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IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SEZIONE MISURE DI PREVENZIONE

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Tribunale di Torino: sono vietate la stampa e la riproduzione dei documenti per fini commerciali

3/2011 R.G.M.P.

IL TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO SEZIONE MISURE DI PREVENZIONE Riunito in camera di consiglio in persona dei Magistrati

Dott. Pietro CAPELLO Presidente

Dott. Piergiorgio BALESTRETTI Giudice

Dott. Elena MASSUCCO Giudice

sulla richiesta di applicazione nei confronti di H. I., in atti generalizzato, della misura di prevenzione della Sorveglianza Speciale di Pubblica Sicurezza per anni 3 con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di abituale dimora, nonché sulla richiesta di confisca dei beni oggetto di sequestro anticipato, richieste presentate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino;

sentiti il pubblico ministero ed il difensore, che hanno concluso come da verbale, ha pronunciato il seguente

DECRETO

La pericolosità del proposto

Appare opportuno far precedere la trattazione delle questioni, che sono state proposte al Tribunale a seguito del deposito delle richieste indicate in epigrafe, da alcune brevi considerazioni sui principi generali posti a fondamento dell’applicazione delle misure di prevenzione, materia che negli ultimi anni è stata oggetto di una sempre maggiore attenzione sia da parte del legislatore attraverso importanti riforme, sia da parte dell’elaborazione giurisprudenziale. L’intento di questa sintetica introduzione è ovviamente solo quello di delimitare il tema della decisione in relazione ai peculiari caratteri della materia in esame.

In primo luogo, occorre precisare che, secondo l’orientamento ormai ampiamente consolidato della giurisprudenza di legittimità, il giudizio di prevenzione è autonomo rispetto a quello penale e che tale autonomia ha

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consentito di formulare taluni principi rilevanti ai fini della trattazione delle misure di prevenzione. In particolare, si è affermato che l’apprezzamento della pericolosità sociale del proposto non deve necessariamente essere formulata sulla base di fatti integranti estremi di reato, potendosi fondare su qualsiasi elemento di giudizio idoneo a giustificare il libero convincimento del giudice. A maggior ragione, ai fini dell’applicazione della misura di prevenzione è sufficiente la sussistenza di indizi, di gravità, precisione e concordanza anche meno consistenti rispetto a quelli posti a base della declaratoria di responsabilità penale, ma in ogni caso fondati su fatti certi. Se, pertanto, è possibile affermare che nel giudizio di prevenzione la prova indiretta o indiziaria non deve essere rigorosamente provvista dei caratteri fissati dall’art. 192 c.p.p., si deve, tuttavia, precisare, specie per quanto attiene all’appartenenza del proposto ad un’associazione per delinquere anche non di stampo mafioso, che la valutazione del giudice deve comunque poggiare su presupposti di fatto oggettivamente verificabili e non su meri sospetti o congetture (Cass. pen.

29.4.2011 n. 20160; 17.10.2008 n. 6613; 28.3.2002 n. 23041; CED).

Si deve, inoltre, rammentare che le recenti riforme in materia hanno notevolmente ampliato l’operatività concreta del giudizio di prevenzione, disponendo che “le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste ed applicate disgiuntamente e che, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione (art. 2-bis, comma 6-bis, legge 575 del 1965)”. Il che significa, in buona sostanza, che la pericolosità sociale del proposto non deve sussistere necessariamente al momento della richiesta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, anche se è utile precisare che una valutazione in tal senso è comunque necessaria.

Fatte queste brevi premesse di carattere generale, occorre osservare che il proposto ha recentemente riportato una condanna ad anni 10 e mesi 4 di reclusione per una serie di gravi imputazioni, tra cui spicca quella di associazione per delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, con sentenza in data 5.4.2011 del GUP presso il Tribunale di Milano. Il riferimento è rilevante, in quanto il difensore nel contesto delle memorie depositate nella presente procedura, aveva riferito come H. I. non fosse

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più imputato del predetto reato associativo, ma unicamente delle violazioni dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 di cui ai capi B) ed M) della rubrica, a seguito dell’ordinanza pronunciata in data 6.11.2009 dal Tribunale per il Riesame di Milano. In realtà, la lettura della predetta sentenza di condanna emessa all’esito del giudizio abbreviato (lettura resa possibile dalla produzione della pronuncia stessa da parte del pubblico ministero all’odierna udienza) fa ritenere con assoluta certezza che l’attuale proposto è stato condannato in primo grado anche per il delitto di cui all’art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e che sulla base del contenuto delle intercettazioni telefoniche ritualmente effettuate nel corso delle indagini preliminari emerge con certezza che non si è in presenza di un errore di persona, come erroneamente ritenuto dai giudici del Riesame. Tanto è vero che il difensore non ha insistito sull’argomentazione indicata in precedenza ed ha preferito arroccarsi sulla considerazione che la sentenza di condanna di cui trattasi non costituisce attualmente decisione irrevocabile.

Il Tribunale prende atto di tale ultima argomentazione, ma non può fare a meno di osservare che gli elementi probatori raccolti a carico dello H. I.

hanno superato ampiamente sia il vaglio previsto per l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, sia quello in sede di riesame (posto che, a parte l’erronea valutazione in ordine alla partecipazione dell’attuale proposto al sodalizio criminoso, il Tribunale ebbe a confermare il provvedimento applicativo della custodia in carcere), sia ancora quello necessario per giungere alla declaratoria di responsabilità in ordine ai reati ascritti, ivi compreso quello associativo. Né rileva la circostanza che H. I. non abbia precedenti condanne e non risulti coinvolto in altre vicende processuali, dal momento che l’estrema gravità dei fatti criminosi posti alla base della richiamata sentenza di primo grado sono sicuramente tali da individuare nel proposto una spiccata pericolosità anche in ragione del ruolo rivestito nel sodalizio criminoso. Sotto questo profilo si deve precisare che dalle risultanze processuali del giudizio penale emerge che l’attuale proposto non rivestì esclusivamente il ruolo di

“staffetta” nell’operazione di importazione di droga accertata dagli inquirenti nel luglio del 2008, ma si pose in seguito come finanziatore dell’acquisto dello stupefacente e tentò di rivestire anche il ruolo di importatore della droga dall’Olanda. Sappiamo, inoltre, che il 17 luglio del

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2009 l’autovettura BMW dello H. I. venne bloccata e perquisita in Torino con il conseguente ritrovamento dello stupefacente di cui al capo M) delle imputazioni contestate nel giudizio penale. Occorre aggiungere che tale stupefacente (si trattava di MDA e di KETAMINA, entrambe sostanze di tabella I) doveva verosimilmente rappresentare una sorta di campionario, che l’attuale proposto avrebbe utilizzato, per inserirsi in modo più consistente negli ambienti del traffico di droga a seguito dell’avvenuto arresto in Milano di altri appartenenti al sodalizio. In buona sostanza, come ampiamente indicato nella sentenza di primo grado (che viene richiamata integralmente), esiste la prova convincente della partecipazione di H. I. per almeno un anno, ossia dal luglio del 2008 al luglio del 2009, alla già richiamata associazione per delinquere operante tra Milano e Torino.

In definitiva, il quadro complessivo delle risultanze evidenziate in precedenza conduce ad individuare a carico di H. I. una palese e consistente pericolosità sociale, che appare, inoltre, caratterizzata da attualità in ragione della mancanza di elementi di valutazione certi che dimostrino il distacco del soggetto dall’ambiente criminoso di riferimento. A questo proposito, il difensore ha posto in discussione la sussistenza del requisito dell’attualità della pericolosità, osservando che fu la disgregazione stessa del sodalizio criminoso, avvenuta nel marzo del 2009 a seguito dell’arresto di buona parte degli associati, a creare tale distacco e a non consentire, pertanto, di ritenere attuale la pericolosità del proposto. L’argomentazione è suggestiva, ma non condivisibile, sia perché non risultano elementi di recesso dello H. I. sino al momento in cui il sodalizio venne sostanzialmente sgominato, sia perché, come abbiamo visto in precedenza, anche in epoca successiva al marzo 2009 l’attuale proposto continuò ad operare negli ambienti del traffico degli stupefacenti con l’evidente intenzione di sostituirsi, almeno in parte, ai precedenti sodali. Sussistono conseguentemente i presupposti di legge per l’accoglimento della richiesta di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. per la durata che, in considerazione dell’elevato grado di pericolosità sociale e della caratura criminosa del personaggio, pare adeguato al caso fissare in ANNI TRE con le prescrizioni previste dalla vigente normativa. Il notevole livello di

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pericolosità e la tendenza a realizzare le condotte criminose in un ampio raggio d’azione sotto il profilo territoriale impongono di applicare al proposto anche la misura dell’obbligo di soggiorno nel comune di attuale residenza.

Al proposto deve, infine, essere imposto il versamento di una cauzione, che, in relazione alle condizioni economiche ed ai provvedimenti adottati, viene fissata in euro 5.000,00.

La misura patrimoniale

Nell’ambito della procedura sono stati sottoposti a sequestro anticipato l’immobile di Torino via Cherubini 67, intestato al proposto e costituente la casa di abitazione del proprio nucleo familiare, un dossier titoli presso l’agenzia n. 3 di Torino del Monte dei Paschi intestato al proposto ed alla moglie del medesimo, nonché l’autovettura BMW 320 targata BB 493 MJ, di cui già abbiamo parlato in precedenza, delineando l’attività criminosa di H. I.. Occorre ricordare brevemente che la predetta autovettura è stata dissequestrata, in quanto priva di apprezzabile valore commerciale in relazione alla sua vetustà ed all’esistenza di un debito erariale di oltre 4.000,00 euro.

Stabilito che non esiste questione alcuna in ordine alla evidente attribuibilità al proposto della disponibilità dei predetti beni ancora sotto sequestro, devono essere riproposte, sia pure in modo sintetico, alcune considerazioni tratte dal decreto di sequestro anticipato (che in questa sede deve intendersi integralmente richiamato) e concernenti le vicende patrimoniali del nucleo familiare del proposto, quali sono state verificate dalla polizia tributaria, nonchè le conseguenti “incoerenze patrimoniali”

rilevate nel corso degli accertamenti in questione.

In primo luogo, in data 19.11.2003, H. I. acquistò l’appartamento sito in Torino, via Cherubini 67 per il prezzo dichiarato in atto di euro 65.000,00.

Per l’acquisto di tale immobile fu richiesto un mutuo di euro 98.000,00 concesso dalla UNICREDIT BANCA con costituzione di ipoteca per euro 196.000,00. Le rate del predetto mutuo risultano essere state sinora regolarmente pagate, utilizzando un conto corrente del suddetto istituto.

Occorre precisare che in prossimità delle date di scadenza delle rate del mutuo ipotecario – e di quelle di altro prestito personale elargito dalla

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medesima banca nel corso del 2005 per euro 32.772,00 – risultano operazioni di versamento di denaro contante. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale è stato possibile accertare che l’effettivo prezzo d’acquisto del predetto immobile fu di 95.000,00 euro.

Successivamente – più precisamente in data 4.11.2005 – H. A., coniuge convivente del proposto, rilevò dalla CA.PI DI PIACIBELLO & C. s.a.s.

un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, esercitata nel Corso Giulio Cesare di Torino, per l’importo complessivo di euro 250.000,00.

Venne pattuito che il pagamento avvenisse tramite l’emissione di 59 cambiali da euro 4.160,00 ciascuna e di una cambiale da euro 4.560,00 con decorrenza febbraio 2006 e termine finale nel febbraio 2011. Tali titoli cambiari risultano essere stati regolarmente onorati nel tempo. In data 25.6.2009, l’azienda predetta, esercitata sino a quel momento sotto forma della ditta individuale IL R. di H.A., venne acquistata dalla s.a.s. IL R. di H.C:, società costituita il 15.6.2009 con capitale sociale di euro 1.000,00, di cui euro 100,00 in capo all’accomandante H. I. ed euro 900,00 in capo all’accomandatario H.C., nipote convivente del predetto proposto. Il prezzo della compravendita venne pattuito in euro 150.000,00 e non risulta che per tale transazione siano stati stipulati finanziamenti di sorta.

Le incoerenze patrimoniali riscontrate dalla Guardia di Finanza derivano dal raffronto tra i valori espressi dalle consistenti transazioni appena citate – tutte regolarmente andate a buon fine sotto il profilo dei pagamenti, avvenuti con denaro contante – e le risultanze delle dichiarazioni dei redditi dei protagonisti della presente vicenda, che manifestano una capacità reddituale piuttosto esigua, tanto da delineare una sproporzione evidente tra il complesso degli esborsi effettuati dal nucleo familiare del proposto per il pagamento dell’appartamento e dell’attività commerciale e le modestissime risultanze di quanto dichiarato all’Amministrazione finanziaria dello Stato. Si deve, infatti, precisare che in capo al proposto risultano unicamente redditi di lavoro dipendente molto contenuti, mentre il reddito lordo più elevato di H. A.per la gestione dell’attività di ristorazione fu realizzato nel 2006 per un ammontare di euro 10.360,00 (trattandosi di ditta individuale, vi è sovrapposizione tra il reddito della persona fisica titolare e quello dell’impresa gestita).

A fronte di tale emergenze dotate di una grande nitidezza probatoria, la

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difesa ha sviluppato una serie di argomentazioni, che possono essere sintetizzate nei seguenti termini. Gli accertamenti della polizia tributaria si riferiscono esclusivamente alla situazione finanziaria cristallizzata nelle dichiarazioni dei redditi e non tengono in alcun conto altre circostanze, che consentono di individuare in capo al proposto ed alla sua consorte H.

A.una capacità reddituale ben più consistente e in ogni caso tale da elidere la sproporzione, che ha giustificato il sequestro anticipato e che dovrebbe legittimare la confisca di prevenzione.

In primo luogo, devono essere valutati i redditi di lavoro dipendente conseguiti negli anni dai soggetti di cui ci stiamo occupando, ma non dichiarati al Fisco. In altri termini, secondo l’impostazione difensiva, l’attuale proposto e la moglie H. A. per alcuni anni (sostanzialmente nel periodo antecedente all’apertura del ristorante IL R., almeno per quanto concerne, in particolare, la donna) svolsero attività di lavoro dipendente nell’ambiente della ristorazione con contratti formalmente part-time o comunque tali da fare emergere redditi molto bassi a fronte di prestazioni assai più consistenti, che vennero retribuite in nero.

In secondo luogo, rileva la considerazione che la gestione dell’attività di ristorazione denominata IL R. fu caratterizzata da una massiccia evasione fiscale, determinata dalla costante dichiarazione di ricavi molto inferiori a quelli effettivi. In altri termini, il volume d’affari del predetto ristorante, caratterizzato da considerevoli dimensioni e da un numero di coperti variante da 130 a 180 a seconda delle stagioni, fu fortemente sottodimensionato e condusse alla dichiarazione di redditi irrisori e molto lontani dalla realtà. A sostegno di tale impostazione la difesa ha prodotto alcune risultanze contabili relative agli incassi giornalieri del ristorante, nonché un consistente numero di fatture concernenti gli acquisti di beni e merci asseritamente utilizzati nella gestione della predetta attività commerciale. La difesa ha, inoltre, ricordato che la Corte di Cassazione in una sentenza recente, ribaltando l’orientamento espresso in precedenza, ha affermato il principio, secondo cui <<… se il presupposto di operatività è la presunzione di illiceità delle risorse patrimoniali di un dato soggetto, appare evidente che ove le fonti di produzione del patrimonio siano identificabili, siano lecite, e ne giustifichino la titolarità in termini non sproporzionati ad esse, è irrilevante che tali fonti siano identificabili nei

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redditi dichiarati a fini fiscali piuttosto che nel valore delle attività economiche che tali entità patrimoniali producano, pur in assenza o incompletezza di una dichiarazione dei redditi. Diversamente si verrebbe a colpire il soggetto, espropriandosene il patrimonio non per una presunzione di illiceità, in tutto o in parte, della sua provenienza, ma per il solo fatto dell’evasione fiscale …(Cass. pen. N. 29926 del 31.5.2011)>>.

Le predette argomentazioni difensive, benché interessanti e suggestive, non possono essere condivise, se non in minima parte.

Quanto ai redditi di lavoro dipendente, occorre osservare che la difesa ha prodotto numerose buste paga dell’attuale proposto e della di lui moglie, attestanti il conseguimento di compensi effettivamente piuttosto esigui che, in ipotesi difensiva, dovrebbero individuare la parte emergente di entrate conseguite dai predetti in misura più consistente. Nel contempo il difensore ha depositato anche la documentazione relativa al mutuo acceso dal proposto per l’acquisto dell’alloggio di via Cherubini, documentazione che la banca aveva inspiegabilmente omesso di trasmettere all’amministratore giudiziario della procedura. Orbene, tra i documenti in questione figurano alcune buste paga degli interessati, che riportano compensi più consistenti di quelli documentati, per i medesimi periodi, nei cedolini richiamati in precedenza. In buona sostanza, relativamente allo stesso mese vi sono buste paga di diverso importo a seconda di quanto si intende provare, sicchè, indipendentemente dall’autore e dalle motivazioni di tale curiosa incongruenza, appare evidente che le argomentazioni difensive sui redditi di lavoro dipendente finiscono per cadere nel nulla. Manca, del resto, la prova che il proposto e la sua consorte lavorassero, almeno in parte, in nero.

Quanto all’evasione fiscale realizzata nella gestione del ristorante IL R., devono essere svolte le seguenti considerazioni. Innanzitutto, il Tribunale condivide l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, secondo cui anche le risorse finanziarie prodotte con l’evasione fiscale hanno una provenienza illecita e, pertanto, non possono costituire una valida giustificazione alla sproporzione tra il valore dei beni nella disponibilità del proposto e la capacità reddituale manifestata dal medesimo (Cass. pen. n. 36762 del 27.5.2003). Si deve anche aggiungere che la pronuncia della Corte di Cassazione richiamata dalla difesa non

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appare applicabile al caso di cui trattasi, posto che si riferisce ad una fattispecie, nella quale l’evasione fiscale era stata accertata in modo preciso sia in ordine alla sua sussistenza, sia per quanto attiene alla determinazione del reddito evaso. Nel nostro caso, invece, manca una verifica in tal senso e la documentazione prodotta in sede difensiva, per quanto cospicua, non risulta adeguata sotto il profilo probatorio. Le risultanze del registro dei corrispettivi (allegato n. 11 alla memoria del 23.9.2011) appaiono, infatti, prive di elementi di sicura riferibilità all’impresa in questione, mentre non vi è alcuna certezza che le fatture di acquisto (allegato n. 12 alla memoria del 23.9.2011) siano state utilizzate totalmente per l’esercizio della predetta attività di ristorazione.

In buona sostanza, se è possibile ipotizzare che la gestione del ristorante IL R.sia stata caratterizzata da fatti di evasione fiscale (peraltro, non infrequenti nel settore della somministrazione di alimenti), occorre, tuttavia, evidenziare, per un verso, che il proposto non è stato in grado di fornire un’adeguata prova in merito alla quantificazione del reddito sottratto al Fisco e, per altro verso, che la rilevantissima sproporzione tra gli esborsi effettuati ed i redditi dichiarati non può in ogni caso essere recuperata e giustificata unicamente con il richiamo all’evasione fiscale.

Senza contare, come già detto, che per il Tribunale anche i flussi finanziari derivanti dal contesto evasivo costituiscono risorse provenienti da illecito e conseguentemente non sono utilizzabili nel senso prospettato dalla difesa.

In definitiva, deve essere disposta anche la misura di prevenzione patrimoniale della confisca con riferimento ad entrambi i beni sottoposti a sequestro anticipato, ricorrendo le condizioni di legge.

P.Q.M.

Visti gli artt. 1 e ss. legge 1423/1956; 2 bis e ss. legge 575/1975;

applica a H. I. la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per ANNI TRE.

Impone al predetto destinatario della misura di prevenzione personale le seguenti prescrizioni:

1) darsi alla ricerca di un lavoro entro trenta giorni dalla comunicazione del presente decreto;

2) fissare la propria dimora, facendola conoscere entro il medesimo termine all’autorità di pubblica sicurezza;

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3) non allontanarsi da tale dimora senza preventivo avviso;

4) non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misura di prevenzione;

5) vivere onestamente e rispettare le leggi;

6) non rincasare la sera dopo le ore 21, e non uscire la mattina prima delle ore 7, salvo comprovata necessità, e comunque, senza averne data tempestiva notizia all’autorità di pubblica sicurezza;

7) non detenere e non portare armi, non partecipare a pubbliche riunioni.

Prescrive inoltre, a H. I. di versare (ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 bis legge 31 maggio 1965 n. 575, 19 legge 22 maggio 1975 n. 152) una cauzione di euro 5.000,00 – entro trenta giorni dall’avvenuta scarcerazione (con sanzione, in caso di inosservanza, ai sensi dell’art. 9 legge 27 dicembre 1956 n. 1423).

Ordina la confisca dei seguenti beni:

1) Immobile sito nel Comune di Torino, Via Cherubini 67 – piano 5°, censito al Catasto come segue: Foglio 40; Particella 641; Subalterno 12; Zona Censuaria 2; Categoria A/3; Classe 2; Consistenza 4,5 vani;

intestato a H. I. per la quota di 1/1;

2) Dossier titoli n. 6188 acceso in data 1.9.2006 presso Monte Dei Paschi di Siena – agenzia 3 Torino -, contestato a H. I. e a H. A. ed appoggiato sul conto corrente n. 6794 del predetto istituto bancario.

Incarica dell’esecuzione del presente decreto il Nucleo di Polizia Tributaria di Torino, con facoltà di sub-delega.

Ordina al Conservatore dei Registri Immobiliari competente di procedere alla trascrizione del presente decreto con ampio esonero di responsabilità..

Torino, 15.12.2011

Il Presidente estensore Dott. Pietro CAPELLO

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