• Non ci sono risultati.

Sisifo 4

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Sisifo 4"

Copied!
48
0
0

Testo completo

(1)

aprile 1985

Editoriale

di Silvano Belligni

c

Quattro numeri interamente finanziati dai proventi pubblicitari, circa quattromila copie di tiratura, un'area di diffusione che tende a travalicare i confini regionali: un bilancio che, pur nella sua modestia, non era affatto scontato allorquando decidemmo di dare all'Istituto «Gramsci» piemontese una voce diretta, capace di raggiungere un pubblico più vasto di quello dei collaboratori, dei simpatizzanti e dei destinatari delle singole iniziative. Un bilancio che evidentemente fa corpo con quello dei dieci anni di vita dell'Istituto e che offre il destro per qualche precisazione e per alcune riflessioni, retrospettive e prospettive.

Va anzitutto ribadito che «Sisifo» non è una rivista, né politica, né accademica: non ne ha il taglio, il

respiro, l'ambizione. Per la verità, nel nostro orizzonte si è recentemente affacciata l'ipotesi di dar vita ad una rivista di public policy che sia in grado di unificare i molteplici settori e gruppi di lavoro al nostro interno. Ma ne riparleremo se e quando si saranno create le condizioni necessarie e sufficienti e avremo radunato risorse bastanti a garantirne qualità e durata.

E tuttavia «Sisifo», pur nei suoi evidenti limiti, ambisce ad essere qualcosa di più di un mero bollettino che burocraticamente dà conto delle iniziative, delle ricerche e dei progetti de1 «Gramsci» di Torino: l'intento, speriamo non velleitario, è di presentarsi come uno strumento agile ed

«efficiente» di comunicazione e di interazione critica con quella parte della comunità scientifica, della classe politica e amministrativa e del pubblico colto interessato

F. Juvarra,

Studio per l'atrio e gli scaloni d'onore,

(2)

M. T. Michela, Atrio e scalone del Castello di Rivoli, olio su tela

ai nostri programmi, da cui attendiamo i feed back necessari a orientare la nostra attività futura. È in questa prospettiva che si colloca la scelta del taglio e deI linguaggio: economia di parole come riflesso di economia di pensiero, «democrazia della comunicazione» nelle poche cartelle a disposizione dei collaboratori, per una intenzionale presa di distanza dai moduli correnti e dallo stile paludato dell'accademia, e soprattutto dal linguaggio cifrato dei politici.

r

iguardo ai contenuti,

vi è chi ha giudicato questi primi numeri eccessivamente eterogenei, privi di un fuoco unificatore. Il rilievo, forse un po' impaziente, chiama evidentemente in causa non tanto «Sisifo», quanto il più generale programma di lavoro dell'Istituto: converrà pertanto valutarlo con attenzione nelle sedi e nei tempi opportuni. Per parte nostra riteniamo che, nella sostanza, i contributi ospitati dal bollettino abbiano opportunamente ruotato attorno a tre assi principali, che si intersecano e si sovrappongono in più punti: (Ghun primo nucleo

problematico è riassumibile nella formula «problemi e prospettive della formazione sociale regionale», indagata a tutto campo e in tutta la sua poliedricità: nelle stratificazioni recenti e remote; nelle ragioni e nei vincoli della sua identità storico-culturale; negli imperativi e nelle sfide poste in essere dalla modernizzazione, nella domanda e nell'offerta di governo e di amministrazione. Il presente fascicolo è interamente dedicato a questo filone di problemi, nell'intento di offrire agli studiosi e agli operatori interessati materiali e supporti metodologici propedeutici ad un lavoro sistematico, che a nostro avviso manca, di riflessione e di interpretazione: (b) un secondo fuoco è

quello della politica democratica, delle sue

chances e dei suoi limiti

esogeni e endogeni; della lenta metamorfosi dei soggetti politici, delle istituzioni rappresentative e di governo, delle procedure e degli stili di azione politica, valutati alla luce di una filosofia pubblica che

incorpori i valori — anch'essi del resto problematici — di una sinistra democratica all'altezza dei tempi. Chi scorra l'indice di questi primi numeri, vi troverà le

tappe di un dibattito tra

filosofi, politici e scienziati sociali che ben si inserisce nella più ampia discussione in corso nella comunità accademica in Italia negli ultimi mesi;

rèjìun terzo settore, anch'esso

Yta coltivato nei primi numeri, ma che intendiamo estendere e valorizzare, è condensabile nell'etichetta

«beni pubblici e politiche I

pubbliche». Esso riguarda più esplicitamente i modi dell'intervento statale, i temi della giustizia fiscale e deI rapporto tra stato fiscale e cittadini, le relazioni tra pubblico e privato, la rivelazione e la soddisfazione delle preferenze dei cittadini-utenti, i problemi della distorsione della domanda e dell'offerta di beni pubblici. Su questa materia, tanto essenziale per una cultura di governo quanto teoricamente negletta, specie (ma non solo) nella sinistra italiana,

vorremmo aggregare, se ci riuscirà, le competenze disperse che esistono e stimolarne di nuove, dentro e fuori del Piemonte.

• punti indicati sopra /B costituiscono da tempo

^ l'ossatura degli indirizzi programmatici

dell'Istituto e sicuramente continueranno nel prossimo futuro a rappresentare punti fermi di riferimento del

nostro lavoro. Su tali progetti chiameremo presto a discutere coloro che lo vorranno, pronti ad operare le necessarie integrazioni e correzioni.

In chiusura di questa già ridondante introduzione, dobbiamo ancora una risposta a quanti hanno visto nell'intitolazione della nostra testata un'anomalia e uno scostamento dalla tradizione

della sinistra: perché «Sisifo» e non piuttosto «Prometeo»?

Scegliendo il nome di «Sisifo» — vogliamo ribadirlo — abbiamo inteso enfatizzare alcune opzioni che riteniamo costitutive del nostro metodo di lavoro e del nostro modo di intendere il rapporto con la politica. Sisifo simboleggia la modestia, la pazienza e la precarietà del lavoro agricolo. Nelle nostre intenzioni l'intitolazione allude ad uno schema di milizia intellettuale disincantato ma non cinico, che rifugge dall'ansia demiurgica dei troppi Dulcamara di turno, ai cui elisir ideologici viene attribuita una infallibile efficacia taumaturgica, ieri per la «classe», la «sinistra» ecc., oggi magari per la « modernizzazione», ¡'«innovazione» e simili. Siamo del tutto consapevoli di non aver nulla di molto prezioso, e tantomeno di esclusivo, da offrire agli uomini: solo un tenace lavoro di organizzazione e di ricerca che peraltro rischia, 10 sappiamo bene, di lasciare 11 tempo che trova. In questo senso il' nostro Sisifo si contrappone non solo e non tanto a Prometeo, quanto piuttosto a Narciso. E tuttavia rivendichiamo pienamente l'autonoma dignità del nostro impegno, che è di stimolo e di aggregazione di idee e di contributi il più possibile universalistici e conformi ai canoni della metodologia scientifica. I politici decideranno successivamente — nella loro autonomia che è speculare alla nostra — se e quando utilizzarli, e che uso farne.

(3)

INTERVISTA

ad Arnaldo Bagnasco a cura di Sergio Scamuzzl

LA NUOVA

PROBLEMATICA

DELLO SVILUPPO

La tua identità di studioso è caratterizzata dal costante impegno che dedichi da anni alle ricerche sulle società regionali.

L'internazionalizzazione crescente dell'economia, l'approfondimento dei processi di modernizzazione sociale e culturale in Italia in questi ultimi anni sembrano però cancellare la specificità delle società regionali (e attenuare il peso di quella nazionale). Chiedo perciò a te se la società regionale mantenga una sua specificità, e più in generale a quali condizioni ne mantenga una.

Dal punto di vista delle scienze sociali, le differenze regionali possono essere viste o come conseguenze di differenze originarie che si prolungano nella società di oggi, o come nuove differenze che derivano dal processo di sviluppo. Le teorie dello sviluppo hanno relativamente sacrificato l'idea delle nuove differenze; 10 sviluppo è stato spesso immaginato come un processo unificante, che tendeva ad assorbire in sé le differenze originarie, ed eventualmente a mantenere in vita il suo contrario, cioè 11 sottosviluppo. Ma si tratta in ogni caso di schemi troppo semplici, che non valgono né per gli stati nazionali, né per le regioni. La conseguenza è che siamo oggi poco attrezzati per comprendere analiticamente le diversità regionali, mentre queste sono volto gli occhi Hi furti Consideriamo in particolare l'Italia, che è un paese fortemente

«regionalizzato». È certamente vero che la nostra economia è sempre più inserita nel contesto internazionale, ma è altrettanto vero che l'economia delle diverse regioni è p r o f o n d a m e n e differenziata; non parlo solo della Calabria rispetto al Piemonte, ma per esempio del Piemonte rispetto all'Emilia, due regioni ad alto livello di

industrializzazione, che però per tipi di imprese, settori di produzione, ma~aficKè organizzazione del lavoro, figure sociali, istituzioni politiche,"relazioni industriali. e cosi via, sono molto diverse fra loro. Da notare che si tratta di diversità che non diminuiscono nel tempo, pur essendo in presenza, in entrambe le regioni, di profondi processi di trasformazione sia dell'economia che della società. Entro certi limiti è possibile comprendere per analogia determinati aspetti della società nei due contesti; ma oltre un certo limite l'uso dell'analogia è

fuorviante: capire come funziona il sistema politico in Emilia insegna poco su come funziona il sistema politico a Torino o in Piemonte.

Proprio su impossibilità di questo genere si fonda la necessità di modelli regionali di analisi. In sostanza, penso sia utile ragionare in termini di formazioni sociali regionali, nelle quali vecchie differenze originarie si combinano continuamente con nuove differenziazioni, identificando società in certa misura specifiche. Resta aperto, ovviamente, il problema dei confini: una regione non coincioe necessariamente con una Regione.

Come queste considerazioni generali aiutano a

interpretare la situazione socioeconomica dell'area torinese oggi? Anzitutto, quali processi di trasformazione economico-sociale in atto ti paiono più gravidi di conseguenze?

Tutti sembrano d'accordo sul fatto che siamo entrati in una nuova fase. Le condizioni originarie alle spalle di questa nuova fase le conosciamo: Torino come società della grande fabbrica, con la sua cultura (più culture in conflitto, ma comunque definite in questo contesto), la sua

conformazione di classe, la sua politica, la sua tradizione sindacale. I nuovi processi: escluderei di usare la parola

deindustrializzazione; crea solo equivoci e non corrisponde al fatto che l'industria continua a produrre, magari più di prima, o al fatto che esistono nuovi ambiti e tipi di produzione. Inoltre, se letta secondo una variante positiva, la parola avvicina all'idea di una società terziaria definita in modo troppo indistinto. In particolare, e anzitutto, non esiste deindustrializzazione FIAT. Al contrario, la FIAT è oggi probabilmente, quanto a struttura di produzione, un'azienda più efficiente; continua a essere un gigante, ma più agile di dieci o venti anni fa: nell'architettura finanziaria,

nell'organizzazione del lavoro, per la tecnologia applicata, nei suoi rapporti con il contesto economico. Bisognerebbe capire bene che cosa è accaduto, ma qualunque cosa sia, sembra difficile interpretarla come crisi, nel senso che di solito si dà a questa parola in economia. Altri settori e imprese sono invece certamente in crisi, ma è anche vero che si è manifestata nuova

(4)

imprenditorialità, anche in comparti ad alta tecnologia. È difficile prevedere che consistenza potranno avere queste realtà produttive in futuro, ma intanto è diventata evidente una nuova possibilità: nel momento in cui, in generale, il fattore strategico della nuova imprenditorialità di piccola e media impresa in molti comparti diventa la

conoscenza tecnologica, esiste nell'area torinese e in Piemonte forse il più grande serbatoio italiano di questa risorsa, per motivi ben radicati nella formazione sociale regionale. Resta poi la questione della terziarizzazione. Anche Torino non fa eccezione, ma circa il tipo di

terziarizzazione si delinea una tendenza piuttosto precisa. Qui è molto importante il terziario connesso direttamente con la produzione: engineering piuttosto che pubblicità, marketing, attività finanziarie. Si tratta di proporzioni relative, in confronto con altre aree avanzate, e possiamo immaginare una maggiore diversificazione nel tempo, sia di servizi all'industria che alla città, ma la concorrenza di Milano è forte e vicina e, da questo punto di vista, Milano è molto diversa. La matrice industriale e produttiva torinese sembra dunque trovare nuovi modi di esprimersi, in circostanze cambiate. A questo punto, evitati per quanto possibile equivoci diretti e indiretti che derivano dall'uso del termine deindustrializzazione, possiamo parlare di disoccupazione. Solo a questo punto va posto il problema, perché si tratta di disoccupazione senza_£psi. L'industria non è scappata versò una «cintura del sole », alla ricerca di condizioni di contesto più favorevoli, lasciando alla spalle la disoccupazione: la disoccupazione sta qui insieme con la nuova industria ristrutturata. Forse è a partire da questo rilievo che possiamo cominciare a capire perché è cosi difficile un'azione politica forte su questo tema, perché possiamo prolungare la finzione della cassa integrazione, perché si manifestano da qualche parte stanchezza, accettazione, finta di non vedere. Forse fra qualche decennio, con il riequilibrio demografico, i conti potrebbero di nuovo tornare. Ma possiamo permetterci di sacrificare una parte consistente di una generazione operaia? Quanto costerebbe in termini di debolezza politica (della funzione della politica), di perdita di identità

(all'interno dell'intera formazione regionale), di immiserimento culturale? L'economia non è in grado di riprodurre da sola gli elementi necessari alla sua integrazione nella società; sarebbe un nuovo corso ben fragile quello che partisse ritenendo necessaria una premessa così distruttiva.

E quali sarebbero le conseguenze più importanti di questi processi

sull'integrazione sociale e sull'azione delle forze politiche della sinistra?

Prima di tutto, la struttura sociale è in cambiamento. Le classi tendono a diventare più composite e più differenziate. Questo apre spazio all'azione politica e richiede maggiori capacità politiche di organizzazione della vita sociale. Può sembrare una contraddizione parlare di maggiori prestazioni politiche quando si è appena detto che è probabilmente crescente, con la maggiore elasticità della FIAT e le nuove piccole j

imprese, il ruolo regolativo |

del mercato. In realtà, tutte' le grandi economie contemporanee sono regolate da una combinazione di differenti meccanismi; e per una formazione regionale a grande concentrazione urbana e industriale, imparare a combinare mercato ~

scambio politico significa sbloccare una situazione che era ìrrigiHita da un eccesso di meccanismi "örganizzatTvT, vale a dlréjregolatida rapportiamministrativi interni a grandi unità pFoduttive~ó burocratiche, con sempre meno controllo sia della politica sia del mercato. In questo contesto, non è semplicemente una petizione di principio dire che la politica ha nuovi spazi di azione, salvo aggiungere che questi spazi se li deve conquistare. Per la sinistra, ma del resto non solo per la sinistra, la difficoltà sta nell'ottenere aggregazioni sociali innovative, in una situazione in cui le figure sociali cambiano e si differenziano. Vorrei fare un esempio che riguarda le strategie nei confronti dei cosiddetti ceti medi emergenti. Avendo in mente un'idea confusa del processo di terziarizzazione, qualcuno giunge alla conclusione che i ceti medi del terziario siano il fulcro della nuova situazione sociale: gli operai diminuiscono e la strategia diventa un asse fra vecchio e nuovo ceto medio, al quale aggregare il resto dei lavoratori dipendenti. Non so cosa possa significare una strategia del genere in una situazione nella quale il

* terziario è effettivamente più presente e più lontano, in molte componenti, dalla produzione, come a Milano. A Torino significherebbe probabilmente mettere a contatto alcune delle forze potenzialmente più innovative con alcune delle più tradizionali (un certo terziario dei commercianti, per esempio), allontanando dalle componenti operaie in trasformazione, che continuano a essere molto presenti. Di fronte a una continuità culturale e strutturale fra produzione diretta e terziario direttamente legato alla produzione, il fulcro non può che trovarsi in senso forte lungo questo asse. Può piacere o meno, ma Torino è una città anzitutto di produzione, e continuerà a esserlo nel prossimo futuro. La sua innovazione culturale si gioca sull'innovazione del lavoro produttivo, e non può concedersi fughe in avanti o di lato. Da questo punto di vista ci aspetta un gioco politico e culturale, come dire, meno frizzante di quello più legato al mondo del saper vendere e del saper spendere, e centrato invece sul rispetto, la

valorizzazione, la tutela del lavoro di produzione, nelle forme che potrà acquistare, di fronte alle nuove professionalità che emergeranno, con i modi di organizzazione e i tempi che le nuove tecnologie consentiranno. Si tratta di un gioco al quale la sinistra non può rinunciare senza perdersi per la strada, e senza il quale la politica di un paese industriale non riesce a esprimere una cultura socialmente radicata. Per finire con una battuta: tempo fa l'avvocato Agnelli ha parlato di Torino come «città di guarnigione»; la sinistra non può non porsi l'obbiettivo di farne una città di produzione che non sia una città di guarnigione.

Di fronte ai problemi delle grandi aree urbane ad elevata concentrazione industriale, spesso le economie locali a

industrializzazione diffusa come quelle della «terza Italia» sono presentate come un modello buono a fronte di un modello cattivo. Della bontà del secondo modello fa parte un buon

funzionamento del mercato che non richiede interventi politici. Tu che hai dedicato molte ricerche a queste aree della terza Italia che cosa pensi di questa

contrapposizione?

Sono d'accordo con quelli che considerano quanto avvenuto nelle regioni centrali e nordorientali un importante processo di innovazione economica', ma

(5)

anche sociale e culturale. In quelle regioni si sono sperimentate forme organizzative della produzione e mutamenti istituzionali Jegni ai mona attenzione, che derivano dall'incrocio fra risorse sedimentate nell'eredità storica e nuove possibilità aperte a livello mondiale alle piccole e medie imprese. Non si tratta di una crescita effimera, ma di un processo che resta attivo a patto di continue innovazioni economiche e sociali. Detto questo, non ha senso un paragone diretto fra quelle formazioni regionali e la formazione regionale a grande concentrazione, intesi come modelli alternativi. Un'economia moderna non può fare a meno di conservare settori ad alta concentrazione di uomini e risorse, anche se cercherà di renderne più elastica l'organizzazione. Né questi settori e il loro mondo sociale possono essere visti come il vecchio rispetto al riguarda, non ho mai smesso piccola impresa come ad una «economia perifèrica >\ —

dipendente da scelte esterne e con capacita strategiche lirpirate Col tempo sono però emerse capacità di autodeterminazione e contrattazione dei propri spazi maggiori di quanto si pensasse all'inizio, come conseguenza anche dì una

società che si è mossa nel suo complesso lungo una strada economica praticabile. È necessario però sfatare un luogo comune, che è alla base di un pesante gioco ideologico. Certamente il mercato è un forte regolatore dell'economia di piccola impresa. Le ricerche mostrano, però, che per farlo funzionare è necessaria una complessa costruzione_ sociale; che lo attivi, To compensi, lo delimiti e, "in questo modo, lo

istituzionalizzi nella società locale. Per quanto possa apparire a prima vista paradossale: esiste il mercato ma non un'ideologia del laissez-faire, lontanissima dalla mentalità e dalle pratiche correnti; per questo aspetto, l'Emilia rossa o il Veneto bianco non sono molto diversi. Fare dunque i riferimento a quelle regioni I per accreditare un

\ neoliberismo che lasci troppo Vspazio di regolazione al

mercato è sbagliato in due 'sensi: perché altri contesti 1 economici hanno bisogno di

altre combinazioni regolative, e perché quelle regioni non sono comunque regolate affatto solamente dal ! mercato.

// Piemonte è un laboratorio di rapporti tra economie urbane ad elevata

concentrazione industriale, come le aree di Torino e

Vercelli, ed economie ad industrializzazione diffusa, come le aree di Cuneo, Asti,

Alessandria e i distretti industriali di Valenza e Biella. H tuo ragionamento di prima può essere applicato alla realtà piemontese e ai suoi problemi di governo? con quali conseguenze sui rapporti tra i vari livelli di governo?

La risposta si riallaccia a quanto detto all'inizio sulla necessità di mantenere un livello regionale di analisi. Certamente esistono aree a industrializzazione diffusa (ovvero di piccola impresa) in Piemonte, come quelle ricordate. Anzi, nella stessa area metropolitana torinese esistono elementi importanti e fra loro integrati di industrializzazione diffusa. La specificità sta nel fatto che qui questa forma economica è inserita in un contesto comprensoriale o comunque regionale dominato dalla grande industria, vale a dire in un contesto economico, sociale, culturale, politico non costruito a sua misura. Ciò crea immediatamente difficoltà nel modo di organizzazione e mediazione degli interessi, nell'accesso alle risorse, nei rapporti con il mercato del lavoro, e cosi via. Quante volte ci siamo sentiti dire che a Torino la piccola impresa respira male? Questa situazione richiede un di più di intelligente azione politica di organizzazione del contesto, che altrove è più

(6)

dato nelle cose. L'esito finale potrebbe però anche essere un sistema di relazioni altamente sinergico; un esempio dei vantaggi che la piccola impresa può avere in Piemonte è la ricaduta tecnologica. L'effetto di sistema implica però che gli attori stiano al gioco, siano disposti a rinunciare a vantaggi sul breve periodo per vantaggi di più lungo respiro, a mettere insieme risorse e strategie per crescite incrociate. Credo che questo non possa avvenire senza la visibilità e un'adeguata rappresentanza degli interessi emergenti. Quest'ultima domanda ha permesso di scorgere la complessità della struttura regionale, e del ruolo delicato della politica in questa. Si tratta di una regione nella quale non si può fare politica con furbizie o randellate sulla testa.

Recentemente sono state proposte aggregazioni territoriali su base

tecnologica, varie tecnocity o tecnopoli, come base di programmazione territoriale. Secondo te, quanto c'è di mito e quanto di realtà?

Dobbiamo distinguere possibilità reali e eventuali usi strumentali. Fare del Piemonte un'area tecnologica forte e innovativa sembra una possibilità concreta. È opportuno che comincino a girare idee complessive e (perché no?) anche slogans con i quali definirle. È probabile che il triangolo Torino-Novara-Ivrea abbia carte più in regola di altre aree. Deve però essere chiaro che, per riuscire, dovrà trattarsi di un grosso impegno collettivo, di una mobilitazione sociale per il controllo in tempi rapidi di risorse disponibili o da acquisire. Perché una pianta del genere attecchisca veramente, ci vogliono importanti innovazioni e sinergie nel sistema delle imprese, sviluppo delle istituzioni universitarie di ricerca e della formazione professionale, ma anche una società che nel suo complesso accetti quel progetto come prospettiva plausibile. L'idea è certo congruente con la matrice produttiva locale e può reggere un'innovazione culturale di grande respiro. Ma questa mobilitazione non possiamo aspettarcela solo dal gioco del mercato e non possiamo pensare che proceda spedita e sicura se si lascia dietro brandelli di società locale allo sbando; lo sviluppo non è un rullo compressore che apre il cammino, al quale tutti automaticamente si

agganceranno: su vasta scala,

il Mezzogiorno insegna. Le inefficienze si riverserebbero presto sulla parte in sviluppo. Perché possiamo immaginare davvero un processo di mobilitazione, dobbiamo discutere su quale tecnologia, come applicata, dove, con quali conseguenze. E dobbiamo farlo insieme al progetto di crescita tecnologica, per non degradare in pochi anni, una seconda volta, la società locale. Per ottenere questo abbiamo molto da imparare da quanto succede nei punti più avanzati dello sviluppo mondiale e anche molto da ripensare e magari da insegnare. Silicon Valley è un esempio impressionante di industria flessibile ad alta tecnologia, che prefigura forse una parte del nostro domani. Non sarebbe male, prima di metterci per la strada, conoscerla meglio, e sapere per esempio che l'organizzazione del lavoro nella valle è tale per cui gli addetti esecutivi per reggere i ritmi di produzione sovente si sostengono con metamfetamine, e questo incoraggia in modo allargato l'uso di droga. Anche per tecnici e imprenditori il ritmo è tale che spesso saltano. Cito una fonte non sospetta: il National Geographic.

Stando all'interpretazione che ci proponi dello sviluppo torinese e piemontese, che cosa dovrebbero studiare i sociologi per capirlo meglio e produrre indagini rilevanti anche per il governo di questi processi? E quali rapporti di collaborazione sono auspicabili con gli studiosi di altre discipline del territorio, come l'economia regionale, l'urbanistica, la geografia?

Come sappiamo, esiste un'importante tradizione di ricerca sociologica nell'area torinese. In questo stesso fascicolo di Sisifo è documentata con una bibliografia, che si estende ad altri ambiti disciplinari e tematici. Nell'introduzione alla bibliografia sono esposte alcune idee su questo patrimonio e sulle indicazioni per il futuro che sembrano derivarne. 11 lavoro da fare è molto e le scelte delle cose da fare richiedono

I discussione. Dal mio punto di vista, mi sembrerebbe prioritario sviluppare le ricerche sul sistema politico locale. Esistono pochissimi lavori che hanno applicato strumenti della scienza i politica e della sociologia

politica alla realtà torinese e piemontese. È possibile che alcune idee preanalitiche che ci facciamo al riguardo siano sbagliate, e comunque incomplete. Mi sembra poi

che dovrebbero essere continuate e sviluppate le ricerche sulle trasformazioni del sistema industriale e dell'organizzazione del lavoro, con un approccio che tenga insieme strumenti di economia industriale, economia del lavoro e sociologia economica. A questo riguardo si deve studiare cosa succede alla FIAT e fuori della FIAT, quanto succede nell'industria e quanto nel terziario collegato. Lo studio dovrebbe arrivare a comprendere le forme di organizzazione degli interessi, del conflitto e della sua mediazione. Con questa seconda scelta di priorità so di sfondare porte aperte. Infine, penso che dovrebbero essere continuate e sviluppate le ricerche sulla società nella città. Qui devono potersi distinguere vecchie e nuove figure sociali, con le loro risorse e i loro modi di vita, le loro mentalità, i modi tipici di interazione e i comportamenti politici. Una città è sempre l'insieme di più mondi sociali, che appaiono ora separati ora connessi fra loro. «A che punto è la notte» di Frutterò e Lucentini è un bellissimo romanzo sociologico, proprio perché descrive una serie di mondi urbani e poi li incastra uno nell'altro. Quante Torino finiremo per trovare? Come vecchi incastri possono spiegare lunghe durate storiche e nuove combinazioni possono costituire risorse per il cambiamento? Quanto agli strumenti da impiegare non metterei limiti pregiudiziali. La bontà dei metodi si misura sui risultati. Non farò neanche un pistolotto finale sull'interdisciplinarietà. ^"Questa è una cosa difficile,

e si ottiene solo lavorando gomito a gomito a ricerche concrete; bisogna organizzare squadre di lavoro a più specializzazioni; ma anche di questo c'è esperienza a Torino.

u

(7)

RICERCHE

RILEGGERE

TORINO

una bibliografia a cura di A. Bagnasco, M. L. Bianco, A. Michelsons, N. Negri

hi si guarda attorno • > per fare il punto sulla

conoscenza che abbiamo di Torino, elaborata con strumenti delle scienze sociali, e prova come prima cosa a chiedere qualche orientamento generale a qualcuno che abbia lavorato su questo tema, è facile che si trovi di fronte a due tipi di risposte: «c'è poca roba», oppure «c'è un mare di cose». Quando poi si comincia a mettere insieme titoli su titoli, diventa presto chiaro che hanno ragione quelli che dicono che c'è un mare di cose; è allora interessante capire perché siano possibili impressioni così polarizzate e cosa possano avere inteso quelli che hanno detto «c'è poca roba».

Una risposta a questa nuova questione può fare

riferimento al fatto che molti lavori appartengono al tipo di produzione che R. K. Merton ha chiamato fonti non convenzionali, perché non strettamente connesse a discipline consolidate; l'argomento ha importanza relativa: molte produzioni non convenzionali sono generalmente considerate importanti per capire Torino, e spesso ricordate. Ancora meno dovrebbe entrarci un giudizio valutativo, che escluda sulla base della qualità: è generalmente ammesso che a Torino esiste -un-imTKTrtante tradizione di

scienze sociali. Una risposta più STgniflrafTVa potrebbe invece avere origine dalla percezione ormai diffusa della necessità di studi che incrocino diversi piani della struttura economico-sociale; riandando con questa idea all'indietro è possibile che ne derivi un'impressione di minor presenza di lavori rilevanti. In sostanza: avremmo molti studi per capire differenti aspetti dell'economia e della società, ma pochi che taglino. trasversalmente p r o e m i a e società, che articolino ditterenti aspetti della prima e della seconda, la politica con le sue basi sociali, l'economia con la cultura. La necessita ai studi in grado di articolare differenti piani del sociale per comprendere una realtà diventata più complessa e diversificata comincia effettivamente a diffondersi. È presente, per esempio, nel bilancio che Barbano ha fatto sulle «Strutture della trasformazione»; è implicito nel disegno complessivo del «Progetto Torino»; risulta dal percorso della ricerca coordinata da Gallino sulla «doppia attività», dove per comprendere un fenomeno collocato fra economia e società diventa necessario espandere il quadro

interpretativo alla formazione sociale. Un altro modo per esprimere questa esigenza è dire che si manifestano resistenze a continuare ricerche settoriali non costruite intorno a un'idea generale della società locale. In queste circostanze, può essere utile ripartire da una ricognizione del già fatto, per provare a valorizzare secondo nuovi schemi conoscenze separate, per scoprire sequenze e trasformazioni, ma anche continuità nel tempo che rivelano una struttura. I problemi che si incontreranno saranno evidentemente tanti, relativi sia alla cumulabilità delle conoscenze sia all'incrocio di materiali disciplinari diversi o alla concorrenza di premesse valutative differenti. Guardare indietro e rimescolare le carte servirà

(

per lo meno a sprigionare immaginazione sociologica.

/

a bibliografia che presentiamo è artigianale. Nasce da esigenze di documentazione preliminare di un gruppo di lavoro, che ha deciso, a un certo punto, di pubblicarla come materiale per una riflessione più allargata. La raccolta si è fermata a 500 titoli (495, per la precisione). I titoli sono stati ordinati in cinque grandi categorie:

1) Economia e industria;

2) Mercato e organizzazione

del lavoro, relazioni industriali, conflitti nell'industria;

3) Demografia, struttura sociale, movimenti, cultura; f 4 ) Città, servizi, consumi;

* 5) Politica e amministrazione.

Si tratta di un insieme di volumi e articoli che certamente .non esaurisce i lavori su Torino che vale la péna riconsiderare, e che presenta magari anche buchi importanti. Tutti i titoli sono comunque di facile reperimento nelle biblioteche. La raccolta riguarda studi piuttosto che fonti di dati, anche se in alcuni casi sono state indicate fonti che sembravano avere anche una portata descrittiva o interpretativa. Il periodo di riferimento va dal primo dopoguerra a oggi e i titoli sono ordinati per

quinquenni; all'interno dei quinquenni, secondo le cinque categorie. II quinquennio è quello corrispondente alla data di pubblicazione, non quello, magari diverso, al quale il testo si riferisce.

I lavori riguardano Torino e Tà provincia e solo per

(8)

riviste o collane particolari, come quelle indicate di seguito, che costituiscono, ognuna nel suo insieme, un riferimento: Quaderni rossiT Classe operaia. Quaderni piacentini. Nuovasocieta,~ Classe, le riviste sindacali e altre riviste a carattere locale. In generale sono sottorappresentati studi e materiali pubblicati su rivjste.

E facile rendersi conto di diversi inconvenienti: le categorie adottate sono alquanto rudimentali, una periodizzazione analitica sarebbe stata preferibile, è arbitrario a volte collocare un lavoro in una sola categoria. La pubblicazione raggiungerà lo stesso un risultato soddisfacente se otterrà di far crescere l'interesse e magari aprire un dibattito sul patrimonio esistente e sulle cose da fare per lo sviluppo aena ricerca.

^mM nche se ancora di tipo artigianale la ^ bibliografia raccolta consente di notare alcune tendenze significative degli studi su Torino e sul suo contesto provinciale e regionale. Si osserva, innanzitutto, che gli studi dj argomento economico (classi 1 e ¿) hanno un notevole peso in tutti i periodi considerati, mentre sono poco sviluppati gli studi sugli aspetti politici e amministranvL Tuttavia,

l'atte li an

pare confmtrarsi

progressivamente sugli aspetti più «sociali» della città (classi j e 4). Nei primi anni '70, poi, gli studi economici e gli studi sociologici hanno peso analogo. Negli anni '80, invece, sono di nuovo largamente maggioritari gli studi di tipo economico e quelli di tipo politologico (classe 5) risultano essere relativamente più

rappresentati che in passato. Nel complesso è proprio in questi ultimi anni che le analisi su Torino paiono disperdersi di più nelle varie classi considerate.

Sicuramente in queste successioni hanno giocato numerosi fattori, non tutti pertinenti in modo specifico il contesto di Torino. Non si può infatti escludere che in esse si sia riflesso l'eco di problematiche più generali di rilievo nazionale e

internazionale; né si può trascurare il ruolo svolto dalle dinamiche interne alla comunità scientifica (tradizioni metodologiche consolidate, crisi

paradigmatiche, emergenza di nuovi campi di analisi a elevato rendimento scientifico, ecc.).

Rimane tuttavia anche a una

8

F. juvarra. Studio per il salone del Castello di Rivoli, schizzo a penna

prima impressione, una notevole aderenza delle tendenze appena sottolineate alle diverse immagini di Torino che si sono via via diffuse nella cultura e nella politica locali, nei diversi momenti di sviluppo, crisi, trasformazione della città. Richiamare tali immagini, può risultare utile per meglio inquadrare la raccolta qui presentata.

/

a maggior accentuazione degli aspetti di tipo economico ancora presente negli studi della seconda metà degli anni '50 risulta congruente con l'immagine di una città il cui futuro pareva dipendere direttamente dalle risorse prodotte dallo sviluppo industriale. Si può ricordare

che tali risorse venivano ricondotte a due tipi fondamentali: quelle economiche relative a un diffuso aumento del reddito pro-capite; quelle culturali, prodotte dalla «solidarietà» fra cittadini produttivi, lavoratori d'industria, «produttori» in prima persona di ricchezza e benessere. L'efficiente impiego di queste risorse, unito a una gestione amministrativa corretta (cioè in pareggio), avrebbe garantito l'innalzamento del livello di consumo degli ex-contadini in fuga dalle campagne — in particolare dei meridionali — costituendo un importante veicolo di integrazione sociale. Per questa via, si sarebbe anche promosso lo sviluppo di una domanda M. Ricci, Il salone del Castello di Rivoli, particolare, olio su tela

(9)

interna a sostegno della produzione in larga scala di beni di consumo durevole. I tratti di questa immagine risultavano rafforzati dagli aspetti « b o o m » dello sviluppo e dalla assenza di conflittualità sindacale. Lo sviluppo di studi sociologici nel corso degli anni '60 si accompagna al complicarsi e allo sfumarsi di questa immagine. L'integrazione fra personalità e processi di

industrializzazione sembra non potere essere garantita in modo duraturo dal semplice innalzamento dei livelli di consumo oltre le soglie minimali delle campagne italiane negli anni '50. La domanda sociale coinvolge anche aspetti più qualitativi di benessere che . richiedono interventi di tino pubblico. 11 bilancio in pareggio non sembra, dunque, più essere un requisito sufficiente per il buon governo locale. Inoltre, le spinte al consumo sembrano tradursi in diffusione delle disposizioni a ricoprire ruoli professionali qualificati più congruenti con i modelli di vita urbana, valorizzati dalle

comunicaaani_di_mass_a. Si sviluppano, quindi, tendenze alla mobilità professionale che risultano incoerenti con le disponibilità in atto e portano alla forzatura dei vincoli posti ai processi di qualificazione e acquisizione di credenziali educative. Il consumismo indotto dai processi di modernizzazione culturale si presenta così come un'arma a doppio taglio: oltre certe soglie esso p u ò f a r _ v e n i r m e n o solidarietà frp prr.Hnt|np i quale risorsa di integrazione del tessuto sociale urbano. Aspettative consumistiche deluse possono essere un importante fattore di conflittualità: a riprova di ciò sembrano collocarsi gli scioperi in occasione del rinnovo del contratto dei metalmeccanici del '62 e i contemporanei «fatti di Piazza Statuto».

Per alcuni Torino viene in questo quadro a costituire lo scenario principale

dell'ultimo atto della organizzazione capitalistica della produzione in Italia, o perché incapace di

promuovere uno «sviluppo equilibrato» del paese nel suo complesso, o perché sede dell'emergere di un soggetto irriducibilmente antagonistico. Per altri, invece, tutto ciò sembra dimostrare che l'integrazione della città può essere garantita solo con un salto nello sviluppo di tipo qualitativo. È necessario che a Torino si sviluppino adeguate infrastrutture e servizi terziari, capaci di

soddisfare la domanda di benessere e di assorbire l'offerta di forza-lavoro qualificata.

5

econdo una prima variante tecnocratica di questa prospettiva, l'industria sembra ancora svolgere il ruolo di volano principale dell'allineamento delle città agli Standards tipici delle metropoli europee: nell'immagine che se ne fanno i soggetti, contano non solo le sue potenzialità produttive in senso stretto ma, soprattutto, quelle di ricerca e di innovazione, le sue capacità di fornire servizi interni e di promuovere lo sviluppo di attività terziarie avanzate, il suo bisogno, infine, di infrastrutture adeguate e di una riorganizzazione efficiente della distribuzione. Negli anni '70, tuttavia, questo quadro viene ulteriormente ridefinito. Le risorse fornite dall'industria cominciano ad apparire inadeguate ad affrontare la complessità delle

problematiche territoriali, che vanno emergendo. Anzi, nelle strettoie di una crisi in parte provocata da variabili esogene, la stessa struttura industriale della città pare compromessa dalle strozzature derivanti dalle sue precedenti fasi di sviluppo, come si diceva allora «selvaggio». Cresce il consenso politico attorno all'idea che il pubblico assuma un ruolo trainante nello sviluppo della città. È la risorsa dell'intervento pubblico pianificato che può garantire il superamento dei gravi squilibri dello sviluppo urbano (risanamento delle aree degradate, promozione di servizi socio-sanitari adeguati, ecc.) e ricreare le condizioni della ripresa economica (adeguate politiche di formazione professionale, incentivazione a una rilocalizzazione più razionale delle imprese, interventi sul mercato del lavoro, ecc.). Molti studi sui problemi economia e sociologici si sviluppano sia per dare un supporto conoscitivo adeguato all'attività pubblica di pianificazione, sia per mettere in evidenza le condizioni sociali e politiche éntro le quali questa attività" si colloca"

0 n questa prospettiva ¿ m molte analisi sulla città

si concentrano, nella seconda metà degli anni '70, su aspetti attinenti al mercato del lavoro, elaborando rimmagine della città-fabbrica in crisi, caratterizzata dalla comparsa della disoccupazione e della cassa integrazioni

Ancora in questa prospettiva i processi di decentramento produttivo sono visti soprattutto come rivolti al semplice contenimento del costo del lavoro e alla flessibilizzazione dell'impiego di manodopera, in sintonia con l'andamento del ciclo congiunturale.

Agli inizi degli anni '80, la maggior dispersione degli studi sui vari argomenti di tipo economico, sociologico e anche politologico sembra

(

corrispondere alla maggiore complessità delle immagini correnti di Torino. I fattori di questa complessità sono molteplici. Mentre viene ribadito il ruolo dei governi locali, il pubblico da risorsa per la risoluzione dei proplemi della citta appare esso stesso costituire un "problema e diventa oggetto

di ntlessione politologica. Alla__problematizzazione del ruolo del pubblico hanno" in termini di efficacia è J efficienza, incontrate dagli interventi puDDlicl progfamTnatT, sia la visibile "cftsrTti inulte ii,tanzs~aì

organizzazione della azione collettiva: prime fra tutte quelle facenti capo al ~

s i n d a c a t o

Anche le idee sull'economia cambiano. Le pratiche di resistenza alla crisi e l'emergere di un tessuto di nuove piccole imprese attirano l'attenzione sul ruolo del mercato come momento di rivitalizzazione dell'economia. Al tempo stesso c'è chi scommette sul ritorno della centralità della grande industria

tecnologicamente avanzata e dei settori più moderni del terziario privato,

nell'assegnare a Torino un ruolo di leadership internazionale.

La sequenza di immagini che abbiamo provato a

tratteggiare potrebbe indicare il passaggio della città da una situazione semplice in da poche variabili strategiche (connesse alle conseguenze positive e negative della presenza dello sviluppo della grande impresa

manifatturiera: la città-fabbrica), a una situazione

complessa in cui molte sono

le variabili in gioco e diversi i fattori di strutturazione. Dalla rilettura retrospettiva delle analisi sulla città potrebbero, però, anche emergere spunti tali da suggerire che l'intreccio delle variabili che hanno condizionato lo sviluppo della città-fabbrica sia stato, fin dall'inizio più complesso. La riduzione dell'attenzione a poche variabili strategiche settoriali potrebbe dipendere, piuttosto, da cortocircuiti analitici conseguenti a carenze dei modelli

(10)

Un pannello del pavimento in legno comune a tre sale del secondo piano, prima e dopo il restauro interpretativi utilizzati. D'altro canto l'attribuzione di questi riduzionismi analitici a pure difficoltà teoriche produrrebbe una spiegazione storicamente carente. Resta il fatto che le immagini richiamate e molti degli studi, che a esse hanno aderito e contribuito, hanno consentito l'articolazione di discorsi che trovavano un riscontro pratico nell'azione dei soggetti che interagivano nel contesto urbano. Allora l'attuale

moltiplicazione dei discorsi sulla città potrebbe indicare la difficoltà di trovare campi di azione praticabili secondo strategie delineate.

^ su dove rTrirtirf p " j J attrezzare nn ramny t / t y di ricerca sulla società

torinese.'

Anche oggi buona parte del dibattito scientifico e politico ruota attorno a un polo unitario, rappresentato dal concetto di crisi. Per varie ragioni, tuttavia, questo non può essere considerato un buon principio ordinatore della realtà sociale: è fortemente ambiguo senza ulteriori e specifiche definizioni e, comunque un processo di crisi ha effetti contraddittori e molto diversificati a seconda dei soggetti e degli ambiti in cui si manifesta.

Quando, a esempio, si parla di crisi economica, facendo riferimento alle molte migliaia di lavoratori in Cassa integrazione, espulsi dalla Fiat o da altre grandi aziende — o ai disoccupati

tout court — non si fornisce

alcuna chiave di lettura e comprensione di ciò che avviene negli altri pezzi della

società e di come si trasformano le relazioni che tengono insieme e, dunque, definiscono, quei pezzi. Lo stesso vale anche per il concetto, oggi di moda, di de-industrializzazione, usato spesso, impropriamente, come sinonimo di riduzione dell'occupazione industriale. Troppo poco, evidentemente, per spiegare «come funziona la società». La riduzione dell'occupazione industriale può essere effetto di una contrazione reale della capacità produttiva, ma, in altri casi, di trasformazioni organizzative o tecnologiche del modo di produrre e, conseguentemente, di certe regole e rapporti sociali. Una delle interpretazioni più utili di de-industrializzazione è quella che la assimila alla terziarizzazione, concetto che, tuttavia, è altrettanto polivalente. Terziarizzate sono le città del

sottosviluppo che drenano, scambiano e consumano risorse prodotte altrove, ma anche molte città

statunitensi, ove vengono prodotti servizi e idee da vendersi ai paesi industrializzati. Anche in riferimento a Torino il concetto non sembra avere significati univoci. Per esempio, da alcuni viene usato alludendo all'espansione di un settore tradizionale, caratterizzato da alta intensità di lavoro a bassa qualificazione e da forme di rendita, mentre tutti i dati disponibili indicano concordemente una robusta crescita di settori moderni di servizio alle imprese.

Su un piano di maggiore astrazione, per descrivere e, talvolta, spiegare alcuni importanti fenomeni sociali contemporanei, viene spesso richiamato anche il concetto di ingovernabilità. Secondo molti la società presenterebbe oggi gravi problemi di ingovernabilità, in quanto diventata progressivamente sempre più complessa. Come è stato fatto notare da altri, però, questo è un uso riduttivo dei concetti: porre l'accento esclusivamente sulla

varietà delle parti e non,

anche, sulla loro

differenziazione funzionale e

sulle relazioni che fra esse intercorrono, non consente di considerare le risorse di auto-controllo e, in ultima analisi, di maggiore governabilità connesse con la complessità.

anche con tutta evidenza dalle considerazioni fatte dei termini di

de-industrializzazione e crisi. Emerge, dunque, l'urgenza riduttivi, che siano in grado di render conto della formazione di complessi campi di strutturazione delle pratiche sociali in atto. Questo indica come via praticabile per la ricerca un riferimento alla formazione

sociale territoriale, vale a

dire a un approccio complessivo alla società locale, per descriverne l'articolazione in parti distinte e, insieme, spiegarne il funzionamento e le tensioni, attraverso l'individuazione delle interazioni, o scambi di risorse materiali e simboliche.

In questo contesto analitico, più che alla struttura di classe, l'attenzione è rivolta ai processi di strutturazione delle classi, che avvengono attraverso meccanismi di formazione e riproduzione delle interazioni che definiscono gli attori sociali. Tale analisi investe direttamente i processi attraverso i quali la società acquista complessità strutturale e istituzionale, anziché riguardare i mutamenti dimensionali di classi che rimangono sempre uguali a se stesse nel tempo. Dal punto di vista delle logiche di funzionamento della società, diventano rilevanti i meccanismi di composizione e integrazione generati dai sistemi delle interazioni sociali e, in quest'ottica, lo studio del rapporto tra economia, politica e cultura risulta costitutivo e non teoricamente scontato, l a collaborazione interdisciplinare che un approccio di questo genere richiede non si veHe facilmente. Potremmo già aspettarci molto da lavori che, pur usando strumenti disciplinari specifici, nei rispetti vi_campi, mantenessero, tuttavia, un'intenzione ncostruttiva di questo genere.

Ì

a possibilità di immagini così differenziate della complessità suggerisce la necessità che qualsiasi programma di ricerca empirica sia accompagnato da un forte impegno teorico. Questo, del resto, risultava 10

(11)
(12)

BIBLIOGRAFIA

12

1955-1965

1. Economia, Industria

Abrate M.

Ricerca sullo sviluppo industriale in Piemonte, negli ultimi 100 anni

'm.L'economia italiana dal 1861 al 1961

Giuffré, Milano 1961 Camera di Commercio di Torino

Relazione sulla situazione economica della provincia di Torino 1958-1962

IRES

Panorama economico e sociale della Provincia di Torino

Torino 1959 IRES

Struttura e prospettive economiche di una regione

Giuffré, Milano 1962 IRES

Situazione economica nel Piemonte, con particolare riguardo agli effetti dell'attuale congiuntura

Torino 1965

Istituto Ricerche economiche e sociali Aldo Valente

Panorama economico e sociale della Provincia di

Torino

Torino 1959 Nobis E. Il governo

invisibile Edizioni di Cultura

sociale, Roma 1955 PCI, Federazione torinese

Tendenze e contraddizioni dello sviluppo di Torino

Torino 1962 Provincia di Torino

La provincia di Torino nel quadro dello sviluppo regionale

Atti del convegno, Torino 1961

2. Mercato e organizzazione del lavoro, relazioni industriali, conflitti nell'industria

Anfossi A.

Gli impiegati dell'industria e le trasformazioni tecniche e organizzative

in: Lavoratori e sindacati di

fronte alle traformazioni del processo produttivo a cura di F. Momigliano, Feltrinelli, Milano 1962 Associazione Piemonte-Italia La formazione professionale in Piemonte Torino 1964 Barbano F., Gallino L. Commissioni interne e progresso tecnico

in: Lavoratori e sindacati: di

fronte alle trasformazioni de! processo produttivo

a cura di F. Momigliano, Feltrinelli, Milano 1962 FIOM

Le proposte FIOM per un contratto integrativo aziendale «FIOM»

Novembre 1959 FIOM

Il convegno sulla Fiat

« F I O M » , febbraio 1960

IRES

Le regioni serbatoio e le regioni bacino di manodopera dei poli piemontesi in base alle linee isocrone

Piano di sviluppo del Piemonte, Quaderno n. 7, 1963

Rosa B.

Aspetti dell'attività femminile in Piemonte

CAFT, Torino 1962

3. Demografia, struttura sociale, movimenti, cultura

Anfossi A.

Differenze socio-culturali tra gruppi piemontesi e meridionali a Torino

in: Immigrazione e industria Comunità, Milano 1962 Bonazzi G.

Alienazione e anomia nella grande industria. Una ricerca sui lavoratori dell'automobile

Edizioni Avanti, Milano 1964

Centro Studi Enrico Mattei

Meridionali a Torino: una presenza civile

Napoli 1965 Città di Torino

Lo sviluppo della

popolazione nel territorio del P.R.I. Torino 1961 Consiglio Provinciale a Torino Urbanesimo e migrazione interna

Officina Grafica Panelli Torino 1958 CRIS Torino L'immigrazione meridionale a Torino Torino 1961 Dematteis G. La popolazione di Torino e della cintura

«Bollettino della società geografica», n. 9-10, 1964 Eofi G. L'immigrazione meridionale a Torino Feltrinelli, Milano 1964 (1* ed.) Gabert P.

Turin, ville industrielle

P U F , Parigi 1964 IRES

Studio preliminare sulle migrazioni

Piano di sviluppo del Piemonte, Quaderno n. 2, 1963

l IRES

' Immigrazione di massa e

struttura sociale in Piemonte

Piano di sviluppo del Piemonte, Quaderno n. 15, 1965

Minucci A., Vertone S.

Il grattacielo nel deserto

Editori Riuniti, Roma 1960

4. Città, servizi, consumi

Abrate M.

Popolazione e benessere a Torino nell'ultimo decennio

«Cronache economiche», n. 253-254, 1964 Camera di Commercio di Torino

(13)

Ricerca sulle residenze e i trasporti degli addetti all'industria torinese

IRMAR, Roma 1963 Città di Torino

La localizzazione delle industrie nella cintura di Torino (1951-1959)

Torino 1959 Città di Torino

La scuola elementare. La scuola media inferiore

Torino 1962

Cominotti R., Garavini S.

Occupazione, redditi, consumi in un grande centro industriale

Milano 1961 IRES

I centri della cintura torinese: Settimo Torinese

Torino 1959 IRES

I centri della cintura Torinese: Rivoli

Torino 1959 IRES

La localizzazione delle industrie nella cintura di Torino

Torino 1962 IRES

Ricerche sulla struttura sociale e sui consumi familiari: progetti e metodi

Piano di sviluppo del Piemonte, Quaderno n. 6, 1963

Politecnico di Torino

Una ricerca sul mercato delle aree e degli alloggi in una grande città Torino 1965 5. Politica e amministrazione Bonazzi G. Problemi politici e condizione umana dei funzionari del PCI

«Tempi moderni», n. 22, 1965

IRES

Le politiche e gli strumenti per l'attuazione del piano regolatore intercomunale di Torino

Torino 1962 IRES

L'attività finanziaria dei comuni del piano regolatore intercomunale di Torino

Torino 1962 IRES

Gli strumenti per la programmazione regionale: l'Istituto Finanziario per lo sviluppo regionale

Piano di sviluppo del Piemonte, Quaderno n. 14, 1965

1966-1970

1. Economia, Industria

Associazione Piemonte-Italia

Gli investimenti in Piemonte da1 1954 al 1966

Torino 1967

Associazione Piemonte-Italia

Aree socio-economiche del Piemonte. Criteri di individuazione e analisi statistiche Torino 1970 Associazione Piemonte-Italia La distribuzione al dettaglio Torino 1970 Fondazione Einaudi

Nord e Sud nella società e nell'economia italiana di oggi

Atti del convegno, Torino, 30-3/8-4 1967

Fondazione Einaudi, Torino 1968

IRES

Rapporto per il piano di sviluppo regionale piemontese

Piano di sviluppo del Piemonte, Quaderno n. 20/a,b,c,d, 1967 IRES

Rapporto dell'IRES per il piano di sviluppo del Piemonte

Torino 1967 IRES

Esplorazione di alternative di sviluppo del Piemonte al 1980

U R P P , Torino 1969

2. Mercato e organizzazione del lavoro, relazioni industriali, conflitti nell'industria

FIOM-Torino

La lotta alla Fiat. Un documento sugli accordi

Torino 1969 Gianotti R.

Lotte e organizzazione di classe alla Fiat, 1948-70

De Donato, Bari 1970 Lusso G.

La distribuzione territoriale dei pendolari della Fiat in Piemonte

«Cronache economiche», n. 329-330, 1970

Manifesti della lotta di classe

Operai e padrone alla Fiat

EDP, Verona 1969 Novelli D.

Dossier Fiat

Editori Riuniti, Roma 1970 Novelli D.

Spionaggio Fiat

Editori Riuniti, Roma 1970 3. Demografia, struttura

sociale, movimenti, cultura

AA.VV.

La nuova ondata migratoria degli anni '70

«Cronache di Palazzo Cisterna», n. 3, 1969 AA.VV.

Une ville clé de l'Europe

AEDA, Turin 1969 Adamo F.

Recenti variazioni demografiche e loro riflessi nell'agglomerato torinese

Torino 1969

Associazione Piemonte-Italia

Piemonte ne! 2000. La dinamica demografica del Piemonte dal 1861 al 2001

Torino 1967

Camera confederale del lavoro di Torino

Dibattito sui problemi dei lavoratori studenti

Torino, maggio 1970 Golzio S.

Alcune modificazioni nelle caratteristiche demografiche della provincia di Torino

«Cronache economiche», n. 4, 1968

Golzio S.

Qualche considerazione sulla variabilità dei tassi di natalità in provincia di Torino,

in: Atti della XXIX riunione

scientifica della Società italiana di economia, demografia e statistica

Torino 8-10/2, 1968 Guarini R.

Alcuni aspetti della dinamica demografica in Piemonte

«Cronache economiche», n. 332-333, 1970 IRES

Metodi e risultati della proiezione demografica per il piano regionale piemontese

Torino 1968 Pellicciari G.

L'immigrazione nel triangolo industriale

Angeli, Milano 1970 Provincia di Torino

La condizione operaia e i problemi del lavoro nella provincia di Torino

Torino 1968 Provincia di Torino

Il movimento migratorio in Torino e nella sua cintura

Risultanze del convegno del 1° luglio 1969

Farneti P.

Imprenditore e società

Edizioni L'Impresa, Torino 1970

4. Città, servizi, consumi

Alunno F. Considerazioni sulla localizzazione industriale in provincia di Torino «Cronache economiche», nn. 317-318, 1969 Associazione Ospedali Piemontesi La programmazione ospedaliera per il Piemonte

Torino 1969 Dematteis G.

Torino dai borghi alla cintura

«Torino», n. 2, 1969 IRES

Studio per il piano di interventi della Provincia di Torino. Primo rapporto: situazione scolastica e prime indicazioni operative

Torino 1966 IRES

Considerazioni sul piano per le costruzioni ospedaliere proposto per il Piemonte

Torino 1968

(14)

IRES

Studio per gli insediamenti universitari in Piemonte

Torino 1968 IRES

Problemi e strumenti della politica dei trasporti a livello regionale

Torino 1969 IRES

Linee per un piano di sviluppo ed organizzazione dell'attività sportiva nella Provincia di Torino Torino 1970 ISPES Il ruolo dell'intervento pubblico nell'edilizia (1908-1970) Torino 1970 5. Politica e amministrazione Città di Torino

Le finanze de! comune di Torino dal 1955 al 1970: un 'analisi statistica preliminare

Torino, 16-11-1970 IRES

Lineamenti di una società finanziaria per lo sviluppo economico e l'assetto del territorio regionale

Torino 1969

1971-1975

1. Economia, Industria

Associazione Piemonte-Italia

Il volto del Piemonte

Torino 1972 Città di Torino

Situazione economica: parte generale, settore tessile, edilizio, dolciario

Torino, marzo 1971 FIAT

Cenni storici. Stabilimenti, impianti, produzioni. Organizzazioni, istituzioni ed opere sociali

Torino 1973 FIAT

Le capitali dell'auto nel mondo EDA, Torino 1974 F I A T La Fiat in cifre Torino 1975 Gianotti R.

Automobile: crescita zero

De Donato, Bari 1973 Giromini L.

Il processo di concentrazione industriale e spaziale nell'area metropolitana torinese nel secondo dopoguerra

Torino 1973 IRES

Rapporto preliminare dell'IRES per il piano di sviluppo del Piemonte

1970-75 Torino 1972 IRES L'industria tessile Torino 1973 IRES

Analisi della domanda automobilistica

Torino 1973 IRES

Rapporto dell'IRES per il piano regionale 1974-78

Torino 1974 IRES

Il settore delle fibre chimiche

Torino 1975 IRES

I! settore dei beni strumentali in Piemonte

Torino 1975 IRES

Quadro di riferimento per il piano regionale 1976-80

Torino 1975

Istituto Gramsci Torino

Struttura industriale in Piemonte e problemi delta trasformazione nella crisi italiana

Atti del convegno, Torino, aprile 1975

Istituto Gramsci Torino

Linee generali di un progetto di ricerca su «natura e crisi di un modello di sviluppo»

Torino 1975 Libertini L.

La Fiat negli anni '70

Editori Riuniti, Roma 1973 Libertini L.

La questione Fiat: rapporti fra la grande impresa

motrice e la piccola e media industria

in: La piccola e media

industria nella crisi dell'economia italiana

a cura di Istituto Gramsci-CESPE, Editori Riuniti, Roma 1974 Orsini E. Sviluppo economico, diversificazione e decentramento in Piemonte Torino 1975 PCI Il Piemonte nell'economia italiana

Atti del convegno, Torino 1971

SITECO

Localizzazione delle unità produttive industriali nel comune di Torino

Torino 1975 SORIS

Piemonte, area forte del Sud Europa

Boringhieri, Torino 1971

2. Mercato e organizzazione del lavoro, relazioni industriali, conflitti nell'industria

Alquati R.

Sulla Fiat e altri scritti

Feltrinelli, Milano 1975 Bonazzi G.

In una fabbrica di motori

Feltrinelli, Milano 1975 Città di Torino. Assessorato al lavoro ed ai problemi sociali

Indagine sulle iniziative di formazione professionale nel

Comune di Torino

Torino 1973

* Deaglio E. (a cura di)

La Fiat com'è

Feltrinelli, Milano 1975 Diamantini C.

La distribuzione territoriale della manodopera nell'area torinese

«Urbanistica», n. 61, 1973 FIAT Direzione

organizzazione

Politica organizzativa del decentramento

Torino 1973 FLM Torino

Note sulla lotta nel settore delle macchine utensili e dei beni strumentali

«Esperienze sindacali», n. 6, 1974

Guidi G., Bronzino A., Germanetto L.

Fiat, struttura aziendale e organizzazione dello sfruttamento

Mazzotta, Milano 1974 Imazio A., Costa C.

L'organizzazione del lavoro alla Fiat

Marsilio, Padova 1975 Istituto Gramsci Torino

Crisi economica e lotte operaie nel rapporto SEAT-FIAT

Musolini, Torino 1975 Levi F., RugaFiori P., Vento S.

Il triangolo industriale. Tra ricostruzione e lotta di classe, 1945-1948

Feltrinelli, Milano 1974 Pugno E., Garavini S.

Gli anni duri alla Fiat. La resistenza sindacale e la ripresa

Einaudi, Torino 1974

3. Demografia, struttura

sociale, movimenti, cultura

A A . W . Decentramento e lotte urbane a Torino «Nuova sinistra», n. 14, 1972 A A . W . Autoriduzione. Cronache e riflessione di una lotta operaia e popolare nel settembre-dicembre 1974

Sapere Edizioni, Roma 1975 A A . W .

Metropoli e lotte operaie

Nuovi Editori, Padova 1975 Antonelli E., Marsico G., Nicolello A. Indagine su un processo politico GEP, Torino 1973 Belloni M.C., Bianco M.L., Luciano A . , Pichierri A.

Ceti medi e mobilitazione politica: il caso dei commercianti «Quaderni di sociologia», n. 3, 1974 Dematteis G. Città e campagna in Piemonte

in: Città e regione in

Europa a cura di R.

Mainardi, Angeli, Milano 1973

(15)

Facoltà di Architettura di Torino

Operai e territorio: dissoluzione della comunità

Torino 1975 Fofi G. L'immigrazione meridionale a Torino Feltrinelli, Milano 1975 (2° ed.) Gregoli F.

La variazioni della densità di popolamento nel Piemonte e

nella Valle d'Aosta dal 1951 al 1971

«Rivista geografica italiana», n. 2, 1971

Istituto Gramsci Torino

Ruolo della borghesia imprenditoriale e crisi (ricerca sull'area torinese tra le piccole aziende)

Torino, novembre 1975 Libertini L.

La classe operaia torinese 1955-1974

«Critica marxista», n. 6, dicembre 1974 Tarallo P.

Torino anni '50: il momento coreano

«Piemonte vivo», n. 2, 1972 Tarallo P.

Torino anni '50: il momento del «boom»

«Piemonte vivo», n. 3, 1973

4. Città, servizi, consumi

Associazione Piemonte-Italia

Università in Piemonte. La popolazione universitaria in Piemonte e Valle d'Aosta: previsione al 1980-81

Torino 1973

Associazione Piemonte-Italia

Turismo per il Piemonte

Torino 1974

Ceppi M., Garzena B.

/ caratteri dello sviluppo metropolitano

in Torino in: Casa, città e struttura sociale

a cura di P. Ceri, Editori Riuniti, Roma 1975 Ceri P. (a cura di)

Casa, città e struttura sociale

Editori Riuniti, Roma 1975 CGIL, CISL, UIL Torino

Indagine sul regime dei suoli, piano di investimenti per l'edilizia pubblica, equo canone

Torino, dicembre 1975 Città di Torino. Assessorato al lavoro e ai problemi sociali

Convegno di studio sul problema dei disincentivi nelle aree congestionate del Centro-Nord

Torino, 17 aprile 1971 Città di Torino

Piano di sviluppo e di adeguamento della rete distributiva

Legge 11 giugno 1971 Città di Torino, Assessorato all'urbanistica

Analisi della situazione dei servizi a Torino e nelle cinture

Torino, 1972-73

Città di Torino, Assessorato al decentramento

/ servizi sociali e sanitari

Atti del convegno, Torino, 12-13 aprile 1975 EISS Torino L'edilizia residenziale di iniziativa pubblica ed aziendale nell'area metropolitana di Torino Torino 1972 EISS Torino

Le aree libere e liberabili in un quartiere di Torino.

Vanchiglia e Vanchiglietta

Torino 1974 IRES

Linee per un piano di sviluppo e organizzazione delle attività turistiche nella Provincia di Torino

Torino 1971 IRES

Programmazione dei centri universitari per il Piemonte e la Valle d'Aosta

Torino 1974 IRES

La localizzazione dei punti di vendita del grande dettaglio

Torino 1975 IRES

Linee per la politica dell'abitazione

Torino 1975

Osservatorio Urbanistico Regionale del Piemonte

Analisi del Piano dei servizi

Documento n. 1, Torino 1973

PLI

La sconfìtta urbanistica: la storia edilizia di Torino tra incapacità politica e speculazione dai piani regolatori al piano dei servizi

Torino 1974 Provincia di Torino

Area metropolitana di Torino

Atti del convegno, Torino 30-9/1-10 1972

SITECO

Area metropolitana torinese: i trasporti

Torino 1975 Unione Camere di Commercio del Piemonte

La funzione commerciale in Piemonte. Caratteri strutturali ed evolutivi

«Quaderno», n. 6, 1971

Unione Camere di Commercio del Piemonte

Ricerca sull'assetto dei servizi nella Regione Piemonte Torino 1974 5. Politica e Amministrazione AA.VV. Decentramento e partecipazione. Dibattito dell'Unità sui Consigli di Quartiere

G E P , Torino 1972 AA.VV.

I Comunisti a Torino. Lezioni e testimonianze

Editori Riuniti, Roma 1974 Città di Torino

Decentramento, nuova esperienza democratica nella gestione della città

Atti del convegno, Torino, 27/2/1971

Città di Torino, Assessorato alla programmazione

Indagine sulla finanza comunale: struttura e prospettive di evoluzione

Torino 1974 Lanzardo L.

Classe operaia e partito comunista alla Fiat. La strategia della collaborazione, 1945-1948

Einaudi, Torino 1971 Martinengo E.

Regione Piemonte: uomini e fatti (1970-74)

Torino 1975

Regione Piemonte, U R P P

Cento anni di voto in Piemonte Torino 1972

1976-1980

1. Economia, Industria AA.VV. La ristrutturazione

nell 'industria metalmeccanica. I! caso dell'auto e dei componenti

Angeli, Milano 1980 Abrate M.

Moneta, risparmio e credito in Piemonte nell'ultimo mezzo secolo: 1926-1976

Cassa di Risparmio, Torino 1977

Soldati che rimuovono le macerie dopo il bombardamento del 1943

Riferimenti

Documenti correlati

Ogni altra informazione potrà essere richiesta all’ufficio competente (dr.. Il direttore generale non è eleggibile a membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, dei

Prodotto e trasmesso lo scorso anno dalla rubrica ambientale Ozon della televisione tedesca Ostdeutscher Rundfunk Brandenburg, questo breve documentario traccia, a

Ho avuto modo di apprezzare la scelta di inserire all'interno del Piano tante opere fondamentali e strategiche tra cui quelle connesse alla Nuova Linea Ferroviaria Torino Lione.

Cutting capacity Capacità di taglio Ø 12 mm (Rm: 70 daN/mm 2 ) Cutting force Forza di taglio 120 kN (12.2 t) Working pressure Pressione d’esercizio 30 MPa (300 bar) Power

b) Le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate attraverso la procedura di soccorso istruttorio. In particolare, in caso di mancanza,

In considerazione di quanto sopra descritto, in occasione delle precedenti sessione del Tavolo Tecnico di Ascolto da parte di Regione Piemonte (cui Regione Liguria

f) organizzazione della formazione degli operatori SPRESAL : il GdL definirà il programma per la formazione del personale degli SPreSAL piemontesi che attueranno il PMP. La

La Regione Piemonte e le Aziende sanitarie Regionali, seppure con compiti istituzionali diversi ma complementari, nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale