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4. Materiali e apparato sperimentale

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Academic year: 2021

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4. Materiali e apparato

sperimentale

In questo capitolo viene fatta una descrizione particolareggiata delle materie prime, dell’apparato sperimentale e delle apparecchiature ausiliarie cui si è fatto ricorso durante lo svolgimento del lavoro oggetto di questa tesi.

1. Stato delle Pelli

Le prove sono state eseguite su pelli di vitello di peso da 8-12 Kg conservate tramite salatura e provenienti dall’Ungheria.

Le prove sono state effettuate inizialmente su scala laboratorio e successivamente confermate su scala semi industriale.

Le prove su scala laboratorio sono state condotte nel cosiddetto “giragiare” su piccoli pezzetti di pelle (20 x 20 cm del peso di circa 300 grammi), mentre le prove su scala semi industriale sono state effettuate su pelli bovine intere divise in due metà (dette mezzine ).

Per una migliore comprensione dei successivi capitoli si riporta la suddivisione e la denominazione delle varie zone di una pelle di vitello.

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Figura 4.1.1: Le parti della pelle:

- Culatta, dorso ed estremità culatta → groppone - Spalla testa, frontale e mascelloni → spalla

- Ventre, fianchi, zampe anteriori e posteriori → lato o fianco

2. Apparato Sperimentale

2.1. Il Giragiare

L’apparecchiatura denominata “giragiare” (Fig. 4.2.1), permette di effettuare prove su campioni di pelle di piccole dimensioni.

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Essa è costituita da dei recipienti cilindrici in acciaio aventi un diametro di 35 cm e un’altezza di 20 cm ; tali giare riproducono in piccola scala il tipico bottale usato nella pratica conciaria e sono quindi sottoposte ad una rotazione che viene trasmessa da due rulli in gomma che fungono anche da appoggio: in questo modo si riesce a tenere in movimento reciproco sia l’eventuale bagno che i campioni di pelle.

La velocità di rotazione può essere regolata, permettendo così un miglior controllo delle fasi di processo ed una maggior riproducibilità delle operazioni che vengono comunemente effettuate nei bottali, così come il senso di rotazione.

L’apparecchiatura in oggetto consente di regolare i tempi di rotazione e di pausa sia manualmente che in automatico, consentendo di continuare le sperimentazioni anche nelle ore notturne. E’ inoltre consentita la regolazione della temperatura grazie ad una resistenza opportunamente collocata.

Dei setti sporgenti all’interno del bottalino trascinano le pelli verso l’alto durante la rotazione che poi ricadono verso il basso; questo movimento genera una velocità relativa tra il bagno e i campioni di pelle in modo da aumentare la velocità dello scambio osmotico, e indurre una continua azione di flessione sulle pelli nel bagno facilitando per azione meccanica ( sbattimento ) l’assorbimento dei prodotti chimici.

Il carico e lo scarico delle pelli avvengono attraverso un'apertura centrale posta su una delle due basi del cilindro; la tenuta è garantita tramite una guarnizione. L'altra base è in vetro per permettere il controllo visivo del processo.

L’apparecchiatura oggetto di questa sperimentazione è dotata di cinque giare, il che ha permesso di poter condurre simultaneamente più prove.

2.2. Il Bottalino

Le prove sperimentali sono state condotte nei cosiddetti “bottalini sperimentali”, che altro non sono che bottali di dimensioni ridotte.

Il bottale è il reattore più comunemente usato nella lavorazione conciaria, dalle operazioni di riviera alla fase di riconcia, tintura e ingrasso: ha forma cilindrica ed

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è generalmente costituito da doghe di legno stagionato, tenute insieme da una serie di cerchioni in metallo.

Il bottale è supportato da un asse cavo, disposto lungo l’asse del cilindro e appoggiato su dei cuscinetti, che gli consentono di ruotare: l’asse, essendo cavo, consente l’introduzione dell’acqua e dei prodotti all’interno del bottale e la fuoriuscita degli eventuali gas che possono svilupparsi durante le varie fasi del processo.

Ognuno dei due assi è fissato a un piatto o ad una crociera, ancorata alle superfici di base del bottale. Una delle due crociere termina con una corona dentata, su cui ingrana un pignone, per garantire il movimento del bottale.

Al centro della superficie laterale è collocata l’apertura del bottale, chiusa a saracinesca da un portello in acciaio inossidabile, che scorre su apposite guide e serve per l’introduzione delle pelli. Per effettuare lavaggi delle pelli in continuo o per far svuotare i bottali del loro carico d’acqua in tempi lunghi, il portello di alcuni bottali è provvisto anche di una griglia in acciaio inossidabile. Chiudendo il portello fino all’orlo superiore della griglia, ad ogni giro del bottale, l’acqua fuoriesce dai fori della griglia.

Sulla superficie interna del bottale sono collocati dei pioli a punta arrotondata, al fine di ottenere una migliore agitazione delle pelli.

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Figura 4.2.2:. Bottale

Figura 4.2.3 : Rappresentazione bottale:

1. apertura 2.cerchioni in metallo 3.asse cavo 4. ruota dentata 5.pignone

Come principio di funzionamento, i bottalini utilizzati sono molto simili ai grandi bottali delle concerie: nella ricerca sperimentale si cerca infatti di riprodurre le stesse condizioni operative del bottale tradizionale. Un parametro che risulta però

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impossibile riprodurre fedelmente su bottalino è l’intensità dell’azione meccanica che pelli subiscono all’interno del bottale. I bottali possono infatti contenere grandi quantità di pelli, che, durante la rotazione, si strofinano, si comprimono e si urtano tra loro: nei piccoli bottalini, pur aumentando la velocità di rotazione, non è possibile ottenere la medesima azione meccanica.

Diversamente dai bottali tradizionali, il bottalino utilizzato non è stato costruito in legno bensì in acciaio inossidabile

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3. I reattivi ed i prodotti utilizzati

Si riassumono nella lista seguente i principali prodotti chimici adoperati nelle varie fasi di lavorazione delle pelli.

3.1. L’agente depilante – ossidante

3.1.1. Il perossido di idrogeno

Formula chimica: [H2O2]

Stato fisico: Liquido incolore. Concentrazione: 33 – 35 % in peso. pH : 4,0.

Quantità utilizzata (rif. al peso delle pelli salate fresche): 4.5-12 %. Campo d’azione: Ambiento basico (pH=11-13).

3.2. Gli agenti depilanti – riducenti

3.2.1. Il solfuro di sodio

Formula chimica: [Na2S].

Stato fisico: Scaglie di colore rosa o rosso sporco. Concentrazione: 60 – 62 % in peso.

pH (dil. 1:20): 13,0.

Quantità utilizzata (rif. al peso delle pelli salate fresche): 3 %. Campo d’azione: Ambiento basico.

3.2.2. Il solfidrato di sodio

Formula chimica: [NaHS]. Stato fisico: Solido.

Concentrazione: 60 – 62 %. pH (dil. 1:20): 11,5.

Quantità utilizzata (rif. al peso delle pelli salate fresche): 1,5 %. Campo d’azione: Ambiente basico.

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3.3. Gli agenti calcinanti

3.3.1. L’idrossido di calce

Formula chimica: [Ca(OH)2] Stato fisico: Polvere bianca. Concentrazione: ~ 99 %. pH (sol. satura): 11,5.

Quantità utilizzata (rif. al peso delle pelli salate fresche): Variabile.

3.3.2. L’idrossido di sodio

Formula chimica: [NaOH] Stato fisico: Liquido. Concentrazione: ~ 30 % pH: 14,0.

Quantità utilizzata (rif. al peso delle pelli salate fresche): Variabile, quella necessaria per garantire un pH del bagno pari a 11-13.

3.4. Gli agenti concianti

3.4.1. Il cromo

Il comune “cromo” usato in conceria è un sale basico di cromo che si presenta sotto forma di una polvere verde, composto dal 26% ossido di cromo, 24 % solfato di cromo, 33.3 % basicità.

La versatilità e l’ampia articolistica che si possono produrre con il cromo, ne fanno il conciante più usato.

Le pelli conciate al cromo possono raggiungere Tg intorno ai 100°C e si presentano con un fiore molto fine, un tessuto fibroso ben serrato ed un tatto gommoso caratteristico. Il metodo di gran lunga più usato è la “ concia al cromo ad un bagno “, applicata in genere a pelli precedentemente piclate. Il sale di cromo può essere offerto in più rate ( in genere due o quattro porzioni ad intervalli di circa un’ora ) oppure in una volta sola. Dopo qualche ora di rotazione, quando la sezione della pelle è stata attraversata, occorre fare un’aggiunta di un opportuno agente basificante al fine di aumentare la basicità dei

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liquori di cromo e permettere il fissaggio del cromo al reticolo collagenico della pelle. Se l’agente basificante è bicarbonato di sodio, questo va sciolto in dieci parti d’acqua ed aggiunto lentamente al bagno di concia in modo da evitare il verificarsi di bruschi innalzamenti del pH che possono avere come conseguenza un attacco del fiore da parte del bagno troppo astringente, indurimento e raggrinzimento delle pelli e, a volte, macchie più scure dovute al cromo.

3.4.2. La glutaraldeide

La dialdeide glutarica (

OHC

(

CH

2

)

3

CHO

), può essere usata sia come vero e proprio conciante, sia come agente di preconcia e riconcia; il composto di partenza per la sua produzione è l’acroleina.

La glutaraldeide è commercializzata sotto forma di soluzione acquosa al 25% o al 50%, e si presenta come un liquido di colore giallo chiaro dal forte odore pungente. Gli studi effettuati sull’effetto conciante di questa aldeide hanno mostrano che essa reagisce più velocemente e si fissa alla pelle in quantità maggiore rispetto alle altre aldeidi [6]. In soluzione basica o a temperature elevate, la glutaraldeide tende a polimerizzarsi per formare oligomeri in cui 3 o 4 unità di glutaraldeide sono tra loro condensate.

Il cuoio conciato con GTA permette di ottenere cuoi dotati di elevata pienezza e morbidezza, Tg > 80°C, colore crema più o meno scuro ( modificabile comunque nella successiva fase di tintura); assai importante è poi l’aumentata resistenza al sudore ed agli agenti alcalini.

Tutte queste caratteristiche rendono le pelli conciate con glutaraldeide adatte ad essere utilizzate per la produzione di articoli di pelletteria ai quali sia richiesta una certa morbidezza e qualora si voglia ottenere una colorazione finale chiara.

Il processo di concia può essere effettuato sia in ambiente basico a pH 8÷8.5 che in ambiente acido a pH 4÷5, valori a cui si ottiene un buon esaurimento del bagno. Al fine di ottenere un miglior esaurimento del bagno è preferibile che questo sia piuttosto ristretto e comunque è sempre consigliabile effettuare un lavaggio alla fine del trattamento al fine di allontanare l’aldeide libera.

La glutaraldeide utilizzata in questa sperimentazione è una soluzione al 50% con un pH compreso tra 3÷4.

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3.4.3. Il tannino vegetale Quebracho

Stato fisico: Polvere rosata.

Base: Miscela di tannini (73,0 %), non-tannini (17,0 %). Concentrazione d’acqua: 8,0 %.

pH (dil. 1: 10) : 4,9.

Quantità utilizzata (rif. al peso delle pelli salate fresche): 6-7 %.

Proprietà generiche: Tannino riempiente, utilizzato nella concia al vegetale, nella concia del cuoio da suola e nella riconcia al cromo.

4. Strumentazione per le prove chimico-fisiche sul cuoio

4.1. Esami chimici e fisici del cuoio

A partire dal 1951 l’Unione Internazionale delle Società dei Chimici e Tecnici del Cuoio ha promosso lo sviluppo di Commissioni per le analisi fisiche e chimiche del cuoio al fine di individuare dei metodi ufficiali per il riconoscimento delle caratteristiche del cuoio.

Si individuano così tre sigle fondamentali:

I.U.C. : Metodi Internazionali per l’analisi chimica dei cuoi; permettono di determinare l’umidità, contenuto in ceneri, sostanze grasse, sostanze concianti, ecc;

I.U.P. : Metodi Internazionali per l’analisi fisica dei cuoi; permettono di determinare la temperatura di contrazione, la resistenza allo strappo, la resistenza allo scoppio, ecc. Le prove variano a seconda dell’uso a cui il cuoio è destinato. Vi sono delle norme ben precise per il prelievo dei campioni;

I.U.F. : Metodi Internazionali per le prove di resistenza dei cuoi tinti.

Le prove da condurre variano a seconda dell’uso cui il cuoio è destinato. Vi sono delle norme ben precise anche per il prelievo dei campioni, che devono essere

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prelevati nelle zone delle pelli migliori per struttura e caratteristiche merceologiche..

4.2. Determinazione della temperatura di contrazione

Il test ( IUP/16 )determina la temperatura alla quale il cuoio comincia a contrarsi per effetto del calore umido :

La preparazione del provino si effettua tagliando dal campione da esaminare una sottile striscia rettangolare lunga 50 mm e larga 3 mm se lo spessore del cuoio è inferiore a 3 mm, mentre se tale spessore supera i 3 mm, si trancia un provino della lunghezza di 50 mm e larghezza 2 mm.

Per sostenere il provino nell’apparecchio si praticano in esso due piccoli fori distanti 5 mm dai lati corti e disposti su una linea parallela ed equidistante dai lati più lunghi.

L’apparecchio usato per la misura della temperatura di contrazione, mostrato in Fig. 3.5.2, è stato fornito dalla OTTO SPECHT GMBH & Co. ed è costituito dalle seguenti parti:

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A. Un becker di vetro da 500 ml, avente un diametro interno 70 mm, posto sul piatto di un agitatore magnetico.

B. Un tubo di ottone, del diametro interno di 4 mm, chiuso al fondo, provvisto di un anello

che lo mantiene nella giusta posizione e di una asticina D del diametro di 2 mm che serve a sostenere il provino, passando attraverso il suo foro inferiore. L’asticina D è situata a 30 mm dal fondo del becker.

C. Un quadrante, del diametro di 45 mm, graduato lungo il bordo, con divisioni distanti una dall’altra di 1 mm.

D. un indice leggero, equilibrato in tutte le sue posizioni e rigidamente connesso alla puleggia H, che ha un diametro di 10 mm.

J. un gancio in filo di rame, la cui estremità inferiore attraversa il provino nel foro superiore e l’altra è collegata al filo K, che passa sulla puleggia H e sostiene un peso L interno al tubo B. La puleggia ed il quadrante sono rigidamente collegati al tubo B in modo che ogni variazione di lunghezza del provino determini una rotazione dell’indice. La puleggia ruota con poco attrito ed il peso L supera di 3 g il peso del gancio J, in modo che il provino è sottoposto a una tensione di 3 g.

M. Un termometro diviso in °C sostenuto dal coperchio N, che sostiene anche B e le parti ad esso connesse. Il termometro è disposto in modo che il suo bulbo è prossimo al centro di figura del provino. Il gancio J è libero di muoversi attraverso un foro del coperchio N senza toccarlo.

Il procedimento è il seguente: si fissa il provino al gancio J e all’asticina D dell’apparecchio e si introducono nel becker A 350 ml di acqua distillata avente la temperatura di 50°C. Si pone quindi il becker su una piastra elettrica ( potenza 80-100 watt ), che riscalda l’acqua di 0.5°C/min. Ad intervalli di mezzo minuto, si annota la temperatura e la corrispondente posizione dell’indice sulla scala del quadrante ricavando la temperatura precisa alla quale il provino si è contratto di un valore tale da far muovere l’indice di una mezza divisione rispetto alla posizione corrispondente alla lunghezza normale del provino.

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Si annota questa temperatura come temperatura di contrazione del cuoio ( Tg ). Se la temperatura di contrazione non è stata raggiunta quando l’acqua è in ebollizione, annotare che la temperatura di contrazione è al di sopra del punto di ebollizione, indicando la temperatura raggiunta dall’acqua mentre bolle.

4.3. Preparazione dei provini per le prove fisiche di

resistenza meccanica

Le prove fisiche eseguite sul cuoio rappresentano un importante indice di verifica delle caratteristiche meccaniche del cuoio stesso.

Per il cuoio da tomaia non rifinito le prove fisiche più indicative sono la resistenza allo strappo e, soprattutto, la misura della distensione alla screpolatura del fiore nella prova allo scoppio.

L’area del cuoio da cui prelevare il campione da testare è determinata da regole normalizzate, così come le prove devono svolgersi secondo norme precise (I.U.P. 9).

Al fine di ottenere un gran numero di dati da confrontare direttamente abbiamo preferito prendere, dai cuoi ottenuti nelle prove eseguite, campioni in più punti: si è prelevato, lungo la linea dorsale, un campione nella zona della testa, nella zona centrale (fianco) e nella zona della coda (culatta), sia per la mezzina sinistra che per la destra.

4.3.1. La prova di resistenza allo strappo (I.U.P. 8)

Questa prova, come dice il nome stesso, serve per verificare la resistenza del cuoio allo strappo.

Lo strumento utilizzato per verificare tale resistenza è un dinamometro (fig.4.6 A e B) munito di speciali uncini fissati alle pinze della macchina e fatti passare attraverso la fessura presente nel centro del campione di cuoio da testare. All’inizio del test gli uncini sono molto vicini fra loro poi, quando si dà inizio alla prova, cominciano ad allontanarsi a velocità costante, iniziando lo strappo del campione;

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nel frattempo il dinamometro registra la distanza delle pinze ed il carico applicato, fino a rottura del provino.

Figura 4.4.2

A . dinamometro in uso durante una prova di strappo; B. particolare del provino della prova allo strappo

Il campione usato ha forma rettangolare (50 mm di lunghezza, 25 mm di larghezza) e possiede una fessura al centro di 20 mm di lunghezza (fig. 4.7).

Figura 4.4.3. Particolare del provino della prova allo strappo I dati che solitamente vengono raccolti con questa prova sono:

9 spessore del campione (mm), misurato prima della prova con uno spessimetro;

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9 carico massimo (N), raggiunto durante la prova; 9 rapporto tra carico massimo e spessore (N/mm); 9 allungamento al momento della rottura (mm);

Ogni qual volta si vuole paragonare dei cuoi i dati più importanti sono: l’allungamento alla rottura e, soprattutto, il rapporto tra carico massimo e spessore.

4.3.2. La prova di resistenza del fiore allo scoppio (I.U.P. 9)

Questo test è molto indicativo per tutti i pellami da tomaia, in quanto ne stabilisce l’idoneità alle relative operazione di montaggio; tali operazioni, infatti, rappresentano il massimo sforzo meccanico che subisce il cuoio, con forti dilatazioni e contrazioni della struttura.

E’ effettuata utilizzando un apposito strumento chiamato lastometro (fig. 4.8) in grado di pressare una sferetta d’acciaio contro un provino di cuoio teso, facendogli descrivere una curvatura coniforme piuttosto appuntita.

Figura 4.4.4. Il lastometro

Per questo tipo di analisi si taglia un provino delle dimensioni richieste e si posiziona nell’apparecchio come riportato in figura 4.9 B con il lato carne a contatto con la sfera.

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Figura 4.4.4.

A. particolare del provino per la prova allo scoppio; B. schema del lastometro A questo punto si applica la pressione in modo da sollevare la sfera di circa un quinto di millimetro al secondo, annotando l’allungamento ed il carico al momento della screpolatura del fiore e del suo successivo scoppio.

Figura 4.4.5. La prova allo scoppio al momento della screpolatura e dello scoppio

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4.4. Il microscopio elettronico a scansione (SEM)

Il microscopio a scansione (S.E.M.) può essere definito, molto sinteticamente, come un laboratorio operante ad un elevato valore di vuoto e nel quale un opportuno campione viene fatto interagire con un fascio elettronico ad elevata energia. Dalle modificazioni provocate nella struttura atomica del preparato dall’elettrone primario vengono originati e raccolti numerosi segnali, utilizzabili per la formazione di immagini relative alla struttura morfologica del campione ed alla sua composizione chimico – fisica.

Il principio di funzionamento si basa sull’interazione fra un fascio di elettroni che bombarda il campione in un microscopio elettronico ed il campione stesso: per effetto di questa interazione, il campione emette tutta una gamma di segnali che sono caratteristici della sua composizione chimica.

Infatti, quando elettroni veloci bombardano un campione, entrano in esso e lo ionizzano causando l’emissione di un elettrone dagli orbitali interni.

L’atomo è così energeticamente instabile e si diseccita tramite decadimento di un elettrone appartenente ad un orbitale più esterno, il quale va ad occupare la lacuna formatasi: il salto energetico effettuato si traduce nell’emissione di un fotone X, di energia pari al salto stesso.

Questo processo determina una lacuna in un orbitale ancora superiore, per cui si ha un ulteriore transizione di un elettrone a questo livello lasciato libero, con emissione di un nuovo fotone X di energia diversa dal precedente ed uguale a questo nuovo salto e così via.

Queste transizioni tra livelli atomici danno dunque luogo ad un insieme di raggi X distribuiti secondo uno spettro discreto di energie dette “righe caratteristiche” di quell’elemento. Sebbene la complessità dello spettro dei raggi X aumenti all’aumentare del numero atomico, ogni elemento possiede uno spettro discreto ben preciso, attraverso il quale è dunque possibile identificare la presenza dell’elemento stesso nel campione.

Il modello di S.E.M. da noi utilizzato è JEOL 5600LV che utilizza come sorgente elettronica quella ottenuta dal riscaldamento di un filamento di tungsteno. La temperatura a cui viene portato il filamento onde ottenere un emissione costante è

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dell’ordine di 2500 – 2600 K. Il filamento riscaldato emette elettroni in ogni direzione: la scelta di una di queste ed il controllo dell’emissione viene effettuato da un dispositivo metallico che lo circonda detto “cilindro di Wehnelt”.

Il segnale più frequentemente utilizzato per lo studio della morfologia di superficie di un campione è quello degli elettroni secondari (SE). L’interazione del fascio elettronico primario con gli elettroni degli orbitali esterni degli atomi del preparato provoca, a seguito di trasferimento di energia cinetica, l’allontanamento degli stessi elettroni di valenza. L’elettrone espulso, denominato elettrone secondario presenta un’energia non superiore a 50 eV. Il segnale, originato a seguito dell’interazione prodotta, viene raccolto da un opportuno rilevatore e trasferito alla griglia di controllo di un oscilloscopio a raggi catodici (CRT). La modulazione prodotta permette di regolare l’intensità del fascio elettronico dell’oscilloscopio stesso in funzione della quantità di segnale ricevuto, ottenendo un’immagine corrispondente sullo schermo del CRT. Poiché il trasferimento sequenziale del pennello elettronico sul preparato viene prodotto da un generatore di scansione che contemporaneamente agisce in modo sincrono sull’avvolgimento di deflessione del fascio elettronico dell’oscilloscopio, esiste una perfetta corrispondenza tra il segnale proveniente del campione e l’immagine ottenuta sullo schermo. Il sistema che genera e trasferisce il fascio elettronico primario e il campione stesso devono essere posti in un elevato valore di vuoto, a seguito delle proprietà intrinseche mostrate dagli elettroni veloci .

Possiamo in definitiva considerare il SEM composto da diversi sistemi, ciascuno deputato ad una funzione particolare, ma direttamente interconnesso agli altri. In tal senso il SEM è costituito da:

• Un sistema di illuminazione del campione;

• Un sistema di rivelazione e di trasferimento del segnale; • Un sistema di produzione e di registrazione dell’immagine; • Un sistema del vuoto.

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Figura 4.4.6. Diagramma a blocchi di un SEM

Ogni immagine ottenuta con il microscopio ha una didascalia dove, procedendo da sinistra verso destra, vengono riportati: la lunghezza in micron del segmento di riferimento, la differenza di potenziale tra il campione e l’elettrodo (15 KV), il numero di ingrandimenti effettuati ed il numero progressivo dell’immagine.

4.5. Spettrofotometria visibile

Quando la luce colpisce un oggetto, essa viene in parte assorbita dalle sue molecole, mentre la rimanente può essere riflessa, cioè rinviata verso l’osservatore sotto differenti angolazioni, oppure trasmessa, cioè può attraversare l’oggetto. La spettrofotometria eseguita su una superficie colorata è il metodo sperimentale per misurare la frazione di intensità di radiazione visibile che la superficie riflette per diffusione alle diverse lunghezze d’onda. Dalla modifica della distribuzione spettrale della radiazione riflessa rispetto a quella della radiazione incidente bianca dipende il colore della superficie stessa.

Una misura spettrofotometrica è di solito rappresentata dalla curva che descrive l’andamento del coefficiente di riflettanza in funzione della lunghezza d’onda della radiazione incidente.

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Figura 4.5.1 : Diagramma a blocchi di uno spettrofotometro

Il raggio luminoso proveniente da una lampada al wolframio (la cui temperatura di lavoro si aggira intorno ai 2870 °K) viene scomposto dal monocromatore in tanti raggi il più possibile monocromatici; tali raggi vengono fatti passare (grazie a particolari specchi detti chopper) in maniera alternata dal campione e dal riferimento (detto “bianco”). La luce riflessa dal campione viene inviata ad un analizzatore spettrale che analizza il colore per risoluzione del suo spettro con monocromatori a filtri o a reticolo di diffrazione. Le bande spettrali sono captate dal rilevatore e trasformate in percentuali di riflessione rispetto al bianco per ciascuna lunghezza d’onda del campo visibile, generando la curva spettrale del colore, dalla quale si ottengono, per calcolo, i valori tricromatici X,Y,Z (luminosità, tinta e saturazione), mediante appropriati coefficienti di trasformazione per intervalli ristretti di lunghezza d’onda, determinati in funzione dell’occhio umano.

Nel sistema Hunter L, a, b dei colori opposti, che addotta l’analizzatore utilizzato, la luminosità L è approssimata al solido di colore uniforme come radice quadrata di X; i parametri cromatrici sono espressi come colori opposti su un piano cartesiano (a, b) rispetto all’asse neutro L (0 = nero a 100 = bianco) dove:

+ a = rosso con saturazione da 0 a 100; - a = verde con saturazione da 0 a 100;

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+ b = giallo con saturazione da 0 a 100; - b = blu con saturazione da 0 a 100. La tinta è espressa come a/b e la saturazione come (a2+ 2b)/2.

Nei dati ricavati dall’analizzatore C è il croma metrico, funzione dei parametri cromatrici a e b pari a (a2 + b2)/2, mentre h è l’angolo di tinta metrico corrispondente a arctg(b/a).

Alle scale di colore sono associate le formule della valutazione della differenza di colore DE (formule CIEL*a*b*). Considerando il solido di colore come uno spazio euclideo tridimensionale con la luminosità L come asse centrale e i piani a, b di cromaticità C, la differenza di colore DE tra i colori 1 e 2 si ricava da:

DE = K (DL2 + DC2)/2 Dove DL = L1- L2 differenza di luminosità

DC = (Da2 + Db2)/2 = [(a1- a2)2 + (b1- b2)2]/2 differenza di cromaticità

K fattore di correzione dovuto alla risposta in termini di percettibilità

4.6. Determinazione di secchi e ceneri nei bagni

Si è proceduto alla determinazione dei secchi e delle ceneri contenuti nei bagni di concia nei vari momenti step di processo.

Il “secco” è una misura della quantità di quei composti che hanno una temperatura di evaporazione o di decomposizione inferiore a ~ 100°C ( in questo caso 102°C ). Le “ceneri” danno invece un’indicazione della quantità di quei composti che non evaporano né si decompongono a temperature nel nostro caso superiori a 600°C .

4.7. Proprietà merceologiche del cuoio

Queste proprietà non possono essere determinate utilizzando apparecchiature ma si deve ricorrere a personale specializzato.

La determinazione è avvenuta sulle pelli in crust, prima cioè che esse vengano sottoposte alle operazioni di rifinizione.

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La valutazione è stata effettuata assegnando un voto da 1 ( minimo ) a 5 (massimo ) e ricorrendo anche a voti intermedi ( es. 4/5=4,5 ).

Le proprietà che sono state valutate in questa sperimentazione sono:

• Uniformità del colore: valuta l’uniformità della tintura, la presenza di macchie o accumuli di colore in certe zone;

• Resa del colore: valuta la tonalità del colore e la sua intensità;

• Rotondità:la valutazione viene eseguita prendendo la pelle ed arrotolandola su se stessa facendola scorrere tra le dita; la pelle sarà tanto più rotonda quanto più seguirà la deformazione imposta;

• Pienezza: è una caratteristica che viene conferita alle pelli dalla riconcia. Si valuta stringendo la pelle in pugno e valutandone il grado di riempimento della struttura fibrosa;

• Mano: valuta la consistenza della pelle;

• Soffiatura: si dice che una pelle soffia quando allorché il fiore non è ben fermo e tende a distaccarsi dallo strato sottostante; la verifica viene effettuata imponendo dei raggrinzimenti;

Figura

Figura 4.1.1: Le parti della pelle:
Figura 4.2.2:. Bottale
Figura 4.2.4 : Bottalino utilizzato nella sperimentazione
Fig. 4.4.1 : Apparecchio per la misura della temperatura di contrazione.
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