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L'Indice dei libri del mese - A.11 (1994) n.05, maggio

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(1)

M A G G I O 1994 — A N N O XI - N. 5 LIRE 8.000

II Libro del Mese

La diseguaglianza.

Un riesame critico

di Amartya K. Sen

recensito da Fabio Ranchetti

e Marco Revelli

Norberto Bobbio

Dalla politica alla ragion di stato

di Maurizio Viroli

Domenico Scarpa

Poesie di Giovanni Giudici

Intervista sull'esilio

di Nuruddin Farah

e in

LIBER

testimonianze di

Kachid Boudjedra,

Kateb Yacine, Salman Rushdie

e di David Mendel su Primo Levi

Giovanni De Luna

L'occupazione tedesca in Italia

di Lutz Klinkhammer

Dossier

Ambiente al limite

Mario Rigoni Stern

Il sergente nella neve

recensito da Fernando Rotondo

(2)

RECENSORE AUTORE TITOLO

4

Il Libro del Mese

Fabio Ranchetti Amartya K. Sen La diseguaglianza. Un riesame critico

Marco Revelli

5

L'Indice puntato

di Cesare Cases

7

Politica

Norberto Bobbio Maurizio Viroli Dalla politica alla ragion di stato

9

Letteratura

Poesia, poeti, poesie

Domenico Scarpa Giovanni Giudici Quanto spera di campare Giovanni

10

Narratori italiani

ti

Vittorio Coletti Alberto Papuzzi Gabriella Maramieri Alberto Cavaglion Cesare Segre Antonio Tabucchi Giovanni Pascutto Oddone Camerana Nico Orengo Sostiene Pereira

Veramente non mi chiamo Silvia Contro la mia volontà

La guerra del basilico

12

Fernando Rotondo

Libri per bambini

Mario Rigoni Stern Il sergente nella neve

Benedetta Papasogli Louise du Néant Il trionfo delle umiliazioni. Lettere

13 Francesco Rognoni Willa Cather Il mio mortale nemico

15 Anna Chiarloni Anna Mitgutsch Tua madre era come te?

Renata Buzzo Margari Robert Walser Poesie

16 Elsa Linguanti David Malouf Ritorno a Babilonia

Dario Voltolini Emanuele Bevilacqua La biblioteca di Fort Knox

17

Intervista

Capire dall'esilio, Nuruddin Farah risponde a Pietro Deandrea e a Rossana Ruggiero

18

Cosma Siani

Libri di Testo

Umberto Eco La ricerca della lingua perfetta nella cultura

Maria Teresa Prat Zagrebelsky Robert Phillipson Bruna di Sabato

europea

Linguistic Imperialism

Per tradurre. Teoria e pratica della traduzione

1 9

Arte

m

Marco Sarti James Beck, Michael Daley Restauri, Capolavori & affari

Maria Laura Della Croce Nicoletta Misler (a cura di) Kandinskij tra Oriente e Occidente

21

Inserto schede

20

Storia

Giovanni De Luna Lutz Klinkhammer L'occupazione tedesca in Italia, 1943-1945

RECENSORE

AUTORE

TITOLO

Scienza e idee

Una nuova collana

diretta da Giulio Giorello

Edgar Morin

Terra-Patria

In una sintesi vertiginosa,

uno straordinario vademecum per il

prossimo millennio

»

m

(3)

RECENSORE

o m m a n

AUTORE

TITOLO

37

Da Tradurre

Massimo Bray AA.W. Mémoires de 68

Roberto Finelli Anselm Jappe Debord

Riletture

Nicola Tranfaglia Carlo Rosselli Scritti dell'esilio, Il

38

Filosofìa e Religione

m

Giovanni Filoramo Alphonse Dupront Il sacro

Il presente cattolico

Alfredo Civita Salvatore Natoli L'incessante meraviglia

39 Roberto Salizzoni Wladyslaw Tatarkiewicz Storia di sei Idee

41

Dossier

Ambiente al limite

Mercedes Bresso Dennis Meadows, Donella Meadows

Jorgen Randers Oltre i limiti dello sviluppo

Davide Lovisolo

Alessandro Vercelli David Pearce (a cura di) Un'economia verde per il pianeta

Giovanna Melandri Marina Alberti, Gianluca Solerà, Vula Tsetsi La città sostenibile

43 Mario Tozzi Stefano Mazzoleni, Giovanna Aronne

(a cura di) Introduzione all'ecologia degli incendi

Enrico Alleva Gianfranco Bologna (a cura di) Amazzonia, addio

Fabrizio Carbone I giorni infernali dell'Amazzonia

L. Friday, R. Laskey (a cura di) Il fragile ambiente

44

Intervento

Gaia e la colonizzazione di Marte, di Lynn Margulis e Oona West

46 Gianfranco Bologna Edward O. Wilson La diversità della vita

Mario Tozzi Giulio Garaguso, Sergio Marchisio (a cura di) Rio 1992: vertice per la Terra

47 Fiorenzo Alfieri Paolo Orefice Didattica dell'ambiente

AA.W. Manuale di educazione ambientale

Daniela Santucci, Enrico Alleva Preben Bang Guida alle tracce degli animali

48 Parchi, di Gabriele Salari

49

Liber

m

Intervista

Kateb Yacine risponde a Tassadit Yacine

Due biografie, di Caterina Piazza

51

Intervista

Rachid Boudjedra risponde a Pascale Casanova

52 Una dichiarazione di indipendenza, di Salman Rushdie

53 « Un incontro con Primo Levi, di David Mendel

5 5

Hanno collaborato

m

RECENSORE AUTORE TITOLO

Ian Hacking

Linguaggio e filosofia

Nel cuore del "labirinto filosofico che ha il linguaggio al proprio centro", attraverso l'opera di autori come Hobbes, Berkeley, Wittgenstein e Chomsky

Jacques Derrida

Spettri di Marx

Contro il nuovo tremendo ordine del mondo, la provocatoria rivalutazione dell'autore del "Capitale"

David Bloor

La dimensione sociale

della conoscenza

(4)

[INDICE

• • D E I LIBRI DEL M E S E ^ H I

M A G G I O 1 9 9 4 - N . 5 , P A G . 4

Il Libro del Mese

Eguaglianza delle capacità

di Fabio Ranchetti

AMARTYA K . SEN, La diseguaglianza.

Un riesame critico, Il Mulino, Bologna 1994, ed. orig. 1992, trad. dall'inglese di Alessandro Balestrino, pp. 270, Lit 40.000.

Nell'economia di Robinson Crusoe e Venerdì, che tanto piace agli econo-misti, poniamo che Robinson Crusoe possieda tutti gli ananas e tutte le ba-nane e Venerdì nessun ananas e nessu-na banessu-nanessu-na. Penso che qualsiasi lettore, almeno di questa rivista, riterrebbe ta-le situazione evidentemente iniqua, e che pertanto sarebbe a favore di una qualche redistribuzione dei beni a vantaggio di Venerdì: Venerdì

dovreb-be avere almeno qualche ananas, per un elementare principio di giustizia. Ora, per circa quarant'anni, a partire dalla sistemazione metodologica di Robbins del 1932, il pensiero econo-mico dominante ha tenuto del tutto separate le questioni relative all'etica e all'equità dalle questioni relative all'economia: non confondere l'econo-mia con l'etica, il meccanismo del mer-cato col meccanismo della distribuzio-ne della ricchezza sociale, il piano del discorso positivo col piano del discor-so normativo, era diventato il canone scientifico dominante. Di fronte al no-stro esempio, la teoria economica sa-rebbe rimasta del tutto muta quanto al giudizio etico, limitandosi a valutare se si trattava di una situazione economi-camente efficiente o meno, in base al seguente ben definito criterio, il cosid-detto "criterio di Pareto": efficiente è un assetto sociale in cui la posizione di un soggetto non può essere migliorata senza peggiorare la posizione di un al-tro. Nel nostro caso, la situazione sa-rebbe stata giudicata efficiente: infatti, togliere qualche ananas, anche uno so-lo!, a Robinson Crusoe per darlo a Venerdì, se avrebbe migliorato la posi-zione (il benessere) del buon selvag-gio, avrebbe tuttavia peggiorato la po-sizione (il benessere) del buon inglese.

La netta separazione tra economia ed etica, e la conseguente proibizione di parlare, all'interno della disciplina economica, di questioni non stretta-mente economiche, ha tuttavia comin-ciato a vacillare quando, negli anni set-tanta, la parte migliore della teoria economica ha riconsiderato la com-plessità e la ricchezza delle condizioni richieste per la stessa efficienza. La teoria ha dimostrato infatti come l'effi-cienza del mercato richieda sia deter-minate condizioni economiche, come ad esempio determinate distribuzioni iniziali delle risorse economiche tra i

soggetti, distribuzioni che non sono affatto naturali (e che quindi esigono un determinato assetto della pro-prietà), sia alcune condizioni etiche, come ad esempio le virtù della fiducia e della benevolenza, che non sono af-fatto sempre presenti. Se così stanno le cose, non è dunque più possibile tene-re separate le questioni di efficienza dalle questioni di giustizia. D'altro

canto, proprio negli stessi anni dall'in-terno della filosofia politica e morale si è sviluppata un'attenzione e quindi una profonda riflessione sul tema del mercato e dell'efficienza: qui, l'opera più importante è senz'altro la Teoria

della giustizia di Rawls del 1971, in cui il riconoscimento del mercato come meccanismo economicamente efficien-te è accompagnato dalla rilevazione

dell'arbitrarietà morale delle dotazioni (naturali e sociali) iniziali dei soggetti.

La diseguaglianza. Un riesame critico

si colloca proprio alla confluenza di questi due movimenti, a entrambi i quali Sen ha dato un contributo decisi-vo. Il libro mantiene una forma di esposizione non strettamente tecnica e quindi accessibile a un pubblico più vasto di quello degli specialisti. Più che introdurre nuovi concetti, in esso Sen presenta in modo sistematico i ri-sultati di un lavoro ventennale, iniziato nel 1973 con On Economie Inequality (Sulla diseguaglianza economica).

Sen muove dalla considerazione che tutte le teorie normative degli assetti sociali richiedono l'eguaglianza di

qualcosa — "qualcosa che riveste par-ticolare importanza nella teoria di vol-ta in volvol-ta presa in considerazione": questo qualcosa possono essere le ri-sorse (come li anana e le banane dell'esempio da cui siamo partiti), o i redditi, o i diritti, o altro. Quindi, la domanda fondamentale che si pone Sen è: di che cosa vogliamo l'eguaglian-za? La sua risposta è l'eguaglianza

del-le capacità, dove per capacità

(capabil-ities) egli intende l'essere in grado, da parte di un soggetto, di fare, se così desidera o sceglie di fare, un insieme di cose. Più precisamente, Sen defini-sce le capacità in termini di funzioni

(functionings), ovvero le cose che uno è o fa: essere in buona salute, o pren-dere parte alla vita della comunità, so-no due esempi di funzioni. La

diffe-renza tra le due nozioni è che mentre le capacità si riferiscono alle cose che una persona potrebbe ottenere, le fun-zioni si riferiscono alle cose che una persona ottiene di fatto. Importante è capire perché Sen abbia elaborato queste nozioni, e abbia pertanto così definito il campo della sua indagine. In primo luogo, il concetto di capacità, a differenza di quello tradizionale di utilità o di piacere, è oggettivo, riguar-da cioè caratteristiche osservabili di una persona, e permette anche con-fronti interpersonali. In secondo luogo (e questo è un tema fondamentale an-che di Rawls) poiché gli individui sono l'uno differente dall'altro, per sesso, capacità intellettuali, ecc., un uguale grado di capacità può richiedere livelli molto differenti di reddito (e pertanto l'eguaglianza in termini di reddito non sarebbe, secondo Sen, un concetto ac-cettabile). In terzo luogo, il concetto di capacità costituisce una buona mi-sura della libertà che una persona ha a sua disposizione: "così come il cosid-detto 'insieme di bilancio' nello spazio delle merci rappresenta la libertà della

persona di comprare panieri di merci, L'insieme delle capacità' nello spazio delle funzioni riflette la libertà della persona di scegliere fra le vite possibi-li".

Se questa è l'esposizione dello sche-letro dell'argomentazione di Sen, certo non dà conto della ricchezza dei temi trattati, dell'incisività della critica delle teorie ricevute (in primo luogo del welfarismo e dell'utilitarismo), della sottigliezza dell'analisi economica e fi-losofica e delle sue applicazioni (in particolare alle questioni della povertà e delle differenze di classi e di genere). Ci limitiamo, in conclusione, a un'os-servazione più specifica e a una consi-derazione più generale. L'osservazione riguarda il rapporto tra efficienza ed eguaglianza da cui eravamo partiti. Nella prospettiva di Sen, la nozione di capacità può essere utilizzata non sol-tanto per la valutazione dell'eguaglian-za, ma anche per quella dell'efficienza: "l'efficienza nello spazio delle capacità richiede che non si possa innalzare le capacità di una persona e contempora-neamente mantenere le capacità di tut-te le altre al livello di partut-tenza". In questo modo viene quindi rifiutata la separazione tra discorso economico e discorso morale. La considerazione più generale è la seguente. L'opera di Sen, il suo stesso itinerario intellettua-le, dalla teoria economica alla filosofia morale e politica, testimoniano del-l'impossibilità, pena una gravissima perdita di senso, di separare l'analisi economica del mercato e della sua effi-cienza da una ben definita visione del-la società e deldel-la giustizia sociale. Come risulta anche dall'opera più re-cente di Rawls, il filosofo politico a cui più spesso si riferisce Sen, Politicai

Liberalism (Columbia University Press, New York 1993), una teoria della giustizia sociale è un tentativo di combinare insieme l'istanza liberale con l'istanza socialista. E interessante rilevare come questa impostazione contemporanea riprenda quella di al-cuni grandi padri fondatori del pensie-ro economico moderno: si pensi, ad esempio, a Léon Walras, per il quale una teoria economica pura, separata cioè dall'economia sociale, e quindi dall'idea della giustizia e dell'equità, era del tutto priva di senso. Ciò che oggi manca è una teoria economica adeguata alla raggiunta consapevolez-za della natura e della necessità della tensione tra le ragioni del mercato e le ragioni dell'eguaglianza, in una società complessa e differenziata come la no-stra. Di tale consapevolezza questo li-bro di Sen è, allo stesso tempo, espres-sione e occaespres-sione. L'auspicio è che il prossimo libro di Sen, progredendo sul terreno dell'analisi più strettamen-te economica, ma senza naturalmenstrettamen-te perdere la ricchezza e la profondità dell'acquisita visione filosofica, soddi-sfi questa attesa.

Infine, una nota dolente sull'edizio-ne italiana. Assolutamente inaccettabi-le è la perdita, rispetto all'edizione in-glese, sia dell'indice dei nomi sia dell'indice analitico, a maggiore ragio-ne in un'opera che contieragio-ne ben 56 pa-gine di riferimenti bibliografici. Indice di sciatteria editoriale è inoltre il non avere indicato le traduzioni italiane esistenti, neppure dei libri più impor-tanti: neppure di Sen edito dal Mulino stesso! Ridicolo è poi citare Aristotele nell'edizione inglese di Ross. La tradu-zione dei libri di Sen è sempre un'ope-razione difficile e problematica: nel complesso la traduzione di Balestrino è abbastanza scorrevole; ma vi sono al-cuni errori e alal-cuni salti che rendono in più punti (ad esempio, pp. 20, 21, 58,112, 118 e 190) impossibile la com-prensione del testo.

I libri consigliati

Quali libri vale sicuramente la pena di leggere fra le migliaia di titoli che sfornano ogni mese le case editrici italiane? "L'Indice" ha chiesto a una giuria di lettori autorevoli e appassionati di indicare dieci titoli fra le novità arrivate in libreria nei mesi scorsi. Non è uno scaffale ideale, né una classifica o una graduatoria. I dieci titoli sottoelencati in ordine alfabetico per autore rappresentano soltanto consigli per favorire le buone letture.

Luisa Accati - Il matrimonio di Raffaele Albanese - Anabasi

Tahar Ben Jelloun - Corrotto - Bompiani

Emanuele Bevilacqua - La biblioteca di Fort Knox - Theoria

Norberto Bobbio - Destra e sinistra - Donzelli

Zlatko Dizdarevic - Giornale di guerra.

Cronaca di Sarajevo assediata

- Sellerio

Yusuf Idris - Alla fine del mondo - Zanzibar

Izrail' Metter - Genealogia - Einaudi

Joyce Carol Oates - Figli randagi - e/o

Maurizio Salabelle - Il mio unico amico - Bollati Boringhieri

Robert Walser - Poesie - Il Sestante

La giuria che consiglia i libri per il mese di maggio 1994

è composta da: Fernando Bandini, Francesco Biamonti,

[ Ì T7

Michele Emmer, Alessandro Galante Garrone, Luca Jahier, Luigi Manconi, Lidia Menapace, Dario Puccini, Caterina Ricciardi.

LT2 i libri inviati speciali

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(5)

I D E I LIBRI D E L M E S E I

M A G G I O 1 9 9 4 - N . 5 , P A G . 5

Il Libro del Mese

A dispetto del titolo — La

disegua-glianza. Un riesame critico — l'oggetto del più recente libro di Amartya Sen è in realtà l'eguaglianza. La sua defini-zione in primo luogo. E la messa a punto di una più compiuta e convin-cente "teoria dell'eguaglianza", capace sia di misurare, sotto l'aspetto descrit-tivo, le diseguaglianze reali nella loro effettiva portata, sia di suggerire, sotto l'aspetto normativo, strategie efficaci ed eticamente apprezzabili per il loro superamento (o per una loro riduzio-ne). In questa operazione vengono confutati per lo meno tre punti forti impliciti nelle tradizionali concezioni egualitarie, l'uno relativo al "senso co-mune", gli altri due interni alla stessa riflessione filosofica e scientifica in te-ma di eguaglianza.

La prima affermazione controintui-tiva da cui Sen prende le mosse è il ri-fiuto stesso di una definizione univoca e sostantiva di eguaglianza. Definire l'eguaglianza, ci dice infatti, presuppo-ne presuppo-necessariamente rispondere alla do-manda "eguaglianza di che cosa?". Significa cioè precisare a priori la va-riabile (fra le tante) ritenuta significati-va ai fini di significati-valutare i rapporti tra gli uomini, sia essa il reddito o le oppor-tunità, i beni primari o i diritti, la ric-chezza o l'appagamento dei bisogni. E spostare il terreno di confronto dalla disputa prò o contro l'eguaglianza (o l'ineguaglianza) alla discussione sul

ti-po di eguaglianza desiderabile e perse-guibile tra i molti concepibili: egua-glianza nei redditi, eguaegua-glianza nei di-ritti, eguaglianza nelle libertà, egua-glianza nelle opportunità, nei beni primari, ecc. Le conseguenze, dal pun-to di vista teorico e pratico, sono nu-merose.

In primo luogo il concetto di egua-glianza si "snaturalizza". Perde il suo carattere di dato naturale, e assume connotati rigorosamente artificiali: es-sa è, nella sua sostanza, una costruzio-ne soc'ale e mentale. Un'operaziocostruzio-ne appartenente non alla sfera deW essere, ma del dover essere, la quale ha come presupposto non la naturale egua-glianza degli uomini, ma la loro so-stanziale differenza ("gli uomini — sottolinea Sen — sono fondamental-mente diversi"). E appunto questa dif-ferenza fondamentale che da una parte rende eticamente significativo il pro-blema dell'eguaglianza (che lo pone cioè nel campo normativo: dei fini da perseguire). E che dall'altra parte ren-de tenren-denzialmente conflittuali tra lo-ro i differenti tipi di eguaglianza: dal momento che un'eguaglianza integrale di ogni individuo con ogni altro non è concepibile — dal momento cioè che gli uomini sono, appunto, diversi — l'eguaglianza definita entro un deter-minato ambito, o "spazio valutativo" (l'eguaglianza dei redditi, per esem-pio) finisce per entrare in contraddi-zione con l'eguaglianza definita entro un differente spazio (l'eguaglianza del-la libertà, per esempio, o l'eguaglianza dei diritti), imponendo di volta in vol-ta scelte impegnative. Dilemmi etici nello stesso campo egualitario.

In secondo luogo l'eguaglianza, così definita, diventa il comun denomina-tore di tutte le principali teorie etiche degli assetti sociali oggi sul terreno, scardinando la tradizionale classifica-zione che le distingueva, appunto, in teorie egualitarie e disegualitarie. Essa gioca un ruolo esplicito di grande rilie-vo nelle teorie "neocontrattualiste" che implicano una qualche forma di giustizia distributiva (da Rawls a Dworkin a Nagel), ma è presente in forma più implicita anche nelle teorie cosiddette "libertarie" (come quella di Nozick) che rifiutano pratiche redi-stributive in nome del primato dei va-lori di libertà. Nel primo caso si trat-terà di eguale distribuzione dei "beni primari", delle "risorse" o delle "opportunità"; nel secondo caso dell'uguale rispetto dei diritti di

li-Non fidarsi dell'ovvio

bertà. Quello che varia è lo "spazio" in cui assume rilevanza l'eguale tratta-mento (lo spazio delle acquisizioni ma-teriali o quello dei diritti), non la natu-ra egualitaria di esso. Risulta così di-mostrato come anche le teorie appa-rentemente più disegualitarie fini-scano in realtà "per essere egualitarie in termini di qualche altro punto foca-le". Fin qui il versante metodologico

di Marco Revelli

dere la sfera dell'eguaglianza, si dice, comporta inevitabilmente la necessità di restringere la sfera dei comporta-menti liberi da restrizioni normative. Ora Sen, lavorando tra le pieghe del meccanismo egualitario, e applicando la propria teoria degli "spazi valutati-vi", giunge a rovesciare tale rapporto: "La libertà — può affermare — è uno dei possibili campi d'applicazione

dei-sulla concreta possibilità dei singoli di convertire tali risorse in effettive con-dizioni di vita (un individuo normale e uno affetto da una qualche grave ma-lattia conseguiranno con le medesime risorse mete assai diverse). In alterna-tiva Sen suggerisce il ricorso alla cate-goria dei "funzionamenti", come egli li chiama, cioè a variabili attive: la pos-sibilità di essere adeguatamente

nutri-•

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L'Indice puntato

L'idea che il nuovo regime sia ostile alla

cultu-ra è del tutto erronea e malevola. Per esempio, se in un'intervista di Bossi costui afferma ("La Stampa", 5 aprile): "Se Berlusconi è Napoleone, io mi sento il generale Kuzentzov", solo gli scioc-chi possono riprenderlo perché deforma il nome di Kutuzov. In realtà questa forma si trova in

Tolstoj, ma anche in Lenin e Stalin quando lo ci-tano, ed è per liberare il generale da questa indesi-derata vicinanza che Bossi ne ha ridotto il nome, come si diceva una volta, a miglior lezione. Non solo il nuovo regime non è contrario alla cultura, ma creerà le premesse per farla fiorire. E come? Ce lo spiega Sergio Ricossa sulla "Voce" del 10 aprile. Accettando le leggi del mercato, che essa ha finora disprezzato, e abdicando al proprio spiri-to arisspiri-tocratico.

"L'uomo di cultura non ama il mercato e non ama il linguaggio semplice [dice per esempio

'apoftegma' invece di 'sentenza'] e per lo stesso motivo" e cioè perché "è aristocratico nei gusti". "Il mercato è invece popolare, così come la parlata senza ricercatezza". A noi sembrava invece che il mercato fosse popolare solo finché è a buon

mer-cato, se i prezzi sono gli stessi che al negozio del centro, il compratore preferirà quest'ultimo anche se dovrà parlare con ricercatezza. Per Ricossa, poi, il parlare incomprensibile degli intellettuali ari-stocratici consisterebbe nel dire "apoftegma", pa-rola certo poco usata (tant'è vero che il tipografo della "Voce" ha sbagliato a scriverla) ma che si trova in tutti i vocabolari, mentre il vero pericolo sono i gerghi, che secondo Ricossa sono un'inven-zione dei sessantottini. Comunque sia, il suo ten-tativo di migliorare il linguaggio degli intellettua-li merita il nostro plauso, ma deve lottare contro i gerghi e non contro le parole difficili come apof-tegma. In effetti, Ricossa ha pubblicato nel 1991 da Rizzoli un libro sulle "trame dei classici dell'economia" scritto assai pianamente. Ma non si può neanche dire che sia scritto per il mercato. Invece oggi egli fa prediche perché l'intellettuale si adegui al mercato, che gli darà non solo pane, ma la capacità di esercitare la sua vera funzione. Poiché egli "non si accorge, non vuole accorgersi che la televisione commerciale non è soltanto il trionfo del mercato, è inoltre un mezzo meravi-glioso di diffusione della cultura. Lo è in potenza, deve diventarlo nei fatti". Ma lo è nei fatti, solo che Ricossa, immerso nei suoi classici dell'econo-mia, non se ne accorge. Non sa che il suo dover es-sere è già eses-sere. A meno che non occorra aprire altri dieci, cento, mille canali. Ci viene il sospetto che il discorso di Ricossa sia l'essenza del berlu-sconismo. Ma allora perché non è rimasto al

"Giornale"? Tentiamo di spiegarlo con una sen-tenza ovvero apoftegma: spesso chi esorta al creti-nismo è troppo intelligente per applicare la pro-pria predicazione a se stesso. Questo apoftegma viene a dire che l'entusiasmo herlusconico per i mass media non è necessariamente sintomo di stupidità, ma di un'immoralità che è, quella sì, ve-ramente incompatibile con la funzione dell'intel-lettuale, se ne ha ancora una.

Cesare Cases

M B H H M H H

mm

della riflessione di Sen, su cui, d'altra parte, l'elaborazione filosofico-politica si era già in qualche modo attestata. Si pensi ai contributi di Norberto Bob-bio per il quale, appunto, il concetto di eguaglianza può essere definito solo rispondendo alla doppia domanda "eguaglianza tra chi" (carattere rela-zionale) ed "eguaglianza in che cosa" (carattere relativo). E invece sul ver-sante sostantivo che Sen "va oltre". Il che ci introduce alla seconda afferma-zione controintuitiva contenuta nel volume. Introducendo una netta inno-vazione, essa stabilisce un rapporto as-sai stretto, per certi versi una identifi-cazione, tra eguaglianza e libertà. Come si sa la scienza politica ha in prevalenza considerato il valore dell'eguaglianza come tendenzialmen-te antitendenzialmen-tetico rispetto al valore della li-bertà, intesa nella sua accezione di "li-bertà negativa" (di li"li-bertà "da qualco-sa"): l'unico tipo di "libertà" disposta a considerare dal punto di vista opera-tivo, giudicando la libertà "positiva" (la libertà di fare qualcosa) come con-cetto eccessivamente astratto.

Esten-l'eguaglianza, e l'eguaglianza è una delle possibili configurazioni delle li-bertà". Il percorso argomentativo at-traverso cui si giunge a ciò è relativa-mente lineare. Vengono identificate le "variabili focali" più significative nell'ambito delle consolidate teorie egualitarie: quelle afferenti al campo delle acquisizioni, considerate costitu-tive del "vantaggio individuale" (il de-siderio appagato, la felicità conseguita, ecc.); e quelle afferenti alle opportu-nità o, se si preferisce, agli strumenti per le acquisizioni (disponibilità di be-ni primari; o rimozione di particolari barriere). Nei confronti delle prime, se ne rileva la relativa inefficacia nel mi-surare situazioni di diseguaglianza in condizioni di deprivazione particolar-mente radicali, tali da inibire alla radi-ce la capacità stessa d'immaginare al-locazioni migliori. Nei confronti delle seconde si oppone la loro relativa in-differenza alle specifiche caratteristi-che personali e sociali di individui dif-ferenti: l'accento posto sulle risorse in-tese, come "mezzi" per realizzare de-terminati obiettivi, non ci dice nulla

ti, di essere in buona salute, di sfuggire alla malattia e alla morte prematura, di avere rispetto di sé o di partecipare al-la vita delal-la comunità. E a quelal-la delal-la "capacità": una combinazione di "funzionamenti" la quale "riflette la li-bertà dell'individuo di condurre un determinato tipo di vita piuttosto che un altro". È sulla distribuzione delle capacità — della facoltà di scegliere il tipo di vita che ognuno ritiene appro-priato — che si può adeguatamente fondare un giudizio sulla bontà o me-no di una configurazione sociale. Il che finisce per tradurre, appunto, il concetto di eguaglianza in termini di libertà, dal momento che una distribu-zione egualitaria delle capacità altro non è che l'estensione a tutti di un adeguato grado di libertà individuale nel realizzare un modello di vita scel-to. O, come la definisce Sen, di "li-bertà sostantiva", la quale assomiglia assai alla marxiana "libertà positiva". Essa è definita infatti come il "potere effettivo di acquisire ciò che si sceglie-rebbe", e comprende tanto la possibi-lità di perseguire una propria

accezio-ne di beaccezio-nessere individuale (libertà di

well-being) quanto di realizzare obiet-tivi e valori relaobiet-tivi alla propria comu-nità di appartenenza (libertà di

agency). Una tale "eguaglianza delle li-bertà effettive" non può essere realiz-zata "solo" attraverso la distribuzione egualitaria dei beni primari, come ipo-tizza ad esempio Rawls, ma richiede una più attenta analisi delle specifiche condizioni individuali e delle variazio-ni interpersonali nella trasformazione dei beni primari in capacità effettive di ciascuno di conseguire "funzionamen-ti" adeguati ai propri fini. In qualche modo, l'antico "da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni".

(6)

jjfcvC II nostro Paese è ricco di opere d'arte

« k ' ' che riflettono e testimoniano l'immenso

ÌY§8| della storia e della cultura nei secoli.

I Opere d'arte offuscate, nel loro

splen-dorè, dalla notte. Tesori nascosti.

L ' E N E L , attento ai problemi sociali e

c u l t u r a l i , ha deciso di s t r a p p a r e

al-l'oscurità alcune di queste opere d'arte.

Un dono di luce.

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U n a c o m m i s s i o n e di e s p e r t i ha

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i n d i v i d u a t o n e l l e d i v e r s e r e g i o n i

CG

d'Italia, situazioni storico-artistiche e

W ^ ^ ^ ì

ambientali di particolare interesse.

(7)

I D E I LIBRI D E L M E S E I

M A G G I O 1 9 9 4 - N . 5 , P A G . 7

MAURIZIO VIROLI, Dalla politica alla ragion di stato, Donzelli, Roma 1994, ed. orig. 1992, pp. 220, Lit 35.000.

C'è in questo libro molta teoria e molta storia. Teoria e storia s'integra-no a vicenda. Come dire che la teoria senza storia è muta e la storia senza teoria è cieca. L'autore mantiene la promessa fatta alla fine dell'introdu-zione: "Personalmente prediligo una teoria ricavata dalla storia". Da un la-to, il racconto storico si svolge pagina dopo pagina, autore dopo autore, met-tendo a disposizione del lettore un ric-chissimo materiale affinché questi pos-sa trarre conferma dell'ipotesi di lavo-ro; dall'altro, l'ipotesi di lavoro guida la ricerca selezionando e commentan-do il materiale raccolto.

L'idea ispiratrice del libro, che me-rita di essere attentamente considerata e discussa, è la seguente: nel tratto di storia del pensiero politico che l'auto-re ha scelto di esporl'auto-re, tra la fine del Duecento e l'inizio del Seicento, tra Giovanni di Viterbo e Ludovico Zuccolo, il periodo attraverso il quale avviene il passaggio dall'età medievale all'età moderna, si assiste a una vera e propria regressione da una visione eu-logica della politica, secondo la quale la politica, nella scia della tradizione aristotelica-ciceroniana, viene conce-pita come l'arte del buon governante che ha di mira esclusivamente il bene comune della città, a una visione, in-sieme realistica e pessimistica, secondo cui la politica si viene identificando con la ragione di stato, vale a dire con l'arte di conquistare, difendere, con-servare lo stato, inteso come cosa, pos-sesso, patrimonio del principe. Di questa regressione, secondo Viroli, si può individuare il momento preciso del suo palesarsi nel contrasto tra Machiavelli, ancora fedele all'ideale repubblicano, e Guicciardini, cui si deve non solo l'espressione "ragione di stato", ma l'idea che l'arte di gover-nare uno stato non sia diversa da quel-la di governare quel-la casa, e pertanto colui che lo "possiede" deve mirare non so-lo a conservare il bene posseduto, ma anche, quale che sia il mezzo con cui ne è venuto in possesso, possibilmente ad ampliarlo. Da questo momento in poi, secondo l'interpretazione che Viroli dà dei testi letti e commentati, il termine 'stato' si contrapporrebbe a 'repubblica', con la conseguenza che l'arte dello stato, di cui si preoccupa Guicciardini, è cosa ben diversa dall'arte di governo che è stata l'ogget-to della riflessione politica dagli anti-chi in poi, questa conservando il signi-ficato tradizionale di arte di reggere una città a esclusivo vantaggio dei cit-tadini, quella acquistando il nuovo si-gnificato di un insieme di accorgimen-ti che debbono servire, indipendente-mente da ogni valutazione etica, a con-servare il patrimonio acquisito e a difenderlo con ogni mezzo. Negli scrittori politici successivi a Guicciardini l'arte dello stato avrebbe a poco a poco sostituito l'arte del go-verno come oggetto della politica, e il termine "politica" avrebbe acquistato un senso completamente diverso da quello che aveva avuto sino allora. Già lo stesso Paruta, pur continuando a in-tendere la politica come filosofia civi-le, cede alle lusinghe della ragione dì stato, che è diventata la politica dei tempi moderni: nel Soliloquio ammet-te che non si può governare gli stati col Vangelo (ma non aveva già detto la stessa cosa Cosimo de' Medici, citato da Machiavelli?) e bisogna accettare le leggi del mondo anche se contrarie agli insegnamenti della chiesa.

Seguono due capitoli, intitolati ri-spettivamente Gli ultimi bagliori della

filosofia civile e 11 trionfo della ragion

di stato, che, attraverso l'esposizione del pensiero politico del Cinque e Seicento, da Botero a Boccalini, da Campanella a Zuccolo, narrano la sto-ria della progressiva decadenza della filosofia civile sostituita a poco a poco dalla dottrina della ragion di stato.

Nella conclusione l'autore,

ribaden-Ragion di stato e modernità

di Norberto Bobbio

do la propria interpretazione storica, prende posizione contro le attuali teo-rie realistiche della politica, e rivela apertamente l'ispirazione ideale che lo ha mosso nello scrivere il libro: il ripri-stino della filosofia civile, della politica intesa come arte del buon governo, può contribuire allo sviluppo della de-mocrazia e alla costruzione di una città migliore. Ho detto all'inizio che il li-bro di Viroli è un'opera di teoria e sto-ria. Aggiungo che teoria e storia sono entrambe al servizio di un'idea

regola-nella contrapposizione tra arte di go-verno e arte di stato, è un topos classi-co del pensiero politiclassi-co che risale alla distinzione aristotelica tra forme di go-verno pure e corrotte, secondo cui buon governo è quello di chi esercita il potere in vista del bene comune e mal governo è quello di chi lo esercita per il bene proprio. Questa distinzione si tramanda tanto nel tempo che si ritro-va persino nella distinzione fra una buona e una cattiva ragion di stato di alcuni scrittori che, secondo il nostro

Così pure non sarei tanto deciso nel rifiuto della dottrina della ragion di stato, interpretata come una forma perversa della politica, e senza prece-denti nella sua perversione. 11 nucleo di questa dottrina sta tutto quanto nel-la famosa massima, di lontana origine ciceroniana, se pure deformata (De

le-gibus, III, 8): "Salus rei publicae su-prema lex", che lo stesso Machiavelli fa propria in un famoso passo dei

Discorsi (e non del famigerato

Principe): "... dove si delibera al tutto

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novità

proprie cause di giustificazione della deroga, il principale, quello più fre-quentemente addotto dagli scrittori politici realisti, è lo stato di necessità, causa di giustificazione che vale, come tutti sanno, anche per i singoli indivi-dui, e non si vede perché non dovreb-be valere per quegli individui in gran-de che sono gli stati, soprattutto nei rapporti con gli altri stati. Il noto filo-sofo della politica Felix Oppenheim, della cui fede democratica nessuno può dubitare, ha scritto recentemente un libro, The Place of Morality in

Foreign Policy, già tradotto in italiano, in cui sostiene che lo stato è giustifica-to, quindi non può essere sottoposto a giudizio morale, quando agisce in sta-to di necessità per la difesa dell'inte-resse nazionale. Senza volerlo, Oppenheim riesuma la tesi centrale della dottrina della ragion di stato. Che cosa è l'interesse nazionale se non la salus reipublicae degli antichi? Dico "senza volerlo", perché la dottrina della ragion di stato non è mai menzio-nata.

riva, appassionatamente difesa. Posta su questi tre piani diversi, teo-rico, storico e normativo, l'opera meri-terebbe una discussione molto più am-pia di quel che io possa fare in questa sede. Per ora mi limito a qualche os-servazione su ciascuno dei tre piani. Sul primo dico subito che sarei meno drastico nell'affermare sia la visione regressiva della storia del pensiero po-litico sia quella del salto qualitativo che sarebbe avvenuto in un preciso e circoscritto momento storico nel pas-saggio da Machiavelli a Guicciardini. Visione positiva e visione negativa del-la politica, a mio giudizio, si rincorro-no e si contrappongorincorro-no in tutte le epoche. La distinzione tra buon gover-no e mal govergover-no, che Viroli coglie

autore, avrebbero ripudiato la dottrina classica della politica. Fra l'altro, pro-prio sul periodo in cui avverrebbe la grande svolta, un insigne storico come Gerhard Ritter ha scritto l'affascinante libro II volto demoniaco del potere, in cui sostiene che dall'inizio del Cinquecento si dipartono le due cor-renti antagonistiche del potere che ar-rivano sino a noi, quella realistica di Machiavelli e quella utopica di Tommaso Moro. E come dimenticare che contemporanea del Principe è T Educazione del principe cristiano di Erasmo che ne rappresenta la più radi-cale antitesi, con la condanna della dissociazione tra etica e politica, anzi con l'esaltazione della tesi opposta, se-condo cui l'etica è la migliore politica?

della salute della patria, non vi debba cadere alcuna considerazione né di giusto né d'ingiusto, né di pietoso né di crudele, né di laudabile né d'igno-minioso; anzi, posposto ogni altro ri-spetto, seguire, al tutto quel partito che le salvi la vita e mantenghile la li-bertà" (IH, 41).

Non è sfuggita del resto a Viroli, tra le varie interpretazioni della dissocia-zione tra etica e politica, quella data da Scipione Ammirato, secondo cui è le-cita la "contravvenzione di leggi ordi-narie per rispetto di publico benefi-cio". Si tratta di un principio generale del diritto e dell'etica, il principio se-condo cui è ammessa la deroga alle leggi in casi eccezionali. Tra questi casi eccezionali, che costituiscono vere e

A ogni modo ammettiamo pure, perché è innegabile, che il linguaggio della politica sia cambiato nel passag-gio dalla filosofia civile alla dottrina della ragion di stato. Forse che il mu-tamento del linguaggio della politica, intesa come scienza o filosofia o dottri-na politica, implica anche un muta-mento nella politica intesa come prassi politica? Forse che nei tempi in cui prevaleva la definizione eulogica della politica, e il filosofo politico, sarebbe meglio dire il retore politico, definiva la politica come arte di governare la città con giustizia, in vista della libertà dei cittadini e della pace della comu-nità, la vita politica reale era diversa da quella che si svolgeva sotto gli occhi disincantati degli scrittori politici del Cinquecento? Forse che ai tempi di Dante, allievo di quel Brunetto Latini che esaltava la nobiltà della politica, la lotta fra le varie frazioni cittadine nell'aiuola che ci fa tanto feroci era meno aspra? Quando Enrico da Rimini rappresentava il politico "sicut citharedus", il cui fine è far regnare l'armonia nella propria città, descrive-va una situazione reale, oppure espri-meva il proprio ideale del buon politi-co, ben consapevole, c'è da immagi-narlo, del contrasto tra l'essere e il do-ver essere?

(8)

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VINCENZO V I T I E L L O , Bertrando

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E L É M I R E Z O L L A , Tre discorsi

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CLAUDIO C E S A , Auguto Vera e la filosofia della storia

FRANCO BIANCO, Giudizi di

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FRANCESCO GUIZZI, Una stella

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A . CORRADO, P . FAULKNER, K . K U M A R , E . SCHULTE, William

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GIANLUIGI P A L O M B E L L A , Stato dei partiti e complessità sociale

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W E R N E R BEIERWALTES, Il para-digma neoplatonico nell'inter-pretazione di Platone

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E T T O R E BONORA, Ancora sulla

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(9)

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di Domenico Scarpa

G I O V A N N I G I U D I C I , Quanto spera di campare Giovanni, Garzanti, Milano 1993, pp. 109, Lit 33.000.

Chi legge le poesie di Giovanni Giudici è indotto continuamente a porsi una domanda: che cosa questo autore vuole che si pensi di lui? A cosa cospirano quegli artifici stilistici e psi-cologici che di lui danno, a prima vi-sta, un'immagine di dimesso poseur? E un fatto che, in settant'anni di vita e in quaranta di attività poetica, Giudici ha rimesso in onore, per quel personag-gio-poeta che dice "io" nel suo canzo-niere, la Leggenda di Ognuno. Giudici si è costantemente dipinto, tra serietà e ironia, come un Everyman aspirante a una media mediocritas, ogni volta de-luso dalla propria irrimediabile unicità e insieme compiaciuto di essa, segreta-mente ma non troppo. Nella scrittura poi il suo essere Ognuno ha coinciso con la sua stupefacente duttilità stili-stica: Everyman è semplicemente il poeta in grado di padroneggiare ogni linguaggio e renderlo plausibile, dalla conversazione in cucina su cosa farne degli avanzi del brodo di pollo su su fi-no allo pseudoprovenzale di Salutz.

Timore e attrazione di Giudici verso la mediocrità sono dunque tra le sue massime muse. Vediamo la prima quartina di Sonnet noir: "Questa mi-tezza mia che non disvuota / Il mare dell'insania che mi sfida / A navigarti balba lingua ignota / Accarezzando il sogno che mi uccida". Il conflitto è tra mitezza e ispirazione, tra mediocrità e follia. Dalla lotta tra questi opposti princìpi viene fuori il gusto delle anti-tesi che è il segno di questo poeta (e spesso la sua maniera). Dallo stesso so-netto, infatti: "Al sempre disperando disperare / Essere purgatorio dov'è in-ferno / Fssere mutato quel che torna uguale".

Questo libro di Giudici è, fin dal ti-tolo, il libro di un uomo che ha visto passare la propria vita; ma paradossal-mente pare non importargliene nulla: "guardo da questo aldilà del presen-te". Eppure una spia ben nascosta del-la sua ansia è forse nell'abitudine, da

Fortezza (1990) in poi, a datare punti-gliosamente la maggior parte delle poesie, accentuando l'aspetto inter-mittente e diaristico delle raccolte, il senso di brandelli di tempo strappati alla vita in fuga. Nemmeno l'esperien-za — l'accumularsi del tempo e degli accadimenti, la sola conquista certa di una lunga vita — è stata apportatrice di conoscenza o verità. E un circolo l'esperienza, ma una volta tornati al punto di partenza è al nulla di fatto che si perviene, o a una vana vittoria su se stessi. Nella poesia che dà il tito-lo al volume, l'acquisto e l'allestimento di quella che Giudici definisce Casa

estrema ("Mettere su una casa / Alla sua età — quanto spera di campare Giovanni") approda a questa conclu-sione: "A ogni scopetta tu sai / Ride e fa festa l'infante rassicurato / Passo a passo movendo al suo adempiersi — / Si distrugge così nel costruire / L'ani-male adulto / Che mai più ricomincia: / Io invento questo inizio al mio fini-re".

È bello e singolare che un libro in-centrato sulla propria privata senilità incominci con una sezione dedicata al-la decrepitezza del nostro Occidente. Essa accoglie il poemetto Da ]alta in

poi e perfino — scritti d'occasione per "Cuore" — dei Distici bosniaci con tanto di data (Bologna, 11 marzo 1993): niente male ì'instant poem. Qui Giudici coglie una sindrome d'irrealtà tipica del nostro costume: tutti noi tendiamo a sentire remote e implausi-bili le tragedie e gli eventi che si con-sumano a un passo da noi e che la

tele-visione ci mostra ogni giorno (vedi la ex Jugoslavia) mentre consideriamo reali e vicini — quasi dei ricordi perso-nali tra i più cari — avvenimenti del passato, come Jalta, di cui appena po-chi fotogrammi ci giunsero con i cine-giornali Luce. Infatti le poesie civili di Giudici sono raggelanti e spassionati referti. Sono pronunciate da una voce

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priva di commozione, una voce inna-turale e metallica di segreteria telefoni-ca, efficacissima a descrivere il nostro atteggiamento al cospetto dell'orrore La passione è riservata al prima, agli anni di Jalta, a quelle smisurate figure dell'immaginazione collettiva che fu-rono Roosevelt e Stalin, alla guerra, a ciò che parve l'estrema deflagrazione dell'Europa ed era invece anche l'in-cubatrice del nostro lento sfacelo.

In questo culto contraddittorio del passato trovano posto le poesie dedi-cate ad amici e maestri. In Un tardo

colloquio, dedicata a Vittorio Sereni,

• c'è questo verso che è riassunto dell'intera opera dell'amico: "Tutta baci riparte la vita senza di noi". (Addirittura si direbbe che in questi ultimi anni Giudici abbia scritto, a modo suo naturalmente, qualcuna del-le poesie che Sereni, morto nell'83, non ha fatto in tempo a scrivere: pro-prio il poemetto su Jalta potrebbe es-serne una). A Sereni e alla sua lotta con l'Altro, un antagonista che il poeta scopre essere se stesso, si può ricon-durre anche l'omaggio poetico a Saba:

Il ritratto, una delle cose più belle del libro. Mentre è puro Giacomo Noventa l'incipit della poesia Rissi, scritta nel dialetto ligure delle Grazie, "mio paese nativo": "Paolo / Ne statte a spassionà / Conténtete / De quélo che te vén fin eh' 'a te dùa".

Ma tra tutti questi temi così divari-cati tra pubblico e privato, come si concilia la contraddizione tra la (sedi-cente) mediocrità rivendicata dal poe-ta e il suo linguaggio? Come la sua fi-gura è mandane, così la sua lingua è di un'elasticità e duttilità tali che può prendere sul serio o irridere ogni regi-stro, celestiale o infimo che sia. Non esiste in Italia un'altra poesia così net-tamente scissa tra il colloquiale e il sa-pienziale, e che sappia passare con tale naturalezza dall'uno all'altro. Anche le poche varianti che ho potuto confron-tare sono tutte orientate nel senso di eliminare nessi logici, di slogare la sin-tassi, di rendere più repentino lo scat-to di ogni verso da quello che lo prece-de: Giudici è maestro nell'ordire

enjambements psichici, vuoti d'aria a mozzare il respiro tra un'idea e l'altra.

Più di una volta Giudici ha afferma-to che la sua suprema aspirazione, quando scrive, è "servire la lingua". Credo che proprio qui si possa final-mente ritrovare la conciliazione tra il Giudici poeta e il Giudici personaggio della propria poesia. Quest'ultimo vie-ne dipinto, e addirittura rivendicato orgogliosamente, come grigio "uomo impiegatizio", come piccolo borghese catapultato nell'Italia appena appena affluente dei primi anni sessanta. La poesia eroicomica di Giudici nasce dal contrasto tra l'esiguo retroterra del suo personaggio e il confuso orizzonte in continuo allargamento sul quale la sua vicenda è proiettata. Si sa che, in quell'Italia, la prima promozione so-ciale sognata dal ragazzino di famiglia piccolo borghese e cattolica era pro-prio fare il chierichetto, indossare la tunica bianca per servire massa. Allo stesso modo, qualche lustro più tardi, il traguardo del poeta sarà "servire la lingua", conservando però quell'atti-tudine irriverente per cui dopo la mes-sa un chierichetto non abbandonerà mai la sacrestia senza bere un sorso del vino consacrato.

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