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PROBLEMI NORMATIVI E ASPETTI SOCIALI DELLA MALATTIA E DELL'INABILITÀ TEMPORANEA

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Academic year: 2022

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PROBLEMI NORMATIVI E ASPETTI SOCIALI DELLA MALATTIA E DELL'INABILITÀ TEMPORANEA

Dr. Aldo Di Blasi- Dr. F. Cottone, Dr. C. De Luca∗∗ - Dr. G. Rao∗∗∗- Dr. L. Di Blasi∗∗∗∗- Dr . P. Napoli Nania∗∗∗∗∗

Parole chiave: malattia, inabilità temporanea, incapacità lavorativa, certificazione, medico di base, medico specialista, medico fiscale, prognosi clinica, giudizio medico-legale, indennità economiche, autocertificazione, dipartimento.

Riassunto

Gli Autori con il presente lavoro intendono dare un contributo alla comprensione dello spinoso argomento delle certificazioni di malattia, inabilità e inidoneità temporanee, precisando alcuni concetti normativi e rilevando le varie notevoli difficoltà insorgenti in tutti i campi, causate da un lato dalle pretese dei richiedenti, dall'altro da carenze deontologico-professionali di taluni medici certificatori.

Passano in esame infine alcune proposte per la risoluzione del problema,o almeno per un miglior controllo del fenomeno.

Sull'argomento della malattia e inabilità temporanea, si ritiene di poter esprimere qualche considerazione con cognizione di causa, affrontandolo da varie angolazioni, per l'esperienza

Già primario m. l. INPS, medico di base, medico competente, fiduciario Comp. assicur., presid. CMV Messina

∗∗Dir. med. leg. I liv. INPS Messina

∗∗∗Dir. med. leg. I liv. INAIL Messina

∗∗∗∗Serv. Aut. Salute Ment. Policl. Univ. Messina;

∗∗∗∗∗Già ass. med. leg. INPS, dir.II liv. Serv. Anat. Pat. Az. osp. “Piemonte” Messina

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maturata negli anni nei vari settori, dalla medicina di base, alla medicina previdenziale, dall'attività fiscale a quella di medico assicurativo e di medico competente.

La malattia,e la conseguente inabilità temporanea assoluta, nei vari ambiti di applicazione, hanno precipue definizioni:

- In ambito penale 1, la "malattia nel corpo o nella mente", che deriva da una lesione personale (art.582 c.p.), è, secondo i pareri dei più autorevoli medici legali, "un processo morboso, ancorché localizzato e non impegnativo di tutto l'organismo, a carattere dinamico, che cioè abbia un inizio in rapporto causale con l'azione o l'omissione del colpevole; una sequenza sintomatologica funzionale connessa con la natura del processo stesso e con eventuali complicanze con esso correlate; un termine prognosticabile a breve o a lunga scadenza, ovvero non prevedibile o addirittura escludibile". Da tale concetto Aragona deduce che "un'alterazione semplicemente e puramente anatomica, che non si esprima in un danno funzionale, non può essere considerata malattia ex art.

582 c.p.". Pertanto,"un fatto contusivo di modesta entità e assai circoscritto, come una piccola ecchimosi, è certamente un'alterazione anatomica, ma non può definirsi malattia se non s'accompagna a disturbi funzionali della zona corporea interessata". Ai fini dell'azione penale, se la malattia non supera il decimo giorno, il delitto di lesione personale semplice è perseguibile solo a querela della persona offesa, salva la ricorrenza di aggravanti.

All'art.583 c.p., oltre alla malattia che mette in pericolo la vita della persona offesa e alla malattia certamente o probabilmente insanabile, il legislatore cita anche la "malattia o incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni di durata superiore ai quaranta giorni", equiparando la malattia a tale incapacità, intesa però non come capacità di lavoro, ma riguardante qualsiasi attività precedentemente svolta abitualmente dal leso nella sua vita quotidiana, come lavarsi, vestirsi, fare sport, ecc.

-Nel T.U. D.P.R. 1120/1965 è menzionata la "condizione di incapacità che impedisce totalmente e di fatto all'infortunato di attendere al lavoro, dal quarto giorno successivo a quello dell'infortunio o

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della manifestazione della malattia professionale" 2 ; è comprensiva della durata della malattia o della lesione (con un periodo di carenza per i primi tre giorni), del periodo di convalescenza e di eventuale riabilitazione funzionale; va intesa come possibilità per il lavoratore infortunato di attendere totalmente alla lavorazione specifica, di fatto svolta dall'assicurato e non ad una qualsiasi attività proficua, generica. Il giudizio di conclusione della temporanea può essere dato quando la lesione abbia raggiunto lo stadio di "stabilizzazione", tale da non potersi prevedere un ulteriore miglioramento con cure complementari .

-In ambito INPS, la legge n.33/1980 menziona l' "infermità comportante incapacità lavorativa"

individuando, come unico rischio assicurato, il solo evento patologico che causi di per sé l'incapacità al lavoro specifico, una inabilità temporanea assoluta alle mansioni specifiche.

Una stessa infermità pertanto può incidere in modo diverso sulla capacità lavorativa a seconda delle mansioni svolte e dell'ambiente di lavoro 3 .

-La malattia che consente l'assenza nella Pubblica Amministrazione deve impedire temporaneamente la regolare prestazione del servizio. L'Amministrazione, sin dal primo giorno, può disporre il controllo, attraverso la competente A.U.S.L. 4, 5. -La temporanea non idoneità alla mansione specifica dei lavoratori, ai sensi del D.Lgs. 626/94, art. 16, comma 1, lettera b, è certificata dal medico competente, il quale effettua gli accertamenti sanitari preventivi e quelli periodici per constatare l'assenza di controindicazioni al lavoro a cui il lavoratore è destinato. Tale giudizio, rapportato al lavoro specifico, deve avere come premessa indispensabile la conoscenza dell'ambiente in cui tale lavoro si svolge, la natura delle mansioni e la realtà psicosomatica dell'individuo6. Dell'eventuale giudizio di inidoneità parziale, temporanea o totale, occorre informare per iscritto il datore di lavoro, che deve provvedere all'allontanamento del lavoratore dall'esposizione al rischio e affidargli un eventuale successivo compito, tenendo conto della confacenza della mansione con il suo stato di salute, e con le loro attitudini, senza danno per la loro

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professionalità. L'idoneità fisica alla mansione va riferita al possesso da parte del lavoratore delle capacità comunemente indispensabili per le attività oggetto del contratto7.

-Nell'assicurazione privata per infortunio, l'inabilità temporanea, ai sensi di polizza, va considerata come quella conseguenza dell'infortunio per cui l'assicurato versa nella totale o parziale incapacità fisica di attendere alle sue occupazioni, come si deduce dalla relativa condizione contenuta nella polizza-tipo dell'A.N.I.A.: "L'indennizzo per l'inabilità temporanea è dovuto:a) integralmente,per ogni giorno in cui l'assicurato si è trovato nella totale incapacità fisica di attendere alle sue occupazioni; b) al 50% per ogni giorno in cui l'assicurato non ha potuto attendere che in parte alle sue occupazioni. L'indennizzo è corrisposto per un periodo massimo di 365 giorni8,9. - Nell'assicurazione facoltativa malattia, stipulata per sopperire a necessità di natura economica10, sia per il mancato guadagno derivante da temporanea cessazione dell'attività lavorativa, che per spese sostenute in casa di cura, oggetto dell'assicurazione sono:

la malattia, intesa come ogni alterazione dello stato di salute non dipendente da infortunio;

l'infortunio, inteso come ogni evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produca lesioni fisiche obiettivamente constatabili; il ricovero, la degenza in istituto di cura regolarmente autorizzato all'erogazione dell'assistenza ospedaliera e la conseguente convalescenza, se prescritta dal medico; il parto, anche fisiologico; l'aborto. L'indennità giornaliera è variabile, a seconda del tipo di polizza.

-In responsabilità civile, per invalidità temporanea si intende il periodo di tempo durante il quale il leso, per effetto delle lesioni, dello stato di malattia e di convalescenza, non è in grado di svolgere in tutto o in parte le sue abituali, lecite attività quotidiane, anche ricreative, e, nei bambini, quelle ludiche proprie dell'età11. Ciò concretizza il danno biologico temporaneo che sussiste, quindi, sempre e costantemente in ogni caso di malattia conseguente a fatto lesivo illecito. Qualora il leso si trovi in attività di lavoro e di guadagno, il tempo durante il quale è stato impedito a svolgere la propria attività si configura come danno lavorativo temporaneo, riferito alla capacità specifica, al

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lavoro in concreto esercitato12. La temporanea è distinta in totale e parziale a seconda che il soggetto sia stato impedito in modo completo o parziale nello svolgimento delle attività consuete e/o del suo lavoro13.

Da quanto sopra risulta evidente che "malattia" e "invalidità" (questa riferita sia al lavoro sia agli atti quotidiani della vita) non sono da considerare termini equivalenti e non costantemente si identificano nella loro durata.

Spesso, a riprova della propria inabilità temporanea assoluta, i lavoratori esibiscono al medico accertatore i certificati di malattia/assenza dal servizio, che però, alla fin fine, data la situazione dei controlli che tutti conosciamo, può far fede, al massimo, esclusivamente, sulla reale entità della interruzione lavorativa, non certo sulla totale incapacità lavorativa o attitudinale, che può ben essere rimasta conservata, almeno per gran parte del periodo di assenza. Ciò, duole dirlo, ma è inutile cercare di nascondere il sole con la rete, ha per origine, anzitutto la protervia e l'arroganza con cui gli assistiti si rivolgono al proprio medico curante per ottenere anche la luna nel pozzo, se possibile, ma anche la posizione di acquiescenza di alcuni medici di famiglia, i quali, vuoi per intimidazioni, vuoi per leggerezza o per mal posto pietismo, vuoi per il timore di perdere le "scelte", stante l'assurda attuale normativa della convenzione di medicina generale, di frequente redigono certificazioni a dir poco inattendibili, facendo sorgere sospetti di compiacenza o evidenziando addirittura ignoranza dei fondamentali concetti di correlazione fra eventi lesivi o patologie e comuni tempi di guarigione o stabilizzazione14.

Sono infatti spesso riscontrati certificati di malattia o inabilità temporanea, per giunta assoluta, per lesioni lievi o modeste, o affezioni banali, o per riferite sintomatologie (in assenza di obiettività patologica), esageratamente eccedenti i normali decorsi clinici, talvolta anche di mesi e mesi e anche esorbitanti la ripresa dell'attività lavorativa, tanto che, a volte, anche lo stesso soggetto della pretestazione15 disconosce e smentisce in sede di anamnesi. Si riscontrano anche, nella pratica, certificati medici compiacenti16 (Aragona al riguardo dice che per la legge non esiste il certificato

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compiacente, bensì quello falso o veridico, e tale concetto è stato ribadito ieri dal prof. Crinò), chiaramente stilati tutti nello stesso momento, a distanza di parecchio tempo dopo la guarigione clinica, con la stessa penna, talora con errori macroscopici nella datazione, come quando viene sbagliato addirittura l'anno! Nella mia esperienza di medico di base ricordo il caso di un metronotte, il quale accusava dolore e impotenza funzionale a una caviglia, a causa di una riferita, ma non documentata, distorsione, per cui asseriva di non poter espletare la sua specifica attività lavorativa.

Aperta la pratica INPS di malattia, questi è tornato più volte allo studio, dopo i giorni di prognosi iniziale, per il proseguimento della inabilità temporanea, approfittando della presenza ora del titolare, ora dei sostituti, riuscendo a raggranellare più di un mese di riposo, finché il sottoscritto, messo all'erta dal datore di lavoro, che lamentava come il soggetto, in malattia, la sera era visto dai colleghi saltellare in discoteca, per giunta vantandosi di poter continuare così finché avesse voluto, ha messo la parola fine, con una sfuriata biblica, alla faccenda. Col risultato che l'assistito ha scelto immediatamente un altro medico e ha millantato di aver denunciato il sottoscritto, chissà poi per quale reato, forse per avergli bruscamente interrotto i suoi "ozi di Capua".

Brondolo, Farneti e Mangili (1990) e Crinò (1997), ricordano che il medico-legale valutatore deve tener conto, in questi casi, dei tempi medi di guarigione, che dovrebbero costituire nozione di scienza fondamentale e corrente per ogni medico, ma così non pare nella realtà, stante anche la carenza didattica in tal senso negli ordinamenti universitari e nella letteratura (eccetto per le tabelle di Italo Lanza17). Anche la certificazione medica redatta da strutture pubbliche, come si è notato, ed è bene dirlo, non è immune da compiacenza, leggerezza o incompetenza, stante il fatto che varie figure, all'interno delle stesse strutture, possono interferirvi, in modo poco responsabile (basti pensare al frequente riscontro di firme illeggibili, mancanza di timbri identificativi, o talora timbri a copertura di sigle anonime, diagnosi con palesi strafalcioni medici e lessicali).

Pertanto, nell'ambito della valutazione del danno a persona, qualsiasi certificazione "non va accettata in modo acritico e passivamente, ma verificata nella sua congruità con riferimento alle

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lesioni patite dal soggetto e, quindi, con adeguata motivazione può essere anche totalmente disattesa" (Brondolo et Al.).

Alcuni soggetti poi, oltre che al medico di base, per avvalorare i presunti danni subiti, si rivolgono spesso ai presidi di pronto soccorso o di guardia medica, ai reparti ospedalieri o alle cliniche private, o a strutture sanitarie specialistiche ambulatoriali, anche pubbliche, accusando i sintomi più svariati, che vengono così acriticamente trascritti e "certificati", pur in assenza di riscontro di obiettività clinica patologica, scaturendone peraltro di frequente prognosi di giorni e giorni, per

"riposo e cure", o per "accertamenti" strumentali, o per "fisioterapie".

Ciò, nei loro intendimenti, dovrebbe "precostituire solide basi medico-biologiche a sostegno di più o meno rilevanti postumi, nella realtà insussistenti, o di entità segnatamente esigua, ovvero non riconducibili alle lesioni subite"(Crinò). Il prof. Bargagna, a Livorno, nel 1996, ha precisato: "Non si può restare a casa per settanta giorni senza avere effettuato almeno una visita specialistica; ma se va dallo specialista vuol dire che la situazione peggiora? Non sempre è vero…"18 Frequente è in questa fattispecie, il ricorso a strutture ortopediche diverse, in sospetta successione, al fine di ottenere ulteriori giudizi prognostici, quando i precedenti Sanitari hanno già ritenuto stabilizzate le condizioni cliniche e non più necessarie specifiche cure.

Costante appare la prescrizione, a seguito di "colpi di frusta " cervicali, di uso di collare ortopedico per parecchi mesi, nel convincimento che la dimostrazione documentata di tale uso possa far lievitare i giorni di inabilità temporanea assoluta. I prescrittori e i sinistrati sconoscono però l'esistenza di sentenze della Magistratura che non riconoscono al "colpo di frusta" la capacità di rendere una persona totalmente temporaneamente inabile allo svolgimento delle abituali occupazioni, ancorché indossando il collare.

Spesso i soggetti esibiscono, oltre che certificati specialistici, anche accertamenti sofisticati che tenderebbero ad avvalorare l'esistenza di patologia invalidanti. In particolar modo Ecografie, TAC e RMN, di cui oggi si fa largo uso, se non abuso, per scovare, ad esempio, ernie che possano spiegare

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le sofferenze dei lombalgici18. A tal proposito è utile ricordare le risultanze di uno studio condotto qualche anno fa da un gruppo di radiologi e ortopedici californiani: "La risonanza magnetica non deve essere usata di routine per documentare una lesione anatomica in caso di lombalgia, poiché un'alta percentuale di persone che non accusa alcun dolore presenta comunque evidenti malformazioni, quali aumento di diametro e protrusione dei dischi intervertebrali. La prevalenza di quadri non normali alla risonanza è decisamente alta, a tal punto che l'evidenza di una protrusione discale, simmetrica o non, in un paziente con lombalgia è spesso una pura coincidenza. Deve essere riconosciuto un maggior ambito di normalità nella lettura delle risonanze, per la quale è necessaria una precisa terminologia: quadri di 'bulge' e di protrusione non devono allarmare, mentre solo le decise estrusioni discali devono considerarsi preoccupanti. Infine, è consigliabile richiedere una risonanza magnetica solo se il dolore ha una durata prolungata e non regredisce con il trattamento".

Affollati sono anche, come consta personalmente a mia figlia, che opera presso il Servizio Autonomo di Salute Mentale del Policlinico di Messina, gli ambulatori dei Servizi psichiatrici o neurologici, da parte di soggetti che esprimono sintomatologie da ansia, depressione, attacchi di panico, disturbi da stress post traumatici, ecc., a seguito di presunti traumi cranici o contraccolpi cervicali. In questi casi, i Sanitari subiscono spesso pressioni da parte di persone a cui palesemente e sfacciatamente interessa esclusivamente ottenere certificati di incapacità temporanea, con diagnosi di simulate patologie, le cosiddette "pretestazioni di lesività", piuttosto che per idonee cure, che, se prescritte, non vengono ovviamente seguite.

Non posso al riguardo dimenticare, nella mia attività di primario medico legale INPS a Livorno e Piombino, il caso di quel lavoratore, assente dal servizio da parecchi mesi, per "sindrome depressiva", abbondantemente certificata da specialisti, sia pubblici che privati. Convocato ad accertamento ambulatoriale, poiché risultato assente a uno dei periodici controlli fiscali, il soggetto mi esibì un fascio di documenti sanitari, da cui risultava una "depressione cronica". Come è noto, nella individuazione della ripresa capacità al lavoro, non va ricercata la completa restitutio ad

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integrum, che in teoria potrebbe non essere mai raggiungibile, come spesso avviene nelle infermità ad andamento cronico in cui la risoluzione del fatto acuto non coincide con una completa guarigione biologica, comportando l'infermità cronica una lenta ma progressiva evoluzione, senza stabilizzazione. Dopo avere spiegato al lavoratore che la patologia non costituiva un fatto acuto, tale da renderlo incapace in modo "assoluto" alle sue "mansioni specifiche", gli comunicai che dal giorno dopo poteva rientrare al lavoro. Allora il "depresso" si trasformò improvvisamente in

"ossesso", accusando i Siciliani di venire a comandare a casa loro, e minacciando rappresaglie di vario tipo. A questo punto il sottoscritto, spiegatogli meglio la faccenda, esprimendosi in perfetta lingua siciliana, con i modi "gentili" che il caso meritava, lo accompagnò per tutto il corridoio

"cortesemente" fino alla porta d'uscita dell'ufficio sanitario. Il lavoratore rientrò al lavoro il giorno dopo e, finché sono stato a Livorno, non mi risulta che abbia più presentato certificati di malattia.

Nell'immaginario di queste persone, ma purtroppo anche nella pratica quotidiana, il possedere dei certificati di specialisti e degli accertamenti strumentali, spesso "ad usum delphini", validerebbe , senza possibilità di smentita da parte dei medici fiscali o verificatori, le loro presunte patologie e gli incredibili tempi di guarigione19.

Ancora, non è superfluo ricordare l'abuso che, tramite le certificazioni specialistiche, si creava circa l'esenzione dalle fasce orarie di obbligo per il lavoratore, di farsi trovare al domicilio. Bastava che lo specialista attestasse che il soggetto, per motivi psicofisici di varia natura, avesse bisogno di

"prendere aria fuori casa", perché l'INPS fosse messo nell'impossibilità di effettuare controlli. A Livorno il sottoscritto ha adottato la linea di negare qualsiasi esenzione, scontrandosi con le lagnanze più o meno vivaci degli interessati, finché, per fortuna, non è intervenuta la sentenza n.

12607/95 della Corte di Cassazione, depositata il 7.12.95, che concede, durante lo stato di malattia, al lavoratore, di uscire dall'abitazione ma non di allontanarsi; come a dire, come titolava la stampa,

"La reperibilità è valida fino alla porta di casa". Con motivazioni non prive di ironia, la Corte,

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respingendo un ricorso di un dipendente, stabiliva che il lavoratore assente per malattia, che venga colto in casa da una crisi di claustrofobia, possa uscire all'aperto, ma debba comunque stanziare nelle vicinanze della sua abitazione, avendo cura di individuare il medico di controllo, al suo arrivo, per esporgli le sue ragioni. Provvedendo a distribuire fotocopie dell'articolo di stampa relativo alla sentenza suddetta, si è ottenuto il risultato di far diminuire le richieste di esonero e la litigiosità conseguente al diniego.

Tuttavia è anche da riconoscere che le normative, oltre a non essere ben conosciute, peccano spesso per poca chiarezza, in particolare nel settore previdenziale. Già nel 1993 i medici del G.D.

dell'INPS di Messina, comunicavano al Primario dirigente, Prof. Marcianò, il riscontro, in una percentuale superiore al 10% della certificazione di malattia, di diagnosi non configuranti lo stato di inabilità temporanea assoluta e peraltro basate spesso su elementi non rilevati obiettivamente.

Ancora, nel 1994, il sottoscritto20, nella qualità di segretario provinciale dell'ANMI-FeMePA, e a nome dei colleghi Abramo, Ardizzone, Capilli, Consolo, Cottone, De Luca, Gandolfo, Gugliandolo, Patanè, Patinella, Rappazzo, Savoca, scriveva sulla stampa locale, dando anche comunicazione ai Primari del settore, d.ri Giunta e Fidecaro (attirandosi gli strali della Direzione dell'INPS, che pur asseriva di condividere l'iniziativa): "I medici legali dell'INPS di Messina incaricati degli esami tecnico-professionali delle certificazioni di malattia che danno diritto ad indennità economiche, che pervengono quotidianamente presso la sede di Messina e i centri periferici, ne hanno constatato in poco tempo un progressivo incremento, quasi si ricorresse a tale forma di sussidio per sopperire alle carenze salariali. Nell'esame di tale fenomeno, sono state riscontrate notevoli abnormità sia dal punto di vista diagnostico, che, soprattutto, prognostico, la cui responsabilità ricade certamente sul medico di base. E' vero che questi colleghi sono giornalmente sottoposti a pressanti richieste da parte dei loro assistiti, di certificazioni di malattie, per i motivi più disparati, non ultimi quelli economici, ma è anche vero che qualche collega ha spesso esagerato, prescrivendo un mese di riposo per una 'tonsillite acuta' e un anno e mezzo, mediante successivi prolungamenti, per una

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'algia al polso post-traumatica' , o mesi e mesi per 'diabete', ' ipertensione', 'artrosi cervicale', 'sindrome depressivo-ansiosa', ecc. Gli stessi medici, spesso si trovano disorientati di fronte all'esibizione di certificati specialistici o a disposizioni amministrative contrastanti, o a sentenze superficialmente interpretate, o a minacce lanciate dai falsi malati. Ma l'art.331 del codice di procedura penale non lascia adito a dubbi: qualunque pubblico ufficiale, o incaricato di pubblico servizio, che abbia conoscenza di un probabile reato, deve comunicarlo immediatamente al Pubblico Ministero, pena gravi sanzioni. Di ciò hanno ormai preso coscienza i medici legali dell'INPS, che non intendono fare da capri espiatori di un andazzo illegale che provoca alle casse dello Stato un danno maggiore delle ormai storiche tangenti.

Pertanto hanno deciso all'unanimità di lanciare un appello ai colleghi medici di base per una incisiva collaborazione, al fine di far cessare definitivamente il vergognoso e gravoso fenomeno di malcostume delle 'malattie facili' e delle 'certificazioni d'oro'".

L'appello cadde nel vuoto, anzi riscontrò il malumore di molti Medici di famiglia, che si sentirono screditati, e costituì l'inizio di un 'dossier' a me intestato presso la Direzione Generale. Così l'anno dopo mi trovai costretto a tornare alla carica, sul periodico messinese 'Il Galeone' 21 : "I fenomeni patologici dell'assenteismo e delle esagerate indennità di malattia possono trovare un idoneo ed efficace freno nella pubblicazione delle normative sulla specifíca materia. E' vero anzitutto che direttive burocratiche poco chiare e sentenze male interpretate hanno contribuito a disorientare i sanitari compilatori dei certificati. Infatti, quando la stessa INPS nelle 'Avvertenze per il medico' allegate ai blocchetti dei certificati propone, quale esempio di 'Compilazione corretta', la dizione 'artrosi cervicale', commette certamente una svista, poiché induce in errore i medici di base: la svista è reiterata nella 'classificazione nosologica per la certificazione di malattia' dell' INPS, in cui sono riportate genericamente le voci 'diabete mellito', 'malattie della tiroide', 'psicosi croniche', 'neurosi', 'ansia', 'depressione non psicotica', 'cardiopatia reumatica', 'ipertensione arteriosa', 'cardiopatia ipertensiva', 'angiosclerosi', 'varici', 'calcolosi vie urinarie (escluso colica renale)', 'malattie

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dell'esofago, stomaco, duodeno', 'malattie della pelle e del sottocutaneo (compreso eczema)', 'osteoartrosi', ecc. ecc. Di contro, nelle istruzioni emanate per i propri funzionari, ma non pubblicizzate fra i medici di base, l' INPS afferma che non devono essere ritenuti validi i certificati in cui siano menzionate 'patologie che di per sé non comportano necessariamente incapacità al lavoro', quali, ad esempio, 'artrosi non in fase di riacutizzazione, malattie dermatologiche non infettive, quali la vitiligine, la rosacea, la psoriasi non complicata, alterazioni estetiche e loro trattamenti, come liposuzione, lifting, ecc.'.

In tali casi, comunque, e in altri, come la 'genericità nella formulazione del giudizio diagnostico, insufficiente ad attestare l'incapacità lavorativa', la mancanza di elementi essenziali ai fini certificativi: cognome, nome, firma del medico, giudizio diagnostico, data di redazione del certificato, data di scadenza della prognosi, la 'incongruenza per diagnosi incompatibili con le caratteristiche biologiche dell'intestatario del certificato', l’ INPS deve inviare una lettera all'assicurato con la richiesta di chiarimenti da parte del medico curante, allo scopo di regolarizzare, ove possibile, la certificazione prodotta senza procedere al pagamento dell'indennità. Ma di tutto ciò sarebbe stato utile che i medici di famiglia venissero informati per tempo, evitando loro di incorrere nelle cosiddette 'anomalie'. E si sarebbe spesso evitato di esporre i medici fiscali alle reazioni degli assicurati che non riescono o non vogliono comprendere il perché la diagnosi del proprio medico venga contestata. Ad aumentare la confusione è intervenuta la sentenza della seconda sezione penale della Cassazione, che ha stabilito il principio che di fronte ad una infermità non obiettivabile, la diagnosi del medico di famiglia ha più valore di quella del medico fiscale.

La lettura superficiale della sentenza, anzi la notizia travisata, appresa dai mass-media, ha indotto qualche medico di famiglia a ritenere di non poter essere contestabile in nessun caso, qualche assistito a credere di potersi godere tutti i periodi di malattia che avesse voluto, qualche medico fiscale a convincersi di non poter fare altro che confermare la prognosi del curante. Mario Boni, rappresentante dei Medici di Medicina Generale, ha cercato di chiarire il problema dalle pagine

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della stampa medica: 'Va comunque detto che noi medici di famiglia non certifichiamo l'incapacità al lavoro, ma la malattia. In altre parole, può esserci una difformità tra la certificazione nostra e quella del medico fiscale, perché noi certifichiamo la prognosi di malattia, mentre il medico di controllo punta solo a stabilire la durata della incapacità lavorativa'."

Ma se questo può essere ammesso a giustificazione, è anche vero che il medico di famiglia, nell'atto stesso di compilare il modello di certificazione di malattia, svolge funzioni medico legali che gli derivano dalla legge (D.P.R. 882/84), per cui sembra artificioso fare tale tipo di distinzione, che appare piuttosto un bizantinismo, al fine di evitare, come già detto, che i pazienti cambino scelta, abbandonando un medico non disponibile a certificare con facilità, dato l'eccessivo permissivismo in tal senso delle norme vigenti.

Ancora, nel gennaio '95, sul "Medico d'Italia" 22, in risposta a una nota precedentemente pubblicata, sulla "attuale grave, perniciosa confusione tra previdenza e assistenza alla base del gravissimo deficit accumulato" dall'INPS, il sottoscritto interveniva esponendo il proprio pensiero:

"la confusione è voluta e sbandierata solo da coloro a cui fa comodo che così appaia: si è sempre saputo che, a causa delle scelte di politica pseudo-sociale dei governanti, il settore assistenziale dell'INPS è in passivo, rispetto a quello previdenziale; e non può essere altrimenti, se i governanti, invece di dare lavoro ai cittadini, preferiscono tacitarli con indennità di disoccupazione, indennità di malattia, ecc."

Proseguendo su questa strada, sono riuscito ad organizzare a Livorno, nel 1996, d'intesa con il Direttore dell'INPS, d.ssa A. Sucato, il Presidente dell'Ordine dei Medici, dr G. La Greca, i responsabili dell'AUSL (d.ri Conca e Rugi), dell'INAIL (d.ri Merolla e Rossi) e della FIMMG (dr Cognetta), il primario regionale INPS d.ssa Cucurnia, il già citato Primo Corso di qualificazione per i medici di controllo, come da tempo richiesto insistentemente dagli stessi operatori, medici della lista e dell'Ausl, che avvertivano l'esigenza di criteri di indirizzo certi e univoci, sia dal punto di vista concettuale, che dal punto di vista pratico clinico e medico-legale.

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In tale occasione ho avuto modo di verificare la grande disponibilità e la carica di umanità del Prof.Marino Bargagna e di altri illustri Primari e Dirigenti sanitari , prodigatisi per la riuscita del Corso, mentre ho dovuto lamentare la totale indifferenza degli Organi centrali dell’Istituto, che non si sono mai espressi sull'iniziativa.

Dal dibattito sono emersi vari problemi e necessità, tuttora purtroppo attuali. Anzitutto la convenienza di trasmettere ai medici della lista tutta la certificazione relativa alla malattia dei singoli lavoratori da sottoporre a controllo, compresi i certificati precedenti, di inizio malattia.

Spesso infatti al medico fiscale viene fornita solo la data di continuazione, con ciò non consentendogli di valutare completamente la reale situazione sanitaria del lavoratore ammalato.

Ancora i medici legali dell'INPS nelle loro funzioni di controllo dovrebbero essere forniti di tutta la documentazione sanitaria precedente relativa al lavoratore malato (anche degli anni precedenti ) al fine di poter esprimere un corretto giudizio medico-legale relativamente alla congruità delle prognosi e alla necessità di disporre i controlli.

In ciò possono essere di notevole ausilio l'utilizzazione e il perfezionamento del supporto informatico, per gestire con precisione i dati relativi alla malattia, sia ai fini di un efficace controllo, sia per scopi epidemiologici, sociologici e lavorativi.

In pratica, i certificati abnormi, o "anomali", possono ricomprendersi in cinque tipologie di più frequente riscontro, come riportato da Belloni in un lavoro del 1998 (che ignora in bibliografia gli Atti del Corso di Livorno, pubblicati a mie spese) :

-certificati di malattia con prognosi incongrue;

-certificati attestanti pseudoinfermità, finalizzati a favorire il lavoratore di giorni di ferie extracontrattuali per le più svariate finalità (cure termali, vacanze, attività lavorative in proprio, forme di rivalsa contro il datore di lavoro ecc.);

-certificati di pseudo-infermità sostitutivi della cassa integrazione o della disoccupazione, come si può riscontrare nei lavori stagionali, quali quelli dello spettacolo, edili, agricoli, stagionali in genere

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(a tal proposito, il collega Gaetano Capilli ha argutamente proposto, fra il serio e il faceto, per i braccianti agricoli stagionali, un indennizzo del tipo "fermo biologico", come per i pescatori);

-malattie derivanti da responsabilità di terzi;

-patologie di competenza INAIL.

Appare pertanto indispensabile organizzare, da parte degli Ordini professionali, periodici incontri fra medici INPS, INAIL, AUSL e Medici di famiglia, per permettere di scambiarsi esperienze e chiarire concetti normativi, al fine di ottenere una maggiore chiarezza nelle diagnosi, una maggiore precisione circa il periodo di convalescenza post-chirurgico, etc. A tal proposito, si spera che questo obiettivo, col patrocinio del Presidente del nostro Ordine, dr Nunzio Romeo, possa essere quanto prima raggiunto qui a Messina.

E' importante concordare anzitutto sulla non costante coincidenza tra "malattia" e inidoneità al lavoro, specie quando si tratti di patologie ad espressione loco-regionale, non coinvolgenti l'intero organismo ed estrinsecantesi a carico di apparati od organi compatibili con lo svolgimento della usuale attività lavorativa o quotidiana, e quindi su una corretta formulazione della guarigione, che deve coincidere con il ripristino dell'efficienza psico-fisica allo svolgimento delle proprie mansioni o delle ordinarie occupazioni. Occorre concordare sul fatto che i corollari sintomatologici dichiarati, dipendenti ad esempio da un evento traumatico, compatibili con l'espletamento della attività lavorativa, non possono venire certificati come periodi di incapacità temporanea assoluta 23 , ma al contrario vanno inquadrati come postumi permanenti, cessando il diritto alla corresponsione della indennità di temporanea.

Inoltre, deve essere condiviso il fatto che non si può far rientrare nell'oggetto del rischio assicurato il concetto clinico della guarigione intesa come restitutio ad integrum, poiché in tal modo si corre il rischio di prolungare all'infinito nel tempo il momento della ripresa lavorativa o attitudinale.

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D'altronde, pronunce pretorili concordano nell'ammettere che "il certificato di diagnosi deve attestare la sussistenza di una infermità che renda inevitabile l'assenza dal lavoro fintanto che è in atto e che non basta che sia accertata l'esistenza di una qualsiasi infermità, ma questa deve essere di portata tale da determinare una incapacità lavorativa, in rapporto alle specifiche mansioni contrattuali". Negli anni, la Corte di Cassazione ha ritenuto giustificati anche i periodi di assenza per convalescenza, per le emodialisi, per le emotrasfusioni, l'allontanamento dal lavoro da parte dell'autorità sanitaria per i portatori sani di salmonella o altri agenti infettivi, in trattamento farmacologico specifico, per alcool e droghe e per tutte le altre condizioni di salute pregiudicanti direttamente o indirettamente la capacità lavorativa. Non possono invece essere considerati inabilità assoluta i periodi relativi a cicli di fisioterapia. Al citato Corso di Livorno, il prof. Luigi Chambry, docente in Ortopedia, medico-legale e fisiatra, rispondendo a un medico di controllo, che asseriva di aver convalidato la malattia di un lavoratore fino alla fine della fisioterapia, ha chiarito:

"…L'attività fisioterapica riabilitativa ha tutta un'altra funzione, non sono cure indispensabili per la malattia assoluta,ha una attività di prevenzione e cura per accorciare il tempo di malattia; mai una riabilitazione deve allungare…questo non può essere ammesso: è come se andasse a prendere il sole a mare.

Da più parti si è ventilata in passato l'idea di sollevare i medici di famiglia dall'incombenza, attribuita loro dalla legge, di certificare lo stato di malattia dei propri assistiti, cosa che li avrebbe sollevati da non poche difficoltà e responsabilità. Ma molti, dentro e fuori le organizzazioni sindacali, si sono ribellati, ritenendo ciò una perdita di autorità, o di potere, o di prestigio. Oggi però la proposta sembra tornare in auge: la stessa FIMMG, ricordando che, a proposito degli invalidi civili, l'idea della certificazione personale promossa dal sindacato per convalidare l'invalidità, come sostenuto da Mario Falconi, segretario nazionale, "fu un successo, gli invalidi infatti diminuirono", ripropone il metodo dell'autocertificazione anche per la malattia e inabilità temporanea breve. La proposta di lasciare nelle mani dei malati la responsabilità delle loro brevi assenze dal lavoro, oggi

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riscuote più approvazioni che critiche,anche da parte degli addetti ai lavori e dei soggetti che si trovano ad averne periodicamente necessità, i cittadini lavoratori.

Anche la FNOM ha espresso il proprio consenso. "Il meccanismo attuale - ha affermato qualche tempo fa l'allora presidente Pagni - così come è adesso non ha senso. Il medico si trova costretto a dichiarare che una persona è stata male il giorno prima, ha avuto un malessere che gli ha impedito di recarsi al lavoro, ma non può constatare il fatto perché è già accaduto". Molto meglio, si sostiene, dare ai cittadini la responsabilità di una dichiarazione del genere.

In molti Paesi, del resto, l'autocertificazione in questo campo è la norma. La Fimmg, sebbene riconosca che i "furbi" non mancano, difende il principio, ma ritiene che lo Stato debba prima formare cittadini responsabili, e per far questo occorre investire fondi, puntare sulla formazione scolastica, rendere più maturi i cittadini.

Un correttivo, o un controllo, o un'altra soluzione, potrebbe ricercarsi, come già proposto nel citato articolo del "Medico d'Italia", e come da anni perseguito dal- l' ANMI FeMePA, nella

"creazione di un unico Dipartimento di Medicina Legale Pubblica, di cui dovrebbero far parte i Medici dell'INPS, dell'INAIL, del Servizio di Medicina Legale e fiscale delle AUSL, dell'Università, militari ecc., al fine di ottenere una uniformità di giudizio e un apposito coordinamento, per le varie funzioni oggi svolte da tanti Enti: invalidità pensionabile, invalidità da infortuni e malattie professionali, invalidità civile, rilascio certificazioni per patenti, porto d'armi, idoneità sportiva, dispense dal servizio, responsabilità civile, malattie e inabilità temporanee, inidoneità lavorativa, ecc. Sarebbe l'occasione - concludevo - per portare il nostro Paese, almeno in questo settore, fra quelli civili ed efficienti".

Bibliografia:

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3 Belloni M. L'indennità di malattia.Valutazione prognostica in ambito INPS. Rassegna di Medicina legale previdenziale,1998; 1 ; 3-6.

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13 De Leo D. Raccolta del materiale illustrativo utilizzato nell' Incontro con i medici fiduciari.

Verona: Dir.Sinistri Gruppo Cattolica Ass.ni . Edizione 2000.

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16 Giovannelli C.A. Doveri e obblighi del medico.Linee guida. Milano: Mediprint,1998 17 Lanza I. Tabelle dei tempi di guarigione delle principali lesioni traumatiche conseguenti a incidente stradale. In: Baltieri A. L. Infortunistica stradale - Prontuario per la valutazione e la liquidazione del danno della persona. BELLUNO: C.E.D. LAURUS, 1970 18 Di Blasi A. (a cura di)- Atti del I Corso di qualificazione per i medici addetti al servizio di controllo dello stato di malattia dei lavoratori. INPS-Ordine dei Medici Livorno, Messina: Grafo Editor,1996.

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22 Di Blasi A. Un dipartimento di medicina legale pubblica per informare. Il Medico d'Italia 1995;1.

23 Frola M. Inabilità temporanea biologica. Circolare a Capi Zona Sinistri. Torino: SAI Ass.

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Riferimenti

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