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Pesce bianco, pesce rosa. Cefalo e Fragolino

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Academic year: 2022

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O.P.PE.F.S. s.r.l.

Organizzazione Produttori Pesca di Fano, Marotta e Senigallia

Pesce bianco, pesce rosa. Cefalo e Fragolino Storia, produzione, tradizioni alimentari a cura di Maria Lucia De Nicolò

3. Triglia, Mullus surmuletus, Barbone, Mullus barbatus.

Produzione, mercato, tradizioni alimentari

Pesce bianco, pesce rosa. Cefalo e Fragolino Storia, produzione, tradizioni alimentari a cura di Maria Lucia De Nicolò

Collana editoriale “I pesci delle nostre flotte”

4.

Pesce bianco, pesce rosa.

Cefalo e Fragolino

Storia, produzione, tradizioni alimentari

Pagellus erythrinus

Mugil cephalus

(2)

Edito da

in collaborazione con

con il patrocinio di

O.P.PE.F.S. s.r.l.

Organizzazione Produttori Pesca di Fano, Marotta e Senigallia Società Consortile a.r.l.

Associazione Armatori Piccola Pesca società cooperativa a.r.l.

viale Cairoli,54 - Fano (PU)

Piano di produzione del O.P. 2019 a valere sul Fondo FEAMP 2014-2020

(3)

Pesce bianco, pesce rosa. Cefalo e Fragolino

Storia, produzione, tradizioni alimentari

a cura di Maria Lucia De Nicolò

O.P.PE.F.S. s.r.l.

Organizzazione Produttori Pesca di Fano, Marotta e Senigallia Società Consortile a.r.l.

Collana editoriale “I pesci delle nostre flotte”

Pesce bianco, pesce rosa. Cefalo e Fragolino Storia, produzione, tradizioni alimentari a cura di Maria Lucia De Nicolò Novembre 2019

Progetto grafico e impaginazione: Giuseppina Dolci Stampa: Grapho 5 - Fano (PU)

In copertina: J. Jonston, Historia Naturalis de Piscibus et de Cetis, Francoforte 1640.

Isbn: 978 88 95665 30 6

Associazione Armatori Piccola Pesca società cooperativa a.r.l.

viale Cairoli,54 - Fano (PU)

Pagellus erythrinus

Mugil cephalus

(4)

Indice

Le baldigare pescate alla liscia di Giancarlo “Carlino” Bertini

Il branzino povero e l’eleganza del rosa sui banchi del pescato di Tonino Giardini

Specie bersaglio della pesca costiera: Cefalo Specie bersaglio della pesca d’altura: Pagello rosa Mugilidi in un excursus storico-gastronomico di Maria Lucia De Nicolò

Le specie di Mugil della laguna veneta negli studi di Giandomenico Nardo, Alessandro ed Emilio Ninni Considerazioni sul genere Mugil di Emilio Ninni

Leggi annonarie e normative statutarie di Venezia e Chioggia, secc. XII-XIII

La pesca del cefalo a zàtera nella laguna veneta La pesca del cefalo con il saltarello

Pesca della mugella a Fano con il saltarello di Uberto Ferretti Cefali da bòn e da rìo budello nella letteratura d’età moderna e nella pubblicistica veneziana

Cefali di Comacchio di Giovan Francesco Bonaveri Il cefalame nelle pescherie di Marche e Romagna (secc. XV-XVIII)

Le varietà di cefalo ad Ancona di Luigi Paolucci Il quadro e la pesca della 'baldigara' di Giulio Grimaldi Un ittionimo del medio Adriatico: Baldigara

Il Cefalo nelle opere gastronomiche dal Rinascimento ad oggi Il Fragolino (Pagellus Erythrinus) tra scienza, storia, gastronomia di Maria Lucia De Nicolò

Del Fragolino di Paolo Giovio

Il Fragolino nei libri di cucina dal Rinascimento ad oggi Bibliografia

pag. 7

pag. 9 pag. 12 pag. 13 pag. 19 pag. 25 pag. 31 pag. 35 pag. 37 pag. 43 pag. 47 pag. 49 pag. 54 pag. 56 pag. 66 pag. 68 pag. 69 pag. 72 pag. 91

pag. 94 pag. 97 pag. 105 Cefali, fragolini, astice e polpo in una natura morta di Mauro David (1948-2006).

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OPPEFS

Le baldigare pescate alla liscia

di Giancarlo (“Carlino”) Bertini

E correva nel vento, aiutata dalla bora radente del Quarnaro, con le belle vele aranciate dove sono dipinti i segni araldici della casata perché si co- noscano da lontano, verso le isole della Schiavonia diretta a Pola, Zara o Fiume. Era la barca Nettuno in un giorno del 1894 a bordo sette cristiani, il cane e il murea. Il murea del Nettuno abitava là, nell’antico borgo dei portolotti, quello che iniziava da porta Giulia e finiva in riva all’Adriatico.

Borgo abitato da gente rude, di poche parole, vita generosa e umorale, altruista, tragica, ma non priva di speranza e di tanta, tanta miseria. Lungo il porto canale avevano costruito le loro misere abitazioni, un borgo a sè stante, chiuso, avulso dal contesto della città tanto è vero che i portolotti erano cristiani speciali, quelli de sot vent avevano il curato della par- rocchia di Rosciano e quelli de sora vent il pievano di Roncosambaccio, si proprio lui, quello della paletta. In una di queste case da bambola, assie- me alla mamma e altri fratelli, viveva il murea del Nettuno. Aveva finito l’asilo e già doveva pensare a sostenere la famiglia ed aiutare la mamma che si era adattata ai lavori più umili dopo la morte del marito battlant, avvenuta nel 1882. Era stata aiutata da quella antica Congregazione di Ca- rità che era il vicinato, fatta di compassione e di amore, che non faceva mai mancare un pezzo di lardo, un po’ di pane o una minestra. Anche lui era impegnato ad aiutare la famiglia, andava per marina a raccogliere i ciavarei, almeno fumo e calore riscaldavano i miseri ambienti; si faceva prestare una fiocina per andare alla liscia, vicino al lavatoio, a catturare qualche baldigara oppure costruiva qualche grapparella con un impasto di mollica e poco formaggio per attirare i cefali che, nelle acque calme della darsena, mangiano erba dai fondali. Aiutava la famiglia per quanto le sue piccole forze potevano, andava nei giorni di bonaccia a raccogliere purasse, canelli e calcinelli ed era grande pesca quando poteva raccogliere e portare a casa qualche seppia dulfineta. Attendeva con ansia un imbarco, chiaramente senza matricola, questo bimbo costretto a crescere troppo in fretta. Aveva 7/8 anni, ancora portava el sinallon, scalzo, nella stagione fredda aveva una maglia di lana di pecora tutta pezze e rattoppi, strani calzettoni di stoffa e lana con i piedi pieni di buganse infilati in zoccoli di legno con tomaia di cuoio, probabilmente acquistati da Gulin. Era ri- masto orfano troppo presto il nostro mozzo, per aver perduto il padre in mare quando era ancora piccolo. La madre con la nidiata di figli non faceva

G. Cacciapuoti, Natura morta con pesci.

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mancare l’amore in quella misera abitazione e cercava di mettere assieme il povero mangiare industriandosi nella cucina quando poteva cucinava le baldigare arrosto o al carpaccio (quella volta si diceva sul fugon), in brodetto o in guazzetto, oppure filetti di cefalo con aceto. Non lasciava perdere le abbondanti uova che si trovavano nelle baldigare più grosse, in modo particolare quelle con la bavigia d’oro. Quel murea del Nettuno non prenderà un soldo finché non sarà un vero mozzo, con la matricola del Compartimento di Rimini. Deve accontentarsi di imparare, farsi il mestiere e mangiare. Nella barca si mangia dove più, dove meno, sotto prova cuci- nando nel grande “focone” brodetto, cotto nell’unico caldaio di rame dove tutti attingevano la loro parte, oppure spiedini infilati nella cenere. A bordo si mangia due volte al giorno sempre pesce. Ancora è troppo piccolo il mu- rea del Nettuno per avere la quartarola, anche se deve fare i lavori di un grande e tutti i servizi di un ragazzo: custodire la barca nel porto, dormire e non dormire attento a tutto, spetta a lui portare quintali di acqua per bere, cucinare e tenere pulita la barca. E in quel giorno del 1894, quando aveva otto anni, la fame lo aveva spinto a rubare una mela al mercato di Fiume ed allora il capitano, a scopo correzionale, dopo averlo legato all’albero gli provocò delle lesioni alla schiena. Pensate … aveva una fame antica, aveva otto anni e forse sognava le baldigare che pescava alla liscia.

Il branzino povero e l’eleganza del rosa sui banchi del pescato Mugil cephalus (Baldigara) e Pagellus Erythrinus (Alburett)

di Tonino Giardini

Per il quarto anno l’O.P.P.EF.S. (Organizzazione Produttori Pesca di Fano, Marotta e Senigallia) pone attenzione su specie ittiche oggetto delle cat- ture della flotta locale, specie che sono sempre presenti sui banchi delle pescherie del nostro territorio e che arricchiscono, in particolare, la cultu- ra gastronomica dell’Adriatico. Con questa pubblicazione abbiamo posto l’attenzione su due specie il pagello rosa o fragolino, che localmente chia- miamo “Alburett”, ed il cefalo o muggine, che localmente viene chiamato

“Baldigara”. Questi pesci non sono solo risorse economiche integrative del reddito della pesca locale, ma sono anche specie identitarie della c.d. gran- de pesca d’altura, di fora via, il primo (pagello) e della c.d. piccola pesca costiera, di din bon, il secondo (cefalo). Il cefalo assieme ad altre specie, quali le canocchie (nocchi), le lumachine (bumbulin), i murici (sgaros), le seppie (sepi), i ghiozzi (guatti), sono tipici della pesca effettuata con at- trezzi, seppur diversi tra loro, che identificano la pesca costiera. La pesca della Baldigara vede l’uso di vari attrezzi, quali lo strascico demersale, la volante a circuzione pelagica oppure le reti da posta (tramagli); questi era- no i sistemi di pesca in mare con imbarcazioni. Una pesca redditizia viene fatta anche dalla spiaggia, oppure nelle foci dei fiumi o dalle scogliere e dai moli. È la pesca con l’ombrella detta anche rezzaglio. Tale pesca viene praticata con una rete da pesca circolare, è piombata sul fondo, si utilizza lanciandola per la cattura di pesci appena si avvicinano alla battigia, come cefali, aguglie o ancora le alicette e piccole sardine. La pesca con il rezza- glio o ombrella è una tecnica di pesca antica che ha bisogno di abilità per il lancio, ma il sistema più antico di pesca da terra è quello della fiocina con o senza la Baldigara viva all’amo. Fragolino (Alburett) per le basse e sabbiose spiagge dei nostri lidi significa pesca d’altura, che solo i pescherecci d’altu- ra o de foravia catturavano. Solitamente nelle zone di pesca dei c.d. “spor- chi”, localmente chiamate dei cass marin (a significare una forte presenza di oloturie), di pagelli rosa se ne pescavano di piccole e medie dimensio- ni. Solo quando una imbarcazione ne sbarcava di grossi, la voce al porto era quella che faceva nascere il sospetto che il comandante si fosse spinto

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OPPEFS OPPEFS

dentro le vietate, almeno per i pescherecci italiani, acque nazionali della Croazia, oggi, e della Jugoslavia, ieri; il concetto veniva così sintetizzato: “…

sarà? me sa che è git a ruba’ da Tito”. Era comune trovare esemplari adulti all’interno delle alte coste rocciose dell’Istria e della Dalmazia. É inutile dire che questi esemplari di grossa taglia spuntavano e spuntano sul mer- cato prezzi di particolare interesse; una pesca oggi non più attuata perché scoraggiata dalle elevate sanzioni e dai rischi di sequestro delle imbarca- zioni. Un grazie dei pescatori delle marinerie della nostra organizzazione produttori va rivolto alla prof.ssa Maria Lucia De Nicolò per la costante opera di ricerca di quello che è il patrimonio culturale delle marinerie del Centro Adriatico, a salvaguardia della identità marinara delle comunità di pescatori.Prosegue con soddisfazione, grazie alla pubblicazione del 2019, l’implementazione della collana edita dalla nostra Organizzazione Produt- tori con questo quarto volume.

Il motivo di una campagna promozionale di specie appartenenti alle fami- glie di mugilidi e sparidi è quello di fornire maggiori informazioni al con- sumatore relativamente all’acquisto di un genere ittico che, nelle catture a livello nazionale si colloca a buoni livelli. Le specie in oggetto, sottovalutate dal mercato in rapporto alla qualità delle loro carni, se ne fosse migliorata la resa economica, rappresenterebbero una risorsa strategica per la pe- sca italiana. Tali specie in passato e almeno fino agli anni ‘80 dello scorso secolo, erano comunemente consumate, ma con il prevalente consumo di prodotti ittici fuori dalle mura domestiche, è iniziato il loro declino, pre- diligendo gli chef, che fanno tendenza nei consumi, prodotti di più facile utilizzo. Questo ha portato ad una progressiva diminuzione degli acquisti di pesce del genere mugilidi e sparidi; di contro in presenza di una rilevante capacità di cattura della nostra flotta, tale declino ha determinato in tutti gli areali e per tutta la flotta nazionale una diminuzione delle entrate per le imprese di pesca, mettendo a rischio la sostenibilità economica delle nostre aziende. Riportare l’attenzione su questa specie significa restituire risorse al sistema produttivo nazionale e riportare in attivo le nostre im- prese di pesca. Questa azione unisce quindi la necessità di trasparenza e di conoscenza delle produzioni nazionali riportando l’attenzione su una spe- cie strategica, sottovalutata dal mercato e dalla ristorazione. Vorremmo far presente che la produzione nazionale non si basa su prodotti di nicchia come astici, aragoste, rane pescatrici, san pietro, scampi, che si pongono agli ultimi posti delle catture della flotta nazionale ed anche locale, pro- dotti che spesso troviamo abbondanti nei nostri mercati all’ingrosso, ma che in realtà sono più frutto di importazioni dai paesi extracomunitari. La sostenibilità economica delle nostre aziende, che è pregiudiziale alla so- stenibilità sociale ed ambientale, non può prescindere dalla valorizzazione

dei nostri prodotti, specialmente quelli di maggior cattura. Non faremmo un buon servizio al nostro sistema produttivo, commerciale, alla tenuta sociale del comparto pesca lungo gli 8.000 km di costa, oltreché all’am- biente e agli stock ittici, se non si andassero a valorizzare le produzioni maggiormente presenti nelle reti dei nostri pescatori. La sostenibilità eco- nomica (maggiori entrate, reddito di impresa, guadagni degli occupati) ha come conseguenza una minore presenza della flotta a mare e quindi minor sfruttamento delle risorse e dell’habitat marino. Tra le specie demersali del Centro Adriatico, mugilidi e sparidi, chiamati con vari nomignoli nei dialetti della costa dell’Italia centrale versante Adriatico, rappresentano da soli circa il 8% delle specie demersali catturate che sono 43 specie nel loro complesso. Mugil cephalus e Pagellus erythrinus, denominati Baldigara e Alburett dalla tradizione locale, sono pesci non facili da pescare, difficili da “curare” o pulire per la presenza copiosa di spine che ne abbassano il valore, ma assai gustosi da mangiare per le loro carni bianche, tenere e dolciastre. La gastronomia dei territori della costa italiana dell’Adriatico centrale è ricca di ricette per preparare tali varietà ittiche.

G. Cacciapuoti, Cefalo, triglia, fragolino e molluschi di mare bivalvi. Nelle nature morte dal- la romanità al medioevo e all’età moderna, mugilidi e sparidi erano presenti come specie consumate.

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Specie bersaglio della pesca costiera: Cefalo

I cefali appartengono alla famiglia Mugilidae. Questa grande famiglia com- prende ad oggi 75 specie diffuse in tutti i mari tropicali e temperati della terra. I cefali vivono in acque costiere spingendosi sino all’interno di lagune o foci dei fiumi. Tutte le specie di muggini sono molto simili tra loro. Pos- siedono un corpo allungato con pinne pettorali e dorsali ampie, una pinna caudale forcuta ed una bocca priva di denti che ne fa uno dei caratteri di- stintivi. Le specie di interesse economico in Italia sono cinque:

Cefalo comune, Muggine Mugil cephalus Cefalo dorato Liza aurata Cefalo calamita Liza ramada Cefalo verzelata Liza saliens Cefalo bosega Chelon labrosus

Oltre il 96% delle catture delle barche aderenti all’organizzazione produtto- ri della pesca O.P.PE.F.S. catturano il Cefalo Comune, Mugil cephalus, che, come s’è detto, nel territorio prende il nome dialettale di Baldigara. Il ce- falo comune conosciuto anche come muggine, vive, come in precedenza indicato, in tutte le acque temperate del pianeta. È una specie eurialina, in grado di sopportare ampie variazioni di salinità tanto che si ritrova rego- larmente sia in acque marine, che dolci, che salmastre. È in grado di vivere anche in ambienti degradati. Questa specie ittica, nonostante la bontà del- le sue carni, è poco valutata e spesso penalizzata dal fatto che la si trova

spesso nelle acque all’interno di porti e questo ha degradato il suo valore.

Il prezzo medio non supera nell’arco dell’anno un euro (€. 1,00) di media al chilo (kg.). Il prezzo medio di vendita dell’O.P.PE.F.S. nell’anno 2018 è stato di €./kg. 1,02, a dir poco ridicolo se rapportato alla qualità delle sue carni, che assomigliano molto a quelle del branzino/spigola, specie con la quale condivide gli habitat costieri. È un pesce, il cefalo, che può superare i 90 cm di lunghezza e pesare sino a 5 Kg. Il cefalo comune si nutre di invertebrati ma anche di vario materiale organico. Spesso questa specie viene pescata lungo le coste dell’Adriatico in quantità enormi (alcune tonnellate al gior- no) dalle volanti a coppia, e questo causa un ulteriore deprezzamento di valore della specie nel mercato, tanto da raggiungere prezzi che non supe- rano i cinquanta centesimi al chilo (€/kg. 0,50). Tale prodotto viene quasi sempre destinato al congelamento ed alla vendita come esca per le attività della pesca artigianale con nasse, trappole e palangari. In passato invece il cefalo ha rivestito grande importanza per l'economia delle marinerie del nostro territorio e per la nostra Organizzazione Produttori (fatto eccezione per l’anno 2018); negli anni questa produzione (documentabile dal 2003 al 2017 e poi al 2019) ha costituito una sorta di integrazione del reddito della piccola pesca artigianale presente tutto l’anno, con catture maggiori nel periodo autunno inverno e primavera (le catture nell’anno 2018 hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi due anni fino a due tonnellate). È prevedibile per l’anno 2019 un aumento delle catture, ma se non dovesse crescere il prezzo, questa specie sostenibile non sarà certamente oggetto di pesca mirata. La specie non ha problemi di MSY e potrebbe sostenere livelli di sfruttamento fino a 5 volte superiori all’attuale rimanendo in equilibrio.

Obiettivi. I bassi prezzi di vendita a cui ha assistito l’Organizzazione nel cor- so di settembre e ottobre 2015-2016-2017 per quelle che sono una delle principali specie di pregio catturate dalle nostre flotte ha spinto l’Organiz- zazione a effettuare questa campagna promozionale in quanto fortemente convinta del valore di questa specie ittica che merita un altro trattamento economico presso le aste dei mercati alla produzione.

Specie bersaglio della pesca d’altura: Pagello rosa

Spesso si fa confusione tra occhione e pagello fragolino. Se poi di mez- zo ci sta anche, il più comune, pagello bastardo, tutto diventa un po’ più complesso, anche se in Adriatico le catture del “fragolino” rappresentano

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OPPEFS OPPEFS

Pagello Fragolino

Il pagello fragolino (Pagellus erythrinus) vive in Mediterraneo, Mar Nero ed Oceano Atlantico. Pesce comunissimo tra le acque italiane vive solita- mente su fondi mobili (dai 10 ai 200 metri) spesso al limitare con le pra- terie di Posidonia. Specie che nel centro nord Adriatico può essere consi- derato oggetto di cattura delle flotte alturiere in quanto le profondità di tale bacino arrivano ad un massimo di 300 mt., ma nella stragrande mag- gioranza dei casi gli areali non superano i 200 mt. di profondità. La specie presenta un muso più a punta rispetto al pagello bastardo e all’occhione ed una linea della fronte piuttosto retta e senza curve. È la specie più dif- fusa e oggetto di maggiori catture tra i pagelli rosa. Il prezzo medio alla produzione in presenza mediamente di taglie piccole, nell’arco degli ultimi 5 anni, ha oscillato intorno a 3 euro al kg. Nome della tradizione: Albu- ret. Il carattere distintivo del pagello è Il colore “rosa”. Il pagello fragolino è l’unico delle tre specie a presentare questa forte tonalità lungo tutto il dorso ornato di tanti puntini azzurri visibili soprattutto se appena pesca- to. L’opercolo branchiale presenta una linea longitudinale di colore rosso.

Alimentazione riproduzione e pesca del pagello. Il pagello fragolino è solito cibarsi di invertebrati e piccoli pesciolini. É un pesce ermafrodita protero- gino (nasce femmina e poi diventa maschio) e si riproduce in primavera-e- oltre il 95% delle catture degli esemplari dei c.d. “pagelli rosa”. Le catture

di pagello rosa negli anni passati hanno oscillato tra le 4 e le 5 tonnellate annue, per l’anno 2019 sono previste, da parte delle barche di O.P.PEF.S., catture di “pagelli fragolini” per circa 6 tonnellate. Si tratta di una risorsa, il pagello, che se rivalutata, da un punto di vista economico, potrebbe for- nire un buona integrazione del reddito dei nostri pescatori, tanto da poter risparmiare ulteriori attività di cattura con un target mirato su altre specie più sensibili e che gli indicatori ambientali e biologici considerano a rischio.

I pagelli sono un genere di pesci appartenente alla famiglia degli sparidi (ad es. saraghi ed orate). Le specie riconosciute sono sei ma soltanto tre van- no considerate stanziali tra le acque italiane: il pagello fragolino, l’occhione ed il pagello bastardo. Due altre specie sono invece endemiche dell’oceano Indiano mentre il pagello Atlantico (Pagellus Bellottii) vive anche in Medi- terraneo davanti alle coste del Marocco e non è presente o scarsamente presente nelle acque del Sud Italia e risulta una vera rarità in altri mari.

CATTURE ANNO 2017 TUTTE LE SPECIE compreso anche il conchigliame

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state. Viene pescato con reti fisse, con le palamiti ed anche in Adriatico con i sistemi a traino dai pescatori professionali, invece la pesca al pagello a bolentino è una tecnica tipica della pesca sportiva.

Occhione

L’occhione (Pagellus bogaraveo) vive in Mediterraneo ed in Oceano Atlan- tico a profondità sino ai 900 metri. Prende il nome occhione per la grande dimensione dell’occhio. Da giovane è di colore argento e da adulto prende delle tonalità rosee. Può raggiungere i 2 Kg di peso e misurare sino a 70 cm. Per riconoscere l’occhione basta guardare la macchia nera circolare

dietro la testa. È l’unico pagello a presentare questa caratteristica che ne fa il suo carattere distintivo. Nome della tradizione: Occhialone. Ne esiste una sola specie molto apprezzata sul mercato. Specie conosciuta anche con altri nomi come Rovello, Mupa o Pezzogna si tratta sempre del Pagel- lus bogaraveo. Specie purtroppo rara nel centro e nord Adriatico, limitata ai pochi esemplari concentrati più che altro nelle coste croate. I giovani di occhione vivono la prima parte della loro crescita in acque relativamente basse, pascolando tra i branchi di pagelli fragolini e di pagelli bastardi. In- fatti la differenza morfologica, ma solo alla maturità sessuale, tra l’occhio- ne adulto e l’occhione giovane è vistosa, motivo per cui i due stadi erano in

passato indicati come due specie differenti. Soltanto una volta raggiunta la maturità gli occhioni si spostano alla ricerca di acque più profonde (sino ad 800/900 metri di profondità).

Alimentazione riproduzione e pesca dell’occhione. L’occhione si nutre di invertebrati che scova sui fondi mobili (sabbiosi o fangosi). Si riproduce in inverno. La maggior parte degli occhioni presentano un unico sesso an- che se alcuni esemplari possono essere ermafroditi. La pesca professionale all’occhione viene praticata con le reti da posta o con i palamiti. La pesca sportiva all’occhione invece viene praticata a bolentino profondo. Il prezzo medio in presenza mediamente di taglie piccole, alla produzione nell’ulti- mi 5 anni, ha oscillato intorno a 5 euro al kg.

Pagello bastardo

Il pagello bastardo (Pagellus acarne) vive in Mediterraneo, Oceano Atlan- tico e nelle acque territoriali del Senegal. Vive tra i 5 ed i 500 metri di pro- fondità, su fondi mobili, anche se i giovani sono soliti cercare il cibo tra gli scogli o le praterie di posidonia. Rispetto ai suoi due consimili presenta un corpo più allungato. Il carattere distintivo è il profilo della fronte e, diver- samente dagli altri due pagelli presenta “una gobba” davanti agli occhi. Il colore di questo pesce è variabile dall’argento al rosa. Una volta morto il

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OPPEFS

Mugilidi in un excursus storico gastronomico

di Maria Lucia De Nicolò

I muggini o cefali (Mugil) sono, tra i pesci marini e di acque interne salma- stre, fra i più comuni in molte località del litorale. Se ne distinguono varie specie: Mugil cephalus Cuv. (volpina), M. capito Cuv. (botoli), M. auratus Risso (lotregano), M. saliens Risso (verzelata), M. chelo Cuv. (bosega), che hanno una diversa resistenza alla salsedine. Per es. l’auratus vive in acque notevolmente salate, mentre il cephalus e il capito vivono anche in acque dolci (dove però non si riproducono).1

Parte con quest’elenco la trattazione riservata ai mugilidi da Gustavo Bru- nelli per la poderosa opera a sua cura sulla Pesca nei mari e nelle acque in- terne d’Italia, edita nel 1931 per commissione del Ministero di agricoltura e foreste. Brunelli rileva giustamente che non è facile distinguere le varie specie e poter valutare le varianti di gradimento e gusto di ognuna di esse

1 G. Brunelli, I pesci, i crostacei e i molluschi più importanti dei nostri mari in La pesca nei mari e nelle acque interne d’Italia, vol. II, Roma 1931, p. 27.

pesce perde le sfumature rosa e rimane color argento. Le dimensioni sono più piccole rispetto alle altre due specie di cui abbiamo parlato: non supera quasi mai i 30 cm di lunghezza.

Alimentazione riproduzione e pesca del pagello bastardo. Un pesce che si riproduce in estate ed autunno, ermafrodita proterandrico il pagello bastar- do è un pesce gregario. Viene pescato con lenze, palamiti e reti da posta.

Le differenze tra pagello fragolino, pagello bastardo ed occhione. Ricapi- tolando, il pagello bastardo presenta una gobba frontale proprio davanti agli occhi, l’occhione invece una macchia nera circolare dietro la testa in- confondibile, mentre il pagello fragolino è l’unico ad essere colorato inte- ramente di rosa con puntini azzurri lungo il corpo.

CATTURE ANNO 2017 SPECIE DEMERSALI senza conchigliame

Esempio pratico dei quantitativi di catture suddivise per specie da parte delle imbarcazioni a strascico dell’OPPEFS relative all’anno 2016

Si possono leggere i rapporti di catture tra specie bersaglio dove emerge preponderante le catture di “pagello fragolino”.

Qui e alle pp. 33, 48, 60, 104, Mauro David, Nature morte con pesci.

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da parte dell’uomo comune, perchè si ingenera una certa confusione sui caratteri fisici degli esemplari non facilmente percettibili dall’occhio ine- sperto del consumatore sui banchi di pescheria:

Le diverse specie di cefali menzionati - puntualizza Brunelli - hanno un di- verso valore commerciale. Così il cefalo vero e volpina (Mugil cephalus Cuv.) e le boseghe (Mugil chelo Cuv.) hanno un valore commerciale superiore a quello delle verzelate e dei lotregani. Le diverse specie dei muggini si con- fondono dai profani, ma sono invece scientificamente bene distinguibili per la forma del muso e i caratteri delle pinne. Il cephalus si distingue facilmen- te anche per una palpebra adiposa dell’occhio notevolmente sviluppata e l’auratus per una macchia gialla sull’opercolo. I giovani muggini (novellame) formano oggetto di un’importante industria nell’estuario veneto, essendo venduti come sementa per impesciare le valli2.

Considerando invece le nomenclature assegnate ai pesci, occorre osser- vare, sulla scorta degli studi di Gianfranco Folena, l’interessante analisi sul lessico degli ittionimi:

In primo luogo per il suo specialissimo e variabile carattere ambientale ai margini del lessico comune: si va infatti dal patrimonio lessicale del pesca- tore attraverso quello del mercato del pesce fino a quello di solito pove- rissimo del consumatore; e accanto a questa piramide che ha come base il produttore, e il suo lessico speciale, e come vertice il consumatore, e il lessico usuale, andranno considerate due coordinate diverse, quella scien- tifica, il patrimonio lessicale dell’ittiologo, e quella economica e burocrati- ca, le tabelle del mercato, le voci del calmiere ecc. …3

Nelle “tavole del pesce”, nei tariffari documentabili per l’Alto e Medio Adriatico pubblicati dalle autorità locali nel basso medioevo e nell’età mo- derna, spesso, per contrassegnare i mugilidi, si incontrano termini colletti- vi o generici, come cefali o cievolame. Nei porti delle Marche settentrionali (Pesaro, Fano, Senigallia) vengono denominati anche baldigare, vocabolo regionale quest’ultimo usato per indicare in origine più precisamente il Mugil capito, ossia il muggine calamita, come attesta Carlo Luciano Bo-

2 Brunelli, I pesci, i crostacei e i molluschi, p. 27. Sul “pesce novello” si rimanda allo specifico studio di Gustavo Brunelli, Ricerche sul novellame dei Muggini con osservazioni e considerazioni sulla mugginicoltura, Venezia 1916.

3 G. Folena, Per la storia dell’ittionimia volgare. Tra scienza e cucina in “Bollettino dell’atlante linguistico mediterraneo”, 5-6, 1963-64, p. 61.

naparte, estesosi poi indistintamente in questo tratto del litorale adriati- co a tutte le specie di Mugil che arrivavano in pescheria. In questi stessi tariffari, da considerarsi veri e propri calmieri del pesce, i cefali, “pesce bianco” per eccellenza, vengono associati al branzino (varolo nella dizione regionale veneta), a sottolineare il valore commerciale e la gradevolezza al gusto del cefalo, ma limitatamente ad alcune specie, quali il lotregano (Mugil auratus), la bòsega (Mugil chelo) e la volpina/mèa (o méa nel gergo fanese) ossia Mugil cephalus, che nel ferrarese veniva nominata meggia.4 La distinzione fra ‘pesce bianco e ‘pesce negro’, ben documentata sul mer- cato di Venezia almeno dall’inizio dell’età moderna, risulta applicata anche a Rovigno, come si accerta da alcuni ordinamenti emanati nel 16685 dalle autorità annonarie in cui, oltre a stabilire i prezzi di vendita delle varie spe- cie, si dichiara “che nel numero del pesce bianco sono i varioli, orade, den- tali, riboni, cievoli, barboni, anguille6, mormora; e che nel numero del pe- sce negro sono caramalli, anguisigole, sargo, scarpena, sparo, boba, suro, occhiade, tenca”. In realtà con ‘pesce bianco’ i vallesani indicavano esclu- sivamente tutte le cinque specie dei muggini7, mentre era opinione di Emi- lio Ninni che il pesse bianco nelle valli da pesca comprendesse, oltreché il ςievolame, anche le orate (orae)8. Nel Rinascimento i cefali grossi venivano arrostiti sulla graticola guarniti di erbe odorose, specialmente origano, op- pure si cuocevano a lesso. Quelli di dimensione più piccola si destinavano alla frittura, cospargendoli poi con succo d’arancio. Trattandosi di un pesce bianco con carni delicate, i cuochi lo proponevano in innumerevoli pietan- ze. Basti ricordare, a titolo d’esempio, l’elenco proposto dal cuoco della duchessa di Urbino9. Per cucinare le meggie il menù di Giovan Battista Ros- setti propone: “Meggia alla graticola con sua salsa; nel spedo con sua salsa;

4 Nel dialetto comacchiese si dice màgië con trascrizione fonetica, F. Foresti, Parlando pescando fra casoni e lavorieri, repertorio lessicale di valle in Sorella anguilla. Pesca e manifattura nelle valli di Comacchio, a cura di F. Cecchini, Bologna 2004, p. 82.

5 Notizie estratte dal Libro Camerlengo in “L’Istria”, VII, 19, 8 maggio 1852, p. 74.

6 A Venezia invece le anguille rientravano tra il “pesce negro”.

7 Aa. Vv., La pesca nella Laguna di Venezia, Venezia 1985, p. 164.

8 E. Ninni, Pesci molluschi crostacei nel vernacolo veneziano, Venezia 1920, p. 39.

9 G.B. Rossetti, Dello scalco, Ferrara 1584.

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salata schiappata e fritta; in potaggio; à broetto; sotto stata; salpamentata;

in sapor intera e in pezzi; conservata in aceto; in bianco coperta de tutte le salse; in mirausto; à capuzzolo; in pasticcio; salata e affumata alla gra- ticola; aperta e fritta; alla alemana con salsa e senza; in teggia in forno; in adobbo; accarpionata aperta; salata; in bianco coperta de tutti i sapori; in bianco coperta de tutte le salse”. I cefali invece, sono proposti “schiappati, e salati e fritti si servono caldi e freddi; in aceto fritto si serve caldo e fred- do; in aceto si riscalda alla graticola e in carta; accarpionato si serve caldo e freddo; alla graticola con cipolle, e finocchi , e senza; alla graticola con sal- sa francese; fritto intero con aranzi; in genestrata; con tutti i sapori, come della meggia”10. Altri modi di cucinare la meggia erano stati già consigliati da Cristoforo Messisbugo negli anni centrali del Cinquecento e tra questi vanno segnalate le “meggie in brodetto alla Comachiese”. In Romagna, ai tempi dell’Artusi era ancora diffusa la consuetudine di spremere sui cefali cotti in graticola il succo della melagrana. Nel corso del tempo insomma l’apprezzamento gastronomico per questa specie ittica rimane costante, così come per il fragolino di cui si dirà. Le peculiarità del cefalo, in partico- lare del Mugil cephalus, sono sinteticamente esposte nel volume di Artu- ro Palombi e Mario Santarelli dedicato agli animali commestibili dei mari d’Italia, dove non solo si esaltano le qualità gastronomiche del mugilide, ma anche il suo valore economico, peraltro accresciuto dalla preparazione e commercializzazione di bottarghe (dal gr. oà tarìcha, ossia uova salate), ricavate esclusivamente da questa specie11. Le carni del cefalo, sode e sa- porite, risultano maggiormente gradite se ricavate da esemplari catturati nelle acque marine12. Merita rilevanza però anche un’altra specie di mu- gilide, il Mugil capito, ossia il cefalo calamita, anch’esso con carni apprez- zabili e con un valore aggiunto, in quanto si prestano particolarmente alla salagione per una duratura conservazione. Nelle dizioni generiche “cevali salati” documentate nel Rinascimento, si devono riconoscere infatti so- prattutto i muggini calamita (caostelli nel veneto, baldigare in Romagna e

10 Ivi, p. 492.

11 L’argomento è diffusamente trattato in M.L. De Nicolò, Del mangiar pesce,

‘salato’, ‘navigato’ nel Mediterraneo, in corso di stampa.

12 A. Palombi, M. Santarelli, Gli animali commestibili dei mari d’Italia, Milano 1969, p. 29

nelle Marche). Basti ricordare le botti di zievai caostri (o caostei) in viaggio nelle acque del Mediterraneo nel 1437 e le botti di “baldigare salate”, og- getto di commercio a Pesaro nel 156313. L’approvvigionamento di “robbe quadragesimali”, tra cui spiccavano come alimento principale appunto le derrate ittiche, attivava attorno alla produzione e smercio di queste ultime numerose figure professionali (pescatori, pescivendoli, salatori, vetturali, barcaroli) e ad esse i funzionari di corte si rivolgevano per provvedere alla mensa del principe. Nell’imbandigione della tavola gonzaghesca, ad esem- pio, per i giorni di magro si faceva arrivare pesce dai territori degli Estensi, ordinando di spedire a Mantova, oltre a “meioramenti”14 (cioè capitoni) e

“cappe” di varie sorti, specifiche forniture di cefali: freschi, salati, marinati.

Per l’adempimento dei precetti di astinenza dalle carni fissati dal calenda- rio religioso, con lettera del 30 agosto 1518 si richiede la spedizione urgen- te di “cevali da Ferrara, ordinando che siano cocti là e poi cunzi in l’aceto secondo il solito per conservargli”. Nel marzo del 1519 si registra da parte del duca di Ferrara la spedizione di “una ciangola de cevali nel acetto” e nel 1530 si documenta ancora la fornitura di “3 bottesini de cevali salati da condurre a Mantova”15. La domanda di cefali insomma era rilevante e se ne trova conferma anche nella Tariffa dei pesi e misure di Bartolomeo di Paxi data alle stampe nel 1503, dove si legge che la “mercanzia delli pesci saladi è molto utile e necessaria” e tra questi i “cevali saladi in salimora”

rappresentavano un ramo di commercio assai fiorente, con una rete distri- butiva che da Venezia e Comacchio si muoveva verso le piazze mercantili più importanti della penisola.

13 Vd. infra.

14 Meioramenti, ossia miglioramenti, termine usato per indicare esemplari grossi delle anguille. Vd. G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia 1856, alla voce Bisato scrive: “Quando l’Anguilla è stragrande, in alcuni luoghi, come nelle valli di Comacchio, si chiama Megioramento”.

15 G. Malacarne, Sulla mensa del Principe. Alimentazione e banchetti alla Corte dei Gonzaga, Modena 2000, pp. 233-234.

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Come dove quando si catturano i cefali

I Mugil sono pesci che, in frotte, frequentano le acque tranquille delle insenature della costa, specialmente lo sbocco delle acque dolci e di rifiuto. Alcuni vivono bene anche nelle lagune, nelle ac- que dei laghi costieri e dei fiumi che risalgono per buon tratto. I Muggini si pescano durante tutti i mesi dell’anno, ma specialmente nei mesi primaverili e autunnali, soprattutto nelle giornate afose con vento sciroccale ed inoltre dopo le piogge, dopo mareggiate ed in acque torbide. Si catturano con la lenza, con le nasse, con le reti quadre (mugginare e bilance alla foce dei fiumi), e con le reti da posta (salterello, cannata, tremaglio) ed anche con le reti a strascico e con la fiocina, previa attrazione con sorgente luminosa.

A. Palombi, M. Santarelli, Gli animali commestibili dei mari d’Italia, Milano 1969

La pesca del cefalo alla foce del fiume Foglia con acque torbide

Udironsi le vicine voci de’ pescatori che all’apparir de l’alba per le torbide acque del fiume, che un miglio in mare si stendevano, con le reti, che capre chiamansi, e con puntali, che con lunghe stanghe si reggono, si attendevano ad arrichirsi di cefali, che in gran copia si prendono a questi lidi quando precedono le piogge, che l’acque oscurano, sì come allora avvenuto era per una fiumana che il nostro torrente aveva, per esser piovuto alla montagna la notte avanti.

La pesca del cefalo con il giacchio

…posto ch’avemmo in conserva i frutti delle nostre maritime fati- che, ci ponemmo a pescare col ghiaccio [ vale per giacchio, iaculum, sparviere, rezzaglio, “ombrella”], ch’è una rete tonda da forse dodici braccia in giro, con li piombini dai capi, la quale parimente in giro si getta con più artificio che forza: con la quale in dieci volte che la stendemmo per l’acque, l’uno a gara dell’altro, pigliammo meglio di 50 libre di pesci (pel più: cevali, agugelli e sgombri e quattro rombi di non mediocre grandezza).

L. Agostini, Giornate soriane, ca. 1572-1574

Le specie di Mugil della laguna veneta negli studi di Giandomenico Nardo, Alessandro ed Emilio Ninni

Tra fine Settecento e primo Novecento si deve ad alcuni studiosi e natura- listi veneti il recupero di espressioni e nomenclature vernacolari, ricavate principalmente dal lessico dei pescatori, che hanno aggiunto importanti elementi conoscitivi non solo sulla biologia dell’ittiofauna lagunare vene- ta, ma anche in merito alle denominazioni assegnate agli esemplari delle varie specie anche in base allo stadio di crescita. Nel Prospetto della fau- na marina volgare del Veneto Estuario realizzato da Giandomenico Nardo (1802-1877), accanto al nome scientifico e volgare del pesce, si accostano anche dati sulla dimensione degli esemplari in questione, sull’habitat, sulle modalità di pesca, sul pregio gastronomico. Infine, alla voce “particolarità”

si evidenziano nel Prospetto le denominazioni vernacolari in relazione allo stadio di crescita rimaste nel corso del tempo termini di riferimento per gli studi successivi sul cievolame della laguna veneta. La bòsega, ad esempio, di “grandezza ordinaria” raggiunge una lunghezza da uno a due piedi. Il suo habitat è rappresentato da “fondi fangoso-algosi” e dalle valli arginate in cui si conserva. Dissemina le uova nel mese di fabbraio in mare: “Entra in laguna piccolissima in marzo, e gettasi a crescere nelle valli”. Non se ne tro- vano grandi quantità e viene catturata “a vale quando è grande ed a tela o bragoto quando è minuto”. Sul piano gastronomico la bòsega risulta assai

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stimata: “mangiasi allesso, specialmente in autunno”. Le denominazioni, diverse a seconda dello stadio di sviluppo, sono le seguenti:

boseghìn circa un pollice, quando si getta in valle boseghèta, da due a tre pollici

bòsega, all’età di un anno

bòsega mezzana, a due anni quando raggiunge libbre una e mezza circa di peso

bòsega terzanina, a tre anni, pesando da due a tre libbre secondo le valli in cui è stata allevata.

Il caustèlo (Mugil capito Cuv.), di grandezza ordinaria sei pollici, vive nei

“bassi fondi della laguna e valli, dove si getta minuto e si serba fino ai tre anni”. Nel mese di gennaio rilascia le uova nelle acque marine. “È copio- sissimo … entra in febbraio e in marzo in laguna dove si piglia per gettar- lo nelle valli”. Si pesca “colla tela quando è minuto, colle reti quando è maggiore”. Si cucina e consuma “allesso, arrosto e salato”. essendo assai stimato. Quest’ultima preparazione alimentare, come si è detto poc’anzi, cioè il trattamento conserviero sotto sale, risulta proprio un’esclusiva del muggine calamita, secondo la testimonianza del Nardo che, sulla nomen- clatura volgare di questa varietà di cefalo, così si esprime:

Nella prima età, quando pesa tre once, chiamasi botolo; quando ne pesa sei caustelo. Nel terzo anno dicesi terzanin. Di quattro anni ed al di sopra si nomina caustelòn e chiavon e bataòr. In valle arriva di rado a 3 a 4 libbre, ma in mare può arrivare persino alle dieci.

Il lotregan (Mugil auratus Risso) con taglia di 4-8 pollici, vive nei “bassi fondi, canali e valli dove si semina” e si riproduce “nella fredda stagione in mare”. È abbondantissimo: “In febbraio entra minuto in laguna ove cresce.

All’appressarsi del verno torna in mare”. Questa varietà di cefalo risulta particolarmente gustosa se cucinata arrosto, ad esclusione degli esemplari detti da rio, “ossia di mala pastura”:

Quando è piccolo dicesi lotregagnolo; di due anni chiamasi lotregàn; di tre anni lotregàn vechio; nelle valli profonde può arrivar fino al peso di tre libbre.

La volpina (Mugil cephalus Cuv.), di grandezza da uno a due piedi vive nei canali e nelle valli. Si riproduce in mare nel mese di febbraio e in aprile “si

trasporta coi suoi piccoli in laguna”. Non è molto abbondante e si pesca in vari modi: “Ad amo, a trata, a fossina, a vale ed a zatera”. Gli esemplari più grossi sono di squisito sapore “se cucinati allesso”. Sono preferibili arrosto solo gli esemplari più piccoli:

Gli individui piccoli dicono mechiarini e chiavarini; più grandi mechiati; di due anni chiamansi volpinoti; finalmente volpine grandi sono da sei a dieci libbre.

La verzelata (Mugil saliens Risso), è di grandezza ordinaria lunga da otto pollici a un piede e quattro pollici. Vive nei canali e nelle valli. A proposito della loro riproduzione Nardo raccoglie notizie dall’esperienza plurigenerazionale dei pescatori: “Credono … che getti le uova tre volte all’anno e che i piccoli entrino in laguna in marzo, maggio e luglio. Dice il valligiano che in agosto … vorrebbe lasciar la valle per andar in mare a deporle”. La specie è abbondantissima per tutto l’anno. Si pesca “a trata e a vale”, mentre dal mese di luglio a tutt’ottobre la pesca delle piccole verzelate è proibita. Sul piano gastronomico è meno gradita e stimata rispetto agli altri cefali, ma il muggine è ugualmente apprezzato in cucina “arrosto, fritto ed allesso”:

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Resiste al freddo più degli altri cievoli, per cui dicesi magnagiazzo. Distin- guonsi le verzelate in sensariole, agostane e setembrine.

Alessandro Pericle Ninni (1837-1892) riprende il discorso sull’ittiofauna dell’estuario veneto, con brevi annotazioni anche sui mugilidi e sul loro pregio alimentare, in due contributi: Enumerazione dei pesci delle lagune e golfo di Venezia (1870) e Saggio dei prodotti acquatici e dell’industria pescareccia delle lagune e mare di Venezia (1880)16. Nel primo articolo, alla voce mugil, Ninni denuncia un sensibile decremento delle catture causato a suo giudizio da eccessivi prelievi di “pesce da semina”:

Un tempo la laguna era ricchissima di cefali e molti erano i modi di pesca che si usavano, alcuni dei quali ora caddero in dimenticanza (per esempio a zattera). Le pesche attuali in confronto di quelle di un tempo sono divenute pigmee e ciò per la distruzione che si fa dei cefali al tempo della montata per esitarli come pesce da semina.17

Del Mugil cephalus (volpina) Alessandro Ninni appunta nel suo scritto le denominazioni volgari collegate alle diverse fasi di sviluppo: “I piccoli si dicono mecchiarini; più grandi mecchiati”. Si riproduce in mare nel mese di febbraio e nei mesi di marzo e aprile entra in laguna. La specie non è molto abbondante18. Il Mugil capito (botolo e da adulto caustelo) risulta

“molto stimato” sotto il profilo gastronomico,19 così come il Mugil aura- tus (dotregan) che oltre ad essere abbondantissimo è pure “ricercatissimo dai buongustai”. Del Mugil saliens (verzelata) e del Mugil chelo (bòsega) Ninni si limita a ricordare solo il periodo in cui gli esemplari entrano in laguna: luglio, agosto e settembre per il primo, febbraio e marzo per il se- condo.20 Già l’abate Stefano Chierighin (1745-1820) aveva esaltato il pre- gio gastronomico del lotregan (o dotregan) annotando nella sua poderosa

16  Il primo apparso sull’ “Annuario della società dei naturalisti”, a. 5, agosto 1870;

il secondo stampato a Venezia nel 1880 ed inviato all’esposizione internazionale di pesca in Berlino.

17  A.P. Ninni, Enumerazione dei pesci delle lagune e golfo di Venezia, p. 22 dell’estratto da “Annuario della società dei naturalisti”, a. 5, Modena 1870.

18  Ivi.

19  Ivi, p. 23.

20  Ivi.

opera manoscritta che “la sua carne è buonissima arrostita, forse la miglio- re ancora di tutte l’altre specie delli pesci di questo genere”21. Il volpino o volpina invece “ viene mangiato indistintamente tanto allessato che arro- stito trovandosi così di molto buon gusto”, tuttavia “è preferibile cuocerlo allesso”22. Se di dimensione giusta, secondo l’opinione dell’abate anche la bòsega “diviene un pesce molto ricercato e buono per mangiare un esqui- sitissimo allesso”23. Le specie più abbondanti sono costituite dalla verze- lata24 e dal caustello. La prima è “d’un gusto inferiore” rispetto alle altre specie, mentre il caustello “quanto più giunge alla maggior sua grandezza, tanto più viene prezzato e ricercato per mangiarlo in allesso, essendo la sua carne in tal cottura esquisita”. Viene pertanto “prescelto dagli amatori del buon gusto”25. Emilio Ninni (1868-1945), nelle sue Considerazioni sul genere Mugil, dato alle stampe nel 1909, amplia la trattazione sui mugilidi della laguna veneta apportando nuova documentazione sulle tecniche di pesca, sulla taglia e sui prezzi di mercato. A proposito della verzelata, che si cattura con la rete detta saltarello, ossia vollaro da cefali, lungo le spiag- ge o in prossimità dei porti, osserva che esistevano individui del peso di 600 grammi, ma che mediamente non superavano i 200 grammi (ossia 3 esemplari per circa mezzo chilo).26 Le verzelate, distribuite dai vendaori de giro, vale a dire venditori ambulanti, venivano catturate con le tratte, con il tramaglio, con la serragia, con la togna “da sievoli” inescata con vermi e dalla fine di maggio anche con il saltarello, ossia con la “rete fissa tesa a

21  S. Chiereghin, Descrizione de’ pesci, de’ crostacei e de’ testacei che abitano le lagune e il Golfo Veneto, vol. I, Treviso 2001, p. 957; L. Divari, Belpèsse. Pesci pesca cucina ittica nelle lagune venete, Sottomarina 2003, p. 50.

22  Chierighin, Descrizione de’ pesci, de’ crostacei e de’ testacei che abitano le lagune e il Golfo Veneto, p. 958; Divari, Belpèsse, pp. 49-50.

23  Chierighin, Descrizione de’ pesci, de’ crostacei e de’ testacei che abitano le lagune e il Golfo Veneto, p. 959; Divari, Belpèsse, p. 49.

24  Chierighin, Descrizione de’ pesci, de’ crostacei e de’ testacei che abitano le lagune e il Golfo Veneto, p. 961; Divari, Belpèsse, p. 49.

25  Chierighin, Descrizione de’ pesci, de’ crostacei e de’ testacei che abitano le lagune e il Golfo Veneto, p. 962; Divari, Belpèsse, p. 49.

26  E. Ninni, Considerazioni sul genere Mugil in “L’Ateneo Veneto”, XXXII, 1, maggio giugno 1909, p. 327.

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cerchi concentrici con un lungo pedale verso la costa”27:

le verzelate che si avviano alla riproduzione, lasciano la laguna quasi co- steggiando, e trovandosi sbarrata la via tentano di superare l’ostacolo sca- valcandolo con un bel salto, ma cadono vittime della trappola, finendo in- saccate nel tramaglio appeso ai pali fuori d’acqua28.

Nel mese di settembre con i saltarelli si pescavano le verzelate “di ritorno, cioè pesci che hanno compiuta la riproduzione”.29 Sulla volpina le osserva- zioni di Emilio Ninni si concentrano sulle sue qualità di saltatrice, su taglia, prezzi e luoghi di provenienza per il rifornimento del mercato30.

Tabella che riporta in ordine decrescente le qualità economiche delle cinque spe- cie di Mugil e l’abbondanza degli arrivi sul mercato di Venezia

Per arrosto Per allesso Per abbondanza d’arrivo I M. auratus lotregàn M. cephalus volpina M. auratus lotregàn II M. capito caostélo M. chelo bòsega M. saliens verzelata III M. chelo bòsega M. capito caostélo M. capito caostélo IV M. cephalus volpina M. auratus lotregàn M. chelo bòsega V M. saliens verzelata M. saliens verzelata M. cephalus volpina

Fonte: E. Ninni, Considerazioni sul genere Mugil in “L’Ateneo Veneto”, XXXII, vol. 1, maggio-giugno 1909

27  Sulla tecnica di pesca detta saltarello vd. infra.

28  G. Zolezzi, Calendario delle pesche nella laguna veneta in “Bollettino di pesca, di piscicoltura e di idrobiologia”, XVII, 3, 1941, p. 436.

29  Ivi, p. 442.

30  Ninni, Considerazioni sul genere Mugil, pp. 328-329.

Considerazioni sul genere Mugil

Il genere Mugil era già conosciuto dagli antichi Greci e Romani i quali, sotto lo stesso nome, racchiudevano tutte le specie viventi nel Me- diterraneo […] non mancano le favole attorno a questi pesci, alcu- ne specie dei quali furono resi immortali dall’immaginazione degli antichi scrittori. Plinio, fra altri, racconta che, in vicinanza della foce di fiume, si riunirono in massa i cefali per la frega. I delfini soprag- giunsero per dar loro la caccia, il che procurò ai pescatori una for- tunatissima pesca. Grati ai delfini del loro aiuto, gettarono in mare parte della preda; ma questo spontaneo dono non parve sufficiente alla voracità dei delfini che ritornarono il giorno appresso per recla- mare e pretenderne una maggiore quantità. Veramente tali notizie strabilianti e pregne d’ignoranza, si ripetono ancora al giorno d’oggi.

Ma ritornando agli antichi Greci e Romani, noteremo come Aristotile (384 a.C.) citi nel genere Cestreus i chalones o chelones, i myxones, i cephales, e più tardi riconosce due specie dello stesso genere: il cephales e il cestreus. […]

Mugil auratus (Cuvier) volg. lotregán o dotregán, dotregagnόlo, il giovane fino circa a 6 mesi; dotregán vecio, quando ha raggiunto un anno. Getta le uova in mare e piccolissimo entra in grande quantità, per tutte le imboccature dei porti, in laguna. Ivi trovasi da per tutto, principalmente nei bassifondi e nei canali. È specie che ai primi fred- di ritorna al mare per cercare ivi nella profondità siti più caldi. Da questo suo istinto, i vallicultori lo dicono “fedele alle cogolere”, ap- punto perché all’approssimarsi del freddo cerca scappare dalle valli da pesca, e non trovando altra via d’uscita è costretto imprigionarsi da sé nelle cogolere. La sua carne è ricercatissima, massimamente nella fredda stagione. In laguna aperta prendesi maggiormente col- la “trata de canal” (sciabica). Nella pescheria di Venezia dagli ultimi di ottobre alla metà di novembre, puossi dire che s’incontri soltan- to tale specie, proveniente dalle valli dell’Estuario Veneto, mentre, passata questa stagione, il M. auratus va venduto frammisto al M.

saliens. […] I pescatori lo riconoscono facilmente dalla squama pic- cola, assai lubrica, argentea, capo alquanto appuntito ed occhio

“moro” lucido.

Mugil saliens volg. verzelata. Prolifica in mare nel mese di maggio ed entra in laguna nei mesi di luglio, agosto e settembre. Oltre alle verzelate che si pescano nelle valli, ne vengono pure prese in lagu-

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na colla “trata” (sciabica), col qual sistema si fanno talvolta pesche sorprendenti. Il Marchesetti afferma che talora si prendono in tanta quantità ove l’uomo protegge la loro propagazione, da pigliarne con un’unica retata fino a 100.000 ch. L’anno scorso ai 25 gennaio ne fu- rono presi per 25 quintali nella località dietro l’Arsenale prospiciente i bacini di carenaggio. In luglio si pescano le verzelate con le rete da “comagna”. Questa espressione equivale a compagnia, unendosi parecchie barche insieme, per circuire colle loro reti più facilmente i cefali. Erra dunque il Boerio spiegando la parola “comagna” nel senso di “quando il pesce mangia”. Pescasi altresì la verzelata col

“saltarélo” o “saltorélo” (vollaro da cefali) lungo le spiagge o alle im- boccature dei porti. Essa abbonda specialmente nell’inverno, quan- do comincia a diminuire la frequenza del M. auratus e del M. capito, importatici dalle valli. Furono vedute verzelate del peso di circa 600 gr. ciascuna; in media però non superano 200 gr. e anche meno, dac- ché comunemente si valutano tre per ogni mezzo ch. Vanno però escluse da tale computo quelle che si prendono coi più forti freddi dell’inverno e che misurano circa 14 cm. di lunghezza, queste vanno vendute per farne frittura. Quelle che si pescano, come si è detto,

“a comagna”, sono migliori delle altre, tanto è vero che i venditori girovaghi le smerciano per le vie della città gridando “da comagna le verzelate” […]

Mugil capito (Cuv.) volg. bòtolo, il giovane; caostélo, l’adulto. Prolifi- ca in mare nel mese di gennaio, entra in laguna in febbraio.

Il caostélo, in laguna, ama i canali fondi e i gorghi, e qui si sogliono prendere gli esemplari più grandi. Mi viene riferito che un tempo si predavano anche col fucile. Abbocca pure all’amo inescato con vermi fatti prima morire mediante immersione nell’aceto. Sul mer- cato di Venezia vengono di solito portati i caostéli nei mesi d’autun- no e d’inverno (da fraima), provenienti dalle nostre valli da pesca.

Gli indigeni delle coste di Romagna ci arrivano dalla metà di giugno a luglio, e quelli da Trieste (forse di provenienza turca) arrivano al nostro mercato in novembre e dicembre. Presso di noi toccano, in media, il peso di circa 400 gr., al prezzo medio di L. 0. 90 a 1, 50 il ch.

È naturale che i provenienti dall’estero valgano di più, cioè L. 1, 30 a 1, 60. Dello stesso prezzo sono i caostéli di Latisana e Portogruaro, di tinta assai più chiara dei nostrani, forse a causa del fondo in cui vivono. Sono stimati migliori nei mesi estivi, nei quali maggiormente abbondano. Il caostélo ha squama più ruvida, è più grande del M.

auratus (dotregan), occhio (moro), testa appuntita; anche duran-

te la notte è facilmente riconoscibile essendo di forma allungata, il che, in termine peschereccio, dicesi “pesse suto”.

Mugil chelo (Cuv.), volg. bòsega. Prolifica in mare in gennaio e feb- braio, entra in laguna in marzo. La bòsega in laguna ama i laghi e i gorghi; è la più pigra de suoi congeneri, e sta quasi sempre al fondo, possibilmente nascosta. Sul mercato di Venezia appare in minore quantità del caostélo e della verzelata. La massima grandezza a cui può giungere da noi è ch. 2 ½ e tali esemplari si riscontrano più fa- cilmente nella seconda metà di dicembre. Però la media del massi- mo peso è di circa 700 gr. l’una, al prezzo, pur medio, di L. 1, 50 il ch.

Un tempo la bòsega costava meno, come rilevo in certe annotazioni lasciate da mio padre. La bòsega ha la testa tonda, squama grossa, occhio “moro”. Sfugge di mano perché il suo corpo è ricoperto di

“grongo”.

Mugil cephalus (Cuv.), volg. volpina. Vive in mare e in laguna, i pic- coli si chiamano meciarini, i grandi meciati e mecie. Prolifica in mare nella primavera da marzo ad aprile. La volpina è un pesce agilissimo, sormonta con facilità gli ostacoli spiccando salti a guisa delle trote.

È questa la specie meno abbondante. La maggior parte si vende per alesso, può arrivare anche al peso di quattro ch.; invece le medie giungono a ch. 1400. Il prezzo medio è di L. 2. 20 a 3 il ch. Ne pro- vengono sul mercato di Venezia dalle coste di Romagna e dal Golfo di Guascogna. Quest’ultime però valgono assai meno perché ma- grissime e deperite pel lungo viaggio. La volpina è ruvida di squama, testa grossa e molto larga, occhio “moro”.

E. Ninni, Considerazioni sul genere Mugil in

“L’Ateneo Veneto”, XXXII, vol. 1, maggio-giugno 1909.

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Leggi annonarie e normative statutarie di Venezia e Chioggia, secc. XII-XIII Alcune varietà di cièvolame reperibile nelle acque lagunari venete soggia- cevano a leggi annonarie ab antiquo e se ne trova conferma da un calmiere del 117331 “formato dalla Giustizia Vecchia al tempo del doge Ziani”. Nel documento, precisa Hannelore Zug Tucci, vengono registrati “i nomi e i prezzi massimi delle specie che dobbiamo ritenere di consumo più corren- te”32, tra cui rientrano anche le meglie (Mugil cephalus), ossia esemplari appartenenti ai mugilidi di maggior dimensione. Non sono menzionati i nomi delle varietà congeneri, che si ritrovano invece frequentemente ci- tati nei canoni stabiliti per la “pesca di valle” e nelle regalìe spettanti agli affittuari delle peschiere e alle comunità di pescatori. Tali canoni, spiega ancora Zug Tucci,

ricorrono di norma a S. Michele o comunque in settembre, e tale data, oltre che alla stagione del sale, occorrente alla conservazione di grandi quanti- tà di pesce di valle, è chiaramente legata al raccolto del lotregano (mugil auratus), pesce tipico dei canoni, come qualità più apprezzata tra tutto il pesce bianco. Allora infatti raggiunge la massima maturazione stagionale e, con l’arrivo dei primi freddi tende a smontare per svernare in mare.33 Cespiti diversi si ricavano dalle catture della verzelata (mugil saliens) “pre- sente anch’essa nei canoni, ma in quantità minore o quale alternativa in mancanza della specie più pregiata” e che “si distribuisce su un maggior numero di mesi”34. Un documento del 1229 parla espressamente di “ze- valos litriganos et verzelatos”35. Bartolomeo Cecchetti pone in evidenza le regalìe consuetudinarie, come ad esempio “il tributo di 2400 cefali ai Giu- dici del Proprio, antica corte criminale, poi rimasta civile, e di 200 al doge,

31  Sul calmiere vd. B. Cecchetti, Il vitto dei veneziani nel sec. XIV, in “Archivio veneto”, XXX, 1885, p. 40; H. Zug Tucci, Pesca e caccia in laguna in Storia di Venezia, I, Origini. Età ducale, a cura di L. Cracco Ruggini et alii, Roma 1992, pp. 499-500; F.

Faugeron, Nourrir la ville. Ravitaillement, marchés et mètiers de l’alimentation à Venise dans les derniers siècles du Moyen Âge, Rome 2014, pp. 28-29.

32 Zug Tucci, Pesca e caccia in laguna, p. 500.

33  Zug Tucci, Pesca e caccia in laguna, p. 494.

34  Zug Tucci, Pesca e caccia in laguna, p. 494.

35  Cecchetti, Il vitto dei veneziani, p. 39 n.

Muggini di montata: 1. Lotregano (Mugil auratus); 2. Botolo (Mugil capito); 3. Verzelatina (Mugil saliens) della montata estiva; 4. Verzelatina (Mugil saliens) della montata inverna- le-primaverile; 5. Boseghini (Mugil chelo); 6. Mechiatto (Mugil caephalus).

G. Brunelli, Ricerche sul novellame dei Muggini con osservazioni e considerazioni sulla mug-

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dal gastaldo di S. Nicolò dei mendicoli”, ovvero dalla comunità dei pescato- ri veneziani36. Gli obblighi statutari di Venezia e Chioggia contemplavano, all’interno delle rispettive legislazioni, specifiche regole tese a garantire la qualità del pescato posto in vendita, con l’inserimento, riguardo appunto

ai mugilidi, di una apposita rubrica in cui si vietava di frammischiare tra loro i cefali da bòn e da rìo budello. Nel Capitulare de piscatoribus del XIII secolo si ordina che “nullus audeat miscere çevallos de mallos buthellos cum bonos, in pena ad voluntatem dominiorum iusticiariorum”37. L’ordine fissato nel Capitulare viene replicato, sempre a tutela del consumatore (De cevalis bonis cum malis non miscendis), anche negli statuti di Chioggia.38 Nel Capitulare più tardo, formulato in lingua volgare nel 1482, il passo in questione suona in questi termini: “Ordenemo che algùn pescadòr o compravendi non olsa mesedar cievali da bon budello con cievali da rìo, in pena de libre X e de perder el pesse”.

36  Cecchetti, Il vitto dei veneziani, p. 39, R. Zago, I Nicolotti. Storia di una comunità di pescatori a Venezia nell’età moderna, Padova 1982, p. 80. Ai magistrati del Proprio spettava una regalìa “di un canestro e due ‘carati’ di cefali salati ogni anno”.

37  I capitolari delle arti veneziane sottoposte alla Giustizia e poi alla Giustizia Vecchia dalle origini al MCCCXXX, a cura di G. Monticolo, Roma 1896, p. 65.

38  Statuti e capitolari di Chioggia del 1272-1279 con aggiunte fino al 1327, a cura di G. Penzo Doria e S. Perini, Venezia 1993, p. 114.

La pesca del cefalo a zàtara nella laguna veneta

Tra i metodi di pesca segnalati dagli autori classici39 particolare menzione va fatta ai sistemi di cattura di questa specie messi in atto nell’isola di Leuca e nelle acque della Grecia occidentale, documentati nel De natura anima- lium da Eliano con questo asserto:

Nel Mar Ionio, presso Leuca e nelle acque di Azio, dove si trova la regione chiamata Epiro, ci sono cefali in grande abbondanza, addirittura nugoli che formano (per così dire) squadroni. La pesca si svolge in un modo molto strano. […] I pescatori del luogo badano che ci sia una notte senza luna;

poi, dopo aver cenato, si mettono a due a due sulle barche e prendono il largo, quando il mare è senza flutti e vi è completa bonaccia; procedono lentamente remando adagio adagio; uno dei rematori spinge la barca col remo e la fa avanzare, potremmo dire, a passo d’uomo; l’altro, piegato sul gomito, cerca di appesantire il lato dello scafo che si trova dalla sua parte e

39  Fra le pratiche di cattura tramandate da tempi remoti rientrano anche la cosiddetta ‘pesca con il filo‘ e quella con i delfini. Nel primo sistema i cefali maschi venivano attirati servendosi di un esemplare femmina trattenuto con una cordicella; si formava così un branco di pesci attorno ad essa che venivano colpiti dai pescatori con il tridente. La seconda invece, di cui si tramandano descrizioni fin dall’età classica, si giovava dell’aiuto dei delfini, che spingevano il pesce verso le reti dopo essere stati richiamati dai pescatori con l’accensione di fiaccole per la pesca notturna, con percussioni, suoni e grida. Sull’argomento vd. M.L. De Nicolò, Del mangiar pesce fresco, ‘salvato’, ‘navigato’ nel Mediterraneo in corso di stampa.

Incisione tratta da I. Salviani, Aquatilium historia, Roma 1554.

Pesca del cefalo nel lago di Vrana (Soljan 1956).

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lo sommerge in modo che l’orlo dell’imbarcazione sia vicino alla superficie dell’acqua. I cefali e i muggini, specie a loro affine, o perché vogliono go- dere le ore della notte, o perché provano piacere per la bonaccia, lasciano i rifugi e le tane e si mettono a nuotare sporgendo a fior d’acqua la punta dl muso; sono talmente presi dal piacere di nuotare in superficie, che si avvicinano alla spiaggia. Come i pescatori li vedono, cominciano a mettere in movimento la barca e l’impetuoso avanzare di questo provoca in un cer- to qual modo un lento muovere di flutti. I pesci allora, invertendo la rotta, fuggono lontano dalla spiaggia e si spingono l’un l’altro in massa, là dove c’è quel lato del naviglio inclinato verso di loro, e una volta dentro vengono catturati40.

Un metodo di pesca piuttosto simile a quello appena descritto si ritrova nel lago di Vrana in Croazia e nella laguna di Venezia, dove nel Cinquecen- to viene registrato con l’espressione a sàtara, ossia “a zattera”. La tecnica di pesca sfrutta il movimento natatorio di questa specie, contrassegnato da acrobatici salti fuor d’acqua dovuti alla spinta della pinna caudale. La sàtara o zàtara che “si usa soltanto in laguna ed ora assai raramente”, vie- ne definita dal Nardo “banco o isoletta galleggiante composta di travi e ta- vole unite insieme di non molta estensione coperta al fianco di aliga, colla

40  Eliano, La natura degli animali, XIII, 19.

quale si pratica pesca particolare de’ cefali, detta a zàttara.”41 La tecnica consisteva nell’obbligare i cefali a saltare sul legno con il ricorso ad alcuni stratagemmi. Di questa particolare cattura, caduta in disuso agli inizi del Novecento, viene data spiegazione da Giuseppe Boerio: “A zàtara, si pesca sbattendo l’acqua dal di sopra d’una zattera senza sponde ed in cui siano fuochi accesi; il pesce impaurito salta e trovasi sopra la zattera dove vien preso”42. A Caorle si praticava una pesca del tutto simile detta a saltarello, in quanto i pesci che cadevano in trappola erano soprattutto i cefali, per l’appunto grandi saltatori.

Trino Bottaini così ne parla nel 1811: “il pescator, che sta in una barchet- ta, remiga in fretta, ma dolcemente a’ lati dei canali, avendo sulla prora un lumicino; il pesce che segue questo lume si mette a saltellare e balza da sé solo nella barchetta. Si pigliano de’ grandi volpini, e molte specie di cefali”43. Nardo ricalca questo stesso passo, paragonando la pesca “a saltarello” a quella “a zattera”. Quest’ultima, commenta ancora il Nardo,

“si fa in estate al chiaro di luna sbattendo l’acqua in barchetta verso un banco galleggiante guernito ne’ fianchi di aliga molle; i pesci impauriti dal rumore volgono verso di esso e toccando inopinatamente l’ombra che egli promuove nello specchio dell’acqua rimangono spaventati e vi saltano so- pra …”44. Per la verità, la pesca a zattera nella laguna veneta, sulla scorta delle relazioni prodotte da Giovanni Battista Voltolina, agli inizi del Nove- cento appare ancora praticata in quanto “sufficientemente rimunerativa nei riguardi alla quantità”, ma “non per il prezzo di vendita che fu a dir vero assai inferiore a quello degli altri anni”. Voltolina restituisce dettagli anche sull’attrezzatura piscatoria:

Si prendono 10 a 12 tavole e le si congiungono con delle travi tanto da formar un tavolato galleggiante; attorno a questo zatterone, presso a poco uguale nella forma se non nella grandezza a quelle zattere che si fanno per il trasporto del legname nei fiumi, si mette una tavola che chiuda all’ingiro il tavolato e sia alto non più di 10 cm. Tutto il piano del tavolato orlo e ban-

41  G.D. Nardo, Sulla coltura degli animali acquatici nel veneto dominio in “Atti dell’Istituto veneto di scienze lettere ed arti”, s. III, vol. VIII, 1862-1863, p. 463.

42  G. Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Milano 1856, s.v. pesca.

43  T. Bottaini, Storia della città di Caorle, Venezia 1811, p. 200.

44  Nardo, Sulla coltura degli animali acquatici, pp. 474-475.

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