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LA SENTENZA N. 372/92 DELLA CORTE COSTITUZIONALE ED I SUOI PRIMI RIFLESSI SUL SISTEMA LIQUIDATIVO di Antonio Nannipieri

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LA SENTENZA N. 372/92 DELLA CORTE COSTITUZIONALE ED I SUOI PRIMI RIFLESSI SUL SISTEMA LIQUIDATIVO

di

Antonio Nannipieri*

La sentenza n.372/94 della Corte Costituzionale è stata commentata sia nei suoi aspetti generali che nei suoi aspetti particolari da vari autori (Martini, Ponzanelli, Giannini, Scalfi, Franzoni, Navarreta) e da alcuni coautori della terza edizione della "Valutazione del danno alla salute" a cura di Bargagna e Busnelli ed è stata attentamente esaminata nel corso di questo convegno. Pertanto per evitare inutili ripetizioni su riflessioni in parte adesive ed in parte critiche - pienamente condivise - debbo limitarmi a svolgere alcune considerazioni su un problema specifico e cioè sulla incidenza della sentenza richiamata sul criterio relativo alla liquidazione del danno alla salute.

In proposito occorre allora aggiungere e puntualizzare - rispetto alle considerazioni sopra svolte - che sostanzialmente due sono le posizioni rilevanti ai fini della determinazione del quantum del danno alla salute e cioè quella dei soggetti primariamente e direttamente lesi dal fatto

illecito produttivo dell'evento dannoso e che, in quanto tali, esercitano l'azione risarcitoria (c. d.

danno diretto o primario) e quella dei soggetti diversi e distinti rispetto alla vittima iniziale o danneggiato diretto ma vincolati e legati a quest'ultimo da un rapporto particolarmente qualificato e stretto quale il rapporto familiare o di stabile convivenza more uxorio (danno c. d. riflesso o indiretto o di rimbalzo) legittimati a far valere la propria pretesa risarcitoria o iure proprio o iure hereditario o in base al doppio titolo.

In relazione a tali posizioni soggettive erano sinora configurabili situazioni risarcitorie che per il danneggiato primario - in presenza dei necessari presupposti - consentivano sia la risarcibilità e, quindi, la liquidazione del danno alla salute fisico-psichica unitariamente considerato (artt. 32 Cost. e 2043 cod. civ.), sia del danno patrimoniale (artt. 1223 e 2056 cod. civ. nella duplice forma del danno emergente e lucro cessante) sia del danno morale soggettivo (art. 2059 e cod. civ.) con i criteri e parametri diversi a tutti noti e più volte richiamati anche nel corso di questo convegno; e ciò sulla base del nuovo sistema risarcitorio delineato dalla giurisprudenza della Corte

* Magistrato Dirigente Pretura Circondariale, Lucca

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Costituzionale (sent. 184/86) della Cassazione e dei giudici di merito la quale aveva conferito ad ogni figura o voce di danno una propria autonomia concettuale, probatoria e liquidativa, collocando, in particolare, il danno alla salute psichica all'interno del danno alla salute e nell'ambito di applicazione dell'art. 2043 cod. civ.

Per il risarcimento del danno c. d. riflesso o indiretto lamentato dai sopravvissuti per la morte del proprio familiare (ed in taluni casi, del convivente more uxorio e degli stessi familiari per lesioni gravissime) la giurisprudenza ha sempre ammesso a favore dei familiari la liquidazione del danno patrimoniale e del danno morale soggettivo mentre controversa in dottrina e giurisprudenza era la risarcibilità del "danno biologico da morte" derivante dalla soppressione totale della salute della vittima deceduta, sia per trasmissione del diritto iure successionis, sia per attribuzione dello stesso iure proprio.

Richiesta di pronunciarsi dall'ordinanza del Tribunale di Firenze 10.11.93 (Giur. Ital.

1994,1,1,2,81) sulla legittimità costituzionale degli artt. 2043-2059 cod. civ. in riferimento agli artt. 2,3,32 Cost. nella ipotesi di danno alla salute derivato dalla uccisione di una persona ad un suo familiare, la Corte Costituzionale ha ritenuto infondata le proposte eccezioni dopo un iter motivazionale in gran parte innovativo ed in parte confermativo della sentenza 184/86, concludendo che, in ipotesi di lesioni mortali, è ammissibile la trasmissibilità del risarcimento agli eredi, limitatamente al danno biologico del defunto nel periodo intercorso tra il momento della lesione e quello della morte e la liquidazione iure proprio del danno personale conseguente al decesso del congiunto da ricomprendere nel danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 c.c.

Tralasciando qui volutamente tutta la problematica di fondo relativa all'ambito di applicazione dell'art. 2043 o a quello dell'art. 2059 cod. civ. nelle prospettive sicuramente nuove delineate dalla sentenza, sembra di poter affermare che la validità del metodo di liquidazione equitativo del valore differenziato del punto nel casi di danno alla salute permanente e di equivalente pecuniario giornaliero - pure differenziato con correttivi equitativi - nel caso di danno alla salute temporaneo risulta confermato dalla motivazione della sentenza in esame per la prima delle due posizioni risarcitorie indicate e cioè nei casi di pregiudizio alla salute "subito dal titolare del bene primariamente leso dal fatto illecito" o danneggiato diretto.

Infatti, chiaramente abbandonata la precedente distinzione tra danno-evento e danni- conseguenze la Corte - con riferimento alla 184/86 - rileva (par.2.1) che oltre la prova della esistenza del danno e cioè della lesione della integrità fisiopsichica è sempre necessaria la prova ulteriore della entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 cod. civ., costituita dalla diminuzione o privazione di

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un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato mentre, successivamente, (paragrafo 3.1) richiama la dottrina accolta dalla Corte di Cassazione nelle sentenze nn. 357 e 2009 del 1993, cui ora deve aggiungersi la recentissima ed importante sentenza n. 4255/95 pienamente confermativa del criterio liquidativo pisano.

Ed allora, per il rilievo che assume tale richiamo nel contesto motivazionale deve ritenersi che per tutti i casi di danno alla salute "diretto" o "primario" che rappresentano la stragrande maggioranza delle situazioni risarcitorie di danno alla salute l'unitarietà del danno alla salute comprensiva sia del danno fisico che del danno psichico non possa essere posta in dubbio cosa come "la determinazione equitativa (ex artt. 2056 e 1226 cod. civ.) mediante individuazione, del valore umano perduto, attraverso la personalizzazione, nel caso concreto, quantitativa, (con aumenti o diminuzioni) o persino qualitativa (con scelta tipologica diversa) di parametri uniformi per la generalità delle persone fisiche", determinazione pienamente in linea con i criteri di uniformità di base e flessibilità del caso concreto espressi già dalla 184/86 e prima ancora dalla giurisprudenza pisana.

A diversa conclusione si deve, invece, giungere in relazione al danno alla salute "c. d. riflesso indiretto o di rimbalzo" e cioè al danno alla salute psichica subito da persona diversa dal titolare e cioè dal familiare o convivente della vittima poiché in questa ipotesi la Corte ha chiaramente ammesso la risarcibilità iure proprio di tale danno.

Ciò è reso palese dal passaggio motivazionale finale (paragrafo 4) in cui si afferma che il modello risarcitorio applicato per riconoscere il danno biologico iure proprio alla salute psichica dei familiari della vittima (inteso "soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente ad una lesione") è quello di cui all'art. 2059 cod. civ. e che tale danno "costituisce il momento terminale dì un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, e che in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, ecc.) anziché esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato di angoscia transeunte, può degenerare in trauma fisico o psichico permanente, alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento".

Certamente la soluzione accolta dalla Corte spezza l'unitarietà del danno alla salute, pone in crisi il criterio distintivo tra danno morale soggettivo e danno alla salute psichica già delineato dalla dottrina e dalla giurisprudenza della stessa Corte (sent. 184/86 e 37/94) riflettendosi sulla autonomia anche liquidativa delle due voci di danno e riconduce il danno psichico di tipo permanente nelle note ristrettezze proprie dell'art. 2059 cod. civ.

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Probabilmente la Corte (diversamente dalla sentenza 184/86 e tenuto conto dei termini dell'ordinanza) non ha ritenuto necessario affrontare il problema delle implicazioni di tale nuova costruzione sul piano applicativo o, comunque, non ha ritenuto di farvi specifico ed espresso riferimento; tuttavia il problema riveste indubbiamente notevole importanza e postula una qualche indicazione.

Ciò posto, è da ritenere che (fermo restando il sospetto profilo di incostituzionalità in relazione all'art. 32 Cost. derivante da una tutela risarcitoria limitata ex art. 2059 cod. civ. anche nella pure differenziata ipotesi di danno "riflesso") l'incidenza sui criteri di liquidazione adottati prima della sentenza sia di portata applicativa ridotta.

lnvero, la fattispecie risarcitoria delineata richiedendo che il fatto illecito sia astrattamente preveduto come reato e sia, conseguentemente, idoneo a ledere l'interesse tutelato dalla norma penale è già oggettivamente limitata rispetto alla casistica generale del risarcimento del danno alla salute ma assume carattere ancor più selettivo e restrittivo ove si consideri la particolare articolazione di tale fattispecie in cui lo shock psichico patito dal familiare non si arresta alle conseguenze affettive rapportabili al danno morale soggettivo (sofferenza, dolore, angoscia, perturbamento dello stato d'animo con effetti transeunti) ma può evolvere in un trauma psichico o fisico permanente che, cronologicamente, rappresenta un momento successivo e terminale del temporaneo turbamento psicologico ma che, sostanzialmente muta la natura e la qualità del pregiudizio iniziale del danno alla salute con postumi permanenti cioè definitivi perché non più suscettibili di modificazione né per decorso del tempo né per riadattamento compensativo, né per trattamento terapeutico anche prolungato.

Ed è a questo punto che coerentemente, secondo la Corte, il quantum del risarcimento non va commisurato semplicemente al pretium doloris secondo i consueti parametri della valutazione equitativa del danno morale ma va, invece, rapportato, alle conseguenze in termini di diminuzione o perdita delle qualità personali cioè ai contenuti ed ai criteri risarcitori propri del danno alla salute sopra richiamati.

Se non che la forma e la natura di patologia psichica o fisica deve essere connotata dalla permanenza e, per quanto prima detto in punto di prova, non potrà mai essere apprezzata dal giudice in via presuntiva ma dovrà, invece, essere accertata attraverso consulenza tecnica d'ufficio - preferibilmente collegiale - con quesiti specifici diretti non solo a stabilire la natura permanente e non temporanea della menomazione psichica o fisica o psicofisica ma anche la entità (mediante percentualizzazione o in altro modo idoneo) della stessa non trascurando l'incidenza di quelle

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particolari condizioni soggettive che possono, causalmente, essere connesse all’insorgere di tale complessa forma patologica.

Ed allora, ferma restando la difficoltà di distinguere anche a livello medico, “tra il disturbo psichico qualificabile come danno permanente e quello riconducibile ad un periodo di malattia abnormemente (rispetto alla maggioranza dei casi) dilatato (Castiglioni), due sono le ipotesi concretamente prospettabili rispetto alle conclusioni del C.T. U., e cioè:

a) ricorrono conseguenze afflittivi temporanee proprie del danno morale soggettivo ed allora il criterio liquidativo sarà quello equitativo sinora adottato dalla giurisprudenza che va distinto e non mai sovrapposto rispetto a quello relativo al danno alla salute temporaneo di cui si è trattato in maniera specifica nel volume sopra richiamato;

b) rimane accertato che il perturbamento psicologico di natura transitoria si è trasformato in menomazione psichica-fisica permanente ed allora (indipendentemente dal referente normativo - 2043 o 2059 cod. civ. - e dalla conseguente collocazione nella voce del danno alla salute o del danno morale) siamo di fronte ad un pregiudizio che si presenta con caratteristiche sostanzialmente identiche dal punto di vista contenutistico e, quindi, in quanto tale, postula che la corresponsione del relativo quantum avvenga con identico parametro liquidativo e cioè con riferimento al valore pecuniario del punto del danno permanente alla salute; e tale conclusione vale a fortiori nella ipotesi in cui il danno permanente accertato sia di natura fisica.

Tale metodo in tema di lesioni stradali si rende accettabile, vuoi per la considerazione che la lesione è in materia quasi sempre di natura colposa con un grado di intensità dell'elemento soggettivo normalmente analogo e solo eccezionalmente diverso per cui la intensità del dolo o della colpa finisce per assumere una valenza subordinata rispetto al criterio tendente a far coincidere la entità delle sofferenze con la gravità delle lesioni subite, vuoi per la considerazione che per una parte della giurisprudenza di merito la liquidazione del danno morale veniva commisurata su un valore base da moltiplicarsi per i punti di invalidità permanente, "essendo il riferimento a punto di invalidità altro che una convenzione per esprimere sinteticamente la gravità del fatto e le sue ripercussioni sulla vittima nei reati di lesioni personali" (Franzoni).

Tale valore però, per quanto sopra detto in relazione al profilo contenutistico (prevalente rispetto agli altri), non può più essere determinato in misura inferiore rispetto al valore del punto del danno permanente alla salute ma deve coincidere con l’equivalente pecuniario di quest'ultimo.

Peraltro, non si può trascurare di sottolineare che la riconfermata, legittimità costituzionale del sistema codicistico basato sulle norme di cui agli articoli 2043 e 2059 e la inammissibilità del

"danno biologico da morte" pongono l'esigenza di raggiungere un diverso e più equo equilibrio

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risarcitorio attraverso una maggiore quantificazione del danno morale da morte in relazione al quale le tabelle genovesi relative all'anno 1995 sembrano offrire parametri di base adeguati utilizzabili però non mai in maniera rigida e chiusa ma aperta alle maggiorazioni equitative richieste dalle particolarità delle singole fattispecie e determinabili, anche in questo caso, in misura predeterminata nel massimo solo eccezionalmente derogabile.

Per quanto attiene poi al profilo liquidativo del caso in cui si verifichi la morte della persona danneggiata in un tempo successivo a quello del sinistro per cause dipendenti o indipendenti da quest'ultimo, non si pongono problemi applicativi diversi da quelli già indicati dal momento che la questione della trasmissibilità ereditaria del diritto al risarcimento del danno alla salute iure proprio subito dal soggetto passivo delle lesioni appare risolta in senso positivo anche dalla

recente sentenza della Corte di Cassazione n. 8177/94.

Pur non potendo qui soffermarsi sulle argomentazioni sviluppate a sostegno del criterio di liquidazione del danno alla salute temporaneo per le quali devo rinviare (paragrafo 13 del contributo "la liquidazione del danno alla salute" nell'opera citata in corso di pubblicazione) sembra utile accennare alle prospettive che tale criterio offre con riferimento al danno psichico ed al danno psicologico.

In proposito mi limiterò a ricordare che il parametro di base costituito dall'equivalente pecuniario di in giorno di menomazione invalidante temporanea assoluta è stato determinato nella somma di L.50.000/60.000 in valori monetari rapportati al gennaio 1995 con una maggiorazione fino ad un massimo del 100% (L.50.000/60.000) pari a L.100.000/120.000 legittimata dalla provata ricorrenza di particolari situazioni riconducibili ad ogni singola fattispecie concreta e sicuramente rappresentate:

a) dalla durata del periodo di malattia;

b) dal grado di incidenza negativa di quest'ultima sulla qualità della vita del leso;

c) dalla durata, dal numero e dal tipo di ricovero ospedaliero;

d) dal numero e tipi di interventi chirurgici subiti;

e) dalla esecuzione di cicli di terapie fisiche e riabilitative;

f) dal grado delle sofferenze fisiche provate;

g) dal permanere di un qualche pregiudizio certo alla salute una volta esauritosi il periodo di malattia;

h) da tutti quei diversi fattori specifici non enucleabili perché legati ad ogni singolo processo morboso emergenti dall'analisi del C.T. U. o aliunde ma sicuramente - come quelli suindicati - non

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sovrapponibili con i diversi contenuti propri del danno morale da lesioni perché altrimenti ci troveremo in presenza di una duplicazione del danno.

Naturalmente qualora non si riscontri la ricorrenza di una o più delle situazioni sopra richiamate si dovrà fare ricorso all'applicazione del valore o equivalente pecuniario di base suindicato (L.50.000/60.000).

Ma tali brevi cenni sul sistema proposto di liquidazione del danno alla salute temporaneo si sono resi necessari per sottolineare la particolare rilevanza che tale sistema assume con riferimento a tutta la problematica relativa ai "fatti emozionali negativi" ed ai disturbi psichici non aventi mai carattere di permanenza e di immutabilità" (Castiglioni) poiché nei casi al limite "tra danno permanente e periodo di malattia abnormemente dilatato" (rispetto alla maggioranza dei casi) il giudice potrà fornire una adeguata risposta risarcitoria proprio facendo applicazione del criterio di quantificazione del danno alla salute temporaneo, qualora si aderisca alla nostra tesi secondo la quale il danno psichico del soggetto leso è da considerare senz'altro una forma di pregiudizio alla salute intesa in senso unitario ed inscindibile di salute psicofisica anziché danno morale soggettivo come sinora ritenuto dalla prevalente dottrina e giurisprudenza - tesi che riteniamo ancora pienamente sostenibile malgrado le perplessità e difficoltà applicative che sul punto possono derivare dalla citata sentenza della Corte Costituzionale n. 372/94.

Ed, infatti, nella parte finale del paragrafo 4 si fa testuale riferimento "all’irrazionalità di una decisione che nelle conseguenze dello shock psichico patito dal familiare discerna ciò che è soltanto danno morale soggettivo da ciò che incide sulla salute, per ammettere al risarcimento solo il primo e si aggiunge che il danno alla salute è il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale

soggettivo, e che, in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, ecc.) anziché esaurirsi un patema d'animo o in uno stato di angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente, alla cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento."

Ma un tale innovativo contenuto motivazionale ci sembra che configuri per una medesima, anche se particolare posizione soggettiva, un passaggio da una situazione di danno morale soggettivo (e quindi transeunte, riconducibile all'art. 2059 c.c. e liquidabile con criterio equitativo proprio del pretium doloris) a una situazione di danno alla salute fisico e/o psichico permanente (riconducibile finora al combinato disposto degli artt. 32 Cost. e 2043 cod. civ. e liquidabile o con criterio di natura equitativa del calcolo a punti o con il criterio del triplo della pensione sociale)

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contribuendo, in tal modo, a rendere più imprecisa e confusa la già problematica distinzione tra danno morale soggettivo e danno alla salute psichica temporaneo o permanente e la collocazione - anche ai fini peritali e liquidativi - delle singole e concrete posizioni risarcitorie nell'ambito sinora delineato dell'una o dell'altra voce di danno.

La sentenza della Corte Costituzionale n.372/94, sempre in tema di danno alla salute transitorio ci offre, peraltro, uno spunto a proposito della nuova e complessa problematica relativa al rapporto tra danno previdenziale e danno civilistico e più precisamente alla interferenza del credito dell'assicuratore sociale con il credito del leso per il danno c. d. differenziale (danno alla salute e danno morale).

Da sempre in piena aderenza alla posizione del gruppo pisano ritengo, per le varie argomentazioni svolte nel citato volume (vedi contributo Poletti) che il trasferimento in ambito assicurativo sociale del danno biologico sollecitato dalle recenti sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, allo stato della attuale normativa, si prospetta in termini di incompatibilità ed inconciliabilità e che, quindi, non sia da seguire la via di una forzata, contraddittoria, confusa e compromissoria soluzione giurisprudenziale (soprattutto a livello di giurisprudenza di merito ed in particolare di giudice del lavoro) ma che debba, invece, essere con urgenza intrapresa la via della revisione del sistema.

Ma poiché tra le prestazioni poste dalla legge a carico dell'INAIL, in ipotesi di infortunio del lavoratore avvenuto "in occasione di lavoro" è inclusa nel punto 1) dell'art.66 del T. U., 30 giugno 1965 n. 1124 "una indennità giornaliera per l'inabilità temporanea commisurata ad una determinata misura della retribuzione giornaliera art. 68 che rinvia agli articoli da 116 a 120) e tra le prestazioni dell'INPS la legge 12.6.1984 prevede un "assegno ordinario di invalidità" qualora la capacità lavorativa del danneggiato sia ridotta a meno di un terzo (art. 11 comma primo) e si era ritenuto che la pretesa di rimborso dell'assicuratore sociale in virtù dell'esercizio dell'azione surrogatoria (art. 191 6 e 28 L. 990/69) o dell'azione di regresso (artt. 10 e 11 T.U. 1124/65) poteva riflettersi sull'intero risarcimento senza alcuna distinzione tra le varie componenti del danno risarcibile, era indubbio che tale pretesa riguardava anche il danno da invalidità o inabilità temporanea accertato nel giudizio civile ordinario sia che esso fosse da ricondurre al danno patrimoniale o al danno biologico o al danno morale.

Tale orientamento a seguito delle sentenze della Corte Costituzionale n. 319/89, 356/91, 485/91, 37/94 e del successivo coerente indirizzo della Corte di Cassazione è stato completamente superato per cui deve ora ritenersi pacifico il principio che il diritto di surroga o quello di regresso non possono essere estesi sulla indennità erogata dall'assicuratore sociale per la

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"inabilità temporanea" in quanto il danno alla salute temporaneo costituisce un titolo di danno non coperto dall'assicurazione sociale il cui intero ristoro deve essere garantito al danneggiato .

Ma la tesi di una impossibilità di trasferire allo stato attuale della legislazione il danno biologico all'interno dell'attuale sistema previdenziale appare pienamente rafforzata dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 372/94 sopra richiamata laddove si afferma "che la rendita corrisposta dall'INAIL ai superstiti indicati dall'art. 85 del D.P.R., 30 giugno 1965 n. 1124 (modificato dalla legge 10 maggio 1982 n. 251) spetta iure proprio, giusta una regola analoga a quella dell'art. 1920 terzo comma cod. civ. (estranea all'istituto della responsabilità civile), ed è destinata a indennizzare forfettariamente il pregiudizio patrimoniale sofferto a ragione del loro rapporto di dipendenza economica con il defunto mentre il danno biologico ad essi eventualmente derivato dalla morte del familiare è disciplinato dal diritto comune".

Ed infatti appare indubbio che anche la indennità giornaliera per l'inabilità temporanea corrisposta dall'INAIL sia diretta a compensare una perdita di natura esclusivamente patrimoniale subita dall'infortunato a causa dell'impedimento allo svolgimento della attività lavorativa e non certo a risarcire il leso per "la privazione o diminuzione" di valori personali espressi nello svolgimento della sua vita quotidiana.

Da ultimo deve essere ricordato che a seguito della sentenza della Corte Cost. 5607 87 e delle modifiche apportate agli articoli 19 e 21 L.990/69 dalle leggi n.20/91 e n.142/92 l'obbligazione risarcitoria del Fondo di Garanzia per le vittime della strada nel caso di veicolo non identificato non incontra più i precedenti limiti (temporanea superiore a 90 giorni e permanente superiore al 20%) per cui anche in tale ipotesi il danno alla salute temporaneo deve essere risarcito con la priorità che spetta a tale componente risarcitoria rispetto al lucro cessante da inabilità temporanea come, del resto, confermato dalla S.C. che in tema di danni morali ha ritenuto applicabile la disciplina ordinaria (Cass. 6532/90; 1742/92 ) e che il risarcimento del danno biologico non subisce limiti costituzionalmente rilevanti nell'ambito dell'intero ammontare del danno liquidato a carico del Fondo.

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