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Lessico del calcio in swahili

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Academic year: 2021

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n. 84

| Sport

e immigrazione

A

C

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Mediterraneo

a e

S

o C i e t à

dossier

La cittadinanza sportiva in

Italia: mito o realtà?

Beyond Intolerance through

Sports

Sport et immigration.

Changements sociaux et

pratiques d’intégration en

Europe

Stelle nere, calcio bianco.

Calcio, capitale e razzismo

nell’Italia contemporanea

6 (8

4)

luglio 20

16 - Edizioni Lai-momo, Bologna- P

oste It. Spa, sped. in abb. p

(2)

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C u l t u r a e S o c i e t à

bologna

cares

!

La nostra città fa la sua parte

SPRAR Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati

Questo numero della rivista è stato co-finanziato nell’ambito di

Bologna cares!, la campagna di comunicazione curata da Lai-momo

(3)

E

E Ar D Fi Si St M Li Fu Im Ci Lt

Editoriale.

La posta in gioco: sport

e attività fisica risorse per

una “società delle culture”

di Giovanna Russo

L’

Italia da alcuni decenni è territo-rio di frontiera per le migrazioni: il continuo flusso di persone di origini differenti delinea ormai il Bel Paese come una “società delle culture” in

itinere, in un quadro di mobilità

ropea e nazionale di non facile gestione. Nel contesto eu-ropeo il ruolo dell’Italia è però soprattutto quello di “Pa-ese di transito” per i flussi migratori (UNHCR 2015): come emerge dal 21° Rapporto sulle Migrazioni ISMU è plausibile pensare che il fenomeno migratorio in Italia sia in continua trasformazione, tanto da poter parlare di un nuovo ciclo le cui dinamiche sono principalmente collegate alle tra-sformazioni geopolitiche e ai conflitti dei Paesi del Medio Oriente e dell’Africa sub-sahariana e, sul fronte domestico, all’impatto della crisi economica sul mercato del lavoro italiano. Tale scenario, complesso e diversificato, è frutto delle seguenti motivazioni: notevole incremento dei flussi migratori; forte riduzione delle persone che entrano nel Paese per cercare lavoro; consolidamento delle unità fa-miliari; aumento complessivo dell’emigrazione dall’Italia; presenza significativa dei migranti provenienti dai nuovi

Paesi dell’Unione europea in Italia (Cesareo 2016, p. IX). In un quadro così delineato, l’Italia sta cambiando volto: con 5.014.000 stranieri residenti che rappresentano l’8,2% dei suoi abitanti, oggi è al secondo posto, assieme al Regno Unito (5 milioni) e dopo la Germania (7 milioni), tra i Paesi che in Europa ospitano il maggior numero assoluto di im-migrati (Centro studi e ricerche Idos 2015).

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ma soprattutto delle politiche territoriali di inclusione so-ciale e culturale volte al benessere delle comunità locali e dei suoi protagonisti.

Con una prospettiva che privilegia il punto di vista dell’altro e aperta alla scoperta, questo dossier intende esplorare le pra-tiche socio-culturali che informano il quotidiano dei migranti nel Paese di accoglienza facendo attenzione ai legami sociali che si creano e si rigenerano nel tempo libero. L’occasione è quindi utile per riflettere su uno spazio sociale innovativo, come lo sport, adatto a osservare le occasioni di incontro fra autoctoni e immigrati per le sue capacità di generare capitale sociale, favorendo – o contrastando – l’integrazione (ibidem, p. 216). Lo sport offre infatti straordinarie possibilità di cono-scenza, di incontro tra culture, di contaminazione di pratiche sportive “socialmente responsabili”. In quest’ottica può es-sere inteso come

veicolo di valori positivi, eserci-zio di civiltà e di umanità, arena di socializzazione ma anche di edu-cazione e apertu-ra all’“altro diver-so da me”. Sui rapporti fra sport e integra-zione dei mi-granti l’impegno delle politiche e dei progetti eu-ropei è da tempo evidente: il Libro

bianco (2007)

af-ferma esplicita-mente che sport e attività fisica sono strumenti di in-clusione sociale, di partecipazione civile, di

socializ-zazione, di interazione positiva fra i migranti e i membri delle società che li accolgono. Le evidenze empiriche a sostegno di tali tesi però sono ancora piuttosto scarse, almeno nel nostro Paese. Ciononostante, allo sport e all’attività fisica da tempo si riconoscono le funzioni di cartina al tornasole capace di illustrare i meccanismi su cui si basa una società, di fattore di civilizzazione e globalizzazione della modernità (Martelli, Porro 2015), di linguaggio comune e universale atto a favorire l’integrazione sociale del “diverso”.

Dunque, oltre le possibili ideologie, qual è la posta sui campi da gioco? Lo spazio sociale dello sport rivela oggi una comples-sità che rimanda a segni, pratiche, linguaggi, immagini diffe-renti di un contesto che si pone il difficile obiettivo dell’inter-culturalità1 e che, di fatto, è alla continua ricerca di identità. Credo sia questa la scommessa che si vive sui campi da calcio, da basket, da cricket… Negli stadi, nelle palestre, negli spazi pubblici dove si pratica attività fisica e/o sportiva, in realtà si giocano soprattutto «partite per l’identità. La posta in gioco

è infatti il tipo di identità che si riesce e a costruire a partire dalle posizioni sociali disponibili nelle diverse realtà» (Zoletto 2010, p. 45). Il gioco dell’integrazione è dunque una partita – una battaglia? – nella quale si tenta di superare un confine, colmare una differenza fra un “noi” e un “loro”, capovolgere uno stigma, oltrepassare le discriminazioni. Lo sport è infatti un campo culturale nel quale, come ha affermato Pierre Bour-dieu (1998), si affrontano attori con interessi specifici legati alla posizione che occupano nello spazio sociale: un campo di competizione, il cui traguardo oggi si trasforma in un segno di convivenza civile. Lo sport e l’attività fisica sono infatti «capa-ci di integrare, di convertire simbolicamente “quelli di fuori” in “quelli di dentro” […] strumenti capaci di dare identità, di generare identificazione negli individui […] di renderli par-tecipi, anche simbolicamente, di una stessa realtà, di condi-videre, di sentirsi parte di qualcosa di comune: in de-finitiva di convive-re» (Xavier Medi-na 2002, p. 22). I contributi mul-tidisciplinari qui presentati ruo-tano attorno a questo focus illu-strando, da diffe-renti punti di vi-sta, come lo sport possa essere un luogo generativo di intercultura o, all’opposto, uno spazio di discri-minazione e/o di rivendicazione culturale. L’in-tento è di andare oltre gli stereoti-pi, i luoghi comu-ni, i paradossi e le ambiguità che la realtà migratoria e le sue pratiche sociali pongono quotidianamente alla riflessione contemporanea. In questa cornice teorica si sviluppano i primi tre saggi:

Siebetcheu espone la questione della cittadinanza

sporti-va in Italia come sviluppo di una cultura civica necessaria a costruire uno stile di vita in assenza di pregiudizi presen-tando i dati di una ricerca qualitativa sulla pratica calcistica svolta da richiedenti asilo; Bottoni, Masullo, Mangone

illustrano invece i dati inediti di una ricerca quantitativa sullo sport come strumento di inclusione per gli stranieri allo scopo di indagare il grado di diffusione/accettazione degli stereotipi della diversità fra gli adolescenti della regio-ne Campania. Con uno sguardo oltre i confini nazionali, lo sport è discusso nelle vesti di strumento d’integrazione nel-le politiche europee nell’intervista al sociologo dello sport W. Gasparini (Russo), svelando le potenzialità e i

parados-si del modello di integrazione francese messo a confronto con le esperienze sportive di Italia, Germania e Inghilterra.

Live, Love, Refugee. «Through this project, I was able to rediscover my story through their stories.

(5)

I contributi successivi si concentrano sul calcio – the

beau-tiful game – ambito privilegiato per indagare dinamiche di

un mercato globale in grado di replicare le strutture sociali e le difficoltà di integrazione dei suoi protagonisti “etnici”. L’analisi di Pedretti esplora le strategie impiegate

dall’in-dustria del calcio nella costruzione di brand progressisti, di fatto lontani dalle logiche eurocentriche delle strutture di potere che governano i campi da gioco e dai fenomeni di razzismo che li abitano; mentre il caso dei Black italians (Caccamo) evidenzia la difficile affermazione degli atleti

stranieri in Italia, tra percorsi di etichettamento e un lento processo di riconoscimento dell’italianità. Su questa scia, il contributo di Kyeremeh propone un’analisi di genere del

mondo sportivo, illustrando il difficile cammino di afferma-zione delle atlete black a livello agonistico e dilettantistico. Il corpo femminile nello sport diviene così terreno di lotta, di contestazione e di affermazione di un’identità continuamen-te rinegoziata, fra percorsi di inclusione sociale e di discri-minazione. L’approccio di analisi “intersezionale”, volto a evidenziare la multidimensionalità vissuta dai soggetti mar-ginalizzati, si rivela utile finestra di osservazione capace di fare emergere la funzione di mobilità sociale dello sport non solo per le atlete nere, ma per tutte le persone migranti che risiedono in Italia. In linea di continuità, il saggio di Bifulco

e Del Guercio presenta il caso dell’Afro-Napoli United,

asso-ciazione sportiva nata con l’intento di creare una squadra di calcio amatoriale “melting pot”, spazio di incontro per atleti immigrati e italiani, osservando nei vari aspetti della vita de-gli atleti migranti come l’esperienza calcistica risulti positiva e propedeutica all’inserimento sociale nei Paesi ospitanti e utile anche alla costruzione di un sentimento di appartenen-za. Un aspetto poco indagato emerge invece nel contribu-to di Berthoud, il quale – con taglio etnografico – analizza

l’influenza delle strutture familiari nei percorsi dei calciatori migranti camerunesi (pre e post carriera) rilasciando un’im-magine dei giocatori africani come “vittime” di un sistema di parentela nel quale prevale la dimensione della “soprav-vivenza” collettiva a quella del singolo individuo. I termini di parentela, così come le singole carriere degli atleti, appa-iono dunque integrati in un unico sistema che obbedisce a leggi universali, agendo anche a livello inconscio.

Nel segno dell’happening Martone illustra la

manifesta-zione ventennale dei Mondiali antirazzisti, nella quale lo “sport per tutti” emerge come “bene relazionale” capace di produrre a livello di gruppo un forte senso di appartenenza fra i membri coinvolti. In quest’ottica viene descritta l’espe-rienza performativa e mediatica nella quale migranti (tra i quali negli ultimi anni sono presenti diverse squadre di ri-chiedenti asilo) e ultras, attori sociali solitamente all’oppo-sto sulla scena sportiva, coesiall’oppo-stono all’insegna di un unico obiettivo di convivenza civile.

Ulteriori testimonianze della valenza sociale, inclusiva della pratica sportiva – o al contrario del suo potere discriminan-te – emergono dagli indiscriminan-terventi a chiusura del dossier: dalla storia di “Musta”, campione di arti marziali la cui ascesa è simbolo del legame fra Italia e Marocco (Bini, Bondi),

all’e-voluzione del lessico del calcio in swahili a testimonianza delle interferenze e dei mutamenti semantici che il gioco più bello del mondo è capace di veicolare (Sidraschi). Il

calcio è inoltre teatro “atteso” dai media per la narrazione di episodi di razzismo attraverso parole, gesti e gestacci di un linguaggio ormai universale (Germano); oppure vero

campo di battaglia, nei Mondiali del 1998, per l’indipenden-za della nazionale croata nel racconto del documentario

Vatreni (Valle Baroz). La dimensione politica dello sport

emerge, infine, sia nella storica partita della Rugby World Cup del 1995, episodio spettacolare della storia sudafricana, momento epico di un difficile processo di unificazione non ancora concluso (Paci), sia nell’analisi della presenza dei

Paesi africani alle Olimpiadi nel corso del ’900, rivelando un percorso costellato da boicottaggi internazionali e mol-teplici difficoltà proprie di questo continente (Armillotta).

In questi ultimi mesi in cui, a fronte della crescente presen-za di richiedenti asilo ospiti nei centri di accoglienpresen-za dei ter-ritori, la società italiana si confronta in maniera inedita con persone di origini culturali differenti e percorsi di vita par-ticolarmente difficili, osservare le relazioni fra sport e im-migrazione significa cogliere l’importanza e la multidimen-sionalità che le pratiche motorie possono mettere in gioco all’interno delle culture e delle società contemporanee. Alla base vi è un pregio indiscutibile: lo sforzo di far “cambiare la pelle alla cultura”, laddove lo studio dello sport e dell’atti-vità fisica si fa portavoce di nuove istanze sociali per fornire risposte concrete a una differente domanda di qualità della vita per autoctoni e immigrati.

BiBliografia

P. Bourdieu, Program for a Sociology of Sport, in «The Sociology of Sport Journal», V, n. 2, 1998, 153-161

Commissione europea, Libro Bianco sullo sport, 2007, disponibile al sito: http://ec.europa.eu/sport/index_en.html

P. Donati, Riconoscersi con la ragione relazionale, in «Atlantide. Un mon-do che fa parlare altri mondi», n. 14, 2008, pp. 59-64

V. Cesareo (ed.), The New scenario of Migrations, in Fondazione ISMU

The Twenty- first Italian Report on Migrations 2015, McGraw-Hill

Educa-tion, Milan-London 2016, pp. IX-XXIX

Centro studi e ricerche IDOS, Dossier statistico 2015, IDOS, Roma 2015 ISTAT, Rapporto del Paese 2016, ISTAT, Roma 2016

S. Martelli, Religions and sports: are they resources for the integration of

immigrants in the host society?, in «Italian Journal of Sociology of

Educa-tion», a. 7; n. 3, 2015, pp. 215-238

S. Martelli, N. Porro, Manuale di Sociologia dello sport e dell’attività fisica, FrancoAngeli, Milano 2015

UNHCR, Syria Regional Refugee Response, 2015, reperibile al sito: http:// data.unhcr.org/syrianrefugees/regional.php

F. Xavier Medina, Deporte, immigraçión, e interculturalidad, in «Apun-ts», Deporte e immigraçión, Generalitat de Cataluniya, INEFC, n. 68, 2002, pp. 18-23

D. Zoletto, Il gioco duro dell’integrazione. L’intercultura sui campi da

gio-co, Cortina, Milano 2010

NoTE

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Editoriale

La posta in gioco:

sport e attività fisica risorse per una “società delle culture” di Giovanna Russo

Dossier:

Sport e immigrazione

a cura di Giovanna Russo

La cittadinanza sportiva in Italia: mito o realtà?

di Raymond Siebetcheu

Beyond Intolerance through Sports by Gianmaria Bottoni, Giuseppe Masullo, Emiliana Mangone Sport et immigration.

Changements sociaux et pratiques d’intégration en Europe

Entretien avec W. Gasparini recueilli par Giovanna Russo

Stelle nere, calcio bianco. Calcio, capitale e razzismo nell’Italia contemporanea

di Roberto Pedretti Calcio e identità.

I Black Italians tra interdizione razziale e integrazione di Giorgio Caccamo

Il calcio come strumento di integrazione:

il caso dell’Afro-Napoli United di Luca Bifulco e Adele Del Guercio Entre contraintes et soutiens: l’implication de la famille dans les parcours de footballeurs camerounais

par Jérôme Berthoud

Sportive nere in maglia azzurra. Un approccio intersezionale allo sport italiano

di Sandra Agyei Kyeremeh Nella rete

dei Mondiali di Vittorio Martone

Sport praticati dai richiedenti asilo nella Città Metropolitana di Bologna FOCUS/ArtimArziAli

Mustapha Haida, la storia di un campione sportivo e del profondo legame che unisce l’Italia al Marocco di Eugenio Bini

e Danilo Bondi FOCUS/linguA

Lessico del calcio in swahili di Diego Sidraschi 34 41 46 51 55 56 58 8 13 18 23 28 1

Indice

n.84

Direttrice responsabile Sandra Federici Segreteria di redazione

Elisabetta Degli Esposti Merli, Claudia Marà

Comitato di redazione

Fabrizio Corsi, Simona Cella, Silvia Festi, Andrea Marchesini Reggiani, Iolanda Pensa, Pietro Pinto,

Massimo Repetti, Mary Angela Schroth

Comitato scientifico

Stefano Allievi, Mohammed Arkoun †, Ivan Bargna, Giovanni Bersani †, Jean-Godefroy

Bidima, Salvatore Bono, Carlo Carbone, Giuseppe Castorina †, Giancarla Codrignani, Vincenzo Fano, Khaled Fouad Allam †, Marie-José

Hoyet, Justo Lacunza, Lorenzo Luatti, Dismas A. Masolo, Pierluigi Musarò, Francesca Romana Paci, Giovanna Parodi da Passano, Irma Taddia,

Jean-Léonard Touadi, Alessandro Triulzi, Itala Vivan, Franco Volpi

Collaboratori

Luciano Ardesi, Joseph Ballong, G. Marco Cavallarin, Aldo Cera, Antonio Dalla Libera, Tatiana Di Federico, Fabio Federici, Mario Giro,

Rossana Mamberto, Umberto Marin, Marta Meloni, Gianluigi Negroni, Beatrice Orlandini, Giulia Paoletti, Blaise Patrix, Sara Saleri, Edgar

Serrano, Daniel Sotiaux, Flore Thoreau La Salle, Elena Zaccherini,

George A. Zogo †

africa e Mediterraneo

Semestrale di Lai-momo cooperativa sociale Registrazione al Tribunale di Bologna n. 6448

del 6/6/1995

Direzione e redazione

Via Gamberi 4 - 40037 Sasso Marconi - Bologna tel. +39 051 840166 fax +39 051 6790117 redazione@africaemediterraneo.it www.africaemediterraneo.it Progetto grafico e impaginazione Giovanni Zati Editore Edizioni Lai-momo

Via Gamberi 4, 40037 Sasso Marconi - Bologna www.laimomo.it

finito di stampare

il 31 agosto 2016 presso LITOSEI srl Rastignano - Bologna

La direzione non si assume alcuna responsabilità per quanto espresso dagli autori nei loro

interventi

Africa e Mediterraneo è una pubblicazione che fa uso di peer review

in copertina

Kenya. Refugees and aid workers in Dadaab run in support of #TeamRefugees and stand

#WithRefugees. © UNHCR

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FOCUS/linguA

Parole, gesti e gestacci del razzi-smo nello sport

di Ivo Stefano Germano FOCUS/identità

Vatreni. La Nazionale croata tra il sogno dei mondiali e l’incubo della guerra

di Valentina Valle Baroz FOCUS/identità

Invictus: combattere per capirsi di Francesca Romana Paci FOCUS/OlimpiAdi

La presenza olimpica del continente nero e i boicottaggi africani

di Giovanni Armillotta

Scuola

Enea: un profugo. Viaggi nel passato e nel presente a cura di Donatella Iacondini

arte

Addio al maestro e amico George Abraham Zogo

di Andrea Marchesini Reggiani

Prayer

di Giacomo Rambaldi “Triumphs and Laments”: a Project for the City of Rome by William Kentridge

by Mary Angela Schroth

Eventi

Dak’art 2016: nel blu dipinto di blu di Simona Cella

When Things Fall Apart. Critical Voices

on the Radars par Sandra Federici Quand le Nigéria s’invite à Venise :

une architecture visionnaire audelà de tous les formalismes par Flore Thoreau

La Salle

Designing Futures.

Il 26° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina

di Milano di Simona Cella

Coraggio e libertà: il Biografilm Festival va oltre i confini di Elisabetta Degli Esposti Merli Formazione dei rifugiati nell’artigianato per la moda Summer School on Forced Migration:

a Multidisciplinary Approach Accoglienza, sport e buone pratiche:

la campagna 2016 di Bologna cares! Sport, integrazione e diritti umani al cinema di Marina Mantini

libri

African Power Dressing: il corpo in gioco.

(Giovanna Parodi da Passano) di Cecilia Pennacini

D’ici jusque là-bas – Van hier tot daar.

Dessins de réfugiés en Belgique

60 62 64 66 69 73 75 77 81 84 86 88 89 91 92 93 94 95 96

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dossier

Sport

(10)

La cittadinanza sportiva in Italia:

mito o realtà?

L’importanza del calcio come strumento di integrazione. Una ricerca, basata su interviste e

osservazioni dirette, dimostra che lo sport può aiutare i migranti nell’inserimento nella società di

accoglienza e nel superamento di eventuali traumi, in un clima di tolleranza e rispetto.

(11)

«L

o sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di ispirare. Esso ha il potere di unire le persone in un modo in cui poche altre cose lo fan-no. Parla ai giovani in una lingua che comprendono. Lo sport può porta-re speranza dove una volta c’era solo disperazione». Pporta-rendendo spunto da questa bella cornice definitoria che ci suggerisce Nelson Mandela, lo sport nel suo valore globale e olistico è un fenomeno di grande importanza capace di abbracciare tanto la dimensione meramente competitiva e ludica quanto quella socio-culturale ed educativa. In questo senso, riesce a promuovere valori come la so-lidarietà, l’unità, lo spirito di gruppo, la tolleranza, l’uguaglianza, l’integrazione, il rispetto delle regole e l’accettazione delle diffe-renze. Facendo riferimento al contesto migratorio, dove identità diverse s’incontrano e, in alcuni casi, si scontrano, secondo il

Li-bro bianco europeo sullo sport

(2007),1 lo sport costituisce uno strumento efficace per facilitare l’integrazione degli immigrati nella società, attraverso il dia-logo interculturale e un senso comune di appartenenza e di partecipazione. Senza voler perdere di vista alcuni casi

ec-cellenti, come quello della squadra di rugby di Casale Monferrato, quasi esclusivamente composta da richiedenti asilo e che milita in C2, in questa sede focalizzeremo l’attenzione sul calcio, inteso come il paradigma, il laboratorio sociale ideale della manifesta-zione simbolica dello sport come strumento di aggregamanifesta-zione e di integrazione. La scelta del calcio è legata alla sua capacità di unire ma anche al fatto che è uno degli sport più amati, più praticati e più seguiti al mondo. In Italia, secondo il Report Calcio 2015, il cal-cio incide per circa il 25% sui tesserati, italiani e stranieri, e sulle società sportive nelle 45 Federazioni affiliate al CONI. Non a caso Valeri (Valeri 2005, p. 382) considera questa disciplina come «una buona cartina al tornasole di ciò che avviene, più in generale, a livello sociale». Riflettendo in modo specifico sul ruolo del calcio in contesto migratorio, Gasparini osserva che si tratta di un «terreno di studio particolarmente interessante per riflettere sulle espressio-ni identitarie e ripensare l’integrazione dei migranti attraverso lo sport» (Gasparini 2013). Per Avila et al «l’impatto di questo gioco sulla vita di ogni giorno lo rende un forte strumento per potenziare le questioni importanti dell’apprendimento permanente e dell’in-tegrazione» (Avila et al 2011, p. 2). Sulla scia di queste premesse teoriche, che ci suggeriscono che il calcio ha cessato da molto tempo di rappresentare soltanto un gioco e che oggi costituisce un vero e proprio sistema culturale (Porro 2008), questo contributo si prefigge di osservare quanto lo sport riesca concretamente a con-tribuire ai processi di inclusione sociale, soprattutto nei confronti dei richiedenti asilo che spesso versano in condizioni di evidente e preoccupante vulnerabilità.

La questione della cittadinanza sportiva in Italia

In Italia il principio di cittadinanza sportiva e di educazione demo-cratica attraverso lo sport è chiaramente sancito dall’art. 16, com-ma 1, D.lgs 242/19992 che recita: «Le federazioni sportive nazio-nali sono rette da norme statutarie e regolamentari sulla base del principio di democrazia interna, del principio di partecipazione

all’attività sportiva da parte di chiunque in condizioni di parità e in armonia con l’ordinamento sportivo nazionale e internaziona-le». Nonostante tale normativa, molti minori di origine straniera si sono spesso visti negare il diritto di partecipazione all’attività spor-tiva nelle squadre nazionali e nei tornei internazionali. A nostro avviso si tratta di un vero e proprio “spreco di talenti” e di una “doppia cittadinanza negata” (né italiana, né del Paese di origine). A confermare questa tesi sono le premesse del seminario dal titolo

Cittadinanza sportiva: opportunità ed ostacoli per una piena citta-dinanza, tenutosi ad Arezzo il 17 dicembre 2012: «I meccanismi

di tesseramento di ragazzi che non hanno la cittadinanza italiana nelle società sportive sono farraginosi e spesso inefficaci, e di

fat-to li escludono da gran parte delle competizioni dei loro co-etanei: è frequente vedere un ragazzo allenarsi con impegno e risultati, e poi non giocare in partita o non poter partecipare alle competizioni. Questo da un lato costituisce un’importante discriminazione, e dall’altro impoverisce lo sport nostrano di talenti ed introiti» (www.meltin-gpot.org, 12 dicembre 2012).

Un passo decisivo verso la cittadinanza sportiva è stato fatto con la Legge n. 12 del 20 gennaio 2016 che ha introdotto lo ius soli

sporti-vo. Secondo tale legge «I minori di anni diciotto che non sono

cit-tadini italiani e che risultano regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età possono essere tesserati presso società sportive appartenenti alle federa-zioni nazionali o alle discipline associate o presso associafedera-zioni ed enti di promozione sportiva con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani». Premettiamo che anche se tale legge non prende in considerazione alcuni aspetti importanti come la possibilità per i ragazzi di origine straniera di indossare la maglia azzurra, essa costituisce comunque l’anticipazione di una risposta che si aspetta ancora rispetto alla revisione della Legge sulla cittadinanza (L. 91/1992).3 Tuttavia, il concetto di cittadinanza sportiva è, a nostro avviso, prima di tutto lo sviluppo di una cultu-ra civica e sportiva capace di costruire uno stile di vita che superi ogni forma di pregiudizio e discriminazione. Gli episodi di razzi-smo negli stadi testimoniano che lo ius soli sportivo non riguarda soltanto l’atleta di origine straniera, ma deve coinvolgere famiglie, scuole, società sportive, tifosi e politici. Inoltre i cori razzisti in-dirizzati ai giocatori di alto livello, e in alcuni casi già in possesso della cittadinanza italiana, sono la testimonianza che non basta il riconoscimento da parte del Parlamento così come non è suffi-ciente essere in possesso del passaporto italiano per parlare di una cittadinanza sportiva effettiva.

Profilo dei giocatori e delle squadre composte da richiedenti asilo

Il numero sempre più crescente degli sbarchi di immigrati sulle co-ste italiane nell’ultimo decennio e la conseguente distribuzione di questi ultimi nelle varie regioni della Penisola hanno dato nascita a diversi percorsi innovativi di integrazione, tra cui quelli attraverso

Il concetto di cittadinanza sportiva è prima di tutto

lo sviluppo di una cultura civica e sportiva capace

di costruire uno stile di vita che superi ogni forma

di pregiudizio e discriminazione.

(12)

il calcio, mai sperimentati prima in modo sistematico. In realtà, in risposta alle ripetute richieste dei rifugiati e al talento che sanno di poter esprimere sui campi, sono nate numerose squadre di calcio all’interno dei centri di accoglienza, tanto nell’ambito di eventi oc-casionali, quanto per la partecipazione ai tornei amatoriali o fede-rali. Sulla base della nostra ricognizione, in Italia sono al momento sei le squadre di profughi che partecipano ai campionati federali organizzati dalla Federazione italiana di giuoco calcio (FIGC). Nell’ambito della nostra indagine, abbiamo preso in considerazio-ne dodici squadre principalmente composte da “migranti forzati” (costretti a scappare dai loro Paesi in seguito a guerre, conflitti e persecuzioni), collocate in varie aree geografiche (dal Piemonte alla Sicilia) per avere un’idea dell’“integrazione targata sport” in tutto il Paese. Sono squadre prevalentemente composte da gio-catori dell’Africa subsahariana, tra cui spiccano Senegal, Gambia, Nigeria, Ghana, Mali e Costa d’Avorio. Notiamo però che tra le squadre analizzate, l’Afro Napoli e la RFC Lions Ska sono composte anche da italiani. Queste squadre, con giocatori dai 17 ai 40 anni, sono gestite e sostenute da volontari che credono nei valori dello sport, inteso non solo come competizione ma anche come stru-mento di integrazione. Status giuridico incerto, distanza tra i cen-tri di accoglienza e la città, dinamiche organizzative e abitative dei centri molto diverse dall’organizzazione socio-familiare dei Paesi di origine (orari di ingresso e di uscita, orario di pranzo e di cena, ecc.), stress da sradicamento, incertezza rispetto al futuro, “sin-drome del sopravvissuto” (disagio psicologico legato ad un evento traumatico con un senso di colpa) o “sindrome di Ulisse” (disturbo psicosomatico che spesso colpisce gli immigrati), difficoltà lingui-stiche, pregiudizi e stereotipi negativi, in alcuni casi impossibilità di trovare un lavoro: sono questi i principali elementi che caratte-rizzano il disagio socio-economico di cui sono vittime i richiedenti asilo e di fronte al quale il calcio vuole dare una risposta.

Rifugiati in Italia: barriere nell’accesso alle attività sportive

Barriere burocratiche

Per essere tesserati e giocare in un campionato della Lega Nazio-nale Dilettanti (LND), i richiedenti asilo devono essere in possesso del permesso di soggiorno, del certificato di residenza e in alcuni

casi di un’autorizzazione da parte della federazione estera di ri-ferimento. Inoltre, ogni squadra può solo «tesserare e schierare in campo due soli calciatori extra-comunitari [ma] un numero il-limitato di calciatori/calciatrici di cittadinanza comunitaria» (art. 40 quater delle N.O.I.F).4 Queste lungaggini burocratiche e questi passaggi complessi costringono le squadre a tesserarsi nei cam-pionati amatoriali. Tuttavia, la squadra Afro - Napoli United è un esempio di come sia opportuno perseverare nonostante le barriere. Dai campionati amatoriali iniziali, l’Afro-Napoli, dopo la sua ammissione alla più bassa categoria del campionato fe-derale (Terza categoria), è reduce da una scalata vincente che in tre anni l’ha portata alla categoria “Promozione” (avvenuta alla fine della stagione 2015-2016). Degna di nota è inoltre l’auto-rizzazione concessa da Carlo Tavecchio, allora presidente della LND (oggi presidente della FIGC), alla squadra Pagi di Sassari. I giocatori di questa squadra, tutti africani, sono stati pertanto tesserati, anche se non in possesso di residenza definitiva in Sar-degna, purché non provenienti da federazioni calcistiche stra-niere. Nonostante tutte le barriere un’altra bella pagina sportiva è stata scritta dalla squadra Migranti San Francesco di Siena: già campione provinciale, regionale e interregionale nei rispettivi campionati CSI di calcio a 7 nell’anno 2016, la squadra di Sie-na ha chiuso le fiSie-nali Sie-nazioSie-nali al secondo posto, con un po’ di rammarico per la finale persa, ma con grande soddisfazione e orgoglio per la lezione di vita trasmessa in tutte le città italiane dove ha giocato.

La questione linguistica

La questione della lingua per i rifugiati implica da una parte l’apprendimento della lingua italiana e dall’altra parte l’uso delle loro lingue di origine. In riferimento alla lingua italiana, la bar-riera è legata a tre aspetti principali:

- a causa delle spesso discutibili politiche linguistico-educative dei Paesi di partenza dei richiedenti asilo, l’arricchimento cul-turale e il valore strumentale legati all’apprendimento formale dell’italiano non sono sempre percepiti come lo vorrebbero gli enti formativi in cui sono inseriti;

- per molti profughi l’Italia è solo un luogo di transito e, per

que-ITALIA. Squadre dei rifugiati coinvolte nell’indagine

sQUAdre CiTTÀ dATA di CreAZioNe CAMPioNATo 2015-2016

ASD Liberi Nantes Roma 2007 3° Categoria (FIGC-LND) Afro Napoli United Napoli 2009 1° Categoria (FIGC-LND)

Survivor Torino 2009 Amatoriale (UISP)

RFC Lions Ska Caserta 2011 3° Categoria (FIGC-LND) Hearts of Eagle Torino 2012 Amatoriale (UISP) ASD Cara Mineo Catania 2013 1° Categoria (FIGC-LND) Leoni di Biella Biella 2013 Amatoriale (ACS)* ASD Koa Bosco Rosarno 2013 2° Categoria (FIGC-LND) Atletico Ubuntu Arezzo 2014 Amatoriale (UISP) ASD Opti Pobà Potenza 2014 Amatoriale (OPES) Migranti San Francesco Siena 2014 Amatoriale (CSI)

SS Pagi Sassari 2015 2° Categoria (FIGC-LND)

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sto motivo, alcuni non ritengono necessario investirsi nell’ap-prendimento della lingua italiana;

- anche se la pratica sportiva è già di per sé un linguaggio co-mune, la terminologia calcistica non è sempre alla portata dei neo-arrivati. Di fronte a queste tre esigenze, nella squadra di Mi-granti San Francesco, sono stati attivati dei percorsi di apprendi-mento dell’Italiano durante gli allenamenti. Obiettivo di queste attività è imparare divertendosi, senza rinunciare alla propria pas-sione e senza sentire il “peso” dell’apprendimento, mantenendo così motivazione e impegno. Considerando invece le lingue dei rifugiati, si può affermare che, attraverso esse, i rifugiati rivendi-cano con forza il diritto all’asilo linguistico, il diritto di esistere e di rendersi visibili. Tali lingue immigrate sono quindi «laceranti urla di aiuto, richieste di soccorso nell’identità, auspicio della fine del conflitto fra lingue, culture ed identità. Sono urla nel silenzio delle lingue dominanti, ma anche, a volte auspicabilmente, segni della pace linguistica, della serena convivenza delle lingue, delle cultu-re, delle identità» (Barni 2004, p. 15). Il campo di calcio diventa così un luogo di contatto e di confronto, uno spazio di ricreazione e ricostruzione di identità linguistico–culturale.

Barriera culturale

Il fatto che le squadre dei rifugiati siano prevalentemente compo-ste da africani non significa che costituiscono necessariamente dei gruppi omogenei. Oltre al colore della pelle e alla situazione giuridico-psicologica, che possono costituire dei punti in comu-ne, è opportuno notare che dietro all’etichetta “Africa” si nascon-dono ben 54 Paesi, oltre duemila lingue e migliaia di culture di-verse che fanno sì che gli abitanti di tale continente non possono essere considerati identici e con le stesse esigenze. Serve quindi un notevole lavoro di mediazione culturale per costruire delle squadre molto diverse dal punto di vista delle nazionalità, delle lingue, dei costumi e delle religioni ma nel contempo molto unite in campo e fuori dal campo.

Difficoltà logistiche

La carenza di risorse economiche per gestire gruppi così diversi, come ricorda Roberto Pareschi dei Leoni di Biella, la carenza e/o l’inadeguatezza delle infrastrutture e del materiale sportivo co-stituiscono altre barriere che rendono meno evidente l’accesso a strutture sportive idonee e facilmente raggiungibili all’interno del-le quali i ragazzi possono competere ed esprimere il loro gioco in tutta sicurezza e serenità. Il divieto di allenarsi allo stadio comuna-le di Mortara, imposto ad una squadra di richiedenti asilo nel 2015, è solo un esempio di questo tipo di barriera. Di fronte a queste situazioni e in assenza di sponsor, come è il caso della squadra di Koa Bosco di Rosarno, gestita da Don Meduri, queste squadre sono aiutate da altre società (caso dell’AS Roma nei confronti dei Liberi Nantes di Roma) con la donazione di materiale sportivo, ma anche con il supporto tecnico di alcuni (ex) giocatori professionisti.

Il calcio come simbolo di rifugio e di asilo nell’ottica dell’integrazione

Inclusione sociale

Gli stadi costituiscono dei luoghi d’incontro, di contatto e di aggre-gazione che consentono di creare dei circoli virtuosi di solidarietà con i compagni provenienti da altri Paesi, di ricostruire un’identità smarrita nonché di ritrovare il sorriso (Siebetcheu 2015). Il

difen-sore Omar della squadra Migranti San Francesco osserva in questo senso: «Sono contento quando sono in campo. Mi diverto, rido e scherzo con i miei compagni. Ho l’impressione di essere in Mali». Il calcio per i rifugiati è anche uno strumento di inclusione sociale con le comunità autoctone e straniere. I rifugiati partecipano con disinvoltura alle attività ricreative di beneficenza o di solidarietà or-ganizzate nelle città in cui vivono. Tale partecipazione ha un valore simbolico in quanto si lega ad alcuni segni esteriori caratteristici del Paese di origine (ad esempio indossare la maglietta di calcio della propria nazionale, organizzare, in concomitanza alle partite, feste con cucina e musica del proprio Paese). Questi segni, indice di riferimento nostalgico, sono anche alla base di ciò che Gaspari-ni chiama «Lo sport “fai da te”», cioè non solo espressione di un forte sentimento di identità, ma anche una risposta contro le di-scriminazioni vaghe e quotidiane, reali o simboliche che subisco-no gli immigrati (Gasparini 2013). «In realtà, più gli immigrati sosubisco-no situati in basso nella scala sociale, subendo discriminazioni (reali o percepite), più il sentimento di identità comunitaria si rinforza». Di fronte alla stigmatizzazione e alla discriminazione, per alcuni rifu-giati il calcio costituisce forse l’unica e/o l’ultima carta da giocare per sconfiggere gli stereotipi e farsi valere. Ecco perché vincere una semplice partita amichevole (con determinazione, grinta e passio-ne) assume un valore che va al di là della vittoria conquistata sul campo. Si tratta di una vittoria che è sintomo di consapevolezza del proprio valore, una vittoria che smentisce ogni discorso sull’infe-riorità della propria cultura, una vittoria che sa di riscatto rispetto ai funesti episodi che hanno preceduto l’arrivo in Italia; una vitto-ria, infine, che vuole trasmettere una buona e nuova immagine di sé reclamando rispetto in campo e fuori dal campo.

Educazione civica e inserimento professionale

Il calcio è lo strumento ideale che consente da una parte alle squadre di presentare in modo naturale la società di arrivo ai loro giocatori e dall’altra parte ai rifugiati-giocatori di presentarsi senza troppi imbarazzi, risvegliando invece le coscienze per su-perare ogni forma di discriminazione. In questo senso, un gioca-tore di Liberi Nantes sottolinea: «spesso di fronte agli italiani mi presento come un calciatore. E questo mio profilo porta i miei in-terlocutori ad avere un certo interessamento nei miei confronti». Nell’ambito delle varie trasferte, i giocatori hanno l’opportunità di scoprire con serenità la loro società di adozione, cambiando così non solo la loro geografia mentale del territorio, ma soprat-tutto la loro percezione del viaggio, questa volta molto più piace-vole e con rischi minori.

(14)

presidente di Survivor sottolinea che nella sua squadra «lo sport è la palestra per raggiungere altri percorsi. Grazie ai progetti di reinserimento sociale, decine di ragazzi sono riusciti a trovare un lavoro stabile e una casa». Nella squadra di Opti Pobà i gio-catori vengono coinvolti in attività di laboratori creativi, come sottolinea il referente Francesco Giuzio. Partendo dall’analisi dei bisogni effettivi, l’obiettivo della squadra Migranti San Francesco, osserva Don Doriano, è quello di accompagnare i giocatori anche in diversi percorsi professionalizzanti. Molti giocatori di questa squadra hanno in effetti trovato lavoro in varie strutture ricettive nel senese e in altri settori.

Sogno e speranza di diventare campioni

Prima di sbarcare in Italia, molti rifugiati aspirano a diventare calciatori professionisti. Un giocatore osserva infatti che: «noi sappiamo e vogliamo giocare, ma non c’è nessuno che ci porta a fare dei provini». Per non fare svanire il loro sogno, i cam-pionati amatoriali e dilettantistici nei quali militano questi giocatori sono considerati solo come un punto di partenza per raggiungere tali obiettivi. Ibra, l’attuale capitano di Migranti San Francesco, originario del Gambia, non ha perso tempo al suo arrivo in Italia: il primo giorno in cui ha incontrato il suo allenatore gli ha subito detto che il calcio è il suo biglietto da visita. Oltre al caso del nigeriano Gabho, che ha iniziato con la squadra di Cara Mineo (Catania) e poi è approdato in Bunde-sliga (Germania) nella squadra dell’Hoffenheim, l’esempio em-blematico è quello del guineano Salim Cissé. In realtà, da Borgo Massimina (squadra romana di prima categoria) Cissé, dopo un passaggio nella squadra di Arezzo, è attualmente un giocato-re della nazionale guineana e dello Sporting Lisbona, club che milita nella massima divisione portoghese. Anche se tutti non avranno la fortuna di arrivare ai livelli di Cissé e Gabho, a tutti si deve garantire il diritto di sognare, di essere felice correndo dietro a una palla e di conservare la passione dell’infanzia per affrontare ambiziosamente il futuro.

Salute fisica e mentale

Superare lo stress da sradicamento, dimenticare le preoccu-pazioni e ansie legate alle sfide da realizzare ma anche al tra-gico passato, sono queste le principali motivazioni legate agli aspetti psicologici che spingono i rifugiati a giocare a calcio. Il campo di calcio si presenta quindi come uno spazio nel quale si sviluppa una sana attività fisica e mentale. È in questo senso che Alain, giocatore di Liberi Nantes, osserva: «Il martedì (uno dei giorni di allenamento) per me è un giorno di festa. Il calcio è la mia droga. Non riesco a vivere senza giocare».

Considerazioni conclusive

Dai risultati illustrati in questo contributo, emerge che lo sport consente di abbattere i muri e di costruire dei ponti, abbrac-ciando la dimensione competitiva, ludica e socio-educativa. Nel contesto italiano, dove all’immigrazione vengono ancora associati i concetti di insicurezza sociale ingabbiandola in pe-ricolose generalizzazioni, lo sport rappresenta per i migranti, norme burocratiche e senso comune permettendo, una valvola di sfogo per uscire dall’isolamento logistico e mentale, uno de-gli spirade-gli per ritade-gliarsi uno spazio nella società ma anche per rispettare le regole promuovendo i valori linguistici e culturali a beneficio della società italiana.

BiBliografia

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1, 2013

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M. Valeri, La razza in campo. Per una storia della Rivoluzione Nera nel calcio, Edup, Roma 2005

NoTE

1 - Libro bianco sullo sport, dell’11 luglio 2007, presentato dalla Commissione eu-ropea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comita-to economico e sociale europeo.

2 - Legge del 20 gennaio 2016, n. 12, intitolata “Disposizioni per favorire l’integra-zione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva”.

3 - Il 13 ottobre 2015 la Camera ha approvato un testo in materia di cittadinanza con due novità: ius soli temperato (cittadinanza a chi è nato in Italia da genitori stranieri, sulla base di alcune condizioni) e ius culturae (cittadinanza in seguito a un certo percorso scolastico).

4 - Norme organizzative interne della FIGC (Federazione italiana giuoco calcio).

Raymond Siebetcheu

è docente presso l’Università per Stranieri di Siena. Le sue attività di ricerca vertono intorno ai temi dell’immigrazione straniera in Italia e dell’emigrazione italiana in Africa nel loro legame con lo sport, il contatto linguistico e la mediazione linguistico-culturale. 

ABSTRACT EN

(15)

Beyond Intolerance through Sports

Sport contributes to the social construction of reality: it creates a social order and helps to

convey the image of the “other”, and in some cases to solidify “stereotypes” or to confirm a

meaning of normality, thus helping to marginalise certain social categories, such as immigrants.

For these reasons, this paper presents research which gives an account, through sport, of

the relationship between the acceptance of immigrants and secondary school pupils in the

Campania region.

by Gianmaria Bottoni, Giuseppe Masullo, Emiliana Mangone

S

port, like any other cultural practice, actively contributes to the social construction of reality «because sport reflects society and social reali-ty reflects sport culture» (Germano 2012, p. 35). Sport reproduces a given social order – for ex-ample, by observing the rules of the game – in the form of ideals and values specific to a particular group, but not exclusive to it.1 Moreover, we must not forget how sports – both in the past and today – help to convey the image of the “other”, and in some cases to solidify certain “stereotypes” of the “other” or to confirm a given sense of normality, thus

help-ing to marginalize certain social categories, such as foreigners. Contemporary sports are criticized for focusing on competi-tion, efficiency, and the pervasiveness of market logic. Where-as, on the contrary, if sport wants to be an answer to the current problems and concerns posed by differences, it must be guided by the values of well-being, cooperation and tolerance. A new paradigm in sport culture is thus being established, as demonstrated today explicitly in the slogan “sport for all”. A new way of understanding sports which, according to Russo and Meglioli, can be traced back to the 70s with «the invasion of the inclusion of feminine athletes first and foremost, and

(16)

then gradually with that of the elderly, the disabled, and of immigrants who see sport as an active and specific answer to their needs» (Russo, Meglioli 2011, p. 118).

Beyond differences: the inclusion of foreigners through sport

How does one look for a higher-order egalitarian content in sport? In fact, there are already numer-ous cases where sport is used as a means

of stimulating contact with the “other”, helping to overcome certain stereotypes and promoting inclusion and integration processes of those who are different – in this case, of the for-eigner. For example, sports calling for “team spirit” that bring together local and foreign youngsters are good examples of how differences – linked to skin colour, linguistic and cultural diversity, and religious beliefs, etc. – are overcome thanks to the “cooperation” and sense of belonging resulting from the game. This is because sport, in the words of Xavier Medina, «is an in-strument capable of giving identity, of generating identification in individuals and, therefore, of enabling them to participate, also symbolically, in the same reality, to share and feel part of something common; ultimately, to live together» (Xavier Medi-na 2002, p. 22).

Sport activities oriented in this way, are also paramount in pro-moting the fundamental step concerning interaction with the stranger which, according to Mucchi Faina, is needed in order to overcome certain social stereotypes guiding the relationship with the other; namely the transition from the process of “cat-egorization” to that of “identification” (Mucchi Faina 2005). Sports, when oriented towards the integration and inclusion of the foreigner, can oppose the identification process with the

cat-egorization process; the one underpinning the construction of stereotypes and so-cial representations of the foreigner. The identification process is that mechanism which, in taking into account the stranger we are relating to, re-fers to their specific characteristics which emerge during the very interaction with them and therefore those that are not at-tributable to previous schemes and ideas (Masullo 2015). It is no coincidence that the White Paper on Sport (European Com-mission 2007) envisages a set of actions and measures to tackle violence and racism and particularly the racism which still wide-ly exists within the world of sports today. Racism, which in some sporting contexts – such as football, for example – is not only associated with hostility towards the other as a “foreigner”, but also exists as a general feeling of intolerance towards all forms of diversity, as has recently been shown in the news of widespread homophobia in sports. It will therefore be up to the institutions to promote a new conception of sport as a useful tool aimed not only at competition, but also at the promotion of new forms of openness as well as reciprocity towards the foreigner. These ideas – which find wide application in the non-profit world –2 must be more widely spread in the school context, starting with physical education (PE) lessons, which must not only be a fun time, but also a laboratory for testing new forms of citizenship, of open-mindedness and of opposition to discrimination by those presenting themselves as “normal”.

The attitude towards the “stranger” in sports: a case study

Against this backdrop, the present paper analyses the existing relationships between the acceptance of diversity and junior

-0,3 -0,2 -0,1 0 0,1 0,2 0,3 0,4

Intolerance of sexual diversity

Racial intolerance Disability intolerance

Male Female

Fig. 1 - The three indexes by gender

Sport has nothing to do with skin colour Supporters insulting black players are wrong Athletes' skin colour is not important, what matters is their ability

It's not fair for a black player to be part of the Italian national team

I would not care for a black coach

My favourite champion will never be a black one It would bother me to have a black teammate

MEAN

Tab. 1 – How much do

(17)

high school pupils in the Campania region. This territory has been the object of research aimed at analyzing sporting ac-tivities in pre-adolescent subjects, starting with the current literature and, in particular, with the most recent empirical research on the subject (Grimaldi 2011; Pioletti and Porro, 2013). The specific aim has been to verify whether and to what extent certain common misconceptions about the oth-er have roots. The concept of “othoth-erness” is hoth-ere considoth-ered only as “the foreigner”, while the research in its entirety also involved the analysis of disability and homosexuality, and this supposed diversity proves to be a criterion for evaluating the skills and performance of athletes.

The respondents’ age group is of major importance, for it is during this development phase that the value and thought systems of the subjects start to take shape. Numerous studies have shown that the overall level of ethnic prejudice has grad-ually declined since the 70s, and that this decline is due to the apprehension, in childhood and adolescence, of those social norms oriented towards eliminating prejudices and fostering the feeling of tolerance (Brown 2011; Rutland et al. 2005). In-deed, young people, compared with adults, show lower lev-els of prejudice and intolerance against persons perceived as

different (Pettigrew and Meertens 1995; Vala and Costa-Lopes 2010). The debate about teens and prejudice is still open, al-though there is a substantial agreement among scholars that younger subjects are more open to diversity and less prone to prejudice than adults.

The surveyed population is made up of students from the final year of secondary school in the school year 2013-2014 of all sec-ondary schools in the Campania Region. The sampling plan al-lowed us to obtain a representative sample of the population in order to allow the detection of valid information to then answer the cognitive objectives of the project. The gathering of the sample was carried out through a mixed sampling procedure: first a multistage sampling method, which allowed us to identify the municipalities hosting the schools for each province of the Campania region, and then a cluster sampling. This led to us ex-tracting the municipalities (first stage) and then exex-tracting the educational establishments from these groups (second stage). In summary, the sample size was composed of 804 cases: of which 49,6% were male and where the average age was 13. Clearly the analysis will not consider the age of the subjects as an explanatory factor, since, as stated above, the unit of analy-sis is determined by pupils from secondary schools, thus mak-ing it impossible to compare them with older individuals. But an indirect confirmation of the greater openness of youngsters with respect to adults towards persons perceived to be differ-ent stems from an analysis of the answers to a series of ques-tions designed to detect the degree of acceptance of “different” individuals in sports. Considering the open attitude towards diversity in sports makes the survey even more significant giv-en the numerous and constant episodes of intolerance period-ically occurring, mainly on the football pitch, but also in other sports. As we can see in Tab. 1, the statements with which the

respondents tend to agree on more all concern accepting sub-jects of a different skin colour.

The sample is therefore highly homogenized towards a total acceptance of differences as well as individuals with such dif-ferences. But the analysis of univariate distribution does not allow for a reading of the studied phenomenon. Therefore, we employed the multiple factor analysis by applying the meth-od of principal component analysis in order to obtain a less fragmented image. The analysis revealed the presence of three

-,2500000 -,2000000 -,1500000 -,1500000 -,1000000 -,0500000 -,0000000 -,0500000 -,1000000 ,2000000

Intolerance of sexual diversity

Racial intolerance Disability intolerance Low Average High

Fig. 2 - The three indexes by cultural capital

Male Female

Low cultural capital Avg. cultural capital High cultural capital

CLOSED

(18)

components accounting for 43% of the total variance. These components refer to the subjects included in the total batch; in particular, the second one concerns the refusal/acceptance of black people and includes items such as “[m]y favourite cham-pion will never be black” and “[i]t’s not fair for a black player to be part of the Italian national team”. In order to overcome some of the constraints inherent in the technique adopted, we employed the “principal component analysis in two stages” (Di Franco, Marradi 2003). It is a long iterative procedure, aimed at selecting a few clusters of variables identifying the most signif-icant relationships among them and producing a more refined summary of the information. The variables selected by the tech-nique of the two stages were subsequently combined into three indices through the single factor analysis (intolerance of sexual diversity, racial intolerance and disability intolerance). The bi-variate analysis comparing the three indices reveals interesting aspects: women, for example, are the gender with positive val-ues of “intolerance level” with regard to black subjects (Fig. 1).

Also cultural capital – constructed by reducing the space of the attributes of the variables related to the level of education of the parents of the boys interviewed – affects the degree of re-jection/acceptance of diversity: an increase in the cultural cap-ital of the respondents leads to a progressive decrease in the attitude towards “different” individuals. As we can see in Fig. 2, in particular, a low level of cultural capital appears to have

a significantly negative impact on the degree of openness and acceptance of the subjects perceived as different.

The three indexes seen above, obtained through the analysis of the main components in two stages, subsequently helped in realizing a cluster analysis; the technique used is the “non-hi-erarchical clustering with K-means”. The cluster analysis re-veals the existence of two exclusive groups that we might call “closed” and “friendly”. The first one, representing only 16,3% of the sample, shows positive scores (please note that the three indices spot positive polarity in the rejection dimension and negative polarity in the opposite acceptance dimension) on all three indices of rejection/acceptance, thereby showing a clear attitude of narrow mindedness against those individuals identified as “carriers of diversity” (gay/lesbian, black people, the disabled). On the opposite side, the “friendly” ones, which make up 83,7% of the sample, show negative scores on all the indices, thereby revealing an attitude of total acceptance to-wards “different” subjects. This essentially indicates that the three groups of intolerance identified by the principal com-ponent analysis, namely towards black people, sexuality and disability, actually underlie a single general factor of second or-der which could be consior-dered as a general attitude of narrow mindedness / openness towards diversity which influences the three identified sub-groups.

Interestingly, although the sample of respondents was highly prone to display an attitude of acceptance, female students are more willing and open to diversity than male students. Infact, 78% of males fit into the “friendly” category, compared to 89% of girls, while of course the opposite is the case for the “closed” category (22% males vs. 11% females, Tab. 2). Here, too,

cultur-al capitcultur-al emerges as a factor which has significant influence over the attitude of rejection/acceptance of diversity: together with cultural capital, the percentage of subjects belonging to the “friendly” category gradually increases, going from 78,6%

Oltre l’intolleranza

con la pratica sportiva

L

a pratica sportiva contribuisce alla

costruzio-ne sociale della realtà: lo sport riproduce un

ordine sociale e contribuisce a veicolare le

immagini dell’altro, e in taluni casi a

solidifica-re “stesolidifica-reotipi” o a confermasolidifica-re un’accezione di

normali-tà contribuendo a mettere ai margini alcune categorie

sociali come gli immigrati.

Si afferma così un nuovo paradigma nella cultura

spor-tiva, che oggi trova esplicitazione nello slogan lo “sport

per tutti”. In realtà, sono numerose le esperienze che

utilizzano lo sport come mezzo per stimolare il

contat-to con l’altro, favorendo processi di integrazione dei

migranti. Gli sport che richiamano “spirito di squadra”,

unendo giovani autoctoni e giovani stranieri,

costitui-scono dei validi esempi per cogliere come le

differen-ze si annullino, grazie alla “cooperazione” e il senso di

appartenenza che scaturisce dal gioco. Non è un caso

che il Libro Bianco sullo Sport preveda un insieme di

azioni volte a contrastare il razzismo che emerge

forte-mente all’interno del mondo sportivo. Spetterà dunque

alle istituzioni favorire un nuovo concetto dell’attività

sportiva come strumento utile e finalizzato non solo

all’agonismo, ma anche a promuovere nuove forme di

apertura e reciprocità verso l’immigrato.

Sulla base di queste premesse, il contributo presenta

una ricerca che dà conto, attraverso la pratica sportiva,

delle relazioni tra l’accettazione dell’immigrato e i

ra-gazzi delle scuole medie nella regione Campania.

L’o-biettivo è stato quello di verificare se e in quale misura

sono diffusi alcuni pregiudizi sul diverso (soggetti di

pelle nera, gay/lesbiche, diversamente abili), qui

consi-derato solo nella fattispecie dei soggetti di “pelle nera”.

Lo studio ha fatto ricorso alla multiple factor analysis

per la costruzione di un indice di intolleranza. Dai dati

emerge che anche il capitale culturale incide sul

gra-do di rifiuto/accettazione di soggetti di “pelle nera”:

al crescere del capitale culturale degli intervistati

l’at-teggiamento di rifiuto nei confronti di questi soggetti

decresce progressivamente. L’indice ottenuto è servito

per realizzare una cluster analysis che ha prodotto una

tipologia di soggetti basata sull’orientamento di

chiu-sura o apertura verso soggetti di “pelle nera”: i “chiusi”

e i “disponibili”.

(19)

Gianmaria Bottoni

is PhD student in methodology of social sciences at Sa-pienza University of Rome (Italy) and he is visiting scholar at Department of methodology and statistics of University of Utrecht (Netherlands).

Giuseppe Masullo

is a researcher in sociology at University of Salerno (Italy). His research has focused on the disadvantaged situations resul-ting from the interplay of the psychological and social vulne-rability characterizing migration and those relating to gender.

Emiliana Mangone

is associate professor of sociology of culture and communi-cation at University of Salerno (Italy) and she is a director of International Centre for Studies and Research Mediterranean Knowledge.

among those with low cultural capital to almost 90% for stu-dents who enjoy a high cultural capital.

Interestingly, being “closed” or “open” towards having black people as teammates or coaches, or being willing to have them as one’s favourite athletes or not being against them playing in the Italian national team can influence the attitude and val-ues associated with sports. In summary, it can be said that the “friendly” ones concerning the values associated with sports show an attitude more oriented towards respect for others, where sport is not intended as a means of achieving wealth but as a tool for sharing moments with others without the pressure of having to win, or even resorting to illegal means.

The dimension of equality is also of great importance, as well as the power that sports can exercise in dismantling all the differences between individuals through its “homogenizing” effect which sees the eradication of all dysfunctional identities in favour of a common feeling, whose vehicle is sport. Asked whether sport makes people equal, the sample focuses on three response options, “Yes”, “No”, “I do not know”, with a slight prevalence of “No” – 37% “No”, 32% “Yes” – while the rest of the sample does not state an opinion. The equality front is affected not only by gender differences, meaning that boys believe more than girls that sport makes people equal; an opinion held also by teenagers with the lowest sporting capital and those who have a very positive opinion about the benefits of sport. In this regard, those falling into the “friendly” category ap-pear more optimistic, arguing that sport can help erase differ-ences. Indeed, 33% of the “friendly” ones declare that sport makes all equal, as opposed to 23% who think the same in the “closed” category.

Conclusions

The analysis highlighted how students in secondary schools in the Campania region show remarkable levels of acceptance of diversity.

Another interesting aspect emerging from the data is that a higher acceptance level is given to “ethnic” diversity. In other words, if in general the respondents are very open and friendly with regard to all of the three categories analysed (black people, gays/lesbians, the disabled), they appear to be a bit more open to “ethnically” different subjects.

This seems a remarkably important achievement for, by inter-vening with the acceptance of differences, perhaps through specific lessons devoted to the theme of diversity and the re-spect for others, in the future – given that our respondents are secondary school pupils – we will be able to ward off the many incidents of racism and discrimination regularly occurring and which in the most extreme cases – in the form of what we com-monly call “bullying” – often lead to the extreme consequence of death, sometimes self-inflicted, of those who suffer this abuse.

NoTES

1 - As Germano further states: «Sport influences society and vice versa, in the sense of an orderly system of meanings and symbols according to which so-cial interaction takes place, i.e. a precise symbolic order for the ever more active sporting publice» (2012, p. 36).

2 - In this regard, Russo and Meglioli state that «the philosophy of sport re-flects, for all, in fact a universal nature and a solidarity mission legitimately

acknowledged by bodies promoting sport, as associations of social promo-tion of napromo-tional importance» (2011, p. 123).

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