Max Weber
La Borsa
Traduzione di Vito Punzi Nota di lettura di Franco Ferrarotti
Le brevi note contenute nel presente vo- lume1, cui seguirà un secondo quaderno che prenderà in esame le relazioni interne alla Borsa e le sue operazioni, intendono offri- re esclusivamente un primo orientamento a coloro che non hanno familiarità con l’argo- mento trattato; per questa ragione il presente scritto cerca il più possibile di non dare nul- la per scontato. La cosa davvero essenziale è se esso sia utile per gli scopi dichiarati. Ecco perché si astiene deliberatamente dal formu- lare giudizi. Poiché l’inefficacia pratica della critica che ampi settori della popolazione esprimono sulle condizioni di Borsa esistenti ha la sua ragione principale in un’illimitata superficialità, la quale cerca gli errori lì dove
1 Pubblicato per la prima volta nel 1894 nella collana Göttin- ger Arbeiter-Bibliothek curata da P. Naumann.
Finalità e organizzazione 1.
esterna delle Borse
solo la mancanza di comprensione o il con- flitto di interessi possono trovarli. La stessa superficialità, tuttavia, ha anche generato l’i- dea perfino pericolosa che un istituto come la Borsa, assolutamente indispensabile per qualsiasi organizzazione della società non strettamente socialista, debba per sua natura rappresentare una specie di club cospiratore che deve mentire e frodare a spese del popolo che lavora onestamente e per questo motivo sarebbe meglio se venisse in qualche modo soppresso e, soprattutto, se potesse davvero essere distrutto. Nulla, tuttavia, mette tanto in pericolo un movimento operaio, cui que- ste righe anzitutto si rivolgono, quanto gli obiettivi impraticabili che si celano nell’igno- ranza delle circostanze reali.
La Borsa è un’organizzazione del moderno traffico commerciale all’ingrosso. La sua indi- spensabilità per l’economia moderna si basa sullo stesso motivo che ha permesso alla mo- derna forma di commercio di crescere. Essa non è mai stata necessaria o anche solo pos- sibile, come lo era il commercio all’ingrosso moderno. Perché? Se ripercorriamo la storia dell’uomo dal punto di vista delle sue attività lavorative fin dal lontano passato, ci appare come primo e più naturale impulso a pro-
durre beni, quello di soddisfare le proprie necessità. Con le sue mani egli ha cercato di trarre profitto dall’opera della natura, di cui lui stesso aveva bisogno per procurarsi cibo e vestiario, per proteggersi dal gelo e dalle in- temperie. Ma l’individuo non è mai stato in grado di sfidare la natura da solo. Già solo per restare in vita egli è ed è stato sempre dipen- dente dalla convivenza con gli altri, come il bambino dal seno della madre. E la comunità di cui aveva bisogno l’ha scelta in base al pro- prio libero arbitrio altrettanto poco quanto il bambino sceglie sua madre. La comunità gli è stata data lungo il cammino della vita, egli è nato in questa comunità: nella solida unio- ne della sua famiglia, posta sotto il dominio senza restrizioni di un patriarca; una famiglia che, ovviamente, appariva diversa dalla no- stra di oggi, poiché il suo nucleo compren- deva fratelli, cugini, cognate fin nel grado più lontano e la servitù non libera; quelli che avevano subito le violenze della guerra o che erano stati privati delle loro proprietà dai ri- gori del clima e dalla morte del bestiame, se volevano vivere, secondo la massima giuridi- ca più antica della storia, dovevano diventa- re i servi del vincitore e proprietario. Questa famiglia è la più antica comunità economica.
Con il lavoro comune essa produceva i beni e se ne nutriva, e consumava solo ciò che pro- duceva – perché non aveva nient’altro da consumare ‒, producendo solo ciò che vo- leva consumare, perché non aveva modo di utilizzare ciò che era in eccesso.
Se confrontiamo questo modello con la forma dell’economia di oggi, l’immenso con- trasto viene presto alla luce. Vale la frase op- posta: il singolo non produce i beni che egli stesso vuole consumare, ma quelli del lavoro che possono essere utilizzati da altri, e ogni individuo non consuma i prodotti del proprio lavoro, ma quelli del lavoro degli altri. Inutile dire che ciò non si applica in generale: non si applica al colono della foresta primordiale e al contadino che vive nella profondità di regni incolti, e vale solo in misura limitata per i no- stri piccoli agricoltori, i quali vivono essi stessi principalmente del raccolto della loro terra e vendono solo il surplus. Ma è particolarmente vero per le aziende che hanno creato l’età mo- derna in contrasto con la più antica. Non se il singolo potrà aver bisogno dei beni, ma se quelli troveranno “acquirenti”, cioè se è pro- babile che altri ne abbiano bisogno: questo è il punto di vista a partire dal quale l’imprendi- tore moderno produce e deve produrre.
Tra queste aspre contraddizioni nel corso dei millenni si sono sviluppate le vicende sto- riche che hanno portato alla dissoluzione del- le vecchie comunità. Queste vicende hanno coinvolto la singola economia in una comu- nità di scambio all’interno di un sistema cir- colare con altre economie in costante espan- sione, un sistema che l’età moderna si sforza di espandere per includere tutte le popolazio- ni civili. Ed essa d’altra parte aumentava la quantità dei beni che l’economia produceva non per sé, ma per venderli ad altri. Ed è qui che entra in gioco il commercio.
Oltre alla mera produzione materiale di beni e al lavoro fisico richiesto per ottener- la, al fine di soddisfare la necessità che questi beni sono destinati ad appagare occorre un altro elemento: essi devono essere forniti alla persona che deve e vuole consumarli e nel momento in cui il caso si presenta. A tal fine, l’ordine sociale odierno ha i mezzi per scam- biare beni a propria disposizione e l’attività che media lo scambio di beni è il commercio.
La più antica comunità familiare patriarca- le non ne aveva bisogno, poiché sostanzial- mente consumava solo ciò che produceva e viceversa. Solo quando iniziò a presentarsi la necessità di oggetti di lusso prese avvio
1. Finalità e organizzazione
esterna delle Borse . . . pag. 5 2. Le negoziazioni di Borsa. . . » 71 Max Weber,
il Tonio Kröger della sociologia,
Franco Ferrarotti . . . » 137
Indice
i melograni
Giuseppe Pontiggia, Le parole necessarie Paolo Poli, Il teatro della leggerezza Alexandre Koyré, Miracoli e verifiche Carlo Altini, Le maschere del progresso
Francesco Gabrieli, Lineamenti della civiltà arabo-islamica Emmanuel Lévinas, Trascendenza e intelligibilità
Heinrich Heine, Il Rabbi di Bacherach Oreste Aime, I camaleonti
Paolo Benanti, Le macchine sapienti
Giambattista Basile, Pinto Smalto e altre fiabe dal Pentamerone Antonio Gramsci, Sherlock Holmes & Padre Brown Mori Ōgai, L’intendente Sanshō
al-Ḥallāj, Dīwān
Lorenzo Milani, Lettere alla madre Kahlil Gibran, Il profeta
Il ragazzo, la donna e il vecchio poeta, a cura di Aboubakr Chraïbi Franco Ferrarotti, L’uomo di carta
John Dos Passos, Iniziazione di un uomo Carola Barbero, Addio
Giorgio Pressburger, La legge degli spazi bianchi Berardino Palumbo, Piegare i santi
Max Weber, La Borsa