• Non ci sono risultati.

Rappresentazione, schemi, operazioni e concetti nell’opera di Piaget: una riflessione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Rappresentazione, schemi, operazioni e concetti nell’opera di Piaget: una riflessione"

Copied!
24
0
0

Testo completo

(1)

Rappresentazione, schemi, operazioni e concetti nell’opera

di Piaget: una riflessione

JACQUESVONÈCHE EFEDERICOBRAGAILLA

Vi è un’ambiguità profonda nell’opera di Piaget che concerne lo sta-tuto della rappresentazione. Questa ambiguità è, essa stessa, legata allo statuto dell’intero stadio pre-operatorio. In effetti, nel piccolo volume sulla Psychologie de l’enfant apparso presso le Presses Universitaires de France per la prima volta nel 1966 e in seguito ristampato costantemen-te fino al 2001, Piaget e Inhelder non parlano dello stadio pre-operatorio ma, al contrario, di funzione semiotica.

Invece, nei libri precedenti al 1960 e in particolare nei lavori degli an-ni quaranta, Piaget fa riferimento ad un periodo di pensiero simbolico e pre-concettuale che va da 2 a 4-5 anni e parla anche di un periodo di pen-siero intuitivo che va dai 4 ai 7 anni. Nei suoi corsi, alla Sorbona e a Gi-nevra, parla, invece, chiaramente di un periodo pre-operatorio e i suoi al-lievi e amici non perdono ora occasione di parlarne per farne un sotto-stadio del periodo delle operazioni concrete, ora per presentarlo come un periodo di preparazione delle operazioni concrete del pensiero.

Tanto più, tutti gli altri grandi periodi dello sviluppo secondo Piaget si articolano intorno ad una struttura logico-matematica più o meno pre-cisa munita di un’invariante ben definita. È la permanenza dell’oggetto per il senso-motorio e la conservazione per le operazioni concrete con le sue due forme di reversibilità «per inversione e reciprocità», termini dapprima separati che finiscono con l’unirsi in un solo sistema al livello delle operazioni proposizionali, che permette lo spiegamento di un bal-letto delle strutture più complesse le une delle altre e che stanno al pen-siero occidentale come il Kama-sutra sta al penpen-siero religioso indiano.

Lo stadio pre-operatorio non presenta questa struttura logico-mate-matica chiara e precisa.

(2)

met-te in pericolo lo statuto ontologico di questo periodo, l’assenza di conmet-te- conte-nuti e di durata debitamente delimitabili gli dà uno statuto genetico po-co chiaro. E non è tutto: per Piaget lo stesso statuto epistemologipo-co del-la funzione semiotica che egli mette in movimento è anch’esso ambiguo. In effetti, talvolta Piaget considera la rappresentazione come la presenza dell’assenza e, allora, la rappresentazione non può comparire durante lo stadio sensori-motorio; talaltra egli considera la rappresentazione come la manifestazione del significato1. Ora, la significazione è già presente

nel sensori-motorio. Dunque la rappresentazione esiste già nel senso-motorio e quest’ultimo non può più definirsi come il periodo del pensie-ro in azione e soltanto in azione, poiché l’azione è sempre orientata ver-so uno scopo che gli dà il senver-so e la sua pertinenza.

Infine, la rappresentazione, per Piaget, è una specie di Giano Bifron-te poiché coniuga gli aspetti operativi e figurativi del pensiero, In effet-ti, l’operatività è il processo mediante il quale il bambino e l’adolescen-te costruiscono la realtà in quanto conosciuta, mentre la conoscenza fi-gurativa si focalizza sull’aspetto figurale esterno di un avvenimento sta-tico (per opposizione ad una dinamica trasformatrice) caratteristica di un primato dell’accomodamento sull’assimilazione come nell’immagine mentale, la memoria, l’imitazione come dice così bene Piaget in La for-mation du symbole chez l’enfant (1946):

Da ore o da giornate intere, sembra effettivamente che il model-lo percepito esteriormente sia sostituitola un «modelmodel-lo interno»: questo è dunque il prodotto dell’imitazione stessa, o il prodotto della «rappresentazione» in generale, la quale comparirebbe a questo preciso livello e provocherebbe questa trasformazione dell’imitazione come anche di molte altre reazioni nuove (com-parsa del linguaggio e trasformazione dell’intelligenza sensori-motoria in intelligenza concettuale o rappresentativa)?

1I termini di significato e di significazione, spesso utilizzati in francese, non hanno

(3)

Stabiliamo per prima cosa il senso delle parole, in modo di me-glio distinguere le questioni. Si utilizza, in effetti, il temine di «rappresentazione» in due sensi ben «differenti», In senso ampio, la rappresentazione si confonde col pensiero, cioè con ogni intel-ligenza che non si appoggi più semplicemente sulle percezioni e i movimenti (intelligenza senso-motoria), ma piuttosto su un si-stema di concetti o di schemi mentali. In senso stretto, essa si ri-duce all’immagine mentale o al ricordo-immagine, cioè all’evo-cazione simbolica delle realtà assenti. È d’altronde chiaro che queste due sorte di rappresentazioni, ampie e strette, presentano tra loro delle parentele: il concetto è uno schema astratto e l’im-magine un simbolo concreto, ma, per quanto non si riduca più il pensiero ad un sistema di immagini, può darsi che ogni pensiero si accompagni di immagini, poiché, se pensare consiste nel colle-gare delle significazioni, l’immagine sarebbe un «significato» e il concetto un «significato2». Inoltre, è molto verisimile che

ambe-due si costituiscano congiuntamente. È in effetti, in questo stesso sesto stadio che abbiamo notato (N.I. e C.R.) la comparsa della rappresentazione, in senso ampio, nell’intelligenza senso-moto-ria del bambino, mentre constatiamo ora, negli stessi soggetti, la nascita correlativa di un’imitazione differita che suppone almeno la rappresentazione in senso stretto (modello interno o ricordo). Ma è ancora più importante distinguere accuratamente queste due sorte di nozioni, e i due tipi di problemi che vi si riferiscono, salvo collegarne le soluzioni a cose fatte.

Chiameremo dunque d’ora in poi «rappresentazione concettua-le» la rappresentazione in senso ampio e «rappresentazione sim-bolica o per immagini», o semplicemente «simbolo» o «immagi-ni», la rappresentazione in senso stretto. Notiamo ancora, e ciò è fondamentale, che in accordo con la terminologia dei linguisti, dobbiamo riservare il termine di «simbolo» ai significanti «moti-vati», che cioè presentano un rapporto di somiglianza col signi-ficato, in opposizione con i «segni» che sono «arbitrari» (cioè convenzionali o socialmente opposti). Ora, oltre ai concetti e ai simboli, interviene in questo stesso stadio un inizio di impiego dei

2Si veda in particolare il bel capitolo di I. Meyerson su Les images, nella 2a

(4)

«segni», poiché, circa nel momento in cui l’intelligenza senso-motoria si prolunga in rappresentazione concettuale e in cui l’imitazione diventa rappresentazione simbolica, il sistema dei segni sociali appare sotto le specie del linguaggio parlato (e imi-tato). Il problema concerne dunque tre e non soltanto due termi-ni contemporaneamente: concetti, simboli o immagitermi-ni e segtermi-ni verbali (pp. 68-69).

Purtroppo, dopo questa distinzione abbastanza chiara, Piaget non tratta più i suoi concetti con la stessa lucidità e ciò determina una certa confusione nella comprensione del suo pensiero.

Si tratta dunque, per noi, di chiarire i tre termini definiti da Piaget: concetti, simboli o immagini (sottolineato da noi) e segni verbali. Ma si tratterà anche di definire maggiormente che cosa si intenda in generale per rappresentazione in epistemologia.

Il termine di «rappresentazione» ha un duplice senso passivo e atti-vo. Nel suo senso più generale, la rappresentazione è il fatto di rendere presente qualche cosa di assente per mezzo di un intermediario qualsia-si (rem praesentem facere). Questa rappresentazione può avvenire, qualsia-sia attivamente nel senso che è la persona ad essere il soggetto dell’attività ed essa utilizza un mediatore per esprimere ciò che vuole rendere pre-sente, ad esempio, un gesto, una mimica od ogni altro intermediario. Nel senso passivo, è l’intermediario a diventare il soggetto dell’azione. Il mediatore rappresenta la cosa assente: qualche cosa si sostituisce a qual-che osa d’altro. Ad esempio, la carta rappresenta il territorio (senso stret-to) oppure «x» rappresenta l’incognita (senso ampio). Nel senso stretto, esiste una relazione simbolica o per immagini tra il significante e il si-gnificato: la carta presenta una somiglianza col territori, come il bastone puntato sul nemico potenziale rappresenta il fucile. Il senso ampio im-plica invece una relazione arbitraria tra il significante e il significato: «x» può essere sostituito da qualunque altro «simbolo» (si vede già tut-ta l’ambiguità dei termini in questut-ta difficile discussione). Non vi è alcu-na relazione intrinseca tra «x» e l’incognita, come non ve ne è nessualcu-na tra il segno «+» e l’operazione di addizione.

(5)

territorio. Ciò è ancora più vero nel senso ampio in cui «x» significa an-cor più chiaramente l’incognita che non la carta il territorio, poiché ogni relazione di somiglianza tra il significante e il significato è in quest’ulti-mo caso assente. Vi è dunque un’ambiguità nel senso passivo della no-zione di rappresentano-zione.

Quest’ambiguità è stata mantenuta in tutta la filosofia occidentale a partire da Aristotele, dando luogo a variazioni importanti che vanno fi-no al rasoio di Occam che riduce i simboli a puri flatus vocis e a discus-sioni senza fine. È Cartesio con la sua nozione di idea rappresentativa che tenterà di mettere un po’ di ordine in questo guazzabuglio. Per lui, come per Malebranche, lo spirito non conosce direttamente gli oggetti reali ma soltanto le idee che ne sono i segni. Tra lo spirito conoscente e l’oggetto conosciuto la relazione non è immediata ma mediatizzata per mezzo dell’idea che è allo stesso tempo atto dello spirito e rappresenta-zione dell’oggetto. Vi è incommensurabilità tra le cose e le idee: queste rappresentano quelle poiché non ne sono copie.

Leibniz continuerà a pensare la rappresentazione nel senso passivo. È così che la monade rappresenta la totalità dell’universo. Questa capa-cità rappresentativa della monade è duplice: in senso stretto essa è sen-soriale; in senso ampio, è puramente mentale, cioè essa presenta qualche cosa allo spirito senza necessariamente una corrispondenza tra la cosa e un contenuto sensoriale. È quanto i Tedeschi chiamano unanschauliches denken (letteralmente, un pensiero senza sguardo, di fatto, un pensiero senza supporto concreto).

Questa ambiguità semantica condurrà alla necessaria distinzione del pensiero senza oggetto concreto [del pensiero stesso] con supporto sen-soriale in immaginazione da una parte e rappresentazione propriamente detta dall’altra.

Da parte sua, la filosofia britannica continuerà la tradizione cartesia-na di trattare i concetti come immagini, ma con questa differenza crucia-le che crucia-le immagini sono considerate come pallide copie della realtà e i concetti come copie ancora più pallide! La differenza tra un’idea, un’im-magine e una percezione è una pura questione di grado o di gradiente di distanza riguardo alla realtà.

(6)

idee di Hume e anche della teoria dell’associazionismo del XIX secolo, rappresentazione significa molto precisamente pensare per immagini.

La tradizione franco-tedesca ha preso in considerazione, da parte sua, la dimensione idealista della rappresentazione, rappresentarsi cioè qual-che cosa è rendere presente qualqual-che cosa di assente, non invocando una specie di fotografia ingiallita della realtà, ma facendo appello ad un in-termediario che è una categoria propria dell’intendimento [cfr. dell’intel-letto] che esisterebbe a priori e che non sarebbe direttamente causata da un avvenimento esterno.

Ciò non è in definitiva la posizione della psicologia cognitivista an-glosassone o russa. In questa psicologia il sistema di segnalizzazione esterno, cioè un avvenimento qualsiasi percepito nel mondo esterno (che si limita, notiamo, al solo mondo senso-motorio del tipo stimolo-rispo-sta) è sostituito da un secondo sistema di segnalazione, questa volta in-terno, che prende il posto del sistema esterno ma [che] è chiaramente causato dal segnale interno di cui è un semplice sostituto al quale l’or-ganismo reagisce come all’avvenimento esterno, allo stesso modo in cui una persona guardando una fotografia direbbe: «Ah, ma è Federico! Ah, ma è Jacques!». La rappresentazione, in questa prospettiva, non ha nul-la si simbolico: è puramente un segnale. È così che Pavlov, ricordiamo, spiega il linguaggio. Mediante condizionamento riflesso, il bambino ap-prende a sostituire la cosa con la parola Questo secondo sistema di se-gnalazione si sostituirà allora al contatto diretto con la realtà, da una par-te; inoltre, una volta interiorizzato, diventerà il pensiero che non è nien-t’altro che un linguaggio interno. I soli vantaggi del linguaggio e del pensiero rispetto al primo sistema di segnalazione sono la rapidità e la generalità: si dice che i moribondi possano rivedere tutta la loro vita in un istante, ma i viventi possono rappresentarsi una scalata in montagna in un minuto mentre in realtà è durata sei ore. Si possono rivedere tutte le proprie scalate precedenti senza doverle rivivere.

In questa prospettiva, le sole questioni che si è in diritto di porsi ri-guardano la vera natura del secondo sistema di segnalazione: è puramen-te verbale, strettamenpuramen-te per immagini o ancor più radicalmenpuramen-te, non è un gioco di connessioni neuronali, una serie più o meno lunga di relais si-naptici?

(7)

for-mulare le più grandi riserve riguardo ad ogni modello un po’ più com-plesso che faccia appello a sistemi complicati come la costruzione del-l’oggetto permanente, la distinzione saussuriana tra significante e signi-ficati, ecc… Tanto più che l’altra grande teoria, la Gestalt, non ha nien-te da proporre, poiché il suo punto di vista totalizzatore si caratnien-terizza per il postulato di un isomorfismo tra le strutture del soggetto e l’ogget-to sotl’ogget-to la forma di un equilibrio ottimale spontaneo immedial’ogget-to che dà le buone forme percettivo-motorie, per immagini o concettuali. Si sa inoltre che nel suo libro Creative Thinking Max Wertheimer va fino ad affermare che la creatività stessa consiste nella scoperta o l’invenzione (nel senso antico del termine come «l’invenzione» - della vera Croce da parte di Santa Elena) di una migliore buona forma! Si comprende allora meglio il suo entusiasmo per la teoria della relatività di Einstein per la teoria atomica di Bohr che sono le ultime teorie in immagini della fisica moderna.

Certo, la corrente cognitivista americana doveva apportare, a partire dagli anni Sessanta, sotto differenti forme, una allargamento della nozio-ne di struttura e soprattutto della relazionozio-ne tra l’immaginozio-ne interna e il comportamento esterno. È così che, nel loro famoso libro Plans and Structure of Behavior (1960) i tre moschettieri Miller, Galanter e Pri-bram proposero il modello TOTE (test-operate test-exit) come pianifica-zione del comportamento. Bruner (1966) da parte sua, distingueva diffe-renti modi o rappresentazioni del mondo: in azione (enactive) per imma-gini (iconic) o decisamente concettuale, che appaiono successivamente nel corso dello sviluppo.

D’altronde, i cibernetici, gli studiosi di robotica e gli specialisti della teoria dell’informazione sottolineavano, allo stesso tempo, il ruolo cru-ciale svolto dalla rappresentazione nella meccanizzazione o l’elettroniz-zazione del pensiero nella forma di intelligenza artificiale.

(8)

rap-presentazione è concepita come una sedimentazione interna della realtà esterna. Basata sulle scoperte di Hubel e Wiesel in percezione che mo-strano che al livello cerebrale si assiste ad una «compressione» delle im-magini, cioè ad una selezione di certi elementi della realtà a detrimento di altri. Questa posizione dev’essere distinta da quella della teoria della copia. In quest’ultima, l’immagine è una sorta di trascrizione meccanica secondo un algoritmo sprovvisto d’«intelligenza» della realtà. La meta-fora che qui si impone è quella della stenografia. In effetti quando qual-cuno prende delle note stenografiche, questo qualqual-cuno riproduce, parola per parola, la totalità del discorso grazie ad una scrittura che permette di prender nota altrettanto rapidamente del flusso della parola. In cambio, nella teoria attuale, la metafora da seguire è quella del riassunto di un te-sto di cinquanta pagine in dieci. Vi è necessariamente una compressione «intelligente» da fare. Con questa differenza, le due teorie rimangono empiriche nel senso che la conoscenza dipende dall’esperienza empirica del mondo esterno.

Parallelamente a questa tradizione, la corrente comportamentista ha sviluppato una teoria della rappresentazione nella quale il carattere sim-bolico dell’asse stimolo-risposta è messo in evidenza. Per D. Berlyne (1965) si tratta di una serie di risposte simboliche implicite fatte di rap-presentazioni situazionali o trasformatrici. Per Osgood (1952) si avreb-be a che fare con reazioni parziali anticipatrici dello scopo. Per questi teorici le risposte latenti sono equivalenti alle risposte manifeste e pos-sono essere controllate allo stesso modo.

Infine, esiste una terza corrente per la quale il linguaggio verbale è il determinante principale della rappresentazione. Questa tendenza è gene-rato dal positivismo logico per il quale la verità è una questione di buon uso del linguaggio. In questa prospettiva, è il linguaggio ad essere i me-diatore del comportamento, sia sotto la forma di un secondo sistema di segnalazione, sia sotto quella dell’apprendimento verbale.

(9)

costitui-sce l’identità e l’originalità dell’organismo e che gli permette di resistere e di conservarsi nei confronti dell’ambiente mediante tutta una serie di meccanismi omeostatici e omeoretici (per quel che concerne lo sviluppo) permette l’adattamento dell’organismo senza diluizione nell’ambiente. Di conseguenza e molto logicamente questo adattamento assumerà un doppio aspetto. L’aspetto esterno dell’adattamento sarà l’accomodamen-to all’ambiente esterno – il che non è per nulla differente dall’empirismo – mentre l’aspetto interno sarà l’assimilazione dell’ambiente alle struttu-re proprie dell’organismo, a tal punto che innatisti ed empiristi faranno appello a Piaget attraverso un meccanismo di assimilazione senza acco-modamento piuttosto piccante, soprattutto per gli empiristi.

Chi dice struttura interna suppone necessariamente un’attività del soggetto ad anello (feed-back). Di conseguenza, la conoscenza non ha la sua origine nell’attività sensoriale di «registrazione» della realtà ma piuttosto nell’attività effettrice motoria dell’organismo prodotta dalla struttura interna. Questa attività produce degli effetti sensoriali al livello dei recettori, contrariamente a quanto postula l’empirismo. In altri termi-ni, ciò che Piaget ricorda qui, è che occorre aprire l’occhio per vedere! Non vi è dunque conoscenza che nel feed-back tra l’attività motoria del soggetto e la sua risultante recettrice. In più, l’anello (boucle) di retroa-zione è di fatto per Piaget una spirale (la spirale dello sviluppo), in que-sto senso che la retroazione ha come effetto di arricchire la struttura in-terna per coordinazione degli schemi d’azione. All’inizio, la conoscenza è esclusivamente una conoscenza in azione, mediante l’azione e per l’azione. A partire dal momento in cui spostamenti del bambino piccolo nello spazio si coordinano in un gruppo pratico degli spostamenti, si co-struisce un’invariante che Piaget chiama l’oggetto permanente per signi-ficare che l’oggetto esiste e continua ad esistere al di fuori di ogni forma di percezione.

Il cambiamento di prospettiva è radicale: l’oggetto permanente non è più né il prodotto estemporaneo della percezione come esige l’empiri-smo classico, né l’eduzione di correlati come pensa il positivil’empiri-smo logi-co. Ben al contrario, l’oggetto permanente è un puro prodotto logico-ma-tematico indipendente dalle sedimentazioni sensoriali così come dai gio-chi di linguaggio.

(10)

la conoscenza intellettuale prolunga l’adattamento biologico attraverso altri mezzi; 2. ogni forma di conoscenza è il risultato della costruzione di una certa struttura formale; 3. ogni costruzione cognitiva è la risposta ad un problema epistemologico. In effetti, conoscere è adattarsi per mez-zo della dialettica tra assimilazione e accomodamento, la rappresenta-zione risulta dalla costrurappresenta-zione della struttura formale dell’oggetto per-manente in risposta alla questione epistemologica dell’origine della co-noscenza.

Si comprende allora meglio il numero enorme dei lavori che cercano di dimostrare l’esistenza dell’oggetto permanente nel bimbo molto pic-colo. In effetti, l’oggetto permanente definito come invariante del grup-po degli sgrup-postamenti è imgrup-possibile da una parte prima dell’età della mo-bilità e dall’altra solidale di altre attività rappresentative quali il linguag-gio, ad esempio, che appaiono all’incirca alla stessa età dell’oggetto per-manente piagetiano.

Lo schema dell’oggetto permanente costituisce l’oggetto in quanto tale. È il prodotto astratto. È il prodotto astratto della composizione de-gli spostamenti del bambino nello spazio secondo un modo matematico che il grande scienziato francese Henri Poincaré aveva formalizzato già in La science et l’ypothèse. Come tale è il punto di passaggio tra l’intel-ligenza che Piaget chiama sensori-motoria cioè l’intell’intel-ligenza pratica o in azioni e la rappresentazione propriamente detta. In effetti, della sensori-motricità tiene conto del lato pratico in atti esterni, ma in quanto inva-riante è strettamente interiorizzato, cioè non è oggetto che dal punto di vista del soggetto. Si arriva dunque al paradosso seguente: è la soggetti-vità stessa che garantisce l’oggettisoggetti-vità! Questa garanzia è data dall’arco funzionale tra la coordinazione delle azioni del soggetto e la produzione di un’invariante che crea l’oggetto. Allora, l’atto esterno osservabile non è più necessario, tutto può avvenire in maniera interiorizzata così che in questo lungo periodo di sviluppo mentale che va da due a sette anni il nuovo invariante sarà l’immagine mentale.

(11)

man-tiene tutti i termini della struttura in una relazione di inversione esatta e/o di composizione perfetta. L’immagine mentale, per il suo aspetto fi-gurativo non conserva che per eccesso o per difetto. Il suo equilibrio non è né perfetto, né strettamente reversibile. Per il suo carattere operativo, l’immagine è la via regale verso l’operazione, il concetto o il giudizio il cui carattere strettamente operativo è evidente.

La nozione chiave, qui, è quella di schema. Vi è all’inizio, tanto ge-netico che di principio, un’attività spontanea dell’organismo. Grazie al suo incontro con elementi dell’universo questa attività produce un certo risultato interessante per il soggetto o l’organismo. Ogni volta che l’or-ganismo o il soggetto riproduce quest’azione, si suppone (per ipotesi) aspettarsene un certo risultato. Se il risultato previsto non compare, il soggetto, attraverso il duplice meccanismo d’assimilazione e d’accomo-damento, modificherà le proprie azioni in vista di ottenere il risultato at-teso. In effetti, il semplice fatto di riconoscere la nuova situazione costi-tuisce un fenomeno di assimilazione come lo è il fatto di adottare la stra-tegia adeguata e di assimilarla a quella che aveva avuto successo la pri-ma volta. D’altro canto, le modificazioni dell’azione per ottenere il risul-tato atteso rappresentano il polo accomodatore di questo adattamento.

Un tale punto di vista si situa al contrario della prospettiva scelta dal-la Scuodal-la anglo-sassone. In effetti, secondo quest’ultima, è dal-la figura per-cepita ad essere progressivamente o massicciamente interiorizzata in im-magine, mentre, per Piaget, la rappresentazione consiste, al contrario, nell’attribuire la figura percepita ad un supporto sostanziale tale che la figura e la sostanza di cui è così l’indice, continuano ad esistere al di fuo-ri del campo percettivo. È dunque letteralmente rendere presente ciò che è percettivamente assente; il che è la funzione dello schema.

(12)

del-l’oggetto, dunque dualità tra significati: gli schemi pratici i cui contenti sono relativi alle azioni in corso e significanti: i differenti indici percet-tivi come una parte dell’oggetto o la sua repentina scomparsa dal campo percettivo. Se vi è ben dualità, questa dualità rimane indifferenziata poi-ché l’indice non costituisce, come abbiamo vista poco prima, che un aspetto (il biancore del latte) una parte dell’oggetto, un antecedente tem-porale (la porta che si apre per il momento della poppata) un risultato causale (un compito), ecc… Non si è dunque in diritto, a questo stadio, di parlare di funzionamento semiotico propriamente detto.

Invece, non appena s’installa la prima forma di imitazione differita, i primi giochi simbolici, il disegno e soprattutto il linguaggio, vi è una dif-ferenziazione progressiva del significante e del significato nella misura in cui le distanze spazio-temporali e percettivo-significative aumentano. Vi è, d’altra parte, integrazione della relazione significante-significato in un sistema d’insieme coordinatore delle istanze particolari. È così che l’imitazione differita si integra in un sistema di gesti e di mimiche che possono formare il linguaggio dei segni, la pantomima o lo spettacolo degli imitatori di varietà. Allo stesso modo, il disegno è dapprima puro esercizio motorio mediante lo scarabocchio per diventare poi una sorta di stenografia della realtà con segni più o meno convenzionali le strade a zig-zag che si suppongono rappresentare, ad un certo stadio, la pro-spettiva e finire con un disegno accademico che rappresenta le conven-zioni collettive della professione. L’acquisizione del linguaggio è evi-dentemente l’esempio di punta di tutto ciò.

Si comprende dunque meglio che l’immagine mentale in quanto imi-tazione interiorizzata sia l’invariante caratteristica di questo stadio.

Tuttavia, si può considerare che ciò che si conserva nell’imitazione, il gioco simbolico, il disegno e anche il sogno e il linguaggio è l’imma-gine mentale a partire dalla quale queste cinque grandi funzioni semio-tiche si organizza.

(13)

differenti da quelli del modello («non si imita che ciò che si compren-de») ma da proiettare per poterlo imitare.

Nel gioco simbolico, è nuovamente l’immagine mentale a permette-re di vedepermette-re tra l’oggetto permette-reale (la sedia) e il gioco (il cavallo) un’analo-gia tale che lo schienale della sedia, quando ci siede sopra a cavalcioni, possa essere assimilato al collo del cavallo e il piano della seggiola al dorso del cavallo. Ugualmente nel sogno, l’immagine mentale permette di fondere in una entità nuova e irreale (il centauro) le due figure reali dell’uomo e del cavallo.

Il disegno permette di seguire passo dopo passo i progressi di immagi-ne mentale dallo scarabocchio iniziale al realismo pittorico, le convenzio-ni stabilite tra il sigconvenzio-nificato e il sigconvenzio-nificante che vanno dall’accordo mo-mentaneo e totalmente egocentrico degli scarabocchi ad una convenzione socialmente codificato e stabile perlomeno nella cultura occidentale.

Succede la stessa cosa per il linguaggio, dove l’immagine mentale del padre e della madre porta a questa forma di transduzione che, con-fondendo il genere (gli uomini e le donne) con il particolare (papà e mamma) fa chiamare gli uomini papà e le donne mamma in un movi-mento di assimilazione dal concreto al concreto.

Notiamo infine che l’immagine mentale occupa nella serie delle in-varianti un posto intermedio tra la costanza percettiva che è un equilibrio non additivo e la conservazione operatoria propriamente detta. Come la costanza, essa procede per eccesso e difetto (carattere di Gestalt non ad-ditiva) ma, della conservazione essa condivide il carattere di azione in-teriorizzata, non completamente reversibile (con sotto-valutazione e so-pravvalutazione) e solidale di un sistema (la distinzione significante/si-gnificato).

Se si accetta questa prospettiva, la relazione tra percetto, immagine e concetto si chiarisce. In effetti, è attraverso il suo aspetto figurativo che l’immagine rappresenta la cosa conosciuta, l’oggetto di conoscenza, mentre invece la relazione immagine-concetto è l’espressione della di-pendenza dell’immagine riguardo al concetto così come al suo carattere operativo, come non cessiamo di scrivere.

(14)

è una copia della realtà. Qui, è il contrario: l’immagine trae la propria di-mensione figurativa dalle operazioni o dalle infra-operazioni che la pro-ducono. Sempre in termini più semplici: contrariamente a quanto pensa-va H. Taine, il pensiero non è un formicaio di immagini, ma l’immagine il prodotto del pensiero.

Ora, almeno in quest’ultima formulazione, questo proposito suona stranamente idealista quasi hegeliana e anche hugoliana: «ovunque l’Idea avanza» (V. Hugo). Non è il punto di vista di Piaget, poiché egli tenta di collegare i due estremi della catena, purtroppo in un linguaggio anfibologico3. Laddove egli parla unicamente di interiorizzazione,

oc-correrebbe parlare di interiorizzazione e d’internalizzazione, come rac-comandava, in questo periodo, il rimpianto H. Furth (1967). L’interna-lizzazione riguarda il processo per cui i movimenti esterni si attenuano in una forma latente e schematica che viene chiamata immagine. L’inte-riorizzazione deve, invece, essere riservata per il processo di dissocia-zione della forma e del contenuto sotto le sue differenti forme di schemi sensori-motorio, percettivo, pratico, simbolico, intuitivo od operatorio in rapporto ai differenti contenuti.

È in questo senso che la distinzione tra l’immagine come significan-te e il concetto come significato dà senso, poiché pensare equivale a met-tere in relazione significazioni, a coordinare schemi mentali di ogni sor-ta. Basti dire che Piaget, pur apparendo a prima vista a fianco di Wundt e Titchener sulla questione del pensiero senza immagini, sostiene, di fat-to, il punto di vista secondo cui il senso di un’immagine o di un simbo-lo è dato simbo-loro dal suo schema operatorio. L’immagine non è dunque un percetto attenuato, ridotto o meno vivo, ma invece, essa ha la propria struttura dall’interiorizzazione dall’interiorizzazione delle componenti motorie dell’azione in uno schema di corrispondenza tra alcuni avveni-menti sensoriali distali e alcune sensazioni cenestesiche che accompa-gnano l’atto motorio.

L’esempio più significativo di questa messa in corrispondenza è dato 3L’anfibologia è un discorso o espressione contenente un ambiguità sintattica e

(15)

da Lucienne e Laurent Piaget che, prima di giungere ad aprire una sca-tola di fiammiferi già a metà aperta, devono passare attraverso un mo-mento di chiusura e di apertura della bocca come per tastare sul corpo proprio l’azione efficace.

Bisogna inoltre ricordarsi che Piaget si oppone talmente a ciò che chiama «il mito dell’origine sensoriale della conoscenza», che conside-ra i movimenti oculari che sono al centro della sua teoria della percezio-ne (Piaget, 1961) come imitazioni dell’oggetto osservato dal soggetto!

Gli argomenti di Piaget sono essenzialmente tre. Come abbiamo già detto, l’immagine non è una percezione affievolita. In effetti, nessuno può leggere alla luce di un’immagine di una lampada accesa. Esiste un’infinità di percezioni di uno stesso oggetto a seconda delle condizio-ni nelle quali esso è percepito, ma una sola o, in ogcondizio-ni caso, poche imma-gini differenti dello stesso oggetto mostrando allora così l’aspetto di ac-comodamento (e dunque la sua natura imitativa) dell’immagine.

Infine, l’immagine e il percetto hanno genesi molto differenti: il per-cetto è innato, l’immagine mentale appare più tardivamente.

L’immagine e il percetto hanno natura differente: non si possono con-tare le colonne del Pantheon sull’immagine mentale come lo si può fare in percezione.

(16)

Si può dunque concludere che l’immagine è una figura allo stesso ti-tolo in cui un tropo4è una figura stilistica senza la quale non si

potreb-bero dire certe cose, cioè esprimere il proprio pensiero. La rappresenta-zione è dunque un attrezzo di pensiero ma non il pensiero stesso, contra-riamente a quanto pensava l’empirismo.

La cosa più stupefacente in questa teoria della rappresentazione del tutto centrata sull’azione è che essa coincide con alcune scoperte recen-ti della neuropsicologia persino nelle formulazioni. È Berthoz (1993) nella sua Leçon inaugurale al Collège de France che dice che «ogni per-cezione è azione». Ma ogni azione è anche e necessariamente ne o almeno «in-tensione» nel senso di Brentano (….): chi dice intenzio-ne dice anche significaziointenzio-ne, l’aziointenzio-ne ha un senso. Essa è eseguita ver-so uno scopo: il cane di Pavlov non saliva al suono di campanello che in quanto quest’ultimo è assimilato ad un segnale di nutrimento. Non ap-pena questo suono non è più associato dal soggetto (cioè assimilato) al bisogno inerente all’assimilazione considerata (qui evidentemente l’as-similazione di carne per cani) la salivazione consecutiva si ferma.

Tocchiamo qui il nervo scoperto. L’azione sensori-motoria dipende da uno schema di assimilazione che è molto più semplice di un’azione e volontaria, deliberata, ponderata, e pianificata che si sprigiona da un’intenzione differenziata e dunque da un processo di significazione elaborato che fa la distinzione netta tra significante e significato. Al li-vello sensori-motorio, l’intenzione e la significazione dell’azione non riguardano che indici e segnali in un’indifferenziazione tra il significan-te e il significato. Non vi sono due piani come nella rappresentazione ma uno solo all’interno del quale una coordinazione sempre più com-plessa degli schemi pratici di assimilazione e di accomodamento per as-similazione reciproca darà luogo all’invariante logica dell’oggetto per-manente che non esiste che come prodotto del gruppo pratico degli spo-stamenti: avvicinarsi, allontanarsi, restare sul posto, compensare questi spostamenti uno rispetto all’altro (andare e venire) comporre differen-4Un tropo è una figura retorica in cui un’espressione è trasferita dal significato che

(17)

temente le parti di uno spostamento completo, ecc. … Non si tratta che di spostamenti fisici. Una volta interiorizzati, potranno essere l’oggetto di spostamenti in pensiero (essenzialmente in immagine motoria) che grazie alla reversibilità propria del pensiero potranno essere assimilati mediante astrazione riflettente5e generalizzatrice6ad un gruppo

mate-matico e dunque dar luogo ad una formalizzazione completa, totalmen-te astratta e perfettamentotalmen-te deducibile.

5L’astrazione riflettente nell’opera di Piaget si distingue dall’astrazione semplice o

empirica. L’astrazione empirica si compie a partire dagli oggetti percepiti (come astrar-re il coloastrar-re rosso da oggetti diversi che hanno in comune il fatto di esseastrar-re rossi per estrar-ne una (o più) proprietà comuni (il rosso qui).

Al contrario, l’astrazione riflettente o costruttiva è estratta dalle azioni e dalle operazioni del soggetto (ordinare degli oggetti). Ciò avviene in due fasi successive: il processo di rifles-sione (cfr. réfléchissement) e la riflesrifles-sione. Il processo di riflesrifles-sione consiste nella proiezio-ne di una struttura mentale dal livello inferiore (come il gruppo pratico degli spostamenti) su un livello superiore (come il gruppo matematico degli spostamenti) dove questa struttura è esplicitata ed è oggetto di una presa di coscienza da parte del soggetto conoscente.

La riflessione, invece, riorganizza la struttura stessa ad un livello superiore. Per con-tinuare col nostro esempio del gruppo degli spostamenti, la riflessione consiste nel rior-ganizzare una struttura pratica la cui invariante è l’oggetto permanente (cioè un oggetto lontano dai sensi continua ad esistere da qualche parte anche se non è più percepito) in una struttura matematica di gruppo che verifica le seguenti proprietà:

Ogni spostamento risulta in una collocazione che a sua volta forse è spostato per giungere ad un’altra collocazione;

Vi è uno spostamento nullo (rimanere sullo [stesso] posto);

Ogni spostamento ha, di conseguenza, uno spostamento inverso che permette di an-nullarlo;

Poiché il gruppo non può generare che degli spostamenti secondo una regola fissa, ogni spostamento si coordina necessariamente con un altro in modo tale che andare da A a B e da B a C equivale ad andare da A a C;

Gli spostamenti sono associativi (si può andare ad uno tesso punto attraverso percor-si differenti, di cui alcuni sono delle deviazioni, comportamento impospercor-sibile per le galli-ne ma possibile per le scimmie superiori e gli umani, a partire dall’età di due anni). Si sa-rà riconosciuta la struttura di gruppo: insieme di elementi riuniti da un’operazione di com-posizione (4), munito di un elemento neutro (2) e di un’operazione inversa (inversa).

6Piaget distingue due tipi di generalizzazione: la generalizzazione semplice per

(18)

Nel momento in cui si passa dal sensori-motorio che va fino alla rap-presentazione, si osservano differenti cose. Innanzitutto, il passaggio è

dunque una legge speciale in un’altra più generale (come la teoria della gravitazione di Newton costituisce un caso particolare della legge della relatività d’Einstein). Si tratta, qui, di una semplice inclusione formale sprovvista di ogni potenza esplicativa che per-mette ripassare da «alcuni» casi osservati a «tutti» i casi osservati e osservabili. Essa ri-mane dunque empirica.

Al contrario, la generalizzazione costruttivista si accompagna ad un potere esplicativo legato alla necessità delle composizioni operatorie in gioco. La generalità è così costruita e non semplicemente constatata. Questa generalizzazione avviene in due tempi. In un primo tempo, essa genera un primo sistema dal quale prende a prestito certi elementi per costrui-re, per mezzo di nuove composizioni, un secondo sistema che sopravanza il primo e lo com-prende a titolo di caso particolare. Mediante la propria reversibilità (che ne garantisce la ne-cessità superando la realtà dei rapporti strettamente attuali) questa generalizzazione permet-te il duplice movimento di andirivieni tra il primo e il secondo sispermet-tema così che la recipro-cità tra i due sistemi è vera: si può passare dall’uno all’altro a questo livello di costruzione. Un esempio parlante di ciò è la generalizzazione della legge di Newton da parte di quella di Einstein. In effetti, la legge di Newton esprime una relazione direttamente pro-porzionale tra le masse di due corpi di modo che i più piccoli siano direttamente attirati dai più grandi (i sassi lanciati in aria ricadono sempre in terra) e inversamente propor-zionale al quadrato della distanza tra tali corpi (quando il missile è molto lontano dalla terra, non è più attirato, è l’assenza di pesantezza). Ma ciò non è che una legge che espri-me un relazione, in apparenza, puraespri-mente fisica. Il genio di Einstein è stato allora di far emergere la dimensione geometrica della questione. Se i corpi (quelli celesti, in partico-lare) si mantengono ad una certa distanza fissa gli uni dagli altri, se ne può dedurr una certa geometria. Ma quale? Certamente non quella euclidea poiché lo spazio è curvo, né quella topologica, e nemmeno quella proiettiva, le quali sono in stretta relazione con quella euclidea, di cui costituiscono forme inferiori (minori conservazioni). Rimaneva-no ad Einstein due geometrie Rimaneva-non-euclidee: quella iperbolica di Lobatchevsky (spazio a curvatura negativa) o quella ellittica di Riemann a curvatura positiva che corrisponde al-le osservazioni astronomiche dell’universo.

(19)

insensibile poiché va dall’indice, al simbolo e dal simbolo al segno. L’in-dice è ancora del sensori-motorio, il simbolo occupa uno statuto inter-medio, poiché la relazione significante-significato è ancora colma di percezioni; i due piani non sono completamente dissociati. Al contrario, il segno è allo stesso tempo puramente arbitrario e convenzionale. Ciò solleva il problema del senso. In effetti, a questo terzo livello, a causa della completa dissociazione dei piani, il significante diventa effettiva-mente insignificante in sé, non ha più cioè significazione propria come l’aveva ancora il simbolo. Molto semplicemente è diventato un taxi per significati, in altri termini, qualsiasi significato può investire il signifi-cante a seconda delle operazioni mentali che convengono all’operatore. È questa duplice proprietà di arbitrarietà e di convenzione che piace co-sì tanto ai bambini all’età in cui scoprono i giochi linguistici oppure in cui, non conoscendo la parola corretta ne inventano una: il bambino di-rà farfalla per favilla quando guarda dei ceppi nel camino, perché la fa-villa prende il volo come una farfalla. Si può anche ritrovarvi l’origine dell’attività metaforica in azione e non in astrazione riflettente.

Il senso, in questa prospettiva, in un certo qual modo precede sempre se stesso. È impresso al significante dal progetto del suo utilizzatore. Ne conseguono la polisemia e la necessità di mettere in marcia tutta una se-rie complessa di regole per raggiungere l’univocità cercata, ad esempio, in logica o in matematica.

È qui che la comprensione del senso deve biforcarsi: sia, con Piaget, si pensa che il senso e, in ultima analisi, prodotta dall’attività logicizzan-te normativa, sia si considera, ad esempio con Gadamer, che il senso è frutto di un’attività ermeneutica propriamente detta. Si tratta dunque qui di un’opposizione tra calcolo e interpretazione. La questione è vasta e complicata, poiché si tratta di una scelta epistemologica cruciale. In ef-fetti, la scelta del calcolo si inscrive in una sorta di algoritmo applicato alla realtà e dunque un processo di natura meccanica anche se questa meccanica è di natura teleonomica. D’altra parte, se si sceglie il ramo er-meneutico, si ricusa l’univocità del senso è si è allora forzati a districar-si nella pluralità dei sendistricar-si e soprattutto in un’imposdistricar-sibilità di esaurire il senso poiché le cose vanno sempre in tutti i sensi; ciò rende l’operazio-ne aleatoria, vaga e, tutto sommato, dubbia. Che fare dunque?

(20)

l’orga-nizzatore ma di un’organizzazione senza posa ricominciata, cambiata, instabile e sempre in divenire. Nel primo caso, l’ideale è la deducibili-tà completa del mondo, mentre, nell’altro, esso rimane sempre misterio-so, sempre da conquistare, mai acquisito. Ritroviamo qui l’antica oppo-sizione tra «comprendere» e «spiegare». La spiegazione, a sua volta, si suddivide in due forme: la causalità e l’implicazione. Nello stesso mo-do in cui la causalità e l’implicazione sono le due facce della spiegazio-ne, si potrebbe considerare che la spiegazione e la comprensione sono le due facce del senso. La causalità rappresenta la faccia esterna della spiegazione. L’implicazione: la faccia interna. Ugualmente, la spiega-zione sarebbe la faccia esterna del senso e la comprensione la sua fac-cia interna. Sarebbero altrettanto complementari della causalità e del-l’implicazione nella spiegazione. Allora, la rappresentazione avrebbe come funzione mentale di trovarsi alla congiunzione tra il figurativo e l’operativo, da una parte, e la spiegazione e la comprensione. In altri termini, la rappresentazione sarebbe il luogo in cui la realtà si ipostasiz-zerebbe in figura e il pensiero si concretizipostasiz-zerebbe in immagine allo stesso tempo che unirebbe la deducibilità propria della spiegazione alla storicità (necessariamente non deducibile) caratteristica della compren-sione.

Dal momento in cui si accetta una tale ipotesi, la funzione semiotica perde tutto il suo carattere di funzione intermedia tra sensori-motricità e operatività per diventare un periodo-chiave dello sviluppo mentale aprendo così un campo enorme di ricerche empiriche

Summary

This paper first points out several ambiguities in Piaget’s notion of representation, then proceeds to review the status of representation in contemporary psychology as well as its origin in Western philosophy.

(21)

struc-tures to reality (exemplified in imitation). Mental imagery is thus the im-plicit invariant of the semiotic stages of development in the same way as permanent object for the sensori-motor stage and conservation for the operational stage.

Representation is where and when actions become mental acts through images and mental schemes are iconized as play, dreams and imitation.

Résumé

Ce texte signale les ambiguities du point de vue de Piaget sur la re-présentation qu’il considère plus comme une fonction qu’une periode de dévelopment autour d’un invariant, fonction qui est tantôt representati-ve, tantôt significative et qui oscille entre une photographie du réel (aspect figuratif) et une co-construction du réel et des structures menta-les (aspect opératif).

Il a passé en revue les différentes théories de la représentation pour montrer que la psychologie actuelle va d’une théorie de la représentation comme copie mécanique du réel à trois théories nouvelles:

1. une théorie de la compression du réel;

2. une théorie symbolique faite de réponses anticipatoires ou tran-sformatrices;

3. une théorie linguistique de la représentation sous forme, soit de se-cond système de signalisation, soit d’apprenstissage verbal.

En contraste avec ces positions, Piaget conçoit la représentation à partir de sa théorie générale de la connaissance comme processus d’adaptation par accommodation et assimilation dans laquelle la con-naissance n’est pas un simple enregistrement du réel mais une activité effective du sujet connaissant qui construit le réel et ne le copie pas.

A chaque palier de cette construction, le sujet connaissant se construit des invariants comme la permanence et la conservation.

(22)

sensori-motri-ce (aspect figural) en meme temps qu’un prosensori-motri-cessus de la dissociation élémentaire de la forme et du contenu sous forme de schème (aspect opératif). C’est, donc, le schème opératoire qui sous-tend l’image qui lui donne son sens qui est tiré de l’action sensori-motrice en dernière analy-se mais, dans le même temps, l’image analy-sert de soutien à l’action et à l’in-tention et permet l’abstraction. Or cette abstraction a été conçue, soit comme activité logique (Piaget) soit come herméneutiqe (Gadamer). Nous proposons de réunir ces deux aspects en un seul. L’image est le lieu de concretisation de la pensée et l’hypostase du reel.

Riassunto

Questo testo segnala le ambiguità del punto di vista piagetiano sulla rappresentazione che egli considera più come una funzione che come un periodo di sviluppo intorno ad un’variante, funzione che è talvolta rap-presentativa, talaltra significativa e che oscilla tra una fotografia della re-altà (aspetto figurativo) e una co-costruzione della rere-altà e delle struttu-re mentali (aspetto operativo).

Abbiamo passato in rassegna le differenti teorie della rappresentazio-ne per mostrare che l’attuale psicologia passa da una teoria della rappre-sentazione come copia meccanica della realtà a tre nuove teorie:

1. una teoria della compressione della realtà;

2. una teoria simbolica fatta di risposte anticipatorie o trasformatrici, 3. una teoria linguistica della rappresentazione sotto forma, sia di se-condo sistema di segnalazione, sia di apprendimento verbale.

In contrasto con queste posizioni, Piaget concepisce la rappresentazio-ne a partire dalla sua teoria gerappresentazio-nerale della conoscenza come processo di adattamento mediante accomodamento e assimilazione, a partire dalla qua-le la conoscenza non è una semplice registrazione della realtà ma un’attivi-tà effettiva del soggetto conoscente che costruisce la realun’attivi-tà e non la copia.

(23)

accomo-damento (imitazione differita). L’immagine è allora una forma latente dell’azione sensori-motoria (aspetto figurale) e allo stesso tempo un pro-cesso di dissociazione elementare della forma e del contenuto sotto for-ma di schefor-ma (aspetto operativo). È dunque lo schefor-ma operatorio a sot-tendere l’immagine che gli dà il suo senso, questo è tratto in ultima ana-lisi dall’azione sensori-motoria ma, allo stesso tempo, l’immagine serve da sostegno all’azione e all’intenzione e permette l’astrazione. Ora, que-sta astrazione è que-stata concepita sia come attività logica (Piaget), sia co-me erco-meneutica (Gadaco-mer). Proponiamo quindi di riunire questi due aspetti in uno soltanto: l’immagine è il luogo di concretizzazione del pensiero e l’ipostasi della realtà.

Riferimenti bibliografici

Berlyne D.E. [1965]: Structure and direction in thinking. New York: Wiley. Berthoz A. [1993]: Leçon inaugurale. Paris: Collège de France.

Bruner J.S., Olver R.R. & Greenfield P.M. [1966]: Study in Cognitive Growth. New York: Wiley.

Furth H.G. [1967]: Concerning Piaget view on tinking and symbol formation. Child Development, 38, 819-826.

Gruber H.E. & Barrett P.H. [1974]: Darwin on man: A psychological study of scientific creativity. New York: Dutton.

Inhelder B. [1965]: Operational thought symbolic imagery. Monographs of the Society for Research in Child Development. 2, 4-18.

Meyerson I. [1932]: Les images. In G. Dumas (Ed.) Nouveau traité de psycho-logie, t. II: Les fondements de la vie mentale. Paris, Alcan, pp. 541-606. Miller G.A., Galanter E. & Pribram K.H. [1960]: Plans and Structure of

Beha-vior. New York: Holt, Rinehart and Winston.

Osgood C.E. [1952]: Method and Theory in Experimental Psychologie. New York: Oxford University Press.

Piaget J. [1936]: La naissance de l’intelligence chez l’enfant. Neuchâtel et Pa-ris, Delachaux et Niestlé.

(24)

Piaget J. [1946]: La formation du symbole chez l’enfant. Neuchâtel et Paris, De-lachaux et Niestlé.

Piaget J. [1961]: Les mécanismes perceptifs. Paris, Presses Universitaires de France.

Piaget J. [1962a]: Le rôle de l’imitation dans la formation de la représentation. Évolution Psychiatrique, 27 (1), 141-150.

Piaget J. (con B. Inhelder) [1962b]: Le développement des images mentales chez l’enfant. Journal de psychologie normale et pathologique, 59, (1-2), 75-108.

Piaget J. et Fraisse P. [1963]: Traité de psychologie expérimentale. Paris, P.U.F. Salvador L.-L. (2006): Lo schema come istanza del senso. In F. Braga Illa (a cu-ra) A proposito di rappresentazioni. Alla ricerca del senso perduto. Bo-logna, Pendragon, pp. 171-198.

Wermus H. (2006): Operazioni mentali che formano le conoscenze e le creden-ze. In F. Braga Illa (a cura). A proposito di rappresentazioni. Alla ricer-ca del senso perduto. Bologna, Pendragon, pp. 103-135.

Riferimenti

Documenti correlati

[r]

Il χρόνος non è dunque moto d’assorgenza; esso è tale, ossia si ad-stanzia come stabile temporaneità, nella misura in cui quel moto possiede (un) novero

Keywords: primary diffuse large B-cell lymphoma of the central nervous system, induction treatment, MATRix regimen, routine clinical practice, IELSG32 trial.. ª 2020

Il racconto di donne degli anni “delle riforme e dell’apertura”, che hanno caratterizzato la Cina a partire dagli anni Ottanta e fino a tutto il primo decennio di questo secolo,

Methods: ICG technology was adopted in 76 laparoscopic and/or robotic procedures accomplished in a single division of pediatric surgery over a 24-month period (January 2018–2020):

This chapter guides the reader through the different theories of trauma, starting from the more somatic definitions of the term (trauma as a ‘‘wound’’ or a

Lo zero, come ogni altra cifra, ha due funzioni: `e sia una cifra della rappresentazione, al pari delle altre nove, sia un numero a s´e stante, anche pi` u importante degli altri

Si trova scritto sui libri che la notazione posizionale dei numeri e la conseguente strutturazione delle operazioni ha fornito alla matematica quel salto di qualit` a che le