “da noi in Algeria, in un caso simile, sarebbe stato consultato uno cheikh (che tutti sanno essere uno specialista di ginn): “Ci è sembrato dunque indispensabile che il paziente sia circondato da un gruppo, allo scopo di: 1) permettere una tale circolazione interrogativa della parola;

2) convalidare le sue percezioni e sensazioni…

13

(16)

16

3) proteggerlo dai sospetti di stregoneria che proverà necessariamente nei confronti di colui che utilizza simili tecniche”.14

La possibilità di far circolare all‟interno del gruppo le varie teorie eziologiche è garantita all‟interno del gruppo di etnopsichiatria dalla presenza costante del terapeuta principale che apre e chiude le sedute e che gestisce gli interventi degli altri terapeuti detti appunto co-terapeuti. Questo aspetto molto importante lo descrive bene Claude Mesmin in un suo articolo sulla funzione del gruppo all‟interno della consultazione etnopsichiatrica.15 Mesmin prende in esame il caso di una consultazione di un adolescente marocchino con problemi di forti accessi di rabbia e violenza: “Le thérapeute principal essaie de lui faire décrire ce qu‟il ressent quand la crise de violence arrive. Mais Tarik ne parvient pas à l‟exprimer. C‟est alors que le thérapeute va user d‟un artifice méthodologique pour y parvenir. Il engage les stagiaires à décrire comment la colère peut les envahir… »16

Il terapeuta principale accoglie e sottolinea gli interventi dei co-terapeuti che possono essergli utili per Tarik e lascia cadere quelli che ritiene non adatti al caso ed in questo modo: “On donne à Tarik des mots, des

14

ibidem,pag.17

15

Mesmin ha partecipato alle consultazioni del gruppo di etnopsichiatria di Lucien Hounkpatin

16

« Il terapeuta principale cerca di fargli descrivere cosa sente quando arriva la crisi di violenza. Ma Tarik non riesce a esprimerla. E‟ in quel momento che il terapeuta utilizzerà un artificio metodologico per riuscirci. Invita gli stagisti a descrivere in quali modi la collera può invaderli ».,Mesmin C., “Le groupe thérapeutique au sein du dispositif athnopsychiatrique”, www.ethnopsychiatrie.net

(17)

17

expressions, qui pourraient exprimer ce qu‟il ressent, expressions auxquelles il lui sera facile d‟adherer ou de ne pas adherer”17. Un‟altra

funzione del gruppo quindi è quella stimolare le emozioni, dar loro voce. Oltre a questo, il gruppo permette di far circolare varie ipotesi eziologiche nelle quali il paziente si può ritrovare oppure no e che non lo fissano in una interpretazione univoca. Un‟altra funzione del gruppo è il sostegno e il contenimento. In questo caso per esempio, Tarik in seguito ad un‟affermazione della mediatrice marocchina ha una crisi di violenza contro di lei ma viene fermato. Il terapeuta principale, Lucien Hounkpatin, lo fa calmare facendolo rilassare e respirare lentamente. Avere avuto la possibilità di avere una crisi all‟interno del gruppo e di aver costatato la possibilità di superarla senza passare all‟atto avrà un‟importanza notevole per la guarigione di Tarik. Il gruppo ha anche la funzione di decostruire la rappresentazione che il paziente desidera offrire del proprio disturbo “tutto accade come se ogni co-terapeuta si impossessasse di un frammento della problematica del paziente e lo elaborasse per proprio conto davanti a lui. Quando infine il terapeuta principale enuncia la sua proposta, il paziente si vede presentare una

17

« Si offrono a Tarik delle parole,delle espressioni,alle quali gli sarà facile aderire o non aderire »,ibidem

(18)

18

nuova riorganizzazione dei suoi elementi, strutturati dall‟esperienza vissuta in gruppo”.18

Par.3 Quale psicopatologia?

Nel tentativo di costruire un saper fare psicoterapeutico che possa essere valido per tutti, Nathan si trova a doversi confrontare con i modelli psicologici, psicanalitici e psichiatrici che hanno la pretesa di conoscere l‟uomo generico, biologico. Per lui questa pretesa è solo un‟astrazione, quello che interessa Nathan è una psicopatologia consapevole invece dei profondi legami esistenti con la cultura. Come scrive Salvatore Inglese nell‟introduzione al testo di Nathan Principi di etnopsicoanalisi: “La cultura viene considerata da Nathan come una struttura specifica di origine esterna (sociale) che contiene e rende possibile il funzionamento dell‟apparato psichico. Non può esistere alcun processo psichico senza l‟esistenza di un filtro culturale che ordina, governa e fornisce i principali strumenti d‟interazione della persona con il mondo. Questo filtro che è insieme causa ed effetto delle interazioni dell‟apparato psichico con l‟ambiente deve sempre mantenersi attivo per garantire il sentimento d‟identità, coerenza e coesione dell‟individuo sociale. L‟emergere

18

(19)

19

dell‟apparato psichico è possibile solo grazie alla presenza del contenitore culturale che non solo dà una forma alle manifestazioni dello psichico ma le rende possibili e riconoscibili come proprietà peculiari ed esclusive di ogni soggetto umano.”19

La cultura non è dunque un accessorio, un abito, un colore, qualcosa che si può avere o non avere, non ci può essere funzionamento psichico senza struttura culturale. Scrive Nathan: “possedere una cultura ed essere dotati di psichismo sono due fatti strettamente equivalenti, e per lo psicopatologo di conseguenza, la differenza culturale non è una deviazione, ma un dato di fatto altrettanto “umano”, altrettanto imprescindibile quanto l‟esistenza del cervello, del fegato o dei reni.”20

Per essere “umano” bisogna essere dotati allo stesso tempo di uno psichismo e di una cultura, che sono due strutture omologhe, rette dagli stessi meccanismi.

Quindi la psicopatologia per Nathan non cerca l‟uomo genericamente umano, l‟uomo nudo, ma al contrario sa che gli esseri umani sono specifici, culturalmente condizionati e organizzati attorno ad appartenenze e che non può esistere un soggetto universale indipendente dal suo universo culturale.

19

Inglese S., “Introduzione”, a Nathan T., Principi di etnopsicoanalisi, ed.Bollati Boringhieri,Torino,1996, pag.15

20

(20)

20

Partendo quindi dal fallimento del tentativo di creare una psicopatologia strutturale, cioè una psicopatologia che cerca di rintracciare dietro la varietà dei sintomi, delle categorie nosologiche universali, egli crede che l‟unica cosa che può essere studiata in maniera oggettiva sia la tecnica che il terapeuta utilizza, cioè i dispositivi terapeutici: “auspico una psicopatologia che si assuma dei rischi, che si cimenti nella descrizione più raffinata possibile dei terapeuti e delle tecniche terapeutiche, e non dei malati. Infatti in questo ambito, i soli fenomeni osservabili sono il terapeuta ed i suoi oggetti: i suoi strumenti, ma anche le sue teorie, i suoi pensieri, e anche i suoi esseri soprannaturali”21

Quando Nathan parla di dispositivi terapeutici, non si riferisce solo a quello che il terapeuta fa ma anche alla sua formazione e agli oggetti di cui si serve, tra i quali ci sono anche le teorie eziologiche che lo guidano: “Ciò che in materia di psicoterapia potrebbe divenire l‟oggetto di una teoria finalmente scientifica è proprio il dispositivo terapeutico stesso. Più esattamente: i diversi dispositivi in quanto capaci di fabbricare una trasformazione radicale, profonda, duratura, i soli “esseri” in questo ambito che potrebbero non essere influenzati dalla pratica di chi li osserva”22

.

21

Nathan T., Medici e stregoni, , ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1996, pag.32

22

(21)

21

Questa posizione, cioè solo il dispositivo tecnico terapeutico é suscettibile di un‟indagine scientifica, comporta una conseguenza o per Nathan una possibilità: per uno psicoterapeuta non sussiste più il problema di appartenere a una scuola che detenga la verità sulla natura del male e la classificazione dei malati ma piuttosto “un psychothérapeute ressemblerait désormais à un chercheur de laboratoire s‟informant activement d‟une réalité “naturelle”-les procédures des soin réelles et concrete inventées par les populations-et s‟en saisissant pour les experimenter à son tour grâce à la fabrication de dispositifs spécifiques”23 L‟occasione che viene data dall‟arrivo dei pazienti migranti è proprio questa, quella di non perdersi in discussioni teoriche sull‟universalità della psicoanalisi e di alcuni suoi punti cardini ma di metterla alla prova insieme agli altri dispositivi. E‟ quello che Nathan ha cercato di costruire al Centro Devereux dove una stessa équipe si occupa di fare ricerche su campo sulle tecniche di cura locali (in Africa nera, Africa del nord, Antille, Isole francofone dell‟Oceano indiano, ma anche nella banlieu parigina) e nello stesso tempo cerca di costruire un dispositivo originale che metta all‟opera e alla prova le ipotesi sull‟efficacia di questi

23

« uno psicoterapeuta assomiglierebbe ormai ad un ricercatore di laboratorio, che si informa attivamente su una realtà “naturale”- le procedure di cura reali e concrete inventate dalle popolazioni- e che si adopera per sperimentarle a sua volta grazie alla fabbricazione di dispositivi specifici” in Nathan T., “Six principes d‟ethnopsychiatrie », www.ethnopsychiatrie.net

(22)

22

dispositivi di cura, così il dispositivo psicoterapeutico di Nathan “ispirandosi alle terapie tradizionali-di cui riconosce la capacità di istituire legami tra l‟individuo, il suo gruppo familiare (sempre molto allargato) e il gruppo etnico originario- non utilizza solo il discorso basato sulla parola. Esso impiega o prescrive l‟utilizzo culturalmente codificato, di oggetti, ritmi corporei, suoni, sacrifici animali, nella convinzione che le terapie tradizionali sono fondate essenzialmente sul fare e sul mostrare piuttosto che sul dire o, peggio, sul persuadere”24. E‟

importante sottolineare però che mettere alla prova i dispositivi terapeutici non significa un meticciamento delle teorie e della tecnica ma la coesistenza nella propria mente di ognuna di esse e quindi dell‟uso mirato in base al paziente che ci si trova davanti. Nell‟intervista comparsa su Filigr@ne Nathan si esprime così: “Tu entres dedans. Tu entres dans ce monde et tu penses les choses. Ensuite tu sors de là et tu penses les choses à partir d‟un autre univers. Donc c‟est successif. Ce sont successivement des modes de pensée. Mais il faut qu‟ils soient présents. Il faut que tu puisses recourir à l‟un, ensuite à l‟autre, etc. »25

. Tra i dispositivi di cura Nathan sottolinea il fatto che è importante

24

Nathan T.,Principi di etnopsicoanalisi, ed.Bollati Boringhieri,Torino,1993

25

« Tu entri dentro. Entri in quel mondo e pensi le cose;poi esci di là e pensi le cose a partire da un altro universo. Dunque è successivo. Sono dei modi di pensare successivi. Ma bisogna che siano presenti. Bisogna che tu possa ricorrere ad uno,poi all‟altro,ecc;”Cecile Marotte, “Une clinique de l‟étranger:entretien avec Tobie Nathan”,Filigr@ne,vol.8,n°2

(23)

23

includere anche quelli tradizionali perché è necessario restituire uno statuto di serietà ai sistemi terapeutici tradizionali e alle teorie eziologiche tradizionali ad essi collegate. In numerosi suoi scritti egli riflette sulla razionalità delle etiologie tradizionali e sulla scientificità della psicoterapia. . Innanzitutto egli crede che il termine psicoterapia sia inadeguato perché nel suo significato linguistico, che per Nathan é di cura attraverso la psiche e non cura della psiche visto che vengono curati anche disordini fisici, esclude tutte quelle terapie che si basano su altri elementi come sono spesso le terapie tradizionali. Nel libro Quale

avvenire per la psichiatria e la psicoterapia? Così scrive Nathan: “Nei

paesi occidentali la parola psicoterapia designa quindi un intervento non

armato (senza ricorso all‟arsenale chimico) che agisce su un “organo”

piuttosto mal definito (diciamo l‟“anima” per semplificare), organo che i professionisti designano abitualmente con neologismi del tipo: psiche,

apparato psichico o ricorrendo a parole del linguaggio comune che

vengono dottamente ridefinite, per esempio: mente, pensiero...” e ancora “privilegiando questo strano “organo”, tale definizione esclude di fatto la maggioranza delle terapie con l‟aiuto delle quali sono concretamente curati i malati in tutto il mondo-terapie che pretendono di agire non sull‟ “anima” ma su degli invisibili, non attraverso la parola o scatenando

(24)

24

emozioni ma per il tramite di rituali, di sacrifici animali, di fabbricazione di amuleti, di preghiere o di estrazione di oggetti di sortilegio ecc;”26

.Per questo Nathan propone di creare una teoria della psicoterapia senza basarsi sul concetto di psiche. Inoltre propone di superare una certa visione, originata con Freud, che ha creato dei confini netti tra la psicoanalisi e le psicoterapie tradizionali, distinguendole in base al fatto che la prima fosse caratterizzata da una certa scientificità, le seconde invece basate sulla suggestione.Infatti una definizione basata sul concetto di psiche impone l‟idea che le altre terapie, credano di negoziare con l‟invisibile ma senza esserne consapevoli trattino in realtà l‟anima, la psiche,ecc.

Nathan, riconoscendo comunque uno statuto di razionalità ad ogni eziologia, sottolinea che la differenza è nel fatto che ogni eziologia innesca un‟azione differente: le terapie tradizionali spostano l‟interesse dal malato all‟invisibile, dall‟individuo al collettivo e dal fatale al riparabile. Quando avviene una divinazione l‟obiettivo del guaritore è di scoprire al malato delle appartenenze inaspettate e quindi di attribuirgli un gruppo . Le eziologie tradizionali tendono ad istituire dei legami tra l‟individuo e il gruppo familiare ed etnico. Nell‟individuare la causa della

26

Nathan T.,Pichot P., Quale avvenire per la psichiatria e la psicoterapia?, ed.Colibri‟, Milano,1998,pag.52-53

(25)

25

patologia in atti come la stregoneria, ad esempio, compiuti da terzi si sposta l‟attenzione sul gruppo e si colloca il malato al suo interno. Al contrario la psicoanalisi attribuisce tutta la responsabilità della malattia al paziente isolandolo sempre di più. In fin dei conti per Nathan le eziologie tradizionali, come d‟altronde le psicoterapie occidentali : « ne sont ni des leurres, ni de la suggestion, ni des placebos. Pour moi ces pratiques sont réellement ce que leurs utilisateurs pensent qu‟elles sont : des techniques

d’influence, la plupart du temps efficaces, et par conséquent dignes

d‟investigations sérieuses »27

.Nathan propone quindi di inglobare nel termine psicoterapia “ogni procedimento di influenza destinato a modificare radicalmente, profondamente e in modo duraturo una persona, una famiglia o semplicemente una situazione, partendo da un‟intenzione terapeutica”28

Questa definizione così allargata tiene conto del punto di vista degli utenti, soprattutto appartenenti alle altre culture, per i quali il male da combattere ha sempre la stessa causa sia che si tratti di un uomo che perde la testa sia che si tratti di un raccolto che va male. Questa definizione ha il pregio di mettere sullo stesso piano le terapie cosiddette scientifiche che pretendono basarsi su osservazioni della natura, le terapie

27

“non sono né degli artifici,né suggestione,né dei placebo. Per me queste pratiche sono realmente cio‟ che i loro utilizzatori pensano che siano:tecniche d‟influenza,il più delle volte efficaci,e di

conseguenza degni di investigazioni serie” Nathan T., “Six principes d‟ethnopsychiatrie”,www.ethnopsychiatrie.net

28

Pichot P., Nathan T., Quale avvenire per la psichiatria e la psicoterapia?, ed. Colibri, Milano,1998,pag.57

(26)

26

tradizionali ed anche le numerose formazioni terapeutiche, in genere di tipo religioso, che si stanno diffondendo sempre di più.

Il concetto dei dispostivi terapeutici sia tradizionali sia occidentali come tecniche d‟influenza, é un punto molto importante del pensiero di Nathan, ed è una tematica che affronta in maniera approfondita in un suo libro del 1994 L’influence qui guérit, un libro denso e importante che per alcune idee espresse ha suscitato anche molte polemiche in Francia. Nell‟introduzione così scrive: “Que reste -t-il alors pour penser la psychopathologie, si toutes les théories que nous pouvons construire ne sont que médiateurs d‟interface, outils technique, procédures instaurant des interactions professionnellement maniables et jamais éléments de descriptions du réel? À mon avis, il reste l‟essentiel : l’entreprise de

modification de l’autre (corsivo mio).Et tout nous indique que cette

dernière ne peut être pensée qu‟à partir de l’action du thérapeute(corsivo mio) ,à condition de se donner les moyens de l‟analyser” e ancora “En d‟autres termes, je ne suis pas loin de penser que la psychologie-en tant que science de l‟appareil psychique, selon la formule de Freud, discours sur une matière objectivable qu‟il serait possible de décrire, d‟investiguer afin d‟en découvrir les lois des fonctionnement cachées-la psychologie serait une pure fiction. La seule discipline scientifiquement

(27)

27

défendable serait, si l‟on me pardonne ce barbarisme, une influençologie, qui aurait pour objet d‟analyser les différentes procédures de modification de l‟autre” 29Nell‟introduzione a questo testo, Nathan

esprime chiaramente qual è il suo obiettivo: gettare le basi per un‟investigazione reale delle procedure delle tecniche di influenza, soffermandosi anche su un aspetto che in genere non è assolutamente preso in considerazione dalla psicopatologia occidentale e cioè l‟intenzionalità del terapeuta. Fondamentalmente nella prima parte del libro Nathan pone le basi “d‟une psychopathologie fondée sur l‟investigation concrète et réelle de l‟action du thérapeute e non de la nature du malade »30 e lo fa sviluppando un confronto tra le nostre azioni terapeutiche e quelle delle culture radicalmente altre.

Dalla pratica con pazienti migranti Nathan deduce alcuni enunciati, uno, in parte già visto è che è impossibile nella ricerca clinica tenere un discorso scientifico sulla natura dell‟oggetto di studio, in questo caso la

29

“ Che cosa resta allora per pensare la psicopatologia,se tutte le teorie che possiamo costruire non sono che mediatori di interfaccia,strumenti tecnici,procedure che instaurano interazioni

professionalmente manipolabili e mai elementi di descrizione del reale? A mio avviso resta

l‟essenziale: l‟impresa di modificazione dell‟altro. E tutto ci indica che questa non può essere pensata che a partire dall‟azione del terapeuta,a condizione di darsi i mezzi per analizzarla” e ancora “In altri termini ,non sono lontano dal pensare che la psicologia-in quanto scienza dell‟apparato

psichico,secondo la formula di Freud,discorso su una materia oggettivabile che sarebbe possibile descrivere,indagare per scoprirne le leggi di funzionamento nascoste-la psicologia sia una pura finzione. La sola disciplina scientificamente difendibile sarebbe,se mi si perdona il

barbarismo,un‟influenzologia,che avrebbe per oggetto l‟analisi delle differenti procedure di

modificazione dell‟altro”,pag.24-25 in Nathan T., L’influence qui guérit,ed.Odile Jacob,Parigi ,1994

30

« di una psicopatologia fondata sull‟investigazione concreta e reale dell‟azione del terapeuta e non della natura del malato” ibidem, Pag.32.

(28)

28

struttura psichica del soggetto (la natura del malato). Non è mai possibile osservare l‟oggetto in se stesso ma solo l‟interazione tra tre fattori: un osservatore, lo strumento d‟osservazione, in questo caso la relazione terapeutica con i suoi a priori tecnici e teorici, e l‟oggetto stesso. In psicopatologia quindi: “la recherche clinique ne peut donc consister selon moi qu‟en une investigation des modifications du type d‟interaction thérapeutique, rapportées aux variations des éléments du cadre technique consciemment induites par le clinicien”31

. Un altro aspetto che Nathan sottolinea, molto interessante, è che “la pratique de la consultation d‟ethnopsychiatrie montre de la manière la plus evidente que l‟ a priori théorique nécessaire à l‟investigation est contenu dans l‟objets même de la recherche puisque en dehors de certains dispositifs tels que l‟os de poulet, la sorcellerie ou la transe, contenus dans le symptôme même du patient, il est impossibile d établir une rélation de type psychothérapique avec des sujets originaires de cultures non occidentales…je propose d‟appeler « inducteurs culturels » des éléments de sens situés à la frontière du privé et du public, de l‟ intime et du rituel. La plupart du temps, ces éléments de sens sont inscrits dans le symptôme même et constituent une sorte d‟appel codé à une technique thérapeutique

31

“ la ricerca clinica non può dunque consistere,a mio parere,che in una ricerca delle modificazioni del tipo di interazione terapeutica, messe in relazione alle variazioni degli elementi del quadro tecnico coscientemente indotte dal clinico”,Ibidem,pag.72

(29)

29

déterminée. Si face à un tel signal, le thérapeute ne répond pas par la technique appropriée, le processus thérapeutique est enrayé dans l‟œuf. »32

Par.4 Teorie eziologiche tradizionali

Nathan in L’influence qui guérit ci dice che l‟ a priori teorico dell‟investigazione è già contenuto nel sintomo stesso che il paziente propone. Cosa vuol dire questo discorso? Un po‟ simile al discorso della lingua che è contenuto della cultura ma allo stesso tempo contenente, la tesi di Nathan è la seguente: “i gruppi fabbricano dei dispositivi terapeutici e sono i dispositivi terapeutici a fabbricare non gli esseri umani, naturalmente -e sta qui la differenza con le lingue- ma i pazienti ossia quelli che vengono chiamati “casi”. La conseguenza pratica è l‟obbligo di prendere sempre in considerazione non un‟entità astratta -la cultura- ma i sistemi terapeutici, le “cose” che hanno informato il mondo interiore del paziente”.33

Quando si prende in carico un paziente, a

32

“La pratica della consultazione di etnopsichiatria mostra nel modo più evidente che l‟a priori teorico necessario all‟investigazione è contenuto nell‟oggetto stesso della ricerca,poiché al di fuori di certi dispositivi come l‟osso di pollo, la stregoneria o la transe, contenuti nel sintomo stesso del paziente,è impossibile stabilire una relazione di tipo psicoterapeutico con soggetti originari di cultura non occidentali …propongo di chiamare “induttori culturali” degli elementi di senso situati alla frontiera tra pubblico e privato, tra l‟intimo e il rituale. La maggior parte delle volte, questi elementi di senso sono inscritti nel sintomo stesso e costituiscono una specie di richiamo codificato ad una tecnica terapeutica specifica. Se, di fronte ad un tale segnale, il terapeuta non risponde con la tecnica appropriata, il processo terapeutico è vanificato,Ibidem, pag.74-75

33

(30)

30

qualunque stadio si trovi, bisogna sempre tenere in conto che è stato pensato e costruito dai vari sistemi terapeutici che ha incontrato sin dalla sua nascita ed é per questo che per Nathan l‟etnopsichiatria é

costruttivista, cioè ha preso l‟abitudine di ripensare con il paziente tanto

la sua sofferenza singolare, che è ciò che fanno anche le terapie della parola, ma anche le teorie che hanno contenuto questa sofferenza , che l‟hanno costruita. In base all‟esperienze vissute durante le consultazioni, Nathan e la sua équipe hanno fatto numerose constatazioni: tra queste la più importante “è consistita nel mettere in evidenza e poi nel conferire uno statuto epistemologico al fatto che i pazienti provenienti da culture non occidentali non riescono a svolgere le loro “associazioni d‟idee”-o più semplicemente a pensare se non nel quadro di“teorie etiologiche” cosiddette “tradizionali.”34

Ma Nathan crede ai numerosi esseri invisibili che fa entrare nelle sue consultazioni? Egli non crede che la questione sia in questi termini: come tecnico, come praticante si preoccupa solo della loro efficacia e da questo punto di vista ha constatato quanto i processi terapeutici tradizionali e le teorie siano creativi e produttori di vita. Egli definisce la sua posizione pragmatica. Per questo Nathan è interessato a studiare le eziologie tradizionali, a capire come agiscono

34

(31)

31

sull‟individuo: “ le travail clinique devient dès lors à la fois très précis et très complexe. Précis, en effet, puisqu‟il implique des connaissances les plus étendues possibles sur la nature des invisibles, leur écologie, leur mode de manifestation, leur gouts et les négociations qu‟ils peuvent admettre. Il ne s‟agit plus alors pour le thérapeute de démontrer ses capacités d‟empathie ou d‟improvisation mais ses connaissances technique concrètes » 35

Nel libro Le sperme du diable e in Psychanalyse Paienne Nathan fa un‟analisi approfondita di quelle che ritiene essere i tre principali sistemi terapeutici tradizionali a cui più o meno tutti gli altri possono essere ricondotti: lo sciamanesimo,la possessione e la veggenza e dedica molte pagine a individuare i meccanismi di funzionamento delle teorie eziologiche, degli atti compiuti e degli oggetti utilizzati dai terapeuti tradizionali. In L’Influence qui guérit Nathan espone il caso di Iphigenie, una giovane donna kabila di trentadue anni che da tempo inquieta i servizi sociali a causa dei suoi propositi deliranti. Si presenta alla consultazione con la figlia di quattro anni e il figlioletto di pochi mesi.la donna porta in causa immediatamente un affaturamento, uno s’hur. E‟ l‟occasione per Nathan di parlare dello s’hur, teoria eziologica

35

“il lavoro clinico diventa da quel momento nello stesso tempo molto preciso e molto complesso. Preciso, in effetti perché implica delle conoscenze, le più estese possibili, sulla Nathan T., “Six principes d‟ethnopsychiatrie”, in www.ethnopsychiatrie.net

(32)

32

tradizionale, sul suo funzionamento e soprattutto per sottolineare la funzione delle teorie eziologiche nella presa in carico dei pazienti migranti, così scrive: “cette etiologie est un outil d‟une remarquable efficacité quoique son fonctionnement diffère notablement de nos propres outils psychothérapiques. Car si la psychanalyse et les psychothérapies d‟inspiration psychanalityque travaillent essentiellement à partir des contenus, e surtout des contenus verbaux, les thérapies traditionnelles, au contraire, s‟emploient à modifier brutalement les

contenants à l‟aide des procédures qui, dans ce cas privilégient les objets,

les formes et les rythmes au détriment du discours. En agissant ainsi, ces techniques thérapeutiques ne permettent certes pas d‟accompagner le malade dans ses élaborations internes, mais en lui imposant de nouveaux contenants formels, déclenchent un processus associatifs qui se révèle ensuite thérapeutique ». 36 Tutto l‟esempio di Ifigenia ha come filo conduttore questo pensiero di Nathan e cioè che il problema di questa donna é di non avere un contenente. Quando, dopo la prima seduta, Nathan le fa la prescrizione di portare, all‟incontro successivo, un uovo

36

“Questa eziologia é uno strumento di un‟efficacia notevole benché il suo funzionamento differisca notevolmente dai nostri strumenti psicoterapeutici. Infatti se la psicoanalisi e le psicoterapie

d‟ispirazione psicoanalitica lavorano essenzialmente a partire dai contenuti, e soprattutto da quelli verbali, le terapie tradizionali, al contrario, si impiegano a modificare brutalmente il contenente con l‟aiuto di procedure che, in questo caso privilegiano gli oggetti,le forme e i ritmi a discapito del discorso. Agendo in questo modo, queste tecniche terapeutiche non permettono certo di accompagnare il malato nelle sue elaborazioni interne, ma imponendogli dei nuovi contenenti formali, innescano un processo associativo che si rivela in seguito terapeutico”, in Nathan T., L’influence qui guérit, ed.Odile Jacobs,Parigi,1994, pag.90.

(33)

33

che ha messo sotto il cuscino dove ha dormito, questa richiesta innesca una serie di eventi: in particolare Ifigenia trova un oggetto portatore di

s’hur in casa sua. Questo oggetto per Nathan è paradossalmente un

organizzatore del disordine.Nei dispostivi terapeutici avvengono delle induzioni iniziali che inscrivono la sofferenza del paziente all‟interno di un contenente formale e inoltre « informano » la logica della patologia del paziente, l‟induzione del divano- poltrona che permette poi la possibilità dell‟ascolto di tipo psicoanalitico non è per Nathan diversa dall‟induzione del guaritore che offre un talismano al suo paziente inscrivendo il suo sintomo solo in un‟altra logica, quindi “ce ne sont pas les contenus qui sont comparables, mais la prescription d‟un contenant de même nature logique que la pathologie supposée, ou plus exactement qui va informer la logique de la pathologie du patient »37 La prescrizione di Nathan a Ifigenia di mettere sotto un cuscino un uovo e di portarglielo ha innescato una serie di associazioni di idee della paziente che approdano ad una eziologia di s‟hur, di affaturamento. Proprio i sintomi presentati dalla donna sono un richiamo a un contenente, invece “ toute interpretation de contenu, en rendant encore plus manifeste l‟absence de contenant, aurait inéluctablement conduit à un plus grand désordre. C‟est

37

“non sono i contenuti che sono paragonabili, ma la prescrizione di un contenente della stessa natura logica della patologia supposta, o più esattamente che informerà la logica della patologia del paziente “ ibidem, pag.102.

(34)

34

le caractère culturellement codé et parfaitement homogène du discours délirant qui a attiré notre attention sur la demande pathétique d‟un cadre où développer un processus élaboratif. »38 Il discorso dei contenenti sembra fondamentale nella pratica della clinica etnopsichiatrica. Essi hanno delle caratteristiche precise: innanzitutto assomigliano a oggetti, ritmi e immagini piuttosto che alle parole, non sono combinabili tra loro ma possono autorizzare la combinazione di elementi altri, sono costruttori di senso e infine sono strettamente logici e non affettivi “dans notre pratique ethnopsychiatrique, nous avons été sensibilisés à cette notion de transmission des contenants formels par le fait que les thérapies traditionnelles usent abondamment ce procédé, comme pour mimer la constitution du lien primaire avec l‟objet, lien que nous venons de décrire.39 A cette fin, ces thérapies font appel à des procédures techniques que nous avons le plus grand mal à inscrire dans notre logique linguistique (danses, rythmes, objets divers- talismans, fétiches, supports de voyance- sacrifices animaux). Toute tentative d‟interpréter symboliquement ces procédures techniques démontre notre totale incompréhension des logiques thérapeutiques mises en œuvre. En effet,

38

« ogni interpretazione del contenuto, rendendo ancora più manifesto l‟assenza di contenente, avrebbe inevitabilmente portato ad un maggior disordine. E‟ il carattere culturalmente codificato e

perfettamente omogeneo del discorso delirante che ha attirato la nostra attenzione sulla domanda patetica di un quadro dove sviluppare un processo elaborativo”, ibidem, pag.94-95

39

Si riferisce alla trasmissione di contenenti da parte della madre nelle sue interazioni precoci con il neonato.

(35)

35

ces actes, ces objets, ces danses, ces animaux sacrifiés ont pour fonction de faire naître le symbole, ils ne sont pas générés par le fonctionnement symbolique »40

Ma i pazienti credono a queste teorie? Nathan ci racconta di un Bambara del Mali che soffre di cefalee terribili e resistenti a qualsiasi medicinale. Quest‟uomo consulta numerosi terapeuti sia occidentali che tradizionali ma nessuno riesce a farlo stare meglio, finché non approda da un guaritore Dogon, che legge la sabbia e gli rivela che una persona del suo entourage l‟ha avvelenato. Egli riconosce nella seconda moglie di suo padre colei che ha cercato di distruggerlo con un atto di stregoneria. Nathan ci racconta questa storia per domandarsi come è possibile che un uomo che non è un credulone, che studia in Occidente, risolva i suoi problemi attraverso queste tecniche tradizionali. E la risposta è per Nathan che: “parallèlement à l‟expression des processus psychiques du patient, du thérapeute et des spectateurs de ce genre de consultations, se déroule une procédure formelle, de nature analogique, qui influence le

40

“ nella nostra pratica etnopsichiatrica, siamo stati sensibilizzati a questa nozione di trasmissione dei conteneti formali per il fatto che le terapie tradizionali usano abbondantemente questo procedimento, come per imitare la costituzione del legame primario con l‟oggetto, legame che abbiamo appena descritto. A questo scopo, queste terapie fanno appello a procedure tecniche che noi abbiamo molta difficoltà a inscrivere nella nostra logica linguistica (danze, ritmi, oggetti diversi, talismani,feticci, strumenti di veggenza, sacrifici animali).Ogni tentativo di interpretare simbolicamente questi

procedimenti tecnici dimostra la nostra totale incomprensione delle logiche terapeutiche messe in atto. In effetti questi atti, questi oggetti, queste danze, questi animali, hanno la funzione di fare nascere il simbolo, non sono generati dal funzionamento simbolico”, ibidem, pag 101.

(36)

36

patient par contrainte logique »41 L‟efficacia, quindi, deriverebbe da una costrizione logica, e ciò permetterebbe di spiegare come é possibile che oggetti, azioni rituali, disposizioni terapeutiche agiscano esclusivamente per una loro forza intrinseca. Nathan si prefigge lo scopo di dimostrare in cosa una tecnica contiene una forza specifica (di natura logica) che costringe il paziente al cambiamento. Tutti i terapeuti usano per Nathan degli operatori terapeutici che sono “des procédures logiques induites par le thérapeute et agissant comme de véritables contraintes (à penser, à agir, à ordonner) sur le malade »42 Questi operatori sono le teorie dei terapeuti, sono le tecniche, sono oggetti che vengono utilizzati durante le terapie. Le terapie tradizionali si basano per lui fondamentalmente su questo e non, come già sottolineato, su efficacia simbolica o suggestione o qualunque altra cosa. Si basano su operazioni di natura logica.

41

“contemporaneamente all‟espressione dei processi psichici del paziente, del terapeuta e degli spettatori di questo genere di consultazioni, si svolge un procedimento formale, di natura analogica, che influenza il paziente per costrizione logica”, ibidem,pag.114

42

“delle procedure logiche indotte dal terapeuta e che agiscono come delle vere costrizioni ( a pensare, agire,ordinare) sul malato.

(37)

37

Par 4.1 Rachida

In Principi di etnopsicoanalisi Nathan espone la consultazione fatta con una giovane donna algerina, di nome Rachida. La donna si presenta molto occidentalizzata, vestita in maniera moderna con una ampia scollatura che porta disinvoltamente e una padronanza perfetta del francese. Cinque anni fa Rachida ha perso la sua prima figlia per una malattia, la mucoviscidosi. La consultazione viene richiesta dalla psicologa del nido infantile dove va la figlia attuale di quindici mesi. La bambina irrompe spesso in pianti sfrenati con principi di soffocamento che nessuno, neanche la mamma, riesce a calmare. Sono presenti alla seduta una quindicina di persone tra cui un co-terapeuta algerino che sarà importantissimo per individuare l‟etiologia tradizionale utile per contenere il disagio di questa donna. A proposito del modo di condurre la prima seduta Nathan ci dice: “nel corso di questa prima sequenza sono guidato da un‟idea teorica che indubbiamente spiega l‟orientamento delle mie domande. Nonostante l‟aspetto “moderno” di questa giovane

(38)

38

donna, so che una disgrazia così grave come la perdita di una figlia può essere “contenuta” solo da un‟etiologia tradizionale.”43

L‟idea di fondo che guida Nathan è che conoscere le teorie eziologiche tradizionali sia fondamentale per poter curare i pazienti migranti, poiché secondo lui sono queste teorie che organizzano il sintomo del paziente, anche a sua insaputa, anche quando egli neanche le ricorda o non ci crede. L‟uso delle eziologie tradizionali diventa poi importantissimo quando ci si trova a lavorare con i problemi dei bambini, perché gli antichi modelli culturali riemergono quando si stabiliscono le interazioni precoci tra madre e bambino. Ecco perché durante la consultazione di Rachida viene fuori l‟ipotesi eziologica di el’ein riguardo alla morte della prima bambina. El’ ein è una specie di malocchio ma che può essere gettato anche da una persona benevola senza volerlo. Ed ecco perché nonostante Rachida affermi di non credere in queste teorie il gruppo continua a far circolare varie eziologie tradizionali sperando che qualcuna inneschi un processo di insight nella donna. Non circolano solo eziologie tradizionali, circola anche l‟interpretazione psicoanalitica della psicologa che ha condotto Rachida in consultazione e altre eziologie degli altri co-terapeuti, ma Nathan insiste nel volerla inscrivere in una

43

(39)

39

teoria eziologica tradizionale. Mentre il co-terapeuta algerino prosegue e continua a far specificare elementi culturali a Rachida, Nathan invece continua ad indagare sulla sua storia familiare. Quando nella continuazione della seduta viene fuori il rapporto con la suocera, il sospetto di stregoneria da parte di questa verso Rachida si fa in Nathan sempre più convincente.

La teoria eziologica sospettata è lo Shur cioè affaturamento. Lo shur indica sia l‟atto di stregoneria sia l‟oggetto usato per affatturare la persona. Questi oggetti che appartengono al mondo delle eziologie tradizionali, possono servire per affatturare ma possono essere utilizzati anche per guarire. Lo s’hur possiede in genere determinate caratteristiche: è un manufatto composto di elementi provenienti da universi eterogenei. In genere gli elementi utilizzati in quest‟oggetto sono elementi che nella cultura d‟origine non hanno nessun utilizzo o che vengono usati con uso diverso da quello solito, ad esempio lettere dell‟alfabeto usate come cose e non come segni. Tutti questi materiali sono poi uniti in un involucro. Sono oggetti-oggetti, “oggetti perfetti, sistematicamente svuotati di tutto ciò che potrebbe provenire dal mondo della parola”. Gli oggetti del nostro universo quotidiano servono a qualcosa e hanno un posto in qualche tipo di classificazione, ad esempio

(40)

40

una lampada appartiene a quegli oggetti che servono per illuminare, invece gli oggetti delle terapie sono “vergini” dal punto di vista concettuale, sono oggetti “auquel il est impossibile d‟attribuer une fonction et une place dans un système classificatoire, à l‟exception d‟une seule classe, celle des objects actifs” 44

(L‟influence qui guérit, pag.118).Spesso la loro esistenza è solo presupposta ma a volte vengono ritrovati e soprattutto è comprovata la loro efficacia. Ciò che ancora non si è capito è come agiscono sulla psiche degli individui. A proposito di questi oggetti scrive Nathan: “A mes yeux enfin, au-dessus de tous les autres, il est un prince des rémèdes, l‟opérateur thérapeutique par excellence : l‟objet. Superbement ignorées de mes collègues psychanalystes, la construction, la prescription, la manipulation d‟objets actifs contenant de mystérieux et subtils principes, certes pas plus visibles mais guère plus absurdes que notre fidèle libido, déroulent toujours, partout où elles ont lieu, leur implacable logique de contrainte sur le noyau. D‟aucuns pousseront leur couplet “symbolique”, “transitionnel”, “fétichiste”…laissons-les dire !Il n‟en reste pas moins que les objets thérapeutiques sont des choses et non des mots et que c‟est

44

“ai quali è impossibile attribuire una funzione e un posto nel sistema classificatorio ad eccezione di una sola classe quella degli oggetti attivi”,in Nathan T.,L’influence qui guérit, ed.Odile

(41)

41

en tant que tels qu‟ils sont actifs ».45

Andando avanti con la seduta vengono fuori sempre più eziologie, tra cui quella che porterà degli sviluppi molto fecondi e cioè quella transgenerazionale: anche la madre di Rachida ha perso un figlio di due anni „Houri, fratello maggiore di Rachida, quindi non è lei che è stata affatturata ma sua madre. Le eziologie che vengono fuori sono innescate a volte dai co-terapeuti, a volte dalla paziente a volte da Nathan, la cosa importante è però che: “Questa situazione presenta un duplice vantaggio:

1)permette di lasciar apparire chiaramente le strategie d‟influenzamento di ciascun membro del gruppo terapeutico e di renderle esplicite alla paziente;

2)il gruppo è fatto in modo tale che, dopo aver individuato (o provocato) una frammentazione, spinge verso un raggruppamento dinamico”46

.

E‟ quello che succederà nell‟ultima parte della consultazione. Verrà fuori un ultima eziologia scoperta dalla stessa Rachida con il fratello. Una volta durante un suo ritorno in Algeria lei e il fratello hanno fatto un

45

“ai miei occhi infine, al di sopra di tutti gli altri,c‟è un principe dei rimedi,l‟operatore terapeutico per eccellenza:l‟oggetto. Ignorati con superbia dai miei colleghi psicoanalisti, la costruzione, la

prescrizione, la manipolazione di oggetti attivi che contengono principi misteriosi e sottili, certo non più visibili ma per niente più assurdi della nostra fedele libido, sviluppano sempre, ovunque abbiano luogo, la loro implacabile logica di costrizione sul nucleo. Alcuni lanceranno la loro strofa

“simbolica”,transazionale, “feticista”…lasciamoli dire! Ciò nondimeno gli oggetti terapeutici sono delle cose e non delle parole ed è in quanto tali che sono attivi”,ibidem,pag.107

46

(42)

42

Dikr 47,durante il quale Rachida è caduta in trance, ed hanno scoperto

che è stata la moglie di un altro fratello della madre ad averla affatturata durante il matrimonio, per gelosia, poiché voleva che la propria figlia si sposasse con il marito di Rachida. Questa eziologia sposta l‟atto di stregoneria più lontano nel tempo e ai confini più esterni della famiglia. Alla fine della seduta Nathan come spesso accade nelle consultazioni terminerà con una prescrizione. Dopo questa seduta la figlia Hadira non avrà più crisi di soffocamento.

Lo sviluppo di varie eziologie durante le consultazioni è per Nathan fondamentale per la riuscita dell‟interazione terapeutica, la paziente sembra valutare dentro di sé se quella teoria è capace di spiegare la sua storia, per Nathan “l‟effetto terapeutico del dispositivo etnopsicoanalitico sembra provenire non solo dall‟ “empatia”, dalla sensazione di “essere capito nella propria lingua”, dalla possibilità di rievocare e rivivere la propria “nostalgia”, ma anche dalla sua specifica capacità di scomporre la rappresentazione del paziente per effetto della molteplicità delle etiologie emergenti, e di proporre una nuova riorganizzazione di tutti gli elementi che si sono manifestati. Il motore terapeutico più potente non sembra essere il riconoscimento di tale o talaltra problematica, ma la capacità di

47

Il dikr consiste nel ripetere incessantemente e in modo ritmato il credo musulmano, la lista dei novantanove attributi di Dio ed alcuni versetti del Corano,fino ad avere un‟ “estasi”.

Riferimenti

Documenti correlati

In ogni caso il lavoro di Tobie Nathan, che ci si trovi d’accordo su tutto o no, merita di essere conosciuto e studiato, soprattutto perché egli ha messo in rilievo

 La scarsa aderenza alle terapie croniche compromette gravemente l ’ efficacia del trattamento, caratterizzandosi come un elemento critico per la salute

Nella pratica spesso ciò non acca- de, allora bisogna fare una riflessio- ne: il medico che mostra grande certezza è un medico che sostan- zialmente lascia poco margine al dubbio

L’RSPP della Sede di Pesaro, nel corso della riunione periodica tenutasi il 15 marzo 2017, ha segnalato la presenza di problemi di stabilità delle scaffalature

4) APRI IL DISPOSITIVO FACENDO IN MODO CHE LA SPUGNA NON TOCCHI SUPERFICI O ALTRE PARTI DEL CORPO DIVERSE DALLA BOCCA (NON SINSERIRE LA SALIVA DIRETTAMENTE NEL

– We recommend the European Commission to take initiatives to: 1// harmonize into economically sound regulatory frames for offshore transmission invest- ments; 2// harmonize

The urban level is the intermediate one between local and global, and if from one side this leads to a double attack to it – from above and from below – this also means that it

Viene riassunta l’esperienza dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) nel campo della valutazione della ricerca, sia come risposta ad esercizi governativi nazionali, che