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IL DANNO BIO-PSICHICO AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE (prime riflessioni sulla sent. n. 372/1994)

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IL DANNO BIO-PSICHICO AL VAGLIO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

(prime riflessioni sulla sent. n. 372/1994)

di

Gaetano Schiavone*

Nonostante non vi sia sentenza o saggio di dottrina che, parlando di diritto alla salute, non inquadri questa con la specificazione di un contenuto sia fisico che psichico, assolutamente carente deve definirsi l'elaborazione in merito a quest'ultimo aspetto. Tant'è che la più avveduta dottrina, circa un decennio or è, si domandava:

"quali sono i motivi di una così distratta e marginale valutazione del danno inferto alla salute mentale?" e tentava di cercare una risposta che tenesse conto della prevalenza della cultura dell'efficienza fisica innanzitutto e, secondariamente, della produzione normativa, che sulla medesima si conformava (L. Montuschi: Ambiente di lavoro e tutela della malattia psichica, in Riv. It. Dir. Lav., 1987, I, 3).

A tale omissione fa riscontro, oltre tutto, un atteggiamento completamente restio della giurisprudenza, specie di legittimità, a ritenere che questa menomazione sia, a pieno titolo, una delle facce di quella medaglia, oggetto di integrale e diretta tutela da parte dell'art. 32 Cost.

Ad ogni modo, pur se sulla scorta delle definizioni elaborate in merito alle lesioni fisiche ed al conseguente danno, in dottrina e giurisprudenza doveva ormai ritenersi raggiunta, dopo l'iniziale turbolenza, una sorta di assestamento sui concetti fondamentali con cui permeare il diritto alla salute.

Poteva considerarsi, quindi, acquisita e, in sostanza, anche imprescindibile, un'idea unitaria del diritto alla salute, quale diritto all'integrità psicofisica della persona in sè e per se considerata, la cui lesione è "incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che non si traduce nella sola attitudine a produrre ricchezza ma si collega

* Magistrato, Tribunale di Pisa

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alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica ed aventi rilevanza non solo economica ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica" (Cass. n. 6938/1988). Ne, dopo la fondamentale sentenza n. 184/1986, della Corte Cost. era più lecito confondere gli ambiti propri dei danni alla persona, poiché il giudice delle leggi, fornendo l'unica lettura costituzionalmente valida degli artt. 2043, 2059 c.c., aveva affermato la totale autonomia del danno cosiddetto biologico, dal danno morale e da quello patrimoniale. Ciò, a parte le critiche che in dottrina (F.D. Busnelli: Il commento del giurista, in AA. VV. La valutazione del danno alla salute a cura di Bargagna Busnelli, Padova, 1988) sono state mosse alla sentenza sulla costruzione operata intorno ai concetti di danno-evento e danno-conseguenza.

Con la recente sentenza n.372/1994 la Corte Costituzionale è intervenuta in materia di danno biologico, con contenuti così inaspettati e di difficile collocazione sistematica da aver indotto i primi commentatori a ritenere che la Corte abbia operato una vera e propria " cancellazione della distinzione, tanto faticosamente definita, fra danno morale e danno biologico" (G. Ponzanelli: La Corte Cost. ed il danno da morte, in Foro It, 1994, I, 3297).

Sebbene la sentenza n. 372 sia rigorosamente ancorata alla prospettazione d'illegittimità costituzionale, fornita dal giudice remittente (paventata irrisarcibilità ex artt. 2043 e 2059 c.c. del danno psichico patito dai parenti del de cuius per la soppressione di questi), i passaggi logici e gli incisi contenuti nella medesima inducono a porre l'interrogativo se la Corte abbia voluto mantenere o meno una definizione di danno psichico autonoma e distinta da quella di danno morale.

Invero, pare che il Giudice delle leggi abbia costruito il danno psichico come un semplice aggravamento del danno morale, potendosi dire traducendo in espressione grafica le parole della Corte, che, se danno morale e psichico "orgininano dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico", il primo si arresterà al segmento segnato dal "patema d'animo o da uno stato d'angoscia transeunte", mentre il secondo occuperà una ulteriore parte del segmento, prolungandolo fino ad "un trauma fisico o

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psichico permanente, alle cui conseguenze in termini di perdita di qualità personali, e non semplicemente di pretium doloris in senso stretto, va allora commisurato il risarcimento".

Questa reductio della lesione psichica alla dimensione del danno morale, comporta come immediato effetto pratico l'espulsione, dall'ambito delle voci risarcibili, del cosiddetto danno biologico temporaneo, assoluto o parziale. Esso viene ad essere totalmente assorbito dal danno morale, senza peraltro che si dia luogo -a differenza di quanto la Corte suggerisce per il risarcimento del danno psichico permanente a rettifica del quantum di danno morale, poiché, essendo questo per definizione un turbamento transeunte, non si differenzierebbe più da un danno bio/psichico che abbia natura temporanea. Sebbene la dottrina più accorta abbia avuto modo di affermare che come la menomazione fisica, temporanea o permanente, costituisce danno biologico di tipo fisico, così la menomazione psichica, temporanea o permanente, costituisce danno biologico di tipo psichico. Sicché, la menomazione psichica (danno biologico) certamente può determinare incapacità a svolgere lavoro proficuo (e, quindi, flessione di reddito e danno patrimoniale da lucro cessante); e altrettanto certamente può ingenerare nella vittima per la consapevolezza della menomazione subita, afflizione e dolore (danno morale) (G. Giannini: Modalità del risarcimento e sua congruità nel settore r.c.a., in Il prezzo dell'uomo, Pisa, 1995, pag. 193).

Ma la Corte, con la sua opera di radicale revisione delle acquisizioni sul punto, pare aggiungere, come ulteriore caratterizzazione, che il "trauma" psichico è l'effetto di una degenerazione, dovuta a "particolari predisposizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa, etc.) dello stato d'angoscia transeunte" (sent. n. 372/1995).

Date queste premesse, dunque, risulta improbabile non doversi misurare, da ora in poi, con quella che ha tutta l'aria di porsi come definizione ontologica del danno psichico e, prima ancora, della lesione psichica.

"Il danno morale viene ritenuto la categoria idonea ad ospitare anche il danno alla salute psichica", hanno avuto modo di concludere i primi commentatori della sent. n.

372 (G. Ponzanelli: La Corte Cost. ... cit.). Il che significa necessaria rivitalizzazione,

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per clonazione, di uno strumento ormai relegato fra i fossili giurassici della responsabilità civile (il richiamo paleontologico deriva dal suggestivo titolo del lavoro di G. Monateri: Danno biologico da uccisione o lesione della serenità familiare? -L'art.

2059 c.c. visto come un brontosauro-, in Resp. civ. 1989, 1172), che già aveva dimostrato tutti i limiti e che, anzi, proprio in ragione di questi aveva finito con lo stimolare gran parte della ricerca in materia di danno biologico.

Alla frantumazione dell'unitario concetto di diritto alla salute, come diritto all'integrità non solo fisica ma anche psichica, la Corte, coerentemente, ha fatto conseguire la ricerca e l'individuazione di un diverso strumento di tutela.

Quel che stupisce maggiormente, però, è che neppure la Corte Costituzionale si è sottratta alla supponenza tipica dei giudici, i quali ritengono sempre e comunque di poter dire l'ultima parola in qualsiasi campo, forti del latinetto che li vuole peritus peritorum! Sicché, in luogo di ricorrere all'ausilio delle scienze del settore e dei

risultati più accreditati, così partendo da una base quanto meno di ardua confutazione, vi sostituiscono la propria intuizione, ponendo un concetto di malattia psichica universalizzante. Ma anche probabilmente errato, non foss'altro perché viene connesso intimamente a particolari condizioni (es: fragilità nervosa, etc.), nonché all'idea di permanenza, la quale riecheggia troppo da vicino le patologie fisiche, mentre svolge un ruolo particolare nell'ambito della psiche a seconda della natura della turbe e degli ambiti spaziali e temporali nei quali la personalità trova svolgimento.

A ben vedere, però, la Corte Cost. nella cit. sent. 372 non si allontana per nulla dall'elaborazione giurisprudenziale finora acquisita in punto di lesione e danno psichici.

Il collegamento fra quest'ultimi e le preesistenti condizioni individuali di labilità costituisce, per così dire, un classico dei giudici di legittimità, nel senso che, prefigurato un certo modello tipico di psiche umana, qualificano tutto quanto da esso si allontani, come conseguenza imprevedibile e, quindi, inevitabile da non addossare all'autore del fatto posto naturalisticamente a scaturigine della patologia (conf. a Corte Cost. n. 372/1994: Cass.: n. 7801/1986, n. 567/1983, n. 3621/1982, 3622/1980).

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E' fin troppo ovvio sottolineare, però, che una simile "forma mentis" riecheggia troppo da vicino una certa cultura di determinismo fisico, assolutamente inapplicabile nel campo delle patologie psichiche e, comunque, inapplicabile "secondo un rapporto di sequenza che integri gli estremi di una sequenza costante, secondo un calcolo di regolarità statistica, per cui l'evento appaia come una conseguenza normale dell'antecedente" (Cass. n. 7801/1986). Tale tipo di approccio che la dottrina ha efficacemente identificato come: "ideologia della fatalità" (L. Montuschi: Ambiente ...

cit.) induce a ritenere che la malattia mentale abbia avuto solo l'occasione di manifestarsi nell'ambiente di lavoro ed in connessione con esso, mentre in effetti la vera causa va ricercata "fra le pieghe nascoste della psiche o del vissuto del malato"

(L. Montuschi: Ambiente ... cit.), che vengono innalzate, dunque, a causa efficiente, idonea ad interrompere il nesso causale avendo i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità.

Una corretta analisi, necessariamente interdisciplinare, dei fenomeni coinvolti, è in grado di dimostrare, innanzitutto che esistono, nell'ambito della psicologia e della psichiatria -scienze proprie del settore- delle categorie cliniche entro cui vengono ospitate ben definite patologie, con determinate sintomatologie e percorsi curativi. In secondo luogo, pur nell'inevitabile "diversità caratteriale ed emotiva dei singoli" (M.

Meucci: Sistematico disconoscimento datoriale di meriti e diritti e danno alla salute psichica del lavoratore, in Riv. It. Dir. Lav., 1987, II, 583), esistono avanzati studi che, tenuto conto delle premesse poste dall'odierna organizzazione sociale, favorevoli alla nascita ed allo sviluppo delle patologie della psiche, individuano categorie di reazioni psicologiche come conseguenza di determinati eventi, le quali, quindi, si

"appalesano non solo prevedibilissime, ma addirittura con i requisiti della certezza"

(M. Meucci: Sistematico ... cit.).

Assolutamente poco chiaro è, allo stato della riflessione dottrinaria intorno alla sent. n. 372/1995 (F. D. Busnelli: Tre punti esclamativi, tre punti interrogativi, un punto e a capo, in Giust. Civ. 1994, 3029), la sottolineatura, operata dalla Corte, circa la mancata considerazione, da parte del giudice rimettente la questione (Trib. Firenze,

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Ord. del 27 ott. 1993, in Coroner, 1994, n.1, con mia nota: Danno biologico e soppressione della vita), dell'elaborazione in materia di applicazione analogica dell'art.

2043 c.c.- Ora, se preoccupazione della Corte è stata quella di garantire per questa via il risarcimento comunque del danno alla salute, anche per l'ipotesi in cui esso sia considerato di natura non patrimoniale, essa è stata eccessiva, in quanto non può ritenersi pacifica, né predominante, la tesi secondo cui il danno biologico ha esclusivo contenuto non patrimoniale (in senso contrario: F. Bile: Orientamenti della giurisprudenza in materia di liquidazione del macrodanno, in Il prezzo dell’uomo, cit.).

Ed in più, qualora l'intento è stato quello di garantire, con tale strumento, il risarcimento dei danni non patrimoniali connessi a violazioni alla salute fisica, rimettendo, invece, il risarcimento dei danni alla salute psichica a quanto consente l'art.

2059 c.c., allora non può non condividersi la conclusione di chi intravede in tale lettura le conseguenze inevitabili di un'ulteriore e più profonda questione di costituzionalità (F.D.Busnelli: Tre punti ... cit.).

E, ad ogni modo, la stessa puntualizzazione si pone in potenziale contrasto con la precedente pronuncia della Corte (n. 184/1986) la quale aveva definitivamente chiarito che: "dalla correlazione tra gli artt. 2043 c.c. e 32 cost. è posta una norma che per volontà della Costituzione, non può limitare in alcun modo il risarcimento del danno biologico".

Ma la Corte, fino alla sentenza n. 372 aveva percorso un cammino lento ma sistematico che con la sent. n. 37/1994 raggiungeva alcuni fondamentali punti.

Fin dal leading case rappresentato dalla sent. n. 184/1986, la Corte Cost. aveva chiarito che il danno morale doveva essere inteso quale "momentaneo, tandenzialmente transeunte, turbamento psicologico", così distinguendolo nettamente dal danno alla salute, globalmente considerata. In quell'occasione la Corte aveva avuto anche modo di precisare che la costituzionalità dell'art. 2059 c.c. poteva ritenersi salva solo se nella medesima previsione si fosse fatto rientrare esclusivamente tale tipologia di danno, di natura conseguenziale e non esclusivamente ancorato al danno biologico.

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Con la sentenza n. 37/1994, la Corte Cost. ha senza dubbio escluso che il danno morale costituisca effetto della lesione dell'integrità psichica, sottolineando che l'andare di contrario avviso "non tiene conto della lettura costituzionale degli artt.

2043 e 2059 c.c. indicata dalla giurisprudenza" della Corte e della Cassazione, sulla scia della più accreditata dottrina. E lascia all'interpretazione del giudice ordinario risolvere il problema della configurabilità come danno biologico e della conseguente risarcibilità della "sofferenza fisica o morale che determini effettivamente, di per se stessa, alterazioni alla psiche tali da incidere negativamente sull'attitudine del soggetto a partecipare normalmente alle attività alle situazioni ed ai rapporti in cui una persona esplica se stessa nella propria vita" (Corte Cost. sent. n. 87/1994). Sebbene, come sopra visto, con la decisione n. 372/1994, sorprendentemente, è il giudice delle leggi, sostituendosi a quello ordinario, ad escludere un'autonomia del danno psichico inglobandolo per assorbimento in quello morale.

Ma "il danno alla salute psichica rappresenta invero uno dei temi più attuali dell'intera problematica del danno alla persona" (D. Poletti: L'azione di regresso previdenziale, il danno morale e il nuovo diritto vivente, in Foro It., 1994, I, 1326), anche se non va sottaciuto che di esso vanno rigorosamente individuati i confini col danno morale e che comunque "la risarcibilità del danno alla salute psichica deve confrontarsi con i profili di causa.

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