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Ius variandi e contratti bancari - Judicium

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VALERIO TAVORMINA Ius variandi e contratti bancari

SOMMARIO 1. Evoluzione normativa dalla legge n. 154/92 all’art. 118 del Testo Unico Bancario (versione originaria e sue successive 4 modifiche) e connessioni con la disciplina di tutela dei consumatori (odierno art. 33 Codice del consumo). 2. I limiti all’esercizio dello ius variandi: il giustificato motivo. 3. Modalità di esercizio del diritto e recesso del cliente

1.- Evoluzione normativa dalla L 154/92 all’art. 118 del Testo Unico Bancario (ver- sione originaria e sue successive 4 modifiche) e connessioni con la disciplina di tute- la dei consumatori (odierno art. 33 Codice del consumo)

1.1 Già dal dopoguerra i modelli contrattuali bancari standard, elaborati dall’ABI e noti sotto il nome di norme bancarie uniformi (NBU)1, contenevano clausole che riservavano alla Banca "la facoltà di modificare in qualsiasi momento le norme e le condizioni tutte che regolano i rapporti” (così ad esempio l’art. 15 NBU sui conti correnti di corrispon- denza e servizi connessi).

In proposito, dunque, l’art. 6 della legge n. 154/1992 sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari2, trasfuso un anno dopo con varie semplificazioni nell’art. 118 TUB3, altro non fece che recepire la prassi contrattuale in essere, con mo-

1 Cfr. in merito, ad esempio, l’ampia disamina di CAVALLI, Norme bancarie uniformi e accordi inter- bancari, in Digesto discipline privatistiche – sez. commerciale, Utet, ad vocem, 1994.

2 “6. Modifica delle condizioni contrattuali.

1. I tassi di interesse, i prezzi e le altre condizioni previsti nei contratti di durata possono essere variati in senso sfavorevole al cliente, purché ne sia data al medesimo comunicazione scritta presso l'ultimo domi- cilio notificato.

2. Nelle ipotesi in cui si proceda a variazioni generalizzate della struttura dei tassi, la comunicazione di cui al comma 1 potrà avvenire in modo impersonale tramite inserzione di appositi avvisi nella Gazzetta Ufficiale.

3. Su conforme delibera del CICR, la Banca d'Italia può prevedere diverse modalità di comunicazione per le variazioni riguardanti determinate categorie di operazioni e servizi ove ciò sia giustificato da motivate ragioni tecniche.

4. Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci.

5. Entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione scritta il cliente ha diritto di recedere dal contratto senza penalità e di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto, l'applicazione delle condizioni precedentemente in essere. Ove siano ammesse forme di comunicazione impersonali, il termine suddetto decorre dalla pubblicazione dei relativi avvisi”.

3 “Articolo 118 Modifica unilaterale delle condizioni contrattuali.

1. Se nei contratti di durata è convenuta la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni, le variazioni sfavorevoli sono comunicate al cliente nei modi e nei termini stabiliti dal CICR.

2. Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni del presente articolo sono inefficaci.

3. Entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione scritta, ovvero dell'effettuazione di altre forme di comunicazione attuate ai sensi del comma 1, il cliente ha diritto di recedere dal contratto senza penalità e di ottenere, in sede di liquidazione del rapporto, l'applicazione delle condizioni precedentemen- te praticate”.

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deste precisazioni in ordine alla sua applicazione ai soli rapporti di durata ed alle sole variazioni sfavorevoli ai clienti e con l’unica rilevante novità (rimasta sostanzialmente inalterata nelle successive vicende) dell’introduzione di un diritto di recesso del cliente, con applicazione delle vecchie condizioni, entro 15 giorni dalla comunicazione della modifiche introdotte dalla banca. Novità, questa, che peraltro era già stata tacitamente introdotta da alcune decisioni giurisprudenziali che così interpretavano le NBU4.

Si precorreva con ciò per qualche aspetto una estensione di tutela a tutti i clienti rispetto a quella minima5 per i consumatori che la Comunità andava ad introdurre con la diretti- va 93/13/CEE, la quale adottava la stessa soluzione per tutte le condizioni economiche e per le altre la limitava invece ai contratti di durata indeterminata, esigendo altrimenti (quindi per i contratti a termine) “un valido motivo specificato nel contratto stesso”, pe- raltro – in quest’ultimo caso – senza prevedere possibilità di recesso (allegato, n. 2b e n. 1j).

1.2 Una prima indiretta modifica dell’art. 118 così redatto, tuttavia, veniva ad emergere proprio dalla (tardiva) attuazione della direttiva consumatori, intervenuta con l’art. 25 della legge n. 52/1996 che introduceva il capo XIVbis nel titolo II del codice civile. Il comma 4, n. 2 dell’art. 1469bis c.c., infatti, andando ben al di là della direttiva consu- matori, introduceva la necessità del giustificato motivo anche per le modifiche delle condizioni non economiche nei contratti con i consumatori per la prestazione di servizi finanziari a tempo indeterminato.

Ed è proprio facendo leva su questa disposizione che l’esuberante Autorità Garante del- la Concorrenza e del Mercato, nella sua segnalazione annuale 2006 al Parlamento ed al Governo (AS338 del 26.5.2006), si dichiarava persuasa che “l’obiettivo di promozione e tutela della concorrenza nel mercato dei servizi bancari richieda una specifica modifica [nella direzione tracciata dalle disposizioni italiane pro consumatori] della normativa applicabile, che, peraltro, non appare trovare analogie né nella normativa né nella prassi prevalente a livello internazionale”. Ossia, secondo un refrain poi ripetuto e divenuto abituale, la concorrenza bancaria in Italia sarebbe stata pregiudicata perché “la capacità [del cliente] di effettuare scelte consapevoli è fortemente depotenziata da un uso indi- scriminato dello ius variandi che determina incertezza in relazione alla stabilità delle condizioni economiche di un servizio. Questa circostanza, che svilisce l’efficacia del processo di ricerca del migliore operatore, appare idonea a disincentivare un consumato- re… E’ probabile che un consumatore non trovi conveniente sopportare i… costi di cambiamento per godere di benefici, in termini di condizioni migliori, che potrebbero,

4 Cfr. ad esempio Trib. Milano, 18/04/1985, in Banca Borsa, 1987, II, 94 con nota critica di RESCIO;

Conc. Napoli, 10/12/1992, in Banca Borsa, 1994, II, 109.

5 Il carattere minimale di questa tutela è stato ribadito da CGUE, Sez. I, 03/06/2010, in causa C-484/08, la quale ha affermato che (impregiudicato ogni diverso profilo attinente alla concorrenza, alla libertà di sta- bilimento ecc.) la direttiva non vieta di per sé ad uno Stato di prevedere “nel suo ordinamento, a tutela dei consumatori, un controllo del carattere abusivo delle clausole contrattuali vertenti sulla definizione dell’oggetto principale del contratto o sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, sebbene esse siano formulate in modo chia- ro e comprensibile”.

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tuttavia, venire meno in tempi anche brevi” (cfr. delibera n. 17046 del 10.7.2007 che ravvisava nella circolare ABI n. 23/2006 un’intesa restrittiva della concorrenza ex art.

già 81 del Trattato CEE).

Queste stravaganti considerazioni non si davano neppure carico di spiegare che cosa a- vrebbe impedito ai clienti di selezionare spontaneamente le banche più “virtuose” se- condo il regolatore (ossia quelle che meno usavano lo ius variandi), fondate com’erano sul pressoché universalmente (ma non meno falsamente) condiviso postulato che la li- bertà di concorrenza (motore sufficiente e necessario della massimizzazione del benes- sere di ciascuno) esiga qualche cosa di più (nota solo ai savants) che la libertà di ciascu- no, comprensiva ovviamente della repressione del mendacio.

Fu comunque così che l’art. 10 del d.l. n. 223/2006, contenente “disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale” (una delle tante manovre estive con cui ci siamo costantemente “rilanciati” fino all’attuale, invidiabile posizione), visto che si era già esagerato con la tutela dei consumatori, riten- ne di dover esagerare ancor di più per tutti, introducendo la necessità, oltre che di un preavviso di 60 giorni, anche del “giustificato motivo” per la variazione di tutte le clau- sole (economiche e non), per tutti i contratti di durata (a tempo determinato o indeter- minato) e per tutti i clienti (consumatori o no) nel perimetro del TUB (mentre, singo- larmente, per i residui servizi finanziari fuori del TU e cioè – in base all’art. 2, n. 12 del- la recente direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori nei contratti a distanza e ne- goziati fuori dei locali commerciali – per i servizi assicurativi, pensionistici individuali e di investimento, l’art. 33, comma 4 del codice del consumo, nel frattempo adottato con dlgs. n. 206/2005, escludeva la necessità del preavviso per la modifica delle condizioni economiche).

1.3 Questa prima modifica dell’art. 118 è stata senz’altro la più rilevante, perché ha in- trodotto una ragione di isolamento del mercato bancario italiano dagli altri (più signifi- cativi) mercati dell’Unione, subordinando ogni aggiustamento delle condizioni, econo- miche e non, delle decine di milioni di contratti bancari in essere o ad una trattativa con i singoli clienti, estremamente difficile se non impossibile a causa del loro numero per le banche medio-grandi (cui fa capo oltre il 50% degli attivi del sistema bancario nazio- nale); oppure ad una clausola generale (appunto del “giustificato motivo”) con contenuti mancanti di ogni prevedibilità, specie nel nostro disastrato panorama ordinamentale, e conseguente esposizione ad un imponente contenzioso.

Al contrario, non vi è traccia, in materia, del “giustificato motivo” né nel Banking code di autoregolamentazione britannico (sez. 5 e 6), né nei §§ 308, comma 5 e 310, comma 1 del codice civile tedesco, né nell’art. L312-1-1, II del codice monetario e finanziario francese, sicché questi tre grandi sistemi bancari si muovono (nei confronti di tutti i clienti, consumatori e non) secondo lo schema della proposta con preavvi- so/accettazione tacita6 (con alternativo diritto di recesso o con diritto della banca di chiudere il rapporto), mentre il nostro sistema è stato convenientemente azzoppato.

6 Per la Germania cfr. BUNTE, in Bankrechts-Handbuch4, Beck, 2011, I, 140.

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Non si può certo dire che si tratti di una situazione pienamente rispondente all’imperativo scaturente dal 18° considerando della direttiva banche (2006/48/CE), se- condo cui “gli Stati membri dovrebbero vigilare affinché non vi sia alcun ostacolo a che le attività ammesse a beneficiare del riconoscimento reciproco possano essere esercitate allo stesso modo che nello Stato membro d'origine, purché non siano incompatibili con le disposizioni di legge di interesse generale in vigore nello Stato membro ospitante”, come ebbe a rilevare (a proposito dell’identico 16° considerando della direttiva banche 89/646/CEE vigente all’epoca) la Corte costituzionale nel giudicare che la reintroduzio- ne per legge (art. 25, comma 2 d.lgs. n. 342/1999) dell’anatocismo bancario, allora ap- pena condannato dalla Cassazione7, rispondeva all’esigenza di eliminare “motivi di con- trasto o, comunque, di disarmonia tra l'ordinamento italiano e quello comunitario”, quali

“ostacoli alla piena realizzazione del principio di libertà di stabilimento e di libera pre- stazione dei servizi”8.

Tanto più che, da un lato, la Corte di Giustizia UE ha ribadito pochissimo tempo fa che, nell’ipotesi di limiti quantitativi imposti alle remunerazioni bancarie (in quel caso peral- tro inesistenti), potrebbe sussistere “una reale ingerenza nella libertà di negoziare” degli istituti di credito e con essa una restrizione vietata della libera prestazione di servizi ex art. 56 TFUE9; d’altro lato, la citata sentenza della Corte costituzionale aggiungeva cor- rettamente che disarmonie nella disciplina dettata dagli Stati membri possono determi- nare “discriminazione a rovescio” in danno delle imprese nazionali10.

Sotto il quale ultimo profilo rileva anche l’art. 3 del regolamento n. 593/2008/CE (Ro- ma I) che consente la scelta di una legge diversa da quella italiana11, certamente più ac- cessibile alle aziende di credito originarie di altri Stati dell’Unione, salve le norme di applicazione necessaria che, rappresentando “disposizioni il cui rispetto è ritenuto cru- ciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici” (art. 9), sono applicabili solo in “circostanze eccezionali” e vanno intese “in maniera più restrittiva” della nozio- ne di “disposizioni alle quali non è permesso derogare convenzionalmente” (conside- rando n. 37).

1.4 Con l’art. 34, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 11/2010, attuativo della direttiva 2007/64/CE, lo ius variandi in tema di servizi di pagamento ha ricevuto all’art. 126 se- xies TUB una inderogabile12 disciplina ad hoc, la quale, nei suoi primi tre commi, rical-

7 Cass. civ., Sez. I, 16/03/1999, n. 2374, in Banca Borsa, 1999, II, 389.

8 Corte cost., 12/10/2007, n. 341, punto 2.5 della motivazione.

9 CGUE, Sez. IV, 12/07/2012, C-602/10, punti 75, 77 e 78.

10 Corte cost., n. 341/2007, cit., punto 2.8 della motivazione.

11 Presupposta come possibile anche, ad esempio, dall’art. 22 § 4 della direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori.

12 E’ vero infatti che l’art. 126 bis, comma 3, prevede che, “In deroga all’articolo 127, comma 1, le parti possono accordarsi nel senso che le previsioni del presente capo non si applicano, interamente o parzial- mente, se l’utilizzatore di servizi di pagamento non è un consumatore, né una microimpresa”: ma la di- sposizione va interpretata restrittivamente e dunque non può riferirsi anche all’art. 126sexies, perché l’art.

86 § 1 della direttiva non ammette disposizioni statali diverse per quanto disciplinato nei suoi artt. 42 e 44.

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ca gli artt. 42, n. 6 e 44 della direttiva che, senza distinguere fra consumatori e non con- sumatori, prevedono la possibilità di pattuire il meccanismo proposta di modifica del contratto quadro/accettazione tacita salvo recesso, senza necessità di “giustificato moti- vo” che dunque non poteva, come appena detto ed in forza dell’art. 86 § 1, essere intro- dotto in sede applicativa.

E con ciò emerge un ulteriore profilo di illegittimità dell’art. 118 TUB, che impone per le modifiche contrattuali il “giustificato motivo”, in quanto lo stesso assoggetta gli altri servizi bancari ad un trattamento peggiore di quello inderogabilmente riservato ai servi- zi di pagamento.

Il comma 5 dell’art. 126sexies, infine, fa salve, “in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 33, commi 3 e 4, del” codice del consumo. Ma, per quanto già esposto, detta compatibilità non sussiste, perché di “giustificato motivo” o di recesso senza pre- avviso la direttiva non parla13.

1.5 Con l’art. 4, comma 2 del d.lgs. n. 141/2010, attuativo della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, all’interno dell’art. 118 TUB (norma di portata generale applicabile nei confronti di tutti i clienti e per tutti i contratti diversi da quelli relativi ai servizi di pagamento, compresi quindi i contratti di credito in questione:

art. 125 bis, comma 2 TUB) è stata introdotta la distinzione tra contratti a tempo inde- terminato (per i quali lo ius variandi può riguardare i tassi, i prezzi e le restanti condi- zioni contrattuali: comma 1, primo periodo) e gli altri contratti di durata, primo tra tutti il mutuo (per i quali lo ius variandi non può riguardare i tassi d’interesse: comma 1, se- condo periodo), sempre fatta salva in entrambi i casi l’esigenza di un “giustificato moti- vo”; il tutto però senza che tale distinzione fosse presente né nell’art. 33 cod. cons. né, ai fini dello ius variandi, nella direttiva 2008/4814.

1.6 Da ultimo, con il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (convertito, con modificazio- ni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106) l’art. 118 TUB si è arricchito di un nuovo comma 2 bis (la cui applicabilità è però esclusa per i contratti in corso) che, se nelle intenzioni originarie doveva servire a riportare all’ambito consumeristico suo proprio l’intera di- sciplina limitativa dello ius variandi (ammettendo, cioè, uno spazio soggettivo di inte- grale derogabilità delle previsioni di cui all’art. 118 TUB per i clienti diversi da consu- matori e micro-imprese15), nel suo risultato finale ha finito per concentrarsi sui soli con-

13 Non tiene conto di questo limite esterno OLIVIERI, Usi e abusi dello “ius variandi” nei contratti ban- cari, in AGE, 2011, 159 s., nell’interrogarsi sulla ratio del diverso regime dello ius variandi in tema di servizi di pagamento e nell’attribuire valore normativo all’ultimo comma dell’art. 126sexies TUB.

14 Il che potrebbe comportare illegittimità del secondo periodo del nuovo comma 1 dell’art. 118 per il cre- dito ai consumatori soltanto se gli artt. 5 § 1 lett. i) e 11 § 1 della direttiva, che prevedono l’informazione ai consumatori sulle condizioni alle quali le “spese derivanti dal contratto di credito… possono essere modificate”, nonché sulla “modifica del tasso debitore”, fossero intesi come imponenti armonizzazione completa e obbligatoria circa uno ius variandi (almeno nell’an): cfr. CGUE, C-602/10, cit., punti 38, 63 e 65, che nega la sussistenza di tale requisito in materia di commissioni.

15 Ossia imprese che non impieghino più di 10 dipendenti e che neppure superino un fatturato od un totale dello stato patrimoniale di 2 milioni di euro, come da raccomandazione 2003/361/CE.

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tratti di durata diversi da quelli a tempo indeterminato (onde tornare per essi ad ammet- tere, nei rapporti con clienti diversi da consumatori e micro-imprese, quanto il secondo periodo del comma 1 escludeva, ossia la variazione unilaterale anche dei tassi d’interesse); tuttavia la formulazione in concreto adottata (“Se il cliente non è un con- sumatore nè una micro-impresa come definita dall’ articolo 1, comma 1, lettera t), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 11, nei contratti di durata diversi da quelli a tempo indeterminato di cui al comma 1 del presente articolo possono essere inserite clausole, espressamente approvate dal cliente, che prevedano la possibilità di modificare i tassi di interesse al verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel con- tratto”) ha dell’assurdo, dal momento che, se interpretata letteralmente, essa parrebbe

“non aggiungere ma sottrarre libertà negoziale delle parti”16, da un lato facendo sorgere il dubbio che per tali categorie di soggetti lo ius variandi non possa riguardare altre condizioni diverse dai tassi (ma non se ne vedrebbe davvero la ragione, visto che ciò è quanto ammette invece in linea generale il comma 1) e, dall’altro, condizionandone l’esercizio al “verificarsi di specifici eventi e condizioni, predeterminati nel contratto”

(il che, se inteso in termini rigorosi, non sarebbe più esercizio dello ius variandi bensì compiuta configurazione ex ante della regola pattizia)17.

2.- I limiti all’esercizio dello ius variandi: il giustificato motivo

2.1 Prima di verificare alcuni dei possibili contenuti della vaga formula “giustificato motivo” (terreno di coltura ideale che ha nutrito biblioteche di inutili pubblicazioni ed un devastante contenzioso che immobilizza capitali)18, vale la pena di rispondere al que- sito se il meccanismo di variazione contrattuale descritto nell’art. 118 TUB costituisca una speciale concessione del legislatore al sistema bancario, limitata dal “giustificato motivo”, oppure se si tratti di una limitazione imposta per il solo sistema bancario ad un meccanismo che tutti gli altri imprenditori e contraenti in genere possono adottare senza subirla. E ciò sia per quanto possa dedursene in relazione alle modifiche contrattuali in-

Neppure a livello comunitario si capisce perché gli Stati siano autorizzati (per quanto non obbligati) ad estendere la tutela dei consumatori alle microimprese, ma non a tutti gli altri “professionisti” che rientrino negli anzidetti parametri, a meno che anche costoro siano da ritenere inclusi in forza del supremo princi- pio di parità di trattamento. Il considerando n. 20 della direttiva sui servizi di pagamento (2007/64/CE), che introduce nel suo ambito detta possibilità di estensione di tutela, non fornisce alcun chiarimento in proposito.

16 F. FERRO LUZZI, Lo jus non variandi: prime considerazioni, e alcune supposizioni, sul comma 2-bis dell’art. 118, T.U.B., dopo la L. 106/2011, in Ilcaso.it, II, 266/2011, 2.

17 Per un’interpretazione nel senso di consentire la predeterminazione di ragioni generali quali “giustifica- to motivo” per modificare i tassi d’interesse anche nei rapporti a tempo determinato cfr. SANTANGELO, in Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia a cura di Capriglione, Cedam, 2012, III, 1731 s.

18 Si è perfino sostenuto che, se anche il “giustificato motivo” non fosse richiesto, non cambierebbe nulla, perché il principio di buona fede farebbe sì che “l’esercizio dello ius variandi non sarebbe consentito ove si determini una lesione ingiusta degli interessi del soggetto che ne subisce gli effetti” (SANTANGELO, op. cit., 1724), invocandosi “alcune decisioni giurisprudenziali in tal senso, già risalenti a fine ‘800” (e- saminate da ALPA, La completezza del contratto: il ruolo della buona fede e dell’equità, in Vita not., 2002, 620 ss.): decisioni che però nulla hanno a che vedere con il tema in oggetto, perché relative ad isti- tuti che oggi chiameremmo impossibilità parziale, eccessiva onerosità sopravvenuta, presupposizione ecc.

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troducibili con quel meccanismo ed ai contenuti di quella formula (entrambi da restrin- gere, si vuole, nel primo caso), sia per valutare la disposizione alla luce del principio co- stituzionale della parità di trattamento.

Va anzitutto senz’altro scartata ogni tentazione di porre lo ius variandi in contraddizio- ne con l’essenza stessa del contratto, che ha forza di legge tra le parti (art. 1372 c.c.)19. Stiamo infatti parlando di clausole contrattuali che possono operare proprio perché han- no forza di legge tra le parti, alla stessa stregua ad esempio di quelle che attribuiscono – ope legis nelle società ed ope voluntatis in altri innominati contratti plurilaterali con comunione di scopo (art. 1420 c.c.) – ad alcuni soltanto (e non sempre alla maggioran- za) dei contraenti la possibilità di cambiare le regole iniziali.

Per il resto, come ha scritto la dottrina (non quella “autorevole”, ma la dottrina tout court), non c’è dubbio che “i contraenti possono pattuire che la dichiarazione unilaterale di uno di essi produca un determinato effetto giuridico, se il controinteressato non emet- te un tempestivo rifiuto”, né “possono aversi dubbi su questa estensione dell’autonomia contrattuale. Una volta ammesso [infatti] che le parti possono attribuire alla dichiarazio- ne di una di esse gli effetti propri dell’incontro dei consensi (ed è questo, in sostanza, il contenuto della convenzione d’opzione), si deve ammettere altresì che le parti possano volere questa attribuzione di effetti attenuandola con il potere di rifiuto, riservato al con- trointeressato. Analogamente, una volta ammesso che le parti possono volere, ora per allora, un effetto futuro, subordinandolo soltanto al mancato recesso di uno o di entram- bi i contraenti, così si deve ammettere che le parti possano volere, ora per allora, un ef- fetto futuro, subordinandolo alla positiva volontà di una delle parti ed al mancato dis- senso dell’altra” 20.

D’altra parte, a proposito dell’elemento certamente più rilevante quale possibile oggetto di una modifica contrattuale, e cioè del corrispettivo, non ammettono forse gli artt. 1474 e 1570 c.c. la somministrazione pattuita al giusto prezzo, e cioè al “prezzo normalmente praticato” dal somministrante all’epoca delle singole prestazioni, anche se si tratta di

19 Riassume lo stato del dibattito, A. SCARPELLO, Jus variandi e strumenti di tutela del contraente (re- lazione al V congresso giuridico per l’aggiornamento forense – Roma 12 marzo 2010), in consigliona- zionaleforense.it. 3 ss. Adde, nel senso dell’inesistenza del problema, SIRENA, Il ius variandi della banca dopo il c.d. decreto-legge sulla competitività (n. 223 del 2006), in Banca Borsa, 2007, I, 263 ss.; IORIO, Le clausole attributive dello ius variandi, Giuffrè, 2008, 4 ss.; OLIVIERI, Usi e abusi, cit., 158.

20 SACCO, Il contratto, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 1993, I, pag. 91 e nota 8.

Ancora, ricorda la natura del tutto lecita di siffatte clausole e la loro riconducibilità ad un “fenomeno mol- to meno singolare di quanto potrebbe ritenersi” e “per niente affatto sconcertante, paradossale o iniquo”, con ampia carrellata sul “grande rilievo che nello svolgimento del rapporto contrattuale assumono, in ge- nere, i numerosi <<diritti potestativi>> (Gestaltungsrechte) che alle parti possono essere attribuiti dal re- golamento contrattuale” e dallo stesso legislatore, SCHLESINGER, Poteri unilaterali di modificazione (<<ius variandi>>) del rapporto contrattuale, in Giur. comm., 1992, I, 18 ss. Né pare rilevante, in con- trario, il richiamo all’art. 1349 c.c. ed alla ritenuta nullità (per indeterminatezza) di accordi che attribui- scano ad una delle parti il potere di determinare il contenuto del contratto, considerato che lo jus variandi opera su un piano diverso (esso si innesta su di un rapporto già validamente concluso ed integralmente delineato nel suo oggetto, e serve solo ad ‘accorciare’ la via per arrivare al risultato che analogamente si conseguirebbe ove si pattuisse un diritto convenzionale di recesso, accompagnato da una proposta di nuo- vo contratto che, se accettata, fa venir meno retroattivamente il recesso stesso).

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somministrazione a termine e perciò senza possibilità di recesso neppure per il sommi- nistrato (art. 1569 c.c.)? E che cosa sono, nella sostanza economica se non nella disci- plina positiva per loro dettata altrove (ad esempio negli artt. 1815 ss. c.c.), i contratti di credito se non somministrazioni continuative di uso del denaro (art. 1677 c.c.)?

Ed altra inequivoca conferma della piena legittimità di un’autonomia negoziale che, nei rapporti di durata, si estrinsechi fino a prevedere il diritto potestativo di una delle parti di introdurre in via unilaterale modifiche del contenuto negoziale originario, salvo re- cesso per l’altra parte, si trae a contrariis dall’esaminata disciplina, di origine comunita- ria, in materia di contratti conclusi tra professionista e consumatore, ove solo si conside- ri che l’art. 33, comma 2 cod. cons. fulmina come vessatorio (fino a prova contraria) lo ius variandi solo nei contratti con i consumatori e solo allorquando la sua previsione a favore del professionista non sia controbilanciata dal diritto di recesso del consumatore e/o dalla sussistenza di un giustificato motivo (secondo le varie articolazioni in relazio- ne all’oggetto della modifica unilaterale ovvero del contratto di che trattasi: art. 33, comma 2, lett. “m” e “o”, nonché comma 3, lett. “b”, e comma 4, cod. cons.).

Concludendo: nella parte in cui consente alla banca di pattuire con il cliente che le mo- difiche contrattuali proposte dalla prima si considereranno accettate dal secondo ove questi non receda entro un certo termine, l’art. 118 TUB non rappresenta la manifesta- zione di un favor legislatoris riservato in via eccezionale al mondo dell’imprenditoria bancaria, ma una esplicitazione di quanto non potrebbe essere messo in dubbio neppure in sua assenza; mentre è la parte in cui esso art. 118 subordina la validità di detta clauso- la alla previsione che le modifiche potranno essere proposte solo “qualora sussista un giustificato motivo” a rappresentare una compressione della sfera di autonomia dell’imprenditore bancario e dunque a concretare una disparità di trattamento in suo danno rispetto a tutti gli altri “professionisti”, quanto meno nei rapporti tra “professioni- sti”.

2.2 Tiriamo ora le conseguenze di quanto appena esposto, cominciando con l’estensione delle modifiche contrattuali introducibili ex art. 118.

La maggior parte dei commentatori e la “giurisprudenza” dell’Arbitro Bancario Finan- ziario vogliono non consentita l’introduzione di clausole nuove, ma solo la modifica di clausole preesistenti21.

Tale opinione trova riscontro nella relazione sullo schema di decreto legislativo n.

141/2010 (che ha portato all’odierna formulazione del comma 1 dell’art. 118 TUB, se- condo cui la facoltà di modifica concerne le condizioni “previste” dal contratto), nella quale si legge che “l’espressione ‘condizioni previste dal contratto’ intende precisare meglio, in linea con i chiarimenti forniti dal Ministero dello Sviluppo Economico con nota del 21 febbraio 2007…, che le modifiche unilaterali ai sensi dell’art. 118 non pos- sono comportare l’introduzione di clausole ex novo, ma soltanto la variazione di condi- zioni già contemplate nel contratto”.

21 Cfr.DOLMETTA, Jus variandi bancario. Tra passaggi legislativi e giurisprudenza dell’ABF le linee evolutive dell’istituto, in Ilcaso.it, II, 260/2011, 9 ss. e, da ultimo, ABF Roma 14/10/2011, n. 2165, in ar- bitrobancariofinanziario.it.

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Non credo, tuttavia, che il dato in oggetto sia risolutivo perché anzitutto, nell’interpretazione di un testo di legge, i lavori preparatori hanno, per la giurispruden- za, valore meramente sussidiario22 e, pro veritate, nullo23. Poi il governo non aveva de- lega, con gli artt. 2 e 33 della legge comunitaria 2008, n. 88/2009, a modificare l’art.

118. Ed ancora, com’è stato esattamente rilevato, “i detti passaggi di formula normativa non [vanno] sopravvalutati”, specie considerando “che l’art. 33, comma 3, c. consumo resta attestato sulla formula «modificare… le condizioni del contratto», mentre per i servizi di pagamento il comma 2 dell’art. 126-sexies usa quella di «modifica delle con- dizioni contrattuali»”24 o meglio, addirittura, quella di “modifica del contratto… o delle condizioni” (comma 1 dell’art. 126-sexies).

Si tratta allora piuttosto di una questione di sistema: non basta dire che non si possono

“modificare” condizioni che nel contratto non c’erano perché, residuando la possibilità di eliminare una “condizione” prevista (in ipotesi, una convenzione di assegno accesso- ria ad un conto corrente) per il solo fatto, appunto, di essere “prevista”, si determinereb- bero risultati asimmetrici. Ed infatti, ad esempio, l’art. 1231 c.c. definisce modificazio- ne accessoria non comportante novazione sia “l’apposizione” che “l’eliminazione” di un termine; l’art. 1660 c.c. disciplina le “variazioni [modifiche] necessarie” del progetto di appalto senza distinguere tra aggiunte ed eliminazioni; e così via.

Bisogna dunque applicare piuttosto la regola generale secondo cui si ha (mera) modifi- cazione ogni volta che i mutamenti (comprese le aggiunte ed eliminazioni) delle “condi- zioni” del contratto non raggiungano il livello della novazione (arg. ex art. 1976 c.c.)25, che è certamente parametro idoneo a distinguere la (mera) modificazione del contratto da una (non prevista) sua trasformazione, scartando – per le ragioni esposte sub 2.1 – ogni tentazione di interpretazione restrittiva già perché la disposizione in questione non è affatto eccezionale26.

2.3 In ordine ai contenuti del “giustificato motivo”, è abituale riferirsi alla sopravve- nienza di eventi specifici, che un paralegislatore come la Direzione generale del Mini- stero dello Sviluppo Economico “per l’armonizzazione del mercato” ha richiesto essere

“di comprovabile effetto sul rapporto bancario. Tali eventi possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità del-

22 Cass. civ., Sez. I, 17 gennaio 2003, n. 654; Cass. civ., Sez. I, 11 aprile 2001, n. 5375; Cass. civ., Sez. II, 12 luglio 2000, n. 9236; Cass. civ., Sez. I, 27 febbraio 1995, n. 2230, in Giur. It., 1996, I, 1, 532.

23 Perché nulla attribuisce valore normativo all’intenzione soggettiva del proponente che non emerga poi dal testo approvato dall’organo competente (come accade invece per i “considerando” degli atti normati- vi, per le rubriche delle relative partizioni, per la collocazione di queste ecc.).

24 DOLMETTA, op. cit., 10 s.

25 Per i relativi presupposti cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, 26 febbraio 2009, n. 4670; Cass. civ., Sez. III, 19 febbraio 2009, n. 4040; Cass. civ., Sez. III, 21 maggio 2007, n. 11672; ecc. Secondo IORIo, op. cit., 20 ss., la pattuizione di una “novabilità” unilaterale sarebbe immeritevole di tutela ex art. 1322 c.c.

26 Ammesso e non concesso che l’eccezionalità di una disposizione sia sufficiente ad imporne un’interpretazione restrittiva.

E lo stesso dicasi dell’assoggettamento della clausola in questione ad approvazione specifica, che neppur esso ne impone interpretazione restrittiva, come dimostra per la clausola compromissoria l’art. 808quater c.p.c.

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lo stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condi- zioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di interesse, inflazione ecc.)”27.

Ma, con tutto il rispetto dovuto ad un siffatto Licurgo, non si vede la ragione per cui una variazione contrattuale non possa essere “giustificata” anziché da un evento specifico, da un mutamento di strategia aziendale che, per esempio, miri a recuperare margini, consentiti dal contesto concorrenziale, oltre che sui nuovi contratti anche su quelli in corso28; anziché da “variazioni di condizioni economiche generali”, da variazioni del costo di fattori specifici della produzione (costo del lavoro del settore, costo dei servizi informatici, ecc.); anziché da eventi incidenti sui “costi operativi” bancari, da fattori in- cidenti sulle rettifiche di valore dei crediti (come ad esempio la prossima entrata in vi- gore dell’art. 33, comma 1 d.l. n. 83/2012, che prolunga sensibilmente i tempi di realiz- zo dei crediti stessi nei confronti sia di imprenditori che di privati, senza neppure il sol- lievo della detrazione fiscale), piuttosto che sui ricavi (come il già citato revirement del- la Cassazione sull’anatocismo bancario); e così via.

Nulla sorregge la ricorrente affermazione secondo cui il giustificato motivo non può es- sere “soggettivo” ossia “connesso a scelte gestionali della banca”29. Anzi, orientano in senso opposto le soluzioni ampiamente recepite, in dottrina e giurisprudenza, a fronte di identica (“giustificato motivo”) o addirittura più forte espressione (“gravi motivi”) che, ad esempio e rispettivamente, limita il potere di recesso del datore di lavoro (art. 3 leg- ge n. 604/1966 che si riferisce a “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”) e il diritto all’esecuzione del contratto del locatore di immobile ad uso diverso da abitazione (art.

27, comma 8, legge n. 392/1978)30: fattispecie nelle quali pure viene ritenuta insindaca- bile “la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost.”31 e, rispettivamente, rilevante “un andamento del- la congiuntura economica (sia favorevole che sfavorevole all’attività dell’impresa), so- pravvenuto ed oggettivamente imprevedibile, che, imponendo l’ampliamento o la ridu- zione della struttura aziendale, sia tale da rendere particolarmente gravosa la persisten- za del rapporto locativo”32.

Né convince l’obiezione secondo cui si tratta di soluzioni inapplicabili “soprattutto per le distanti specificità delle rispettive materie”, ma anche perché l’“elaborazione laburi-

27 Circolare 21/02/2007.

28 “Il prezzo abitualmente praticato” dal somministrante.

29 Così ad esempio MORERA, in Testo Unico bancario - Commentario a cura di Porzio ed altri, Giuffrè 2010, 990; per ulteriori citazioni pro e contro cfr. DOLMETTA, op. cit., 33, cui adde OLIVIERI, Usi e abu- si, cit.,165.

30 Il parallelo con il giustificato motivo oggettivo di licenziamento è stato suggerito da BUSSOLETTI, La disciplina del jus variandi nei contratti finanziari secondo la novella codicistica delle clausole vessatorie, in Dir. banca, 2005, I, 21.

31 Cass. civ., Sez. lavoro, 8 febbraio 2011, n. 3040.

32 Cass. civ., Sez. III, 21 aprile 2010, n. 9443.

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stica si focalizza sulla fattispecie di licenziamento”33 e, rispettivamente, di cessazione del rapporto. La diversità di materia e delle vicende disciplinate non toglie che in tutti questi casi si tratti di limiti esterni all’autonomia privata in attività economica: e ciò ba- sta a rendere comparabili le relative discipline ed a dedurne che, in tutti i casi, le scelte gestionali sono insindacabili e sufficienti a giustificare coerenti conseguenze in tema sia di cessazione del rapporto che di modifica dei contenuti contrattuali, restando oggetto di verifica solo detta coerenza.

D’altra parte, anche chi ha criticato il parallelo di cui si è detto, ha però riconosciuto che pure le scelte gestionali della banca possono costituire giustificato motivo ex art. 118 TUB, “specie con riferimento alle clausole regolamentari, laddove di queste si ammetta la possibilità di una loro modifica... La clausola di «giustificato motivo» va circondata di grande attenzione, ma non mortificata. Per fare un esempio, si può pensare a un cam- biamento del gruppo societario di appartenenza dell’intermediario e alla (connessa) mo- difica della clausola di foro territoriale; oppure all’adeguamento di vecchi contratti a po- litiche regolamentari diverse, come ormai da tempo applicate dalla banca con riferimen- to agli altri (e più recenti) contratti in essere (quando risulti concreto fattore di raziona- lizzazione, senza tradursi in una vicenda di approfittamento contraria alla buona fe- de)”34.

E non basta ad espellere da queste scelte gestionali quella di “aggiustare i contratti in corso per fare «quadrare i conti»” la considerazione che “una simile modifica non viene a perseguire, nella sua dinamica concreta, interessi meritevoli di tutela”35. A prescindere invero dal fatto che la “meritevolezza” degli interessi perseguiti è richiesta dal codice civile solo per i contratti atipici (comma 2 dell’art. 1322) e non invece per

33 DOLMETTA, op. cit., 31; ma già SIRENA, op. cit., 276 s., ripreso da OLIVIERI, Usi e abusi, cit., 157 nota 2.

34 DOLMETTA, op. cit., 34. Anche ABF Napoli, 03/03/2010, n. 84 ha ritenuto costituisse “giustificato mo- tivo” di rifiuto di rinnovo di una carta di credito, come da relativa previsione contrattuale, il fatto che la banca che aveva incorporato l’emittente la carta aderisse ad un diverso circuito di pagamento, a valere per la generalità dei rapporti, rilevando che “la rinnovazione è poi mancata del tutto in ragione di motivi sog- gettivi dell’intermediario che il Collegio ritiene giustificati poiché attengono alla complessiva gestione dei rapporti inquadrati in un determinato circuito di pagamento, venuto a mutare nell’avvicendamento tra il soggetto incorporato e l’incorporante, e dunque in assenza di odiose e peculiari determinazioni relative alla persona del ricorrente”; e che “l’adozione di scelte di macro-organizzazione nell’ambito di una plura- lità indeterminata di relazioni con la clientela bancaria possono sostanziare l’ipotesi di giustificato motivo per l’omessa rinnovazione di un rapporto di durata poliennale non più replicabile secondo lo standard or- ganizzativo imposto dalla sopravvenuta opzione aziendale”.

Si tratta di considerazioni che, pur attenendo all’interpretazione di una previsione contrattuale di “giusti- ficato motivo”, ben possono estendersi all’identica previsione legale ex art. 118 TUB, attribuendo a detta formula un significato comprensivo di “motivi soggettivi” e “scelte di macro-organizzazione” della banca (incluse, ma non solo, quelle di aggregazione con altre imprese bancarie).

35 DOLMETTA, op. loc. ultt. citt. Perché poi dovrebbe essere meritevole di tutela, quale giustificato motivo di licenziamento, anche una “generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile” (Cass.

civ., Sez. lavoro, 28 marzo 2011, n. 7046), ossia il perseguimento di una politica di compressione dei co- sti, e non dovrebbe esserlo invece il “far quadrare i conti” (se del caso anche attraverso un adeguamento dei ricavi) quale giustificato motivo di modifica (attraverso il meccanismo dell’art. 118 TUB) delle con- dizioni contrattuali bancarie?

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l’articolazione del contenuto di quelli tipici (comma 1), non si può oggi obliterare la li- bertà dell’iniziativa economica privata (art. 41, comma 1 cost.). Questa e la più specifi- ca libertà d’impresa, garantita sul piano del diritto dell’Unione dall’art. 16 della Carta fondamentale, sono al più limitabili solo dal “contrasto” con i valori elencati nel comma 2 dell’art. 4136 e da eventuali “programmi” ex comma 3; e dunque non abbisognano di ulteriori presupposti (la “meritevolezza”) per esplicarsi pienamente37.

2.4 Ovviamente, anche nuove disposizioni di legge possono rappresentare, a seconda del loro contenuto, eventi idonei ad incidere su tutte le variabili passate in rassegna sub 2.3. Vale quindi la pena di parlarne soltanto perché negli ultimi tempi il legislatore, nei suoi (insensati) interventi di riscrittura delle remunerazioni bancarie, si è messo ad usare formule impositive dell’adeguamento dei contratti in corso alle nuove disposizioni ed al contempo quanto meno “permissive” di tale adeguamento con lo strumento dell’art. 118 TUB.

Ad esempio l’art. 2bis, comma 3, d.l. n. 185/2008, prevedeva che “i contratti in corso…

sono adeguati… entro centocinquanta giorni... Tale obbligo di adeguamento costituisce giustificato motivo agli effetti dell'articolo 118, comma 1…”; e l’art. 27, comma 2, del d.l. n. 1/2012, dispone che “i contratti… in corso sono adeguati entro tre mesi… ai sensi dell'articolo 118…”.

Il valore normativo di questi richiami all’art. 118 non può rinvenirsi in un differimento della sanzione di nullità sopravvenuta delle clausole in contrasto con le nuove disposi- zioni, perché questo differimento è già insito nella previsione di un termine per l’adeguamento (che, entro quel termine, ben potrebbe avvenire in via bilaterale); ma non può nemmeno individuarsi in una limitazione dell’impiego dello ius variandi all’adeguamento alle nuove disposizioni, perché diverrebbero allora espressive di una limitazione aggiuntiva dell’autonomia privata che – in quanto soggetta a gravi dubbi di legittimità comunitaria e costituzionale (supra, 1.3, 2.1 e 2.3) – esigerebbe ben altro fondamento positivo. Salva ogni diversa invenzione consentita da un linguaggio legisla- tivo che non ha mai sott’occhio l’intero quadro che sta imbrattando38, non resta quindi

36 SIRENA, op. cit., 278, afferma come ragione ostativa di un esercizio dello ius variandi finalizzato alla conservazione di un margine di profitto i “principi inderogabili in materia di concorrenza che rilevano come ‘utilità sociale’ ai sensi dell’art. 41 Cost.”; ma gli sfugge evidentemente che concorrenza significa libertà di fissazione di tutte le condizioni dell’offerta.

37 Anche nei confini suoi propri, con la caduta del regime corporativo il requisito della meritevolezza (ri- pescato di recente nel limitato ambito di applicazione degli atipici vincoli di destinazione ex art. 2645ter c.c.) è stato praticamente eliminato ossia ridotto alla non contrarietà a norme imperative ed all’illiceità della causa: cfr. ad esempio Cass. civ., sez. III, 6 febbraio 2004, n. 2288, secondo la quale “possono dirsi diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, ex articolo 1322, comma 2, del codice civile, tutti i contratti atipici non contrari alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume”.

38 A leggere che “i contratti… in corso sono adeguati entro tre mesi… ai sensi dell'articolo 118…”, si po- trebbe ad esempio affermare che si possa procedere in tal modo anche qualora la clausola di variazione non sia inserita o non risulti specificamente approvata nei contratti in corso. E così ha infatti ritenuto il Ministro-Presidente del CICR che, stante sei mesi di inattività di questo, ha firmato con la falsa data del 30.6.2012 il DM d’urgenza n. 644 (apparso il 5 luglio sul sito della Banca d’Italia in versione modificata rispetto a quella apparsa sullo stesso sito il 4 luglio), il cui art. 5, comma 4, ult. periodo, recita: “per i con-

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che assegnare ai richiami all’art. 118 un significato di mera conferma della rilevanza dell’intervento normativo e quindi della sua astratta idoneità a giustificare variazioni contrattuali, in eventuale concorso con altri concomitanti fattori; e magari anche un si- gnificato di limitazione temporale di detta rilevanza39.

2.5 I contenuti del “giustificato motivo” sono determinanti anche nell’individuazione della portata soggettiva ed oggettiva delle modificazioni appunto giustificabili.

Se lo ius variandi è strumento di autonomia negoziale ad impiego giustificabile con specifiche esigenze di gestione dell’impresa (supra, 2.3), per quanto concerne il profilo soggettivo il suo esercizio può investire tutti o solo parte dei rapporti e dei clienti a se- conda dell’esigenza da soddisfare che, per quanto originata da eventi concernenti maga- ri una sola categoria di clienti (o di operazioni), può esigere interventi (anche o solo) su altra categoria40.

Per quanto concerne poi il profilo oggettivo nel senso dell’obiettivo economico (anche nel significato di “organizzativo”) perseguito, questo per essere giustificato deve risulta- re coerente anche da un punto di vista quantitativo con la situazione che ne giustifica il perseguimento.

Ad esempio, se si persegue un recupero di margini di ricavi, è ben possibile che il con- testo concorrenziale lo consenta nell’ambito di certe categorie di rapporti e non di certi altri, sicché il dichiarato “giustificato motivo” dovrà esplicitare finalità e settorialità dell’intervento.

A seconda dei casi lo ius variandi può perciò determinare od accentuare differenziazioni di impatto economico sulle varie categorie di clienti; ma non esiste (ancora) alcuna norma che imponga parità di trattamento dei clienti in sede di instaurazione di nuovi rapporti41 e quindi neppure nella rinegoziazione di rapporti in corso che lo ius variandi surroga.

3.- Modalità di esercizio del diritto e recesso del cliente

3.1 Le modifiche devono essere comunicate al cliente con evidenziazione della formula

“proposta di modifica unilaterale del contratto”, con un preavviso minimo di due mesi,

tratti che non prevedono l'applicazione dell'articolo 118 del TUB, gli intermediari propongono al cliente l'adeguamento del contratto entro il 1° ottobre 2012".

39 Non nel senso che, scaduto il termine, non si possa più impedire l’operare della nullità sopravvenuta, perché questo è già implicito nel termine per l’adeguamento; bensì nel senso che viene elisa la rilevanza della modifica normativa quale fattore di “giustificato motivo”. Il che non sempre è censurabile, tenuto conto che il decorso del tempo può incidere anch’esso sulla giustificatezza del motivo: per un accenno in tal senso SIRENA, op. cit., 267.

40 Non si può condividere la segregazione per categorie di clienti operata da F. FERRO LUZZI, Il giusti- ficato motivo nello jus variandi: primi orientamenti dell’ABF, in Banca Borsa, 2011, I, 731 ss. pur in una prospettiva macro negoziale (ma erroneamente confinata al mantenimento di un equilibrio sinallagmati- co).

41 Un principio generale di parità di trattamento (sancito dal codice solo per il monopolista legale: art.

2597 c.c.) non sussiste neppure in materia di lavoro, ricordano Cass. civ., Sez. lavoro, 8 novembre 2007, n. 23273 e Cass. civ., Sez. lavoro, 23/03/2011, n. 6639.

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“in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cli- ente” (art. 118, comma 2 TUB).

Nonostante la riportata formula, non si tratta di mera proposta perché, ammesso che ne sussistano i presupposti, il cliente può solo recedere dal contratto entro la scadenza del preavviso, ma non ha l’ulteriore opzione di proseguire nel contratto non accettando la proposta di variazione.

La “forma scritta” della modifica non include la sottoscrizione, com’è reso palese dalla sua alternatività rispetto al “supporto durevole” prelevato dalle fonti comunitarie: a par- tire dalla direttiva 97/7/CE (13° considerando e artt. 4 e 5)42 e dalla direttiva 2002/65/CE che, all’art. 2, lett. f), lo definisce come “qualsiasi strumento che permetta al consumatore di memorizzare informazioni a lui personalmente dirette in modo che possano essere agevolmente recuperate durante un periodo di tempo adeguato ai fini cui sono destinate le informazioni stesse, e che consenta la riproduzione immutata delle in- formazioni memorizzate”, per finire con il 23° considerando della direttiva 2011/83/UE che vi include “documenti su carta, chiavi USB, CD-ROM, DVD, schede di memoria o dischi rigidi del computer nonché messaggi di posta elettronica”.

L’esplicitazione del giustificato motivo della modifica non è imposta dalla norma, ma viene ragionevolmente desunta, come ad esempio nel già citato caso di recesso del con- duttore “per gravi motivi”43, dalla necessità del cliente di valutarne il fondamento per le conseguenti sue decisioni.

Quanto alla comunicazione della modifica, non c’è dubbio che si tratti di atto recettizio che produce effetto solo quando pervenga a conoscenza del destinatario (art. 1334 c.c.) e che, salva l’ipotesi di posta elettronica quale “supporto durevole”, per avvalersi della presunzione di cui all’art. 1335 occorra, secondo la giurisprudenza, quanto meno l’invio di una raccomandata (pur senza avviso di ricevimento) che poi ne fa anche presumere l’arrivo44. Tuttavia sono idonee anche presunzioni (semplici) di conoscenza (perciò suf- ficienti agli effetti dell’art. 1334) diverse dall’arrivo della comunicazione all’indirizzo del destinatario45. Dunque, risulteranno idonei a dimostrare l’an ed il quando del perve- nire della comunicazione a conoscenza del cliente anche strumenti meno costosi della raccomandata che fossero individuati dalla banca, purché idonei – secondo le regole probatorie generali46 – a far ritenere l’evento più probabile che non, così come prove di- rette scaturenti da reclami, iniziative giudiziarie ecc.

3.2 In ordine ai costi della comunicazione, l’art. 127bis TUB, introdotto dall’art. 4, comma 2 d.lgs. n. 141/2010 (attuativo della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di

42 Cfr. CGUE, Sez. III, 05/07/2012, C-49/11, punti 40 e 44.

43 Cass. civ., Sez. III, 17/01/2012, n. 549.

44 Cass. civ., Sez. lavoro, 22/02/2006, n. 3873

45 Cass. civ., Sez. II, 12/07/2011, n. 15293, in Contratti, 2011, 10, 911: “il legislatore [ha] ‘dettato una norma (l'art. 1335 cod. civ.) che stabilisce una presunzione di conoscenza (con l'arrivo ... dell'accettazione all'indirizzo del destinatario, cioè al luogo più idoneo per la ... ricezione) che si aggiunge, ma non esclude altri modi di conoscenza’”.

46 Cass. civ., Sez. Unite, 11/01/2008, n. 584, in Giur. It., 2008, 1115; Cass. civ., Sez. III, 05/05/2009, n.

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credito ai consumatori), ne impone la gratuità “indipendentemente dagli strumenti di comunicazione impiegati” (comma 1, secondo periodo).

Si tratta certamente di previsione innovativa, sostanzialmente mutuata dagli artt. 32.1 e 44 della direttiva 2007/64/CE in tema di servizi di pagamento e dall’art. 126ter TUB che ne ha costituito attuazione.

Detta disposizione, tuttavia, applicandosi anche ai contratti di credito ai consumatori, pone anzitutto un problema di possibile contrasto con la direttiva 2008/48/CE la quale, pur prevedendo (tra le altre cose, come già accennato sopra sub § 1.5) anche uno ius va- riandi in relazione a spese ed interessi, non prevede affatto la gratuità delle relative co- municazioni a differenza di altri specifici incombenti ivi pure regolati (cfr. ad esempio art. 5 § 4, art. 10 § 1 lett. i, ecc.). Sicché si ripropone il dubbio già esaminato a proposito dello ius variandi e cioè se si tratti di completa armonizzazione, con conseguente divie- to di adozione di disposizioni nazionali diverse (art. 22 § 1).

Anche al di fuori dell’ambito dei contratti di credito ai consumatori vi è poi un eccesso di delega, dal momento che l’introduzione della disposizione in questione non poteva certo ricondursi alle esigenze di “coordinamento” che – in una con l’attuazione della di- rettiva 2008/48/CE – erano contemplate dalla legge di delega n. 88/2009 e che risulta- vano ivi da soddisfare ai soli fini di “evitare sovrapposizioni normative” tra “il titolo VI” del TUB e le “altre disposizioni legislative aventi a oggetto operazioni e servizi di- sciplinati dal medesimo titolo VI” contenute in altre leggi che qui non rilevano (art. 33, comma 1, lett. “c”), nonché di introdurre le “occorrenti modificazioni” alle “discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare” (art. 2, comma 1, lett.

b).

Oltretutto, anche al di fuori del campo di armonizzazione comunitaria, la previsione le- gale di gratuità di determinati incombenti posti obbligatoriamente a carico dell’impresa aggrava i problemi di compatibilità con la normativa dell’Unione e con la tutela costitu- zionale dell’iniziativa economica privata già sopra illustrati (supra, §§ 1.3, 2.1 e 2.3).

3.3 Il cliente ha diritto ex lege di recedere “senza spese” entro “la data prevista per la…

applicazione” delle modifiche e quindi fino alla scadenza del termine di preavviso (non inferiore a due mesi), prima della quale scadenza la banca non potrebbe applicare le modifiche stesse: altrimenti non sarebbe rispettato il preavviso.

La lettera della disposizione non vieta peraltro che la clausola di variazione possa pre- vedere un’applicazione differita al termine del preavviso, ma allora retroattiva. In tal ca- so il preavviso avrebbe la sola funzione di consentire il recesso del cliente; ma, visto che l’art. 33, comma 4, cod. cons. prevede un’ipotesi di modifica senza preavviso delle condizioni economiche di (altri) servizi finanziari con diritto di recesso del consumato- re, alla contestuale previsione di preavviso e recesso potrebbe anche connettersi valenza impeditiva di un’interpretazione del genere.

In entrambe le ipotesi, la precisazione che, a seguito del recesso, “in sede di liquidazio- ne del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate” rappresenta comunque un mero relitto della vecchia versione della norma, che avrebbe anche potuto essere omesso nella nuova versione. Infatti, pure nella seconda i-

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potesi, se l’applicazione non è ancora potuta avvenire e se il cliente recede, è ovvio che l’effetto retroattivo non possa prodursi per lui.

Le variazioni dei tassi d’interesse previste dalle clausole di cui al comma 2bis, quale che ne sia la portata (supra, § 1.6), invece, potrebbero sfuggire alle modalità di esercizio ed al potere di recesso fin qui descritti in ragione della collocazione di detto comma suc- cessiva ai primi due, che non vengono affatto richiamati (e quindi dette variazioni po- trebbero operare senza comunicazione, né preavviso, né possibilità di recesso)47.

A prescindere dal problema del comma 2bis, comunque, il recesso è diritto ex lege del cliente, ovviamente irrinunciabile in sede di stipulazione o di modifica del contratto, stante la portata imperativa della disposizione, ed altrettanto ovviamente rinunciabile in relazione a singoli atti di esercizio dello ius variandi (ma la vicenda, così confinata, si avvicina molto ad una modifica consensuale delle condizioni variate). In quanto atto u- nilaterale destinato alla banca, poi, varrà per il suo esercizio tutto quanto si è detto per la modifica unilaterale, fatta eccezione per la forma che è libera.

3.4 La sanzione di inefficacia delle variazioni contrattuali, sfavorevoli per il cliente,

“per le quali non siano state osservate le prescrizioni” dell’art. 118, comminata dal comma 4, presenta il suo aspetto più problematico nella sua interferenza con l’evoluzione del rapporto in corso.

Mancando ogni termine di decadenza a carico del cliente per far valere detta inefficacia, la conseguente incertezza del regolamento contrattuale si aggiunge a tutte le altre ben note ragioni di contenzioso innescate dall’infima qualità media della produzione legisla- tiva e giurisprudenziale, che privano di ogni certezza i conti del patrimonio delle banche italiane48.

A mitigare l’indicata conseguenza può certo valere il principio di conservazione del contratto e quindi anche dell’atto unilaterale a contenuto patrimoniale (art. 1324 c.c.), emergente dagli artt. 1367, 1419 e 1423 c.c. Sicché ad esempio, se la contestazione del cliente sopravvenga anche a distanza di molto tempo ed investa la mancata conoscenza della comunicazione di variazione, ciò non ne impedirà l’operare per il periodo succes- sivo alla contestazione; se investa l’insufficiente esplicitazione del giustificato motivo, non impedirà la reiterazione dell’esercizio dello ius variandi, naturalmente sempre con effetto ex nunc (od anche ex tunc, se si ritenga ammissibile una proposta di modifica ad effetto retroattivo: supra, § 3.3), ad instar di quanto si ritiene per la rinnovazione del li- cenziamento49; ecc.

E’ fisiologico, tuttavia, che il ripristino delle vecchie condizioni per i molti anni che fos- sero già trascorsi sconvolga il rapporto e quindi è imprescindibile cercare il fondamento

47 Contra MORERA-OLIVIERI, La variazione dei tassi nei contratti bancari a tempo determinato, in Giur. comm., 2012, I, 278 s.

48 Rinvio in argomento alle considerazioni svolte in Affidamenti e scoperti bancari: i più recenti interven- ti legislativi e giudiziari, in corso di pubblicazione in Obbl. e contr.

49 Cfr. ad esempio Cass. civ., 24/06/1983, Sez. lavoro, n. 4329, in Notiz. Giur. Lav., 1983, 381; Cass. civ., Sez. lavoro, 04/11/2000, n. 14426.

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di un onere di tempestiva contestazione da parte del cliente, una volta naturalmente che questi abbia acquisito conoscenza della variazione introdotta dalla banca.

Una soluzione è stata additata alcuni anni fa dalla Cassazione in un caso di mancata ri- chiesta di reintegra, protratta per quasi tre anni, da parte di alcuni lavoratori che ne ave- vano acquisito il diritto a seguito di una sentenza della Corte costituzionale. La Corte ritenne in quell’occasione che gli artt. 1175 e 1375 autorizzassero a valutare “il compor- tamento del contraente titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell’abbandono della relativa pretesa, come idoneo a determinare la perdita della stessa situazione soggettiva. La dottrina tedesca parla in questi casi di Verwirkung come di una sorta di decadenza derivante dal divieto, più familiare agli ordinamenti latini, di venire contra factum proprium. Si ha così la preclusione di un’azione, o eccezione, o più gene- ralmente di una situazione soggettiva di vantaggio, non per illiceità o comunque per ra- gioni di stretto diritto, ma a causa di un comportamento del titolare, prolungato, non conforme ad essa e perciò tale da portare a ritenere l’abbandono”50.

Allo stesso modo sarebbe perciò giustificato ritenere che, venuto a conoscenza della va- riazione introdotta dalla banca, il cliente, se ritiene di contestarne l’efficacia per viola- zione delle disposizioni dell’art. 118 TUB, abbia l’onere di farlo con la tempestività ne- cessaria ad evitare di ingenerare nella controparte l’affidamento nella prosecuzione del rapporto alle condizioni che il cliente ritiene invece inefficaci, sotto pena della perdita dei diritti conseguenti a detta inefficacia (od almeno del risarcimento del danno arrecato alla controparte dalla tardività della sua contestazione).

50 Cass. civ., Sez. lavoro, 28/04/2009, n. 9924, in Prat. Lavoro, 2009, 1370.

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