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Mansioni inferiori: ius variandi regolato anche dal contratto aziendale

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22 Giugno 2015

Jobs Act, riordino dei contratti

Mansioni inferiori: ius variandi regolato anche dal contratto aziendale

Anche i contratti collettivi aziendali, stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria, potranno prevedere i casi in cui è consentito adibire il lavoratore a mansioni inferiori. E’ quanto prevede il decreto di riordino dei contratti, attuativo del Jobs Act. La nuova disciplina modifica sia le modalità di utilizzo per il datore di lavoro delle prestazioni contrattuali del lavoratore, sia la possibilità di esercizio dello ius variandi. Il lavoratore potrà essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purche■

rientranti nella medesima categoria.

di Giuseppe Buscema - Consulente del lavoro, Commercialista e Revisore legale in Catanzaro

Cambia radicalmente la disciplina delle mansioni del lavoratore e dunque i datori di lavoro potranno avere una maggiore flessibilità per la gestione dell’organizzazione del lavoro.

Il decreto legislativo di riordino delle tipologie contrattuali, in attuazione della delega prevista dall’articolo 1, comma 7, lettera e), modifica profondamente - dopo 45 anni - l’articolo 2103 del codice civile.

Ricordiamo che la disposizione civilistica era stata così fissata dallo Statuto dei lavoratori e risultava particolarmente rigida nella possibilità per il datore di lavoro di esercitare lo ius variandi.

La nuova disciplina modifica sia le modalità di utilizzo per il datore di lavoro delle prestazioni contrattuali del lavoratore, sia la possibilità di esercitare lo ius variandi.

Primo aspetto: il lavoratore è previsto che deve essere adibito alle mansioni per le quali e■ stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

Dunque viene superato il previgente limite che fissava nell’equivalenza delle mansioni il perimetro entro il quale il datore di lavoro poteva procedere all’utilizzo della prestazione.

Un’equivalenza che ha fortemente limitato l’effettivo esercizio di tale possibilità in quanto la giurisprudenza aveva ritenuto che fosse necessario che le nuove mansioni risultassero equivalenti alle precedenti sia sotto il profilo qualitativo (e cioè consentano lo sviluppo e il mantenimento delle capacità già acquisite) sia sotto quello quantitativo (mantenimento della medesima posizione nell’organico aziendale, del numero degli eventuali collaboratori ecc).

L’adibizione ad altre mansioni incontra un solo limite: la riconducibilità allo stesso livello e categoria di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

Dunque il riferimento è la categoria di cui all’articolo 2095 c.c. ed il livello previsto dal contratto collettivo.

Naturalmente sarà possibile adibire il lavoratore alle mansioni corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito. In tal caso, l’assegnazione a mansioni superiori acquisisce il diritto al trattamento

corrispondente all’attivita■ svolta.

Viene tuttavia modificato il criterio per la maturazione della definitività della mansione. È previsto che, salva diversa volonta■ del lavoratore, e qualora la mansione non derivi dalla sostituzione di un altro lavoratore in servizio, il lavoratore acquisisce il diritto alla nuova mansione dopo il periodo fissato dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente piu■ rappresentative sul piano nazionale o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi.Come si può notare si allunga la durata per la maturazione (prima erano tre mesi) ed inoltre viene richiesta

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espressamente la continuità dell’utilizzo.

Vengono poi previste due ipotesi che consentono la modifica unilaterale del datore di lavoro di assegnare il lavoratore a mansioni inferiori.

La prima è possibile qualora ricorra una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore.

In tal caso il lavoratore potrà essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purche■ rientranti nella medesima categoria.

È prevista che se necessario, tale modifica venga accompagnato dall’assolvimento dell’obbligo formativo. Comunque, se ciò non avvenga, non riverbera effetti ai fini della validità dell’assegnazione delle nuove mansioni.

L’altro caso è invece prerogativa dei contratti collettivi che avranno autonomia ad individuare i casi per il ricorso a tale esercizio.

Per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente piu■ rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria.

In ogni caso, la modifica delle mansioni deve essere comunicata a pena di nullita■, per iscritto.

Il lavoratore ha inoltre diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo già goduto, con eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalita■ di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.Viene infine regolamentato il cd. patto di demansionamento la cui ammissione è finora stata lasciata alla giurisprudenza.

Il nuovo articolo 2103 c.c. prevede ipotesi e modalità per la stipula.

Partendo dalle modalità, il patto deve essere concordato o nelle sedi protette di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione presso le quali il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante

dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.

La modifica potrà riguardare le mansioni, la categoria, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione.

La legittimità è da individuarsi, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalita■ o al miglioramento delle condizioni di vita.

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Impianti audiovisivi e gli altri strumenti di controllo

Controlli a distanza: il parere dei consulenti del lavoro

Lo schema di decreto legislativo in tema di semplificazioni, contiene la norma sugli impianti audiovisivi e gli altri strumenti di controllo che adegua la normativa contenuta nell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, alle innovazioni tecnologiche. La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, interviene con un approfondimento del 19 giugno 2015 ritenendo positiva l’ipotesi di riforma volta non al controllo indiscriminato del lavoratore nella sua attività lavorativa, ma tendente a tutelare l’impresa dall’utilizzo improprio dei nuovi strumenti di comunicazione.

La Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro commenta la norma sugli impianti audiovisivi e gli altri strumenti di controllo contenuta nello schema di decreto legislativo in tema di semplificazioni, che adegua la normativa contenuta nell'art.4 dello Statuto dei lavoratori alle attuali innovazioni tecnologiche.

Con l’approfondimento del 19 giugno 2015, la fondazione tiene a precisare che l’impiego di strumenti di controllo deve essere giustificato da esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e in ogni caso subordinatamente ad un accordo sindacale o ad una autorizzazione amministrativa da parte della Direzione Territoriale del Lavoro.

Secondo i nuovi principi viene stabilito che le informazioni acquisite siano comunque utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, ivi compreso quelli disciplinari.

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Nella seconda parte dell’approfondimento, la fondazione studi mette in evidenza, per una comparazione a livello internazionale, quelle che sono le posizioni in materia negli altri paesi.

Stati Uniti

A difesa del lavoratore, la normativa della Costituzione Federale americana tutela i dipendenti federali pubblici attraverso il 4° Emendamento nelle ipotesi di irragionevoli indagini del governo federale e locale. Si è focalizzata l’attenzione sulla responsabilità del datore di lavoro sulle comunicazioni spedite dai dipendenti sia lavorative sia personali per evitare downloading di pornografia, molestie sessuali o razziali a colleghi via mail, dichiarazioni diffamatorie verso terzi, creazione di un ambiente di lavoro ostile determinato dalla diffusione nell’ambito di lavoro di materiale pornografico scaricato da Internet.

Gran Bretagna

Il presupposto logico-giuridico del sistema britannico è quello della proprietà esclusiva dell’imprenditore dei mezzi per l’esercizio dell’impresa, principio che si estende pertanto anche al sistema informatico aziendale, ivi compresa la posta aziendale.

Francia

Il sistema francese pone l’attenzione sulla necessità che l’impresa debba proteggersi rispetto alla continua evoluzione di internet e dei sistemi telematici, ciò anche nei confronti dei dipendenti ai quali siano stati forniti strumenti per l’esercizio della loro attività lavorativa, al fine di evitare abusi e azioni pregiudizievoli nei confronti del datore di lavoro.

Dopo l’analisi effettuata, la conclusione del Presidente della Fondazione De Luca, è quella di ritenere “positiva l’ipotesi di riforma volta non al controllo indiscriminato del lavoratore nella sua attività lavorativa, ma tendente a tutelare l’impresa dall’utilizzo improprio dei nuovi strumenti di comunicazione”.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, approfondimento, 19 giugno 2015

Agenzia delle Entrate

Studi di settore, online le statistiche sul regime premiale per il periodo d’imposta 2013

Sul sito dell’Agenzia delle Entrate sono disponibili le statistiche relative agli studi di settore interessati dal regime premiale per il periodo d’imposta 2013. Si tratta del primo passaggio previsto dal provvedimento n. 83317/2015, con cui l’Agenzia delle Entrate ha disciplinato le modalità di invio agli utenti delle informazioni sulle anomali riscontrate nei dati dichiarati ai fini degli studi di settore.

L’Agenzia dell’Entrate ha pubblicato il 19 giugno le statistiche relative agli studi di settore interessati dal regime premiale. La pubblicazione fa seguito al provvedimento 18 giugno 2015, n. 8337 con cui l’Amministrazione finanziaria ha definito le modalità con le quali sono resi disponibili, tra l’altro, le statistiche relative ai dati dichiarati ai fini degli studi.

Le statistiche sono riferite al periodo d’imposta 2013 e sono state presentate alle Organizzazioni di categoria nella riunione del 29 maggio scorso. 116 gli studi coinvolti dal regime.

In particolare, su un totale di 1.432.358 contribuenti esaminati, sono 384.784 quelli risultati normali e coerenti (naturali o per adeguamento), pari al 26,9% sul totale.

Con il provvedimento n. 78324/2015, si ricorda, che l’Agenzia delle Entrate ha stilato l’elenco degli studi di settore potenzialmente interessati dal regime premiale per il periodo d’imposta 2014, modificando i criteri di scelta degli studi in base agli indicatori di coerenza approvati per ciascuno di essi. In particolare, rispetto all’anno scorso è aumentato a 157 il numero degli studi che possono beneficiare del regime. E’ stata inoltre confermata l’esclusione dal regime per gli studi relativi alle attività professionali in quanto – si legge nel provvedimento – la funzione di stima di alcuni studi basata sulle

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prestazioni rese non riesce a cogliere appieno i possibili casi di omessa fatturazione.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Agenzia delle Entrate, statistiche regime premiale 2013

D.L. 78/2015

Enti locali, il decreto in Gazzetta Ufficiale

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il testo del decreto legge recante disposizioni in materia di enti territoriali. Tra le principali novità l’allentamento dei vincoli del patto di stabilità interno, lo stanziamento di una dote aggiuntiva di 2 miliardi per il pagamento dei debiti della PA e un contributo di 530 milioni per il finanziamento del Fondo di compensazione IMU-TASI. Stop all’aumento delle accise sui carburanti.

Sul supplemento ordinario n. 32 della Gazzetta Ufficiale del 19 giugno 2015 è stato pubblicato il testo del D.L. n. 78/2015 recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali.

Allentamento dei vincoli del patto di stabilità

Il decreto contiene un pacchetto di norme che allentano i vincoli del Patto di stabilità interno, consentendo agli enti locali margini maggiori per investimenti volti alla cura del territorio e all’erogazione dei servizi. In particolare, vengono

rideterminati gli obiettivi del patto di stabilità interno dei Comuni per gli anni 2015-2018 concedendo agli enti un maggiore contributo di 100 milioni di euro (in termini di spazi finanziari).

Debiti della PA

Il decreto stanzia per il 2015 una dote aggiuntiva di 2 miliardi da destinare alle Regioni e alle Province autonome per far fronte al pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2014. L’importo è ulteriormente incrementato dalle eventuali risorse disponibili e non utilizzate per il pagamento dei debiti degli enti del Servizio Sanitario nazionale. Per il pagamento dei debiti certi, liquidi ed esigibili dei Comuni maturati al 31 dicembre 2014, vengono

concessi ulteriori 850 milioni.

Fondo compensazione IMU-TASI

Per il 2015 è attribuito ai Comuni un contributo di 530 milioni di euro a compensazione del minor gettito IMU-TASI. Con decreto del Ministero dell’Interno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze da adottare entro il 10 luglio 2015, verrà stabilita , secondo una metodologia adottata dalla Conferenza Stato-Città e Autonomie Locali, la quota di contributo spettante a ciascun ente tenendo conto dei gettiti dell’IMU e della TASI del 2014.

Stop agli adempimenti fiscali per i contribuenti in Emilia colpiti dal sisma

Nei territorio dell’Emilia Romagna colpiti dall’alluvione del 17 gennaio 2014 e nei Comuni colpiti dal terremoto del 20 e 29 maggio 2012 viene istituita una zona franca urbana che beneficia di consistenti agevolazioni fiscali. Possono beneficiare di tali agevolazioni le imprese localizzate all’interno della zona franca che rientrano nella definizione di “microimprese” e hanno avuto un reddito lordo 2014 inferiore a 80.000 euro e un numero di addetti non superiore a 5 unità. Le

agevolazioni per questi soggetti consistono nell’esenzione dalle imposte sui redditi (fino a 100.000 euro di reddito) e dall’IRAP (fino a 300.000 euro) delle attività prodotte nelle ZFU e dall’IMU per gli immobili siti nella zona franca. Le agevolazioni sono concesse per i periodi di imposta 2015 e 2016.

No all’aumento delle accise sulla benzina

Il decreto contiene infine una norma che scongiura nel 2015 l’aumento delle accise sulla benzina previsto dalla legge di stabilità 2015 in caso di mancata autorizzazione da parte della Ue del meccanismo del reverse charge dell’Iva nel settore della grande distribuzione.

A cura della Redazione

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Copyright © - Riproduzione riservata Decreto Legge 19/6/2015, n. 78 (G.U. 19/6/2015, n. 140 Suppl. ordinario n.32)

La risposta nel corso del question time

F24 a saldo zero solo con Entratel e Fisconline

Dal 1° ottobre 2014, l'invio dei modelli F24 a saldo zero deve sempre avvenire attraverso i servizi Entratel/Fisconline, senza possibilità di avvalersi dei servizi telematici offerti dal sistema bancario e postale. Ciò consente un presidio più efficace nei confronti di fenomeni fraudolenti, nonché risparmi non trascurabili: non essendo prevista l'intermediazione di banche e poste, l'Agenzia delle Entrate non deve corrispondere a tali soggetti il compenso per la ricezione e la rendicontazione dei modelli F24. L'eventuale reintroduzione della modalità di pagamento tramite l’home banking per le compensazioni con delega F24 avente saldo finale pari a zero, dovrà individuare anche la copertura finanziaria per i maggiori oneri conseguenti.

Il chiarimento è arrivato in risposta all’interrogazione n. 5-05826, con cui si chiedeva al Governo di valutare la reintroduzione della possibilità di avvalersi dei servizi di home banking per la presentazione del modello di pagamento F24 con saldo finale pari a zero.

Modello F24 a saldo zero

Nel modello F24 “a saldo zero” l'ammontare dei pagamenti (esposti nella colonna “importi a debito pagati”) è pari all'ammontare dei crediti utilizzati in compensazione (esposti nella colonna “importi a credito compensati”) e, dunque, il saldo finale del modello (pagamenti meno compensazioni) è pari a zero.

Il modello F24 a saldo zero non comporta trasferimento diretto di somme dal contribuente all'Amministrazione finanziaria, bensì unicamente la necessità di effettuare le regolazioni contabili tra gli enti nei confronti dei quali sono avvenuti i pagamenti e le compensazioni, indicati dal contribuente nel modello stesso. A tal fine, l'Agenzia delle Entrate addebita le somme agli enti debitori (ossia gli enti verso i quali i contribuenti vantano i crediti utilizzati in compensazione) e accredita l'importo corrispondente agli enti creditori, a favore dei quali i contribuenti hanno effettuato i pagamenti.

Il quadro normativo

Già in base al D.L. n. 223/2006, i soggetti titolari di partita IVA devono utilizzare, direttamente o tramite un

intermediario, esclusivamente i servizi telematici Entratel/Fisconline offerti dall'Agenzia delle Entrate, per effettuare la compensazione con modello F24 (anche con saldo pari a zero) del credito IVA annuale o relativo a periodi inferiori all'anno, per importi superiori a 5.000 euro annui. In questi casi, pertanto, non è possibile avvalersi dei servizi telematici del sistema bancario e postale (es. home banking, remote banking, CBI).

Inoltre, i contribuenti, in special modo a seguito dell'avvio del 730 precompilato, già utilizzano Entratel/Fisconline per l'invio delle dichiarazioni fiscali, nonché per l'eventuale fruizione di altri servizi messi a disposizione dall'Agenzia ( consultazione dei propri dati fiscali, catastali e ipotecari, assistenza in merito ai controlli automatizzati delle dichiarazioni fiscali).

Il D.L. n. 66/2014 ha infine previsto che, dal 1° ottobre 2014, l'invio dei modelli F24 a saldo zero deve sempre avvenire attraverso i servizi Entratel/Fisconline, anche nei casi diversi da quelli già individuati dal D.L. n. 223/2006, senza la possibilità di avvalersi dei servizi telematici offerti dal sistema bancario e postale.

Inoltre, dato che sono stati rilevati alcuni casi di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti attraverso modelli F24 a saldo zero, limitare tali operazioni ai servizi telematici dell'Agenzia può consentire un presidio più efficace nei confronti di tali fenomeni fraudolenti.

Infine, l'utilizzo dei servizi telematici dell'Agenzia per l'acquisizione dei modelli F24 a saldo zero consente di ottenere risparmi non trascurabili, in quanto per tali fattispecie non è prevista l'intermediazione di banche e poste e di conseguenza l'Agenzia non deve corrispondere a tali soggetti il compenso per la ricezione e la rendicontazione dei modelli F24.

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L'eventuale adozione di un intervento normativo volto alla reintroduzione della modalità di pagamento tramite l’home banking per le compensazioni con delega F24 avente saldo finale pari a zero, dovrà prevedere l'individuazione di una apposita copertura finanziaria per i maggiori oneri conseguenti.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Camera dei Deputati, Commissione Finanze, interrogazione 18/06/2015, n. 5-05826

Dopo il parere della Commissione Finanze

Delega fiscale: verso la fatturazione elettronica obbligatoria?

La Commissione Finanze della Camera “indirizza” il Governo verso la fatturazione elettronica obbligatoria? Nella seduta del 18 giugno 2015, la Commissione Finanze della Camera ha sostanzialmente espresso parere favorevole sullo schema di decreto legislativo (atto n. 162) in materia di trasmissione telematica delle operazioni IVA e di controllo delle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici. Tuttavia, sono state formulate una serie di osservazioni. Alcune delle indicazioni emerse sono molto interessanti e sembrano destinate a disegnare - per imprese e professionisti - uno scenario futuro completamente nuovo.

di Nicola Forte - Dottore commercialista in Roma

Parere (sostanzialmente) favorevole della Commissione Finanze della Camera al decreto attuativo della delega fiscale sulla fatturazione elettronica. Tra le osservazioni della Commissione, alcune lasciano intravedere uno scenario futuro completamente nuovo per le imprese e i professionisti.

Dallo schema di decreto si comprendeva chiaramente come l’implementazione dello strumento rappresentato dalla fatturazione elettronica fosse (in prospettiva) un’opportunità e non un obbligo. I contribuenti che invieranno all’Agenzia delle Entrate in formato elettronico le fatture attive e passive saranno esonerati da una serie di adempimenti.

Ad esempio dovrebbe essere abrogata la trasmissione telematica dei dati relativi alle operazioni IVA (c.d. spesometro) e la comunicazione delle operazioni da e verso Paesi black list. Un ulteriore beneficio dovrebbe essere rappresentato dalla maggiore celerità nell’ottenere l’erogazione dei rimborsi IVA indipendentemente dalle condizioni previste dall’art. 30, D.P.R. n. 633/1972.

La Commissione finanze ha però fatto un passo in più chiedendo al Governo di valutare la trasformazione delle

previsioni da facoltà in obbligo. L’Esecutivo dovrebbe così valutare “in una prospettiva di medio periodo, l’introduzione dell’obbligatorietà della trasmissione in forma telematica all’Agenzia delle Entrate, in coincidenza con i termini della liquidazione periodica IVA, dei dati di interesse fiscale delle fatture in luogo degli attuali adempimenti, valutando gli effetti di tale disposizione in un periodo individuato come sperimentale in una prima fase […]”.

L’espressione utilizzata dal parere, “obbligatorietà,” non lascia spazio a dubbi.

A seguito del nuovo obbligo i contribuenti sarebbero completamente esonerati dall’adempimento della registrazione periodica delle fatture attive e passive. In pratica, secondo il sistema che potrebbe delinearsi prossimamente, una volta che i documenti (fatture attive e passive) saranno stati generati in formato elettronico ed i dati saranno stati trasmessi all’Agenzia delle entrate, il Fisco sarà a conoscenza di ogni informazione.

L’Amministrazione finanziaria sarà così in grado di verificare in tempo quasi reale la correttezza della liquidazione ai fini IVA e quindi non sarà più necessario procedere alla registrazione dei relativi documenti.

I dubbi riguardano la reale portata di semplificazione dei nuovi adempimenti che si sostanziano:

- nella generazione dei documenti in formato elettronico e

- nella trasmissione del dati in essi contenuti all’Agenzia delle Entrate.

Questi due passaggi dovrebbero sostituire non solo gli obblighi di registrazione, ma anche ulteriori adempimenti quali, ad esempio, l’obbligo di trasmissione dei dati relativi alle dichiarazioni di intento gravante sui contribuenti che effettuano le cessioni all’esportazione.

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Il nuovo sistema dovrebbe rappresentare, come già ricordato, un obbligo e non una facoltà come previsto dallo schema di decreto legislativo iniziale. Tuttavia, sarà interessante comprendere quale sarà la reazione del Governo di fronte a questa osservazione che potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione per imprese e professionisti.

La Commissione ha altresì invitato il Governo a valutare, ove fosse di fatto previsto in futuro l’obbligo della fatturazione elettronica, l’eliminazione delle disposizioni aventi ad oggetto il reverse charge e lo split payment in un’ottica di semplificazione complessiva del sistema tributario. Ciò in quanto “la trasmissione generalizzata in via telematica dei dati di interesse fiscale avrebbe gli stessi effetti di contrasto all’evasione IVA perseguiti dai predetti meccanismi del reverse charge e dello split payment”.

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Esenti fino a 7 euro

Ticket restaurant elettronici: vantaggi per lavoratori e datori di lavoro

Esempi di calcolo

A partire dal 1° luglio 2015 i lavoratori dipendenti potranno beneficiare di una maggiore esenzione fiscale e contributiva per i buoni pasto a condizione che gli stessi siano attribuiti in formato elettronico. Per i ticket cartacei resta in vigore la soglia di esenzione di euro 5,29. I vantaggi maggiori saranno a favore dei lavoratori nel caso in cui il datore di lavoro decida di aumentare l’importo del ticket di euro 5,29, in precedenza corrisposto, ad euro 7 in formato elettronico. La maggiorazione della soglia di esenzione porta dei benefici anche per i datori di lavoro in termini di riduzione della contribuzione previdenziale.

di Giuseppe Marianetti - Avvocato - Studio Tributario e Societario, Network Deloitte

I servizi e le erogazioni connessi al vitto rappresentano senza dubbio uno dei benefit più frequentemente riconosciuti ai lavoratori dipendenti; il legislatore fiscale prende atto di tale fenomeno dettando una norma di favore contenuta nell’art.

51, comma c) del Tuir a mente del quale (nella versione vigente prima delle modifiche introdotte dalla Legge di Stabilità 2015, si veda infra) non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente “le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonchè quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi, o, fino

all'importo complessivo giornaliero di euro 5,29, le prestazioni e le indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione”.

Secondo tale disposizione:

- il servizio di mensa è sempre escluso da imposizione;

- le prestazioni sostitutive del servizio mensa e della somministrazione del vitto (c.d., buoni pasto o ticket restaurant) in ogni caso non concorrono a formare il reddito nei limiti di euro 5,29 giornalieri;

- le indennità di mensa possono godere della soglia di esenzione innanzi indicata solo se attribuite agli addetti ai cantieri edili, nonché agli addetti ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone ove manchino strutture o servizi di ristorazione.

Si precisa che con la risoluzione n. 63/E del 2005 l’Agenzia delle entrate ha chiarito che rientrano nel concetto di mensa aziendale le somministrazioni di alimenti e bevande rese attraverso un badge elettronico denominato “card” che il datore di lavoro concede ai dipendenti al fine di consentire la consumazione del pasto in uno degli esercizi pubblici convenzionati. Pertanto a tale fattispecie non si rende applicabile il limite di euro 5,29.

In merito all’ambito di operatività della disposizione si sottolinea come l’Amministrazione finanziaria, sin dalla circolare n.

326 del 1997, richieda che la prestazione sostitutiva sia riconosciuta alla generalità o a categorie omogenee di lavoratori;

tale posizione presta il fianco a critiche posto che la norma nulla prevede in merito. D’altra parte, con riferimento ad altre fattispecie (ad esempio i servizi di trasporto collettivo) tale condizione è dettata in modo esplicito; si dovrebbe dunque ritenere, almeno secondo una interpretazione letterale dell’articolato normativo, che il requisito dell’attribuzione alla generalità o a categorie di dipendenti non connoti il regime fiscale dei buoni pasto. Vero è che il concetto di mensa (e

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quindi di prestazione sostitutiva della stessa) sembrerebbe richiamare un implicito requisito di pluralità di soggetti interessati.

Una ulteriore tematica che ha ingenerato notevoli dubbi in passato ha riguardato la possibilità di fruire della norma di favore dettata per i buoni pasto da parte dei lavoratori il cui orario non prevede la pausa pranzo; al riguardo, dopo posizioni di senso contrario, l’Amministrazione, con la risoluzione n. 118 del 2006, ha chiarito che “anche i lavoratori subordinati a tempo parziale, la cui articolazione dell’orario di lavoro non preveda il diritto alla pausa per il pranzo, ove fruiscano di buoni pasto, sono ammessi a beneficiare della previsione agevolativa di cui all’art. 51, comma 2, lett. c), del Tuir”.

In tale contesto normativo è intervenuta la Legge di Stabilità 2015 (legge n.190/2014) che, ai commi 16 e 17 dell’art. 1, dispone l’aumento della soglia di esenzione da euro 5,29 ad euro 7 per i buoni pasto resi in forma elettronica; tale disposizione entrerà in vigore dal 1° luglio 2015.

La ratio dell’esclusione dal nuovo regime dei tradizionali buoni pasto in formato cartaceo può essere rinvenuta nella necessità di agevolare esclusivamente strumenti “tracciabili” nell’ottica della lotta all’evasione fiscale. Se ciò è senza dubbio vero da un punto di vista teorico, deve però essere rilevato come la soglia di esenzione originariamente fissata (euro 5,29) sia, nell’attuale contesto economico-sociale, del tutto inadeguata.

Più in generale questa considerazione può riguardare l’impianto dell’art. 51 del Tuir nel suo complesso ove sono stati individuati dei limiti di esenzione che necessitano di essere aggiornati. Basti pensare alla disposizione dedicata alle trasferte (comma 5) che prevede franchigie per il rimborso forfetario (ad esempio euro 46,48 giornalieri per le spese di vitto ed alloggio) incoerenti con l’aumento del costo della vita.

Tornando alla novità normativa si stima che il vantaggio per i lavoratori a cui venga attribuito il ticket elettronico possa essere di circa 200 euro nel 2015 e 400 euro nel 2016; tali valori sono ricavati moltiplicando la maggior esenzione (1,71 euro) per una media di 20 ticket mensili (quindi per 6 mesi nel 2015 e per 12 mesi nel 2016). In realtà la questione è più complessa ed il confronto non deve essere fatto tra somme imponibili e somme esenti, ma tra i netti percepiti; si vedano al riguardo i seguenti esempi (ipotizzando una tassazione complessiva del 30% e una contribuzione standard del 9,19% - importi arrotondati).

Esempio 1 – Lavoratore con ticket cartaceo di euro 5,29 aumentato ad euro 7 in formato elettronico

Ticket cartaceo Ticket elettronico

Valore unitario 5,29 7

Giorni 20 20

Mesi 6 6

Totale attribuito 635 840

Importo esente 635 840

Importo imponibile 0 0

Contribuzione 0 0

Imposte 0 0

Valore netto ticket 635 840

Esempio 2 – Lavoratore con ticket cartaceo di euro 7 convertito in ticket elettronico di euro 7

Ticket cartaceo Ticket elettronico

Valore unitario 7 7

Giorni 20 20

Mesi 6 6

Totale attribuito 840 840

Importo esente 635 840

Importo imponibile 205 0

Contribuzione -19 0

Imposte -56 0

Valore netto ticket 765 840

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In buona sostanza il vantaggio di 200 euro si verificherà solo nel caso in cui il datore di lavoro decida di aumentare l’importo del ticket di euro 5,29, in precedenza corrisposto, ad euro 7 in formato elettronico, mentre per i dipendenti che già percepivano un ticket cartaceo del valore di euro 7 il vantaggio (in caso di passaggio al ticket elettronico) sarà minore.

Da ultimo, si deve rilevare come la maggiorazione della soglia di esenzione porti dei benefici anche per i datori di lavoro in termini di riduzione della contribuzione previdenziale; si ricorda, difatti, che in virtù del principio di armonizzazione delle basi imponibili fiscale e previdenziale le previsioni dell’art. 51 del Tuir rilevano anche per la determinazione dell’imponibile contributivo.

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Successioni

Profili di criticità della disciplina della successione dello Stato: riflessioni e prospettive

Spettano allo Stato i beni derivanti da eredità giacente (art. 586 c.c.) e quelli “vacanti” (art. 827 c.c.) , ossia quelli che non appartengono ad alcuno. Attraverso le tassative disposizioni devolutive il legislatore civilistico ha voluto contrapporre alla dispersione dei beni, ovvero al loro declassamento in res nullius , una destinazione valoriale, facendoli confluire nel patrimonio di chi rappresenta la collettività. Tale intento, giusto e opportuno, si rivela, tuttavia, di non facile realizzazione a causa delle molte lacune presenti nel quadro normativo di riferimento che, oltre a non definire i concetti di vacanza e di giacenza, non prevede come identificare e monitorare i beni de qua nonchè le misure procedimentali da adottare per evitare che possano venire sottratti all’erario, spesso per essere inglobati dalla criminalità.

di Antonina Giordano Premessa

La successione dello Stato è un istituto giuridico la cui definizione contiene profili di grande problematicità per l’esiguo quadro normativo di riferimento, inidoneo ad assicurare adeguata disciplina delle molte situazioni che precludono la possibilità che si realizzi il fine della norma primaria di garantire l’effetto devolutivo allo Stato, in presenza di eredità giacenti o beni vacanti.

I beni vacanti o derivanti da eredità giacenti, difettando altri successibili ex lege, debbono essere, ai sensi dell’art. 586 del codice civile, devoluti allo Stato.

Recita, infatti, l’art. 586 c.c. : 1. In mancanza di altri successibili, l' eredità è devoluta allo Stato. L' acquisto si opera di diritto senza bisogno di accettazione e non può farsi luogo a rinunzia. 2. Lo Stato non risponde dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni acquistati.

All’astratta previsione codicistica non ha fatto seguito una disciplina normativa dei criteri di individuazione e delle modalità di gestione dei beni al fine di assicurare l’apprensione da parte dello Stato di patrimoni ereditari, la cui consistenza può, peraltro, rilevarsi di rilevante interesse pubblico.

Considerando che l’effetto devolutivo allo Stato della proprietà dei beni ereditari si realizza di diritto non solo nelle ipotesi di assenza di successibili e di rinunzia abdicativa da parte dell’erede - che, senza che abbia correlativamente luogo alcuna successione o trasferimento ad altri, abbandona il proprio diritto puramente e semplicemente, determinandone l'estinzione - ma anche per i beni prevista dall’art. 827 c.c. ossia per i beni che non sono di proprietà di alcuno, s’impone la necessità di una disciplina delle singole fattispecie e ben precise linee regolamentari dei procedimenti amministrativi che tengano conto delle criticità derivanti dalla diversa natura (immobili, titoli, ecc.) e della ubicazione (territorio nazionale o estero) dei beni stessi.

Dopo un’essenziale analisi dell’istituto e delle problematiche ad esso riconducibili vedremo quali potrebbero essere le modalità un necessario intervento normativo, peraltro preconizzato dal legislatore della finanziaria per l’anno 2007 (art. 1,

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comma 260, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006) e , allo stato, non ancora attuato.

La successione dello Stato nella previsione normativa

La successione dello Stato è, come si è detto, prevista dall’art. 586 c.c. il quale, nell’affermare il principio romanistico del fiscus post omnes , attribuisce allo Stato la qualifica di erede necessario in senso proprio ossia di successore legittimo, quando manchi ogni altro erede testamentario o legittimo oppure tutti abbiano rinunziato.

Lo Stato succede, iure successionis ope legis, dunque, a causa della vocazione connessa al diritto di sovranità e, pertanto, non può rinunziare all’eredità che acquista, conseguentemente, ipso iure, senza bisogno, cioè, di accettazione, con effetti che decorrono dal momento della apertura della successione (data del decesso del de cuius).

La norma persegue due finalità di rilievo sociale perché, nell’evitare che il patrimonio del defunto divenga una res nullius e tutelando i beni che ne fanno parte, assicura la continuità dei rapporti giuridici facenti capo al defunto e , nel contempo, gli conferisce un contenuto valoriale, attribuendolo al patrimonio pubblico.

Infatti l’art. 586 c.c. consente la successione dello Stato non per il solo fatto della mancanza di successibili noti, ma qualora dell’assenza di altri successibili sia fornita adeguata prova, in mancanza della quale il complesso dei beni del de cuius è più propriamente da considerare come una eredità giacente.

Nella fattispecie disciplinata dagli artt. 528 e ss. c.c sono ricomprese sia le ipotesi in cui è stata aperta la procedura di eredità giacente sia quelle in cui l’effetto devolutivo allo Stato della proprietà dei beni ereditari si verifica senza che si sia previamente promosso un procedimento di volontaria giurisdizione.

Ai sensi dell’art. 528 c.c.: 1. Quando il chiamato non ha accettato l' eredità e non è nel possesso di beni ereditari, il tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d' ufficio, nomina un curatore dell' eredità. 2. Il decreto di nomina del curatore, a cura del cancelliere, è pubblicato per estratto nel foglio degli annunzi legali della provincia e iscritto nel registro delle successioni.

Perché si configuri la giacenza, contemplata nell’art. 528 c.c., è, dunque, necessario che il chiamato non accetti l’eredità e che non sia nel possesso reale dei beni ereditari ma anche che il chiamato sia sconosciuto o irraggiungibile (come nell’ipotesi in cui se ne ignori la residenza).

La giacenza impone la necessaria curatela funzionale alla conservazione all’amministrazione del patrimonio ereditario, in attesa e in previsione di un’accettazione futura che taluno dei chiamati testamentari o legittimi possa fare.

Il curatore, dunque, ha il compito di salvaguardare gli interessi dell'eredita' e, pertanto, è tenuto a procedere all’inventario dell’eredità, a esercitarne e promuoverne le ragioni, a rispondere alle istanze proposte contro la medesima, ad

amministrarla, a depositare presso le casse postali (o presso un istituto di credito designato dal Tribunale) il danaro che si trova nell’eredità o si ritrae dalla vendita dei mobili o degli immobili, e, da ultimo, a rendere conto della propria

amministrazione.

Nel più ampio concetto di giacenza può farsi rientrare la vacanza, della quale non esiste una norma che ne precisi la nozione.

L’art. 827 c.c. si limita a statuire che i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato.

Ad avviso di chi scrive, diversamente dalla giacenza, che si concretizza in presenza di una condizione di “pendenza” - sapientemente espressa nel brocardo iacens hereditas dicitur quae heredem nondum habet, sed habere sperat - che motiva la previsione della curatela come funzionale alla conservazione dell'asse ereditario in attesa ed in previsione di una futura accettazione, nel caso della vacanza esiste un difetto assoluto di soggetti chiamati per testamento o di parenti legittimi, ossia l'esistenza di un patrimonio privo di soggetto al quale fare riferimento, che giustifica ex lege la devoluzione del patrimonio allo Stato.

A lume delle disposizioni richiamate si può, dunque, affermare che quando non sussistono i titoli per succedere ex art.

586 c.c. ovvero quando non esistono successibili, i beni entrano a far parte del patrimonio disponibile dello Stato e, in quanto tale, assoggettati alle comuni regole di diritto privato.

Le criticità del quadro normativo

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Il quadro normativo è estremamente vacuo e un’attenta lettura palesa inerzialmente tante perplessità sulla concreta realizzazione della successione dello Stato.

Le criticità concernono l’assenza di una definizione concettuale dei beni che formano l’asse ereditario (i beni de qua possono essere di entità economica importante e possedere varia natura, ossia non solo immobili, mobili e liquidità ma anche titoli azionari, obbligazioni e titoli di Stato e ubicazione) e, soprattutto, attraverso quali strumenti quali lo Stato diviene concretamente successore nonché quali possano essere i limiti normativi perché esso possa subire l’usucapione di eredità vacanti.

Tali problematiche vengono al momento affrontate attraverso l’adozione di iniziative procedimentali non sempre coordinate.

Va evidenziato che si tratta di fattispecie che hanno assunto negli ultimi anni un rilievo notevole e, come tali, pesanti ricadute sull’erario in ragione del numero esponenziale di beni immobili oggetto di usucapione da parte dei privati e di beni mobili non individuabili.

Si ritiene che il danno all’erario potrebbe assumere effetti ancora più devastanti se si valuta il trend di evoluzione della società italiana, dove il progressivo aumento delle famiglie unipersonali (oltre il 30% del totale secondo il censimento 2011(1)) potrebbe determinare il verificarsi di un aumento delle devoluzioni, in virtù della riduzione o dell’allentamento dei legami familiari sui quali si fonda il regime giuridico delle successioni legittime.

Della gravità del problema si è fatto interprete il legislatore il quale al comma 260 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2007 (legge finanziaria) ha previsto che: allo scopo di devolvere allo Stato i beni vacanti o derivanti da eredità giacenti, il Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’interno ed il Ministro dell’economia e delle finanze, determina, con decreto da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, i criteri per l’acquisizione dei dati e delle informazioni rilevanti per individuare i beni giacenti o vacanti nel territorio dello Stato.

Al possesso esercitato sugli immobili vacanti o derivanti da eredità giacenti si applica la disposizione dell’articolo 1163 del codice civile sino a quando il terzo esercente attivita’ corrispondente al diritto di proprieta’ o ad altro diritto reale non notifichi all’Agenzia del demanio di essere in possesso del bene vacante o derivante da eredita’ giacenti. Nella

comunicazione inoltrata all’Agenzia del demanio gli immobili sui quali e’ esercitato il possesso corrispondente al diritto di proprieta’ o ad altro diritto reale devono essere identificati descrivendone la consistenza mediante la indicazione dei dati catastali.

Allo stato non ha ancora trovato attuazione il previsto regolamento e la mancata implementazione di un sistema di gestione del flusso di informazioni relative ai beni di cui lo Stato ha diritto di disporre comporta, comprensibilmente, l’assenza di dati strutturati sui quali esso possa vantare il diritto di successione nonchè l’opposizione di valida difesa contro chi vanta l’acquisto per usucapione del bene oggetto di eredità ex art. 586 c.c. assumendo l’inerzia della Pubblica amministrazione.

La stessa Corte di Cassazione, Sez. II, con sentenza del 26 gennaio 2010, n. 1549 ha affermato che in tema di usucapione di beni immobili, nel caso di acquisto di beni pervenuti, allo Stato, ex art. 586 cod. civ., a titolo di eredità, ai sensi dell’art. 1163 cod. civ. ( nel testo anteriore alla modifica di cui al comma 260 dell’art. 1 della finanziaria per il 2007) la mancata conoscenza da parte dell’Amministrazione dell’intervenuto acquisto non impedisce il decorso del termine utile per l’usucapione del diritto da parte del terzo, dovendo escludersi in tal caso la natura clandestina del possesso

continuato per venti anni esercitato pubblicamente e pacificamente.

Lo stigma della Cassazione evidenzia come “ l’inerzia dell’Amministrazione non può ritenersi conseguenza di una situazione di oggettiva impossibilità per lo Stato di conoscere l’intervenuto acquisto della proprietà del bene oggetto del possesso esercitato da terzi posto che – indipendentemente da quanto è stato poi pure previsto con la citata legge del 2007 proprio per sopperire a disfunzioni legate alla mancata adozione di idonee misure – lo Stato avrebbe potuto compiere quelle attività, di carattere amministrativo ed organizzativo, dirette all’acquisizione dei dati e delle informazioni rilevanti per individuare i beni giacenti o vacanti nel territorio dello Stato”.

Le soluzioni possibili

A lume delle evidenziate criticità presenti nel quadro normativo sarebbe necessaria una rapida adozione del

regolamento, che a norma del comma 260, dell’art. 1 della legge finanziaria 2007, stabilisca i criteri per l’acquisizione dei

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dati e delle informazioni rilevanti per individuare i beni derivanti da eredità giacenti o i beni immobili vacanti situati nel territorio dello Stato.

Si è detto che in relazione ai beni la formulazione civilistica è polisensa e che difetta di una definizione concettuale delle fattispecie di giacenza e vacanza.

Sono da qualificare come beni derivanti da eredità giacenti i beni immobili, le cose mobili, i titoli di credito, i titoli di Stato, le partecipazioni societarie, i crediti ed ogni altra attività, come risultanti dall’inventario dell’eredità giacente di cui all’articolo 775 del codice di procedura civile, devoluti allo Stato ai sensi dell’articolo 586 del codice civile, con le procedure di cui agli articoli 528 e seguenti del codice civile.

Parimenti, debbono essere devoluti allo Stato ai sensi dell’articolo 586 c.c., anche i beni (ossia, si ripete, i beni immobili, le cose mobili, i titoli di credito, i titoli di Stato, le partecipazioni societarie, i crediti ed ogni altra attività) derivanti da eredità non accettate nei termini previsti dalla legge e per i quali non è stata attivata la procedura di cui all’articolo 528 c.c.

Anche in questo caso, si tratta di beni caduti in successione e, quindi, la proprietà si trasferisce allo Stato iure

successionis; i tratti differenziali vanno rinvenuti nel fatto che tale ipotesi all’apertura della successione non fa seguito l’avvio di una procedura di eredità giacente se tutti i successibili hanno rinunciato all’eredità (e quindi non vi è stata la necessità di aprire la procedura di eredità giacente), ovvero se il de cuius non ha lasciato eredi (legittimi o testamentari).

Come si è detto l’art. 827 c.c. considera “vacanti” i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno e prevede

astrattamente che essi spettano al patrimonio dello Stato. Sul punto andrebbe precisato che i beni debbono subire una destinazione differenziata nel caso in cui siano ubicati nelle regioni a statuto speciale.

Infatti , i beni vacanti ai sensi dell’articolo 827 c.c. spettano:

1)

al patrimonio della Regione Trentino-Alto Adige (a norma dell’articolo 67, quarto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670), se ubicati in Trentino-Alto Adige;

2)

al patrimonio della Regione Sardegna, ai sensi dell’articolo 14, terzo comma, dello Statuto speciale per la Sardegna, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, se ubicati in Sardegna;

3)

al patrimonio della Regione Siciliana, a norma dell’articolo 34 dello Statuto della Regione Siciliana, approvato con R.D.L. 15 maggio 1946, n. 455, se ubicati in Sicilia.

Il nodo cruciale resta la gestione efficiente delle informazioni relative ai beni. E’ ovvio che per i beni immobili la competenza debba spettare all’Agenzia del demanio, alla quale l’art. 65 del Dlgs 30 luglio 1999, n. 300)(2) attribuisce

“l'amministrazione dei beni immobili dello Stato, con il compito di razionalizzarne e valorizzarne l'impiego, di sviluppare il sistema informativo sui beni del demanio e del patrimonio, utilizzando in ogni caso, nella valutazione dei beni a fini conoscitivi ed operativi, criteri di mercato, di gestire con criteri imprenditoriali i programmi di vendita, di provvista, anche mediante l'acquisizione sul mercato, di utilizzo e di manutenzione ordinaria e straordinaria di tali immobili”.

Viceversa, per tutti gli altri beni, il destinatario dei dati vada individuato nel Ministero dell’economia e delle finanze che, a norma dell’art. 24, lett. e) del citato Dlgs. 300/99, si occupa della “gestione delle risorse”(3) .

Al fine di assicurare la massima efficienza nella gestione delle informazioni e, conseguentemente, dei beni che ad essi si riferiscono, tutti i dati essi dovrebbero essere contenuti in documenti informatici corredati di informazioni strutturate in modo da consentire alle predette Amministrazioni deputate la possibilità di effettuare automaticamente l’incrocio con i dati già in loro possesso e il compimento di tutte le opportune attività di verifica e gestione.

Relativamente al soggetto sul quale deve gravare l’obbligo di provvedere alle comunicazioni occorre distinguere tra le diverse fattispecie che producono l’effetto devolutivo allo Stato.

a) I beni per i quali viene aperta la procedura di eredità giacente

Per i beni per i quali è aperta una procedura di eredità giacente è palese che debba essere il curatore, nominato ai sensi dell’articolo 528, primo comma, c.c. a comunicare con modalità telematiche al Ministero dell’economia e delle finanze e

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all’Agenzia del Demanio, la notizia della nomina e l’elenco dei beni ereditari che deve contenere tutti i dati identificativi dei beni immobili, delle cose mobili, dei titoli di credito, dei titoli di Stato, delle partecipazioni societarie e di ogni altra attività ricompresa nella eredità giacente e le informazioni (gli estremi delle trascrizioni o iscrizioni risultanti dai pubblici registri).

Il curatore dovrebbe trasmettere l’elenco dei beni ereditari anche al termine della procedura. Sul punto andrebbe posta una particolare attenzione ai termini entro i quali il curatore deve assolvere all’obbligo di comunicazione al fine di evitare che un ritardo nella pronuncia del provvedimento di chiusura della procedura comporti anche un ritardo nella

comunicazione dell’elenco dei beni ereditari agli enti che ne hanno diritto (Agenzia del Demanio e Ministero dell’economia e delle finanze).

Va considerato, infatti, che poiché i chiamati all’eredità non possono accettare l’eredità, decorso il termine di prescrizione di dieci anni di cui all’articolo 480 c.c., il termine decennale per l’accettazione, se generalmente decorre dalla apertura della successione, in alcune ipotesi particolari decorre dal giorno in cui si verifica la condizione (ad esempio, in caso di istituzione condizionale) o dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta la filiazione (in caso di accertamento giudiziale della filiazione stessa).

b) Beni devoluti allo Stato in assenza di procedura di eredità giacente e di beni vacanti

Come già detto, rientra nella fattispecie dell’art. 586 c.c. anche l’acquisto da parte dello Stato iure successionis della proprietà dei beni per i quali non è stata aperta la procedura di eredità giacente perché tutti i successibili hanno

rinunciato all’eredità (e quindi non vi è stata la necessità di aprire la procedura di eredità giacente) ovvero perché è certo che il de cuius non ha lasciato eredi (legittimi o testamentari).

Come ha affermato la Corte di Cassazione, sez. II civile, nella sentenza sentenza n. 3087 del 31 marzo 1987 “per la giuridica configurabilità di un'eredità giacente ex art. 528 cod. civ. e per la connessa possibilità di nomina di un curatore della stessa da parte del giudice del mandamento ove si è aperta la successione, non è necessario che sia certa l'esistenza di un chiamato all'eredità il quale non l'abbia accettata e non sia nel possesso di beni ereditari, ma è

sufficiente che si ignori se il de cuius abbia eredi e se questi siano ancora in vita, e ciò fin quando, essendo acquisita la certezza della loro inesistenza, non ne derivi la posizione di erede dello Stato”.

In tale ipotesi, non essendo prevista la curatela, gli obblighi di comunicazione dei dati identificativi dei beni devoluti allo Stato dovrebbero gravare sulle cancellerie degli uffici giudiziari, sui notai, sui Comuni e sull’Agenzia delle Entrate, una volta che ne vengono a conoscenza per ragioni d’ufficio.

Analoga disposizione andrebbe adottata per i beni vacanti.

Conclusioni

Implementare un sistema di individuazione e monitoraggio dei beni di spettanza dello Stato iure successionis dando attuazione all’art. 1, comma 260, della legge finanziaria per l’anno 2007 potrebbe essere un primo passo per assicurare la continuità dei rapporti giuridici facenti capo al de cuius nel rispetto del principio il fiscus post omnes, al quale potrebbe far seguito anche l’adozione di misure normative e procedimentali valoriali di impiego sociale a beneficio della collettività per tutti quei beni vacanti che vengono fraudolentemente sottratti allo Stato attraverso le possibili note falsificazioni delle scritture testamentarie.

Nel caso dei beni vacanti l’adozione del regolamento porrebbe un argine al dilagante fenomeno del loro occultamento da parte della malavita attraverso l’esibizione di testamenti olografi falsi ovvero eludendo le scoordinate disposizioni

procedimentali vigenti, che precludono la loro individuazione ai fini della devoluzione allo Stato. Sul punto l’elaborazione di criteri procedimentali interfunzionali tra più amministrazioni completerebbe efficacemente il sistema di deterrenza dell’illecita sottrazione al patrimonio dello Stato a beneficio, si ripete, di auspicabili iniziative di utilità sociale

analogamente, ad esempio, a quanto previsto con legge n. 109 del 7 marzo 1996(4) e successive modifiche in materia di beni sequestrati o confiscati alla mafia.

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(1) Fonte ISTAT.

(14)

(2) Recante la Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59. (GU n.203 del 30-8-1999 - Suppl. Ordinario n.

163

(3) Art. 24, del Dlgs n. 300/1999 Il ministero svolge, in particolare, le funzioni di spettanza statale nelle seguenti aree funzionali (omissis) : lett. e) amministrazione generale, personale e servizi indivisibili e comuni del ministero, con particolare riguardo alle attivita' di promozione, coordinamento e sviluppo della qualita' dei processi e dell'organizzazione e alla gestione delle risorse; servizi del tesoro e provveditorato generale dello Stato; gestione delle risorse necessarie all'attivita' delle commissioni tributarie.

(4) Recante Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 58 del 9 marzo 1996 - S.O. n.

44).

Studi di settore

In arrivo le lettere che invitano i contribuenti a “mettersi” in regola con gli studi di settore

L’Agenzia delle Entrate ha emanato un provvedimento con il quale chiarisce che nel cassetto fiscale del contribuente saranno rese disponibili una serie di informazioni tra le quali quelle riguardanti gli studi di settore con l’invito a mettersi in regola in caso di incongruenze.

di Federico Gavioli Premessa

Con il provvedimento del 18 giugno 2015, n. 83317, l’Agenzia delle Entrate evidenzia le modalità con le quali mette a disposizione del contribuente, del suo intermediario e della Guardia di Finanza elementi e informazioni, al fine di introdurre nuove e più avanzate forme di comunicazione tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, anche in termini preventivi rispetto alle scadenze fiscali, finalizzate a semplificare gli adempimenti, stimolare l’assolvimento degli obblighi tributari e favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili .

Secondo quanto dichiarato dall’Agenzia dell’Entrate dovrebbero essere circa 190 mila le comunicazioni di anomalie nei dati dichiarati ai fini degli studi di settore pronte a partire per permettere ai contribuenti di valutare la propria posizione e scegliere di fornire chiarimenti alle stesse Entrate o a rimediare.

Nel cassetto fiscale del contribuente saranno resi disponibili una serie di informazioni che hanno come oggetto, principalmente, gli studi di settore e l’invito a mettersi in regola; tale procedura , è stata introdotta dall’ultima legge di Stabilità 2015 (art. 1, commi 634, 635 e 636, legge 190/2014), ed è stata avviata per le incongruenze relative a plusvalenze e sopravvenienze attive per le quali si è scelta la tassazione in più quote.

L’opera di convincimento , da parte dell’amministrazione finanziaria, nei confronti del contribuente parte : a)

dagli inviti al contribuente a presentare i modelli studi di settore, qualora non abbia provveduto pur essendone obbligato;

b)

dai modelli di studi di settore trasmessi;

c)

dall’elenco delle anomalie emerse in fase di trasmissione della dichiarazione sulla base dei controlli telematici previsti tra i quadri contabili del modello UNICO e i dati degli studi di settore;

d)

da segnalazioni inviate dal contribuente o dal suo intermediario, tramite la specifica procedura informatica resa disponibile dall’Agenzia delle Entrate, per comunicare eventuali giustificazioni in merito a situazioni di non congruità, non normalità e/o non coerenza risultanti dall’applicazione degli studi di settore o per fornire dettagli in merito alle cause di esclusione o di inapplicabilità dagli stessi, con l’indicazione se la segnalazione è stata inviata direttamente dal contribuente o per il tramite dell’intermediario;

e)

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da comunicazioni di anomalie nei dati dichiarati ai fini degli studi di settore (triennio 2011-2013), in allegato ad UNICO, rilevate dall’Agenzia delle Entrate sia analizzando i dati stessi sia le altre fonti informative disponibili;

f)

da risposte inviate dal contribuente, anche per il tramite del suo intermediario, relative a comunicazioni di anomalie nei dati dichiarati ai fini degli studi di settore utilizzando la specifica procedura informatica resa disponibile

dall’Agenzia delle Entrate;

g)

da statistiche relative ai dati dichiarati ai fini degli studi di settore.

Informazioni relative agli studi di settore

L’Agenzia delle Entrate mette, inoltre, a disposizione del contribuente ovvero del suo intermediario i seguenti ulteriori elementi ed informazioni relative agli studi di settore, utili per una valutazione in ordine ai ricavi, compensi, redditi, volume d’affari e valore della produzione nonché relative alla stima dei predetti elementi, anche in relazione ai beni acquisiti o posseduti:

a)

prospetto su base pluriennale dell’andamento dei dati dichiarativi relativi agli studi di settore applicati;

b)

documento di sintesi dell’esito dell’applicazione degli studi di settore sulla base dell’ultima versione del software GERICO pubblicato sul sito dell’Agenzia, comprensivo del posizionamento degli indicatori di coerenza e di normalità e dell’indicazione sull’accesso al regime premiale previsto dall’articolo 10, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201.

Le modalità delle comunicazioni

Il provvedimento chiarisce le modalità con le quali l’Agenzia delle Entrate “comunica” con il contribuente: le informazioni saranno disponibili consultando il “Cassetto fiscale” mediante i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate. Gli

intermediari incaricati della trasmissione delle dichiarazioni, possono accedere agli elementi e alle informazioni consultando il “Cassetto fiscale” dei soggetti dai quali abbiano preventivamente ricevuto una specifica delega.

Restano , invece, legate al ricevimento di una specifica comunicazione le informazioni su anomalie nei dati dichiarati che continueranno ad essere comunicate direttamente al contribuente ovvero all’intermediario qualora quest’ultimo abbia ricevuto delega.

Il ruolo del ravvedimento operoso

Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate evidenzia che tali nuove forme di comunicazione, da realizzare anche in termini preventivi rispetto alle scadenze fiscali, oltre ad assicurare maggiore trasparenza e correttezza nei confronti del contribuente, sono finalizzate a semplificare gli adempimenti, stimolare l’assolvimento degli obblighi tributari e favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili, fornendo informazioni utili al fine di porre rimedio agli eventuali errori od omissioni, mediante l’istituto del ravvedimento operoso.

Con le novità apportate dalla legge di Stabilità 2015, è stata anche introdotta la possibilità di effettuare le opportune correzioni ed i connessi versamenti delle somme dovute, usufruendo della riduzione delle sanzioni applicabili, graduata in ragione della tempestività dell’intervento correttivo. Tale comportamento, ricorda il provvedimento in commento, potrà essere posto in essere a prescindere dalla circostanza che la violazione sia già stata constatata ovvero che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo, delle quali i soggetti interessati abbiano avuto formale conoscenza, salvo la formale notifica di un atto di liquidazione, di irrogazione delle sanzioni o, in generale, di accertamento e il ricevimento delle comunicazioni di irregolarità.

Copyright © - Riproduzione riservata Agenzia delle Entrate, provvedimento 18/06/2015, prot. n. 83317

Agenzia delle Entrate, comunicato stampa 18/06/2015

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Successioni e donazioni

Sono deducibili i debiti dalla massa ereditaria anche se la fattura non è formalmente intestata agli eredi

Ai fini della deducibilità dei debiti dalla massa ereditaria non è necessario che sia presente fattura intestata agli eredi, ma che sia presente valida quietanza e pertinenza della spesa nell’ultimo semestre di vita del defunto.

Questo il principio stabilito dalla Corte di Cassazione nella sent. n. 9957/2015.

Ai fini dell’imposta di successione, il regime di deducibilità dei debiti dalla massa ereditaria non impone che la fattura, emessa a corredo della spesa medica relativa al defunto, debba essere formalmente intestata ai suoi eredi. In linea generale, infatti, il sistema afferente suppone di far fronte a una prova legale nel limitato senso che le spese mediche e chirurgiche relative al defunto negli ultimi sei mesi di vita, sostenute dagli eredi, comprese quelle per ricoveri, medicinali e protesi, possano essere dedotte a condizione che risultino da regolari quietanze, anche se di data anteriore all’apertura della successione. Le condizioni richieste, quindi, ai fini della deducibilità dalla massa ereditaria sono l’esistenza di valida quietanza e la pertinenza della spesa all’ambito medico-chirurgico nell’ultimo semestre di vita del defunto, a nulla

rilevando la formale intestazione della fattura direttamente agli eredi anziché al defunto medesimo.

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, sez. civile, sentenza 14/05/2015, n. 9957

Reati tributari

Irregolare tenuta della contabilità: dolo intenzionale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20064 del 14 maggio 2015, conferma che si è in presenza di dolo intenzionale quando l’irregolare tenuta della contabilità è tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.

Mentre per le ipotesi di sottrazione, distruzione o falsificazione di libri e scritture contabili, per espresso dettato della legge, è necessario il dolo specifico, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, per l’ipotesi di irregolare tenuta della contabilità, caratterizzata dalla tenuta delle scritture in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, è richiesto, invece, il dolo

intenzionale, perché la finalità dell’agente è riferita a un elemento costitutivo della stessa fattispecie oggettiva,

l’impossibilità di ricostruire il patrimonio e gli affari dell’impresa, anziché a un elemento ulteriore, non necessario per la consumazione del reato, quale è il pregiudizio per i creditori (nel caso di specie è stato ritenuto sussistente il dolo dell’agente che aveva posto in essere plurime e diverse tipologie di falso, operate in un momento in cui la società aveva già perso integralmente il capitale sociale).

A cura della Redazione

Copyright © - Riproduzione riservata Corte di Cassazione, sez. penale, sentenza 14/05/2015, n. 20064

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