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Diari e memorie sulle leggi razziali in Italia pubblicati negli anni

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Diari e memorie sulle leggi razziali in Italia pubblicati negli anni 1997-1998

Lucia Reatini

1938-1945: queste due date ricorrenti in tutti i diari e le memorie analizzati in queste pagine1 scandiscono con forza i racconti che gli ebrei ita­

liani fanno della loro vita in quegli anni. Il 1938 segna l’inizio della persecuzione antisemita in Italia: pubblicazione del Manifesto della razza (14 luglio); divieto agli ebrei di partecipare a congressi e manifestazioni intemazionali (21 lu­

glio); censimento degli ebrei italiani e stranieri (22 agosto); espulsione degli ebrei stranieri, aria- nizzazione della scuola pubblica, istituzione de­

gli uffici statali incaricati della persecuzione (set­

tembre); Dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio del fascismo (6 ottobre); espulsione dal Pnf di tutti gli ebrei, compresi quelli con be­

nemerenze fasciste2. Le memorie discusse in queste pagine sono state suddivise in due grup­

pi. Nel primo gli autori mettono in evidenza la violazione dei diritti dei cittadini ebrei e il peso dell’ingiustizia determinata dal fascismo a par­

tire dal 1938, presentano al lettore tutte le con­

seguenze che negli anni successivi hanno gra­

vato sulla loro vita. Del secondo gruppo fanno

invece parte gli scritti che pongono in particola­

re l’accento sugli anni 1943-1945 e sulla perse­

cuzione fisica abbattutasi sugli ebrei messa in at­

to dal governo fascista della Rsi e dai tedeschi.

Tutti gli autori delle memorie pubblicate in Italia nel 1997-1998, cioè in coincidenza con il sessantesimo anniversario delle leggi razziali, manifestano stupore, meraviglia, incredulità nei mesi dell’emanazione ddi quei provvedimenti:

non riescono a credere che il fascismo, che fino a qualche anno prima aveva proclamato che in Italia il problema razziale non esisteva, assu­

messe ora una chiara posizione antisemita.

Tutti tranne tre: il primo è Vittorio Foa3 che, già nelle lettere scritte ai familiari nel 1937, esprime la sua preoccupazione per gli articoli apparsi sui giornali fascisti (“Il Tevere”). Foa, nonostante sia in carcere da due anni e quindi riesca a seguire gli avvenimenti politici solo di riflesso, attraverso articoli di riviste, quando gliene viene concessa la lettura, in una lettera ai genitori del 30 aprile di quell’anno scrive di ri­

tenere che queste affermazioni razziste non sia­

1 Alberto Cavaglion,Pervia invisibile, Bologna, Il Mulino, 1998; Vittorio Foa, Lettere della giovinezza.Dalcarcere 1935-1943, Torino, Einaudi, 1998; Fulvio Giannetti, Le voci dal campo. La memoria salvata, Roma, EdizioniAsso­

ciate,Editrice Intemazionale, 1997; Lotti Goliger-Steinhaus, Caro Federico. Storia di una famiglia ebrea,Bolzano, Edizioni Raetia, 1998; MarcoImpagliazzo(a cura di), Laresistenza silenziosa. Leggi razziali eoccupazione nazista nellamemoria degli ebrei diRoma[nove testimonianze], Milano, Edizioni Guerini e Associati, 1997;Virginia Nathan, Roma 1943-1945. Una famiglia nella tempesta, Roma, Edizioni Seam, 1997; Vittorio Pisa, Diario, in Enzo Collotti (a cura di), Razzae fascismo. La persecuzione controgli ebrei in Toscana (1938-1943), voi. Il, Documenti, Roma, Ca­ rocci, 1999, pp.134-145; Cesare Rimini, Una carta in più,Milano, Mondadori, 1997; MarioTagliacozzo, Metà della vita. Ricordi della campagna razziale 1938-1944, Milano, Baldini & Castaldi, 1998;Rosetta Loy, La parolaebreo, Torino, Einaudi, 1997.

2 MicheleSarfatti,Gli ebrei negli annidel fascismo: vicende, identità, persecuzione, inStoria d'Italia,Annali 11,Gli ebrei in Italia. Dallemancipazione aoggi, Torino, Einaudi, 1997,pp. 1680-1688.

3V. Foa,Lettere della giovinezza. Dal carcere1935-1943, cit.

Italia contemporanea”,giugno2000, n. 219

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no “occasionali scoperte di qualche genio soli­

tario” ma rispondano “indubbiamente ad un pia­

no preordinato”4.

4 V. Foa,Letteredella giovinezza. Dal carcere 1935-1943,cit., p. 226.

5 V. Foa,Letteredella giovinezza. Dal carcere 1935-1943, cit.,p. 222.

6 Michele Sarfatti, Lapersecuzione degli ebreiinitalia dalleleggirazziali alladeportazione, in La persecuzione de­ gli ebrei duranteil fascismo. Le leggi del1938, Camera dei Deputati, Roma,pp. 86-87.

7 V. Foa,Lettere della giovinezza. Dal carcere1935-1943,cit.,p.530.

8 V. Foa,Lettere della giovinezza. Dal carcere1935-1943, cit., p. 531.

9M. Sarfatti, Gli ebrei negli annidel fascismo: vicende, identità, persecuzione, cit.,p. 1675.

10L. Goliger-Steinhaus, Caro Federico. Storia diuna famiglia ebrea, cit.

In una lettera precedente di due settimane, quella del 16 aprile 1937, sempre diretta ai ge­

nitori, Foa aveva manifestato due importanti convinzioni: la prima è che il destino degli ebrei italiani dipende da tante circostanze ma certo non dalla loro “assimilazione” (e questo con­

cetto verrà ripetuto da Foa anche nelle lettere del 1938 e del 1939 per criticare quegli ebrei che, credendo di sfuggire alla persecuzione e per sentirsi più “assimilati”, si sono affrettati a con­

vertirsi al cattolicesimo); la seconda riguarda l’atteggiamento della maggioranza degli italia­

ni che giudica “indifferenti” alla sorte degli ebrei5. Foa insomma non aspetta l’emanazione delle leggi razziali per rendersi conto di ciò che si sta preparando. Un altro elemento importan­

te che si coglie nelle lettere successive (datate 1938-1939) è la reazione sdegnata dell’autore, non tanto in quanto ebreo ma in quanto cittadi­

no, di fronte alla persecuzione. Ciò che gli sem­

bra indegno di una nazione civile è la revoca di molti diritti, dal divieto di esercitare la propria professione, all’espulsione dall’esercito e dagli impieghi pubblici, al divieto di frequentare la scuola statale, tutto ciò che Michele Sarfatti de­

finisce “denazionalizzazione degli ebrei”, “de­

classamento di fatto"6. Malgrado la sua indi­

gnazione, tuttavia, nel dicembre 1938 Foa spie­

ga ai genitori che il suo “pessimismo dell’acca- dimento” non diminuisce le sue energie, ma le potenzia e genera “Fottimismo dell’azione”7, un atteggiamento da lui appreso in famiglia e che purtroppo — si rammarica — è poco diffuso tra gli ebrei. Non a caso egli definisce “spiriti de­

boli ed incapaci di inquadrare le proprie vicen­

de nella storia contemporanea” i cittadini ebrei suicidatisi proprio in quei mesi e quelli che si sono convertiti o si affrettano a farlo8.

Questo severo giudizio di Foa sul comporta­

mento degli ebrei italiani appare abbastanza mo­

tivato e confermato dalla quasi totalità delle me­

morie da noi prese in considerazione, nelle qua­

li lo stupore e l’incredulità con cui sulle prime vengono accolte le leggi razziali è seguito dal­

l’adeguamento e poi dalla sottomissione. Così interpreta questo comportamento Michele Sar­

fatti:

Gli ebrei percepironoilprogressivo deterioramento della propria condizione nella società italiana, ma ac­ cettarono con difficoltàl’ideadell’approssimarsidel­

la persecuzione. A ostacolare tale comprensionecon­ tribuirono soprattutto l’ottundimento originato da un quindicennio didittatura, una fiduciaacritica nelpro­ gressivo incivilimento dell’umanità, laprofonda ita­ lianitàditutti,ilfascismo di alcuni e il consensodi molti alla patria9.

Le uniche memorie, tra quelle da noi conside­

rate, in cui vengano espressi convinzioni e sen­

timenti almeno in parte analoghi a quelli di Foa, sono di Lotti Goliger-Steinhaus10. Lotti, nata a Karlsbad (l’attuale Karlovy Vary della Repub­

blica ceca) e vissuta negli anni 1936-1939 a Me­

rano e a Karlsbad dove il marito possedeva due negozi di pelletterie, decide nel 1994, a 88 an­

ni, di scrivere, sotto forma di lettera al figlio Fe­

derico, la storia della sua vita e della sua fami­

glia ebrea. Nel suo libro ella afferma di essersi ben presto resa conto delle persecuzioni che la politica nazista stava preparando a danno degli ebrei e di avere ripetutamente insistito presso il marito e i suoceri perché si mettessero in salvo finché era possibile, come stavano facendo mol­

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ti ebrei loro concittadini che si erano procurati i visti di ingresso per la Palestina, gli Stati Uni­

ti e per alcuni stati dell’America meridionale.

Tuttavia nessuno volle ascoltarla, e il marito si limitò ad accettare, dopo la Conferenza di Mo­

naco e la cessione dei Sudati a Hitler, di trasfe­

rirsi definitivamente a Merano.

Ad avvicinare le memorie di Lotti a quelle di Foa non è però solo la consapevolezza del peri­

colo, ma anche la grande determinazione nel- l’affrontare le difficoltà. Questo atteggiamento emerge dalle pagine in cui ella racconta dell’ar­

resto del marito a Merano come ebreo straniero (1939) e del trasferimento suo, del marito e del bambino ancora molto piccolo al confino a La- gonegro (in provincia di Potenza). Lotti non si arrende mai: come Foa in carcere, lei al confi­

no affronta, ogni giorno, la sua lotta contro la miseria, le malattie del bambino, la fame, i ri­

schi, con fermezza, senza rassegnazióne o sot­

tomissione.

La combattività di Lotti Goliger-Steinhaus e di Foa è sostenuta dal fatto che essi non si sen­

tono, o non vogliono essere, assimilati: l’una perché straniera, l’altro perché antifascista. Ciò conferisce alla lotta che essi sostengono ogni giorno per la sopravvivenza un carattere parti­

colare e spiega anche perché essi riescano a ve­

dere meglio e in anticipo i pericoli dell’antise­

mitismo rispetto alla stragrande maggioranza de­

gli ebrei italiani che, “arrivati impreparati e di­

sarmati al 1938, convinti che in Italia non vi fos­

se antisemitismo”, come scrive Amos Luzzatto,

“vogliono solo essere rassicurati e rifiutano co­

me profeti di malaugurio quelli che li richiama­

no alle altre realtà europee11.

11 Amos Luzzatto,Autocoscienza e identità ebraica, inStoriad’Italia, Annali 11, Gliebrei in Italia, Torino, Einaudi, 1977,p. 1839.

12 II diario di Vittorio Pisa è pubblicato in E. Collotti (a cura di), Razzae fascismo. La persecuzione contro gliebreiin Toscana (1938-1943), cit., voi.Il, Documenti, pp. 134-145.

13 E.Collotti(a cura di), Razza e fascismo.La persecuzione contro gli ebrei inToscana (1938-1943), cit.,voi. Il, Do­

cumenti,p. 134.

14 E.Collotti(a cura di),Razzaefascismo. Lapersecuzionecontrogliebrei in Toscana (1938-1943), cit., voi. Il, Do­ cumenti, pp. 135-136.

Un posto particolare tra gli autori delle me­

morie da noi considerate è occupato anche da

Vittorio Pisa, nato a Firenze nel 1906, laureato in legge e piccolo proprietario terriero, ebreo vi­

cino alla propria religione ma anche fascista per conformismo. Nel breve diario, tenuto tra l’a­

gosto del 1938 e il dicembre 193912, egli espri­

me sin dalle prime righe l’angoscia provocata in lui dalle leggi razziali e, per definire la situa­

zione che queste hanno determinato, usa il vo­

cabolo “tragedia”. Nella prima pagina, datata 20 agosto 1938, annota: “mi sembra l’aria impre­

gnata di veleno, sprizzante dai giornali, ormai battenti la gran cassa dell’argomento prediletto:

ebrei”13. Più oltre si chiede come sia possibile sperare nel futuro, guardare all’avvenire: “Que­

st’ultimo [l’avvenire] non lo si vede più. È tra­

gedia”. Alcuni giorni più tardi, il 24 agosto, Vit­

torio Pisa sembra voler spiegare il senso dram­

matico delle pagine iniziali e scrive: “Non è vi­

vere né morire: più il tempo passa, più si sente come è stata dolorosa la mazzata che, a tradi­

mento, nella peggior malafede, si è voluta, in modo proditorio, infliggere”14. Certo, tutti i provvedimenti razziali presi dal fascismo in quei mesi sono, per Pisa, egualmente gravi, ma ciò che più lo colpisce è la separazione che si è vo­

luta creare tra cittadini italiani. Tutte le pagine successive sottolineano infatti l’angoscia di un italiano che, perché ebreo, non è più considera-^

to come gli altri, anche se, come tutti gli altri, continua a sentirsi legato al proprio paese, alla sua cultura e alla sua storia.

Il diario di Pisa presenta, accanto alle analo­

gie con gli altri scritti (incredulità, riprovazione per l’offesa recata dai provvedimenti antisemi­

ti alla dignità e al sentimento di italianità dei cit­

tadini ebrei), un alto livello di consapevolezza.

Innanzitutto circa i fini e gli inevitabili effetti della campagna di stampa attuata dal fascismo.

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Pisa non è solo un lettore particolarmente dili­

gente, che segue con attenzione gli articoli sul­

la razza, gli attacchi e le offese agli ebrei che provocano in lui come negli altri autori disagio, turbamento e dolore. L’avvocato Pisa si rende conto in modo preciso e senza illusioni che la campagna di stampa, che ha preceduto e ora af­

fianca la normativa del governo, è estremamen­

te pericolosa perché influirà sulle opinioni de­

gù italiani: certo non trasformerà tutta la popo­

lazione in nemici degli ebrei ma in tanti lascerà un segno. In data 31 agosto, riferendosi a un bra­

no sul concetto di razza, tratto dalla “Rassegna intemazionale di documentazione”, commenta:

“Così è accaduto, che a tramite di tali falsi as­

sunti (falsi i razzisti e il razzismo) [...] è come venuto a calare un bandone di separazione per cui ci si sente a disagio, non tanto per il presen­

te, in cui ancora l’opinione pubblica non è cor­

rosa, ma per il pensiero di ciò che sarà, quando direttive, stampa c metodi di regime avranno get­

tato tanto odio e tanta mala fede, sì da arroven­

tare e mettere a fuoco”15. Pochi giorni dopo, il 5 settembre, registra: “Oggi, considerate la scon­

cezza delle notizie propagate dai giornali, sem­

pre in mala fede e sempre in atteggiamento schifoso, ho ritenuto opportuno di sospenderne la lettura”16. Tuttavia, la censura imposta a se stesso (la lettura dei giornali ora è limitata alle sole notizie ufficiali) purtroppo non lo induce ad affrontare quello che definisce “l’enormità del­

lo sfacelo morale, collettivamente impresso a noi di razza ebrea”17. Egli sente gravare addos­

so a sé e alla sua famiglia (la moglie e una bim­

ba di pochi anni) un peso enorme e ne è piena­

mente consapevole. Il 25 ottobre annota: “È ne­

cessario farsi forza. Mettere in pratica il pen­

15 E. Collotti(a cura di), Razzaefascismo. La persecuzionecontro gli ebreiin Toscana (1938-1943),cit., voi. II, Docu­ menti, p. 136.

16 E.Collotti (a curadi),Razzaefascismo. La persecuzionecontro gli ebreiin Toscana(1938-1943), cit., voi. Il, Docu­ menti, p. 137.

17E.Collotti (a cura di),Razzaefascismo. La persecuzionecontro gli ebreiin Toscana (1938-1943), cit., voi. H, Docu­ menti, p. 137.

18E.Collotti (a curadi),Razzae fascismo. La persecuzione contro gli ebreiin Toscana (1938-1943), cit.,voi. II, Docu­ menti, p. 139.

19 E. Collotti (acura di), Razza e fascismo. Lapersecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943),cit., voi. II, Docu­ menti, p. 139.

siero di dover vivere ora (sessanta minuti) per ora (altri sessanta minuti). È giuocoforza far co­

sì”18. Ma questa osservazione è propria di chi è disperato e, come Pisa ripetutamente scrive, di chi “vegeta, non vive”.

Ma la consapevolezza di Pisa riguarda anche la situazione generale degli ebrei, da lui giudi­

cata già drammatica nel 1938-1939 mentre mol­

ti altri suoi correligionari ancora si illudono che qualcosa possa cambiare in meglio. Tutte le pa­

gine scritte da Pisa smentiscono coloro che han­

no affermato e affermano che le leggi razziali del fascismo sono state “leggere” e, in fondo, al­

meno negli anni 1938-1943, non hanno cam­

biato molto la vita quotidiana degli ebrei. Egli, sottolineando il vuoto delle proprie giornate e la depressione che tormenta il suo animo, il 26 gen­

naio 1939 scrive: “Vegetare è il mio: non vive­

re. Perdere gli anni migliori: non acquistare.

Constatare la propria deficienza a organizzare:

non potere avere speranze. E queste ultime non ci possono più essere quando all’ostracismo del­

la convivenza sociale, ci si deve racchiudere in sé medesimi e avere di fronte a sé la cupa, fo­

sca degradante compagnia, che speranze mai darà, che viene detta rassegnazione”. E, poco più avanti : “Ecco il 1939. Non più italiani se non mussoliniani, non più uomini, per somma di­

sgrazia. Perché l’uomo non deve vegetare, de­

ve vivere e vivere non è questo”19.

La drammaticità delle frasi sopra riportate è anche il segno della sofferenza di Pisa non solo come ebreo ma anche come fascista. Il suo es­

sere “fascista” non sparisce da un giorno all’al­

tro: egli continua a credere in quell’ideale, seb­

bene in modo contorto, angosciato, illudendosi forse, e nello stesso tempo senza illusioni. È dun­

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Diari e memorie sulle leggi razziali in Italia

que un gesto di lealtà verso il passato quello che lo induce ad andare a montare la guardia al sa­

crario dei caduti fascisti il 17 dicembre 1938, proprio nel momento in cui viene comunicata l’espulsione degli ebrei dal partito: “Ho appreso la notizia in Camicia nera e nello stesso tempo che avevo servito con fede a un’ idea, quale quel­

la di sentire l’aura dei vecchi fascisti caduti per un movimento che non è più quello di prima”20.

20E. Collotti (a cura di),Razzae fascismo. Lapersecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943), cit., voi. Il, Do­

cumenti, p 139.

21 Cfr.l’introduzione diEnzo Collotti al diario,inE. Collotti(a cura di), Razza efascismo. La persecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943), cit., voi.II,Documenti,p. 132-133.

22 E. Collotti (a cura di), Razzaefascismo. La persecuzione contro gli ebreiin Toscana (1938-1943), cit.,voi. II, Do­

cumenti, p.141.

23 M.Tagliacozzo, Metà della vita. Ricordi della campagna razziale1938-1944, cit.Il dattiloscrittoèstato presenta­ to dai figli di MarioTagliacozzo (morto aRoma nel 1979) nel 1997 al concorsoper diari inediti diPieve Santo Stefa­ no e ha vintoil primopremio alTunanimità.

24 Si vedano in particolare le nove testimonianze di cittadini italianiappartenenti alla comunità ebraica di Roma rac­ colte in M. Impagliazzo (a cura di). La resistenza silenziosa. Leggirazzialieoccupazionenazistanella memoria de­

gli ebrei di Roma, cit.

Collotti dà di questo gesto e anche del fatto che, all’entrata in guerra dell’Italia, Vittorio Pi­

sa presenta la domanda per partire volontario, una duplice spiegazione: da una parte tutto ciò costituirebbe “il tentativo di dimostrare al regi­

me che la lealtà degli ebrei è superiore anche al­

l’oltraggio da essi patito”21; dall’altra, soprat­

tutto nella presentazione della domanda di ar­

ruolamento, si esprimerebbe il desiderio di Pi­

sa, evidentemente ancora vivo nel 1940, di di­

mostrare che egli è uguale agli altri cittadini ita­

liani e ha gli stessi diritti.

Come altri ebrei fascisti, Pisa aveva forse cre­

duto che il regime potesse tornare a quello che egli riteneva fosse stato il fascismo degli anni venti e trenta: un movimento che esprimeva “una maniera ‘fascista’ di vedere l’Italia forte grande libera, potente, antibolscevica, antirazzista, an­

tinepotista, tutta propensa alla propria forza in tutto ciò che può essere il bene della Nazione”22.

Di impostazione molto diversa dagli scritti sui quali ci siamo finora soffermati è il diario- memoria di Mario Tagliacozzo, un agente di commercio di condizioni abbastanza agiate che vive a Roma con la moglie e i tre figli. L’opera, dal titolo Metà della vita. Ricordi della campa­

gna razziale 1938-1944, che è stata distrutta più volte, per ragioni di sicurezza, e riscritta dal­

l’autore in momenti di calma, percorre un lento cammino, dagli ultimi mesi del 1937 ai giorni della liberazione di Roma23. Essa è particolar­

mente interessante non solo per la rievocazione degù avvenimenti più significativi della perse­

cuzione di quegli anni, ma anche perché l’auto­

re riporta con molta attenzione gli stati d’animo suoi e della famiglia di fronte al manifestarsi del- l’antisemitismo e via via all'aggravarsi della si­

tuazione. Le reazioni di Tagliacozzo e della mo­

glie sono, per questo aspetto, del tutto simili a quelle degli altri autori ebrei di memorie e te­

stimonianze24. “Incredulità” è la parola che si ripete nelle pagine relative alla fine del 1937 e nei primi mesi del 1938, in cui l’autore scrive che le voci che circolavano su una possibile pre­

sa di posizione antisemita del governo fascista venivano giudicate da lui e dalla moglie “fanta­

smi”. Tagliacozzo si sente così ben inserito nel­

l’ambiente di lavoro (si occupa da anni di com­

mercio di tessuti), gode della fiducia di quanti lo conoscono, ha un ampio giro di amicizie sia a Roma che nelle altre città italiane in cui si re­

ca spesso per affari (e sono quasi tutte amicizie e relazioni con cittadini italiani non ebrei), che continua a non credere a un possibile antisemi­

tismo italiano. Successivamente però, la pub­

blicazione del Manifesto della razza, il censi­

mento degli ebrei italiani e stranieri (agosto 1938) e soprattutto la campagna antirazziale del­

la stampa, di giorno in giorno sempre più inci­

siva, gravano su di lui. Tagliacozzo scrive che, in quell’estate del 1938, leggendo i giornali, gli

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sembrava che gli ebrei si fossero macchiati di tutti i delitti possibili. Egli e la sua famiglia si sentono cittadini italiani come gli altri. Per lo­

ro, che sono sempre vissuti lontano dall’am­

biente della comunità ebraica e dalle cerimonie religiose, il fatto di venir chiamati sprezzante­

mente “giudei” è un’offesa e un dolore.

Simile in molti punti a quella di Tagliacozzo è la testimonianza di Susanna Di Lecce25, lau­

reata in lettere nel 1938 e insegnante dal marzo 1939 della scuola ebraica di Roma. La profes­

soressa Di Lecce, dopo essersi chiesta la ragio­

ne di tanto odio e del fatto che la gente e gli in­

tellettuali abbiano ceduto senza ribellarsi alle menzogne della razza, commenta: “Quando dal- l’alto si insinua il sospetto e si inizia la perse­

cuzione, il ridicolo sembra credibile e l’assurdo diventa possibile. In tanti si convinsero della no­

stra colpevolezza. — Se li trattano così dura­

mente devono aver commesso qualcosa di tre­

mendo — si diceva. Questa frase è stata pensa­

ta prima in tedesco, poi in francese, in russo, in italiano e in tante altre lingue europee”26.

25 Cfr. M.Impagliazzo (a cura di), La resistenza silenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nella memoria degli ebrei di Roma,cit.,cap. Vili, Persecuzione eresistenza.

26 M. Impagliazzo (a cura di), La resistenza silenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nellamemoria degli ebrei di Roma, cit., p.98.

27 Fausto Coen, Italiani ed ebrei: comeeravamo. Leleggirazziali del 1938, Genova, Marietti, 1988,pp.31-34.

28 M. Impagliazzo (a cura di), Laresistenza silenziosa. Leggirazziali e occupazione nazista nella memoria degli ebrei di Roma, cit., cap.I, La resistenza del Rabbino.

29 M.Impagliazzo (a curadi),Laresistenza silenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nella memoriadegliebrei di Roma, cit., pp.85-86.

30 M.Impagliazzo (a cura di), Laresistenza silenziosa. Leggirazzialieoccupazione nazista nella memoriadegliebrei di Roma, cit., p.88.

Anche il provvedimento che vieta la fre­

quenza della scuola pubblica ai ragazzi ebrei (2 settembre 1938) viene registrato da molte delle memorie considerate con stupore e incredulità.

Tagliacozzo scrive di non aver detto nulla ai fi­

gli nei giorni immediatamente successivi alla sua emanazione perché non sapeva come spie­

gargliene la ragione.

Tuttavia egli, come molti altri in varie città italiane27, cerca di affrontare la situazione. Rac­

conta infatti della sua partecipazione a un “Co­

mitato di padri di famiglia” che chiede al presi­

dente della Comunità israelitica romana di isti­

tuire delle scuole per i ragazzi ebrei e, successi­

vamente, scrive che la frequenza dei figli alla stessa scuola avvicina tra loro famiglie che pri­

ma non si conoscevano, crea nuovi rapporti e stabilisce elementi di solidarietà. Considerazio­

ni quasi analoghe troviamo nella testimonianza di Davide, un giovane romano nato nel 1932, che viveva insieme ai genitori e ai fratelli mag­

giori nella zona del Portico d’Ottavia, il ghetto di Roma28, e in quella di Angelo Pipemo, allo­

ra allievo del liceo Mamiani sempre di Roma.

Quest’ultimo racconta che le leggi razziali rap­

presentarono per lui “un evento incomprensibi­

le e inaccettabile la cui ragione [...] [gli] era del tutto estranea”. E aggiunge: “Questa divisione, tra ebrei e non, non aveva alcun senso per me, e tanto meno per i miei amici [...] il fatto di es­

sere ebreo, cosa cui non avevo mai dato troppo peso, diventava improvvisamente l’abisso inva­

licabile che mi separava dai normali, dai puri, dagli ariani”29.

Pipemo ricorda poi l’apertura, il 28 novem­

bre 1938, della scuola della Comunità ebraica di Roma. Egli, oltre a sottolineare l’alto livello della scuola—essa aveva quattro indirizzi: gin­

nasio-liceo classico, istituto tecnico inferiore e superiore, magistrali, avviamento professiona­

le e vi insegnavano, tra gli altri docenti, molti dei professori ebrei espulsi dall’università —, precisa che la sua apertura “anzitutto fu la resi­

stenza pacifica e dignitosa della comunità ebrai­

ca alla profonda ingiustizia della persecuzione antisemita”30. Essa inoltre — osserva Pipemo, come già aveva fatto Tagliacozzo —, “permise a molte famiglie che erano isolate e non fre­

quentavano la sinagoga, di sentirsi membri di

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Diari e memorie sulle leggi razziali in Italia

una “comunità minoritaria”. Gli ebrei si ritro­

varono “uniti dal disprezzo di cui [...] [erano]

vittime e fu proprio questo ad accrescere il [...]

[loro] senso di identità, di appartenenza ad un popolo”. Così egli conclude: “quanto meno, la solidarietà nella cattiva sorte ci avvicinava”31.

31 M. Impagliazzo (acura di), La resistenza silenziosa.Leggirazziali e occupazione nazista nella memoria degli ebrei di Roma, cit., p.93.

32 M. Sarfatti,Gli ebrei negli anni del fascismo: vicende, identità, persecuzione, cit.,pp.1720-1721.

33 Primo Levi, Isommersi ei salvati, Torino,Einaudi, 1986, pp. 133-134.

Avvenne allora anche un altro fatto impor­

tante, registrato sia dal diario di Tagliacozzo sia da altre memorie: rincontro tra gli ebrei italia­

ni e quelli stranieri. Gli ebrei stranieri non era­

no tanto quelli giunti in Italia negli anni venti o all’ inizio degli anni trenta, ormai ben inseriti nel­

la vita cittadina, quanto quelli provenienti dal­

l’Europa centrale e dalla Germania, in condi­

zioni economiche ben diverse: molti di loro era­

no poveri poiché avevano lasciato tutti i loro be­

ni nella patria d’origine e vivevano in Italia con l’aiuto della Comunità. I nuovi arrivati raccon­

tano delle persecuzioni antisemite in atto ma, anche se ascoltano le loro testimonianze, gli ebrei italiani sembrano non capirli. Questi ulti­

mi si sentono molto diversi dai primi non solo perché parlano un’altra lingua, hanno altri co­

stumi e usanze, ma soprattutto per la loro inte­

grazione nella popolazione italiana, per la loro accettazione e attiva partecipazione alle vicen­

de della storia d’Italia, dal Risorgimento al fa­

scismo. Molti degli ebrei italiani, specialmente quelli che vivono nelle grandi città, sentono par­

lare di sinagoghe bruciate, di distruzioni di ca­

se e negozi, di arresti e di continue violazioni dei diritti civili, ma è come se tutto ciò avve­

nisse in un mondo lontano, non in stati europei.

Essi rispondono agli ospiti stranieri e a se stes­

si che avvenimenti simili in Italia non possono succedere, che loro si sentono e sono italiani quanto gli “ariani”. Anche Tagliacozzo ripete nel suo diario queste affermazioni. Tuttavia, su con­

siglio di amici che intendono espatriare, sia pu­

re con poca convinzione, prepara il passaporto.

Michele Sarfatti scrive che, anche se per il fa­

scismo “la soluzione definitiva della questione antiebraica era rappresentata dall’eliminazione degli ebrei dalla penisola”, coloro che emigra­

rono fra il 1938 e il 1941 furono soltanto circa 6.000 sui circa 45.000 iscritti alle Comunità e circa 3.000 sui 36.000-37.000 ebrei italiani. Ep­

pure — nota Sarfatti — “la grande maggioran­

za degli ebrei italiani era in grado di abbando­

nare per sempre l’Italia”32.

Per spiegare il tipo di considerazioni e di sen­

timenti che impedivano agli ebrei di optare per l’emigrazione, Sarfatti riporta le parole con cui efficacemente li ha descritti Primo Levi:

Questo villaggio, ocittà,oregione, o nazione, è il mio, ci sono nato, ci dormonoi miei avi. Ne parlo la lingua, ne hoadottatoi costumi e la cultura; a questa cultura ho forseanchecontribuito. Ne hopagato itributi,ne ho osservato le leggi. Ho combattuto lesue battaglie, senza curarmi se fosserogiuste o ingiuste: homessoa rischio la miavita per i suoiconfini,alcuni mieiami­ ci eparenti giacciononei cimiteri di guerra, io stesso, inossequio allaretorica corrente, mi sonodichiarato disposto a morire per la patria. Non la voglio né la pos­ so lasciare:se morrò, morrò “in patria, saràil mio mo­ dodimorire “per la patria”33.

Le frasi di Levi effettivamente si potrebbero tro­

vare scritte in quasi tutte le memorie che stiamo esaminando. In più, per gli ebrei romani, c’è il legame con Roma, ci sono le loro tradizioni e il loro linguaggio che si intrecciano, da quasi due­

mila anni, con le vicende, il dialetto e le tradi­

zioni della capitale. D’altra parte, per Primo Le­

vi, è la stessa domanda “perché gli ebrei non so­

no fuggiti?” che va messa in discussione:

Domandarsi e domandare il perché è ancora unavol­

ta il segnodiuna concezionestereotipa ed anacroni­ sticadellastoria: più semplicemente di una diffusa ignoranzae dimenticanza, che tende ad aumentare con l’allontanarsi deifatti nel tempo. L’Europa del 1930- 1940 non era l’Europa odierna. Emigrare èdoloroso

(8)

270

sempre,allora era anchepiùdifficilee piùcostoso di quantonon siaoggi. Per farlo, occorrevanon solo mol­

to denaro, ma anche una “testadiponte”nelpaese di destinazione, parentied amici disposti a daregaranzie e anche ospitalità34. [... ] L’ “estero”, perl’enorme mag­

gioranza della popolazione, era uno scenario lontano e vago, soprattutto per la classemedia,menoassillata dalbisogno. Di fronte alla minacciahitlerianala mas­

simaparte degli ebrei indigeni, in Italia, in Francia, in Polonia, nella stessaGermania, preferì rimanere in quellache essi sentivano come la loro patria, con motivazioni ampiamente comuni, eanche se con sfu­ maturediverse da luogoaluogo35.

34P. Levi,I sommersi ei salvati, cit., p. 132.

35 P. Levi,I sommersi e i salvati, cit., p. 133.

M.Impagliazzo (a cura di), Laresistenzasilenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nella memoria degli ebrei diRoma, cit., cap. V,Leleggi razziali.

M. Impagliazzo (a cura di), Laresistenza silenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nella memoriadegliebrei diRoma, cit., p.68.

M.Sarfatti, Gliebrei negli anni del fascismo: vicende,identità, persecuzione, cit., p. 1728.

Quanto scrive Levi è confermato dal diario di Tagliacozzo, il quale, riflettendo sulla possibi­

lità di emigrare, si chiede: quali opportunità di lavoro troverò all’estero? Come posso trasferi­

re la famiglia e soprattutto come posso esporre mia moglie e i miei ragazzi a un futuro così in­

certo? Il fratello, che ha fatto un viaggio in Fran­

cia e in Inghilterra, gli ha parlato dell’esistenza di notevoli difficoltà a trovare lavoro; per que­

sti motivi, e anche perché la situazione italiana nel 1939 sembra stabilizzata, l’idea della par­

tenza viene da lui accantonata. Poi, dopo i nuo­

vi provvedimenti contro gli ebrei della fine del 1939, egli toma a pensare di lasciare l’Italia e, nel 1940, presenta una domanda di emigrazio­

ne verso gli Stati Uniti, cercando di tener segreta questa decisione perché c’era chi cercava di ap­

profittare della situazione per rilevare a prezzi molto bassi le ditte di proprietà di ebrei.

Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, e fino al 1943, le condizioni di vita degli ebrei sono si­

mili aquelle di tutti gli altri italiani : tesseramento dei generi alimentari, privazioni e restrizioni do­

vute allo stato di guerra, bombardamenti. Ta­

gliacozzo, riferendosi agli anni compresi tra il 1942 e il primo semestre del 1943, osserva che per lui e i familiari la questione razziale passa

quasi in secondo ordine rispetto alla gravità del­

la situazione determinata dalle vicende della guerra.

Però, se Tagliacozzo continua ad avere di­

screte possibilità di svolgere il suo lavoro, per altri i divieti legati alle leggi razziali costitui­

scono la rovina. Così ci presenta la situazione la testimonianza di Alberto36, nato a Roma, la cui famiglia numerosa traeva il necessario per vi­

vere dall’attività del padre, venditore ambulan­

te. Alberto ricorda così quanto successe dopo il 1938: “Come una pioggia micidiale e violenta centinaia di disposizioni antisemite investirono la nostra vita in tutte le sue pieghe più nascoste.

Tutta la nostra esistenza era ormai regolata da leggi, decreti e circolari riservate che ci confi­

navano in uno spazio sempre più ridotto, limi­

tando tutti i nostri movimenti fino a soffocar­

ci”37. Al padre fu ritirata la licenza di venditore ambulante e dovette arrangiarsi in qualche mo­

do per mantenere la famiglia.

Scrive a questo proposito Sarfatti:

Tra gli italiani,lapuntadi massima miseria si verificò probabilmente aRoma, dovela sola revoca del 1940 delle autorizzazioni al commercio ambulante colpì nu­ merose centinaia dicapi-famiglia delpopolino, tutti con moltissimi figliedaltre personea carico. In ter­

minigenerali, la persecuzionecomportò un decisoim­ poverimento mediodel gruppoebraiconelsuo insie­ me e un forteimpoverimentodi ampi strati diesso; oc­

corre tener presente che a questo fenomeno finì col contribuire la stessaopera di assistenza agliebrei bi­

sognosi,sostenuta largamente daquellifacoltosi e per il momento meno colpiti dallepersecuzioni38.

I quarantacinque giorni del governo Badoglio sono giorni di speranza per tutti gli ebrei. Ta­

gliacozzo spera che, con la caduta di Mussoli­

ni, gli ebrei torneranno a essere liberi, uguali agli altri. Tuttavia, il tempo passa e i giornali tac­

(9)

ciono sull’argomento razziale. Qualche piccolo segno induce a sperare: “Il Tevere” è stato sop­

presso; alcuni commissariati di Roma hanno re­

stituito le radio sequestrate agli ebrei (anche se lui non è tra i fortunati). Però, per Tagliacozzo, la possibilità di continuare a lavorare è comple­

tamente svanita a causa dei bombardamenti del­

le città del Nord e di Roma.

Si giunge così al settembre 1943, una data impressa, insieme a quelle del 1938, nei ricor­

di, nei diari, nelle memorie degli ebrei italiani.

Per tutti essa segna una svolta fondamentale nel­

la persecuzione antisemita.

A proposito del rilievo dato a questa data dal­

la memorialistica e delle differenze tra i due pe­

riodi della persecuzione antisemita in Italia (1938-1943 e 1943-1945) di cui essa rappresen­

terebbe uno spartiacque, Enzo Collotti scrive:

[Nel] primodecennio posteriore alla liberazione, quan­

do il ricordo degli orrori delladeportazione e dei cam­ pidi sterminio era assolutamente predominante e an­ cora incombente,nel ricordo dei testimoni e protago­

nisti si poteva leggere una cesuramoltonettatra ciò che era accadutoprimadell’8 settembre1943 e il pe­

riodo posteriore all armistizio [...]. Soltanto in uname­

morialistica più recentee quindi legataaduna rivita- lizzazione dellasensibilità rispettoagli eventidel193 8 [...], ifattidel 1938 sonostati rivissuti per lospesso­

re che ebbe laferita infertaal principio dell'eguaglianza dei cittadiniindipendentementedalla valutazione di ciò che sarebbe successo dopo l’armistizio del 194339.

39Enzo Collotti, Il razzismo negato,“Italia contemporanea”, 1998, n. 212,pp. 578-579.

40E. Collotti, Il razzismonegato, cit., p.579,nota 7,

41 DavidBidussa, Il mito del bravo italiano. Persistenze, caratteri evizi diun paese antico/modemo, dalle leggi raz­ ziali all’italiano del Duemila, Milano, IlSaggiatore,1994, p. 64.

42 Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria,Milano, Mursia, 1994, p. 160.

43 D. Bidussa, Ilmitodelbravoitaliano. Persistenze, caratteri evizi di un paese antico/modemo,dalleleggi razziali all’italiano delDuemila cit., p.64.

Tra le opere di memorialistica che non sottoli­

neano o sottolineano meno questa “cesura”, Col­

lotti annovera il diario di Tagliacozzo40. Anche le nove testimonianze raccolte da Impagliazzo a Roma risentono di questa “cesura”, ma tutti i loro autori, in modo più o meno esplicito, rivi­

vono il periodo tra il 1938 e il 1943 come un pe­

riodo di umiliazione, di dolore, che si rinnova­

va ogni giorno di fronte al saluto negato da ex amici “ariani”, alla perdita del lavoro, all’e­

spulsione dei figli dalle scuole, al sequestro de­

gli apparecchi radio che tenevano compagnia di giorno e di sera, quando per il coprifuoco non si poteva uscire, al divieto di tenere biciclette. Tut­

tavia, se nel ricordare a distanza di anni la per­

secuzione antisemita in Italia, nessuna di queste testimonianze sottovaluta le leggi razziali fasci­

ste, del periodo successivo all’armistizio si ri­

corda il terrore: terrore vissuto ogni giorno per la propria vita e per quella dei familiari, terrore che il rifugio faticosamente trovato venga sco­

perto, terrore di trovarsi soli di fronte a innu­

merevoli possibili nemici.

Scrive David Bidussa:

In Italia, dunque il passaggio da unasituazione di li­

bertà vigilata [quella delleleggi del 1938] aunadiraz­ zia indiscriminata non avviene ex abrupto ma ha luo­

go, comunque, senza soluzione di continuità41.

Citando poi un’affermazione di Liliana Picciot­

to Fargion42, Bidussa aggiunge:

Lasecondaoperazioneèpossibile perché la primaè statagià svolta in modoesaustivo e, comunque, piùche sufficiente. Dopodiché non resta che procedere a un prelevamento per ilqualesi possiedono già tuttii dati [...].Lazionevede coinvolti militi della Rsie funzio­

naridi Pubblica Sicurezza in varie occasioni: per esem­

pio nella gestione del campo diFessoli.Ilcoinvolgi­

mento è costante nelle operazioni di sequestro - più precisamente di rapina -deibeni ebraici ad opera di prefetti e funzionaridiPs in unintrecciounico incui la rapinae la deportazione si configurano come seg­ menti funzionalmente distinti diun’unica partitura43.

Un attento esame delle memorie da noi esami­

nate convalida sia la considerazione di Bidussa circa il passaggio, dalla fase della “persecuzio­

ne dei diritti” a quella della “persecuzione del­

(10)

Lucia Realini

le vite”44, sia la sua considerazione circa la re­

sponsabilità degli italiani nell’ attuazione di que­

sta seconda fase.

44Michele Sarfatti, 1938. Le leggi contro gliebrei ealcune considerazionisulla normativa persecutoria, in La legi­ slazione antiebraica in Italia e in Europa, Roma,Camera dei deputati, 1989, pp. 47-48.

D. Bidussa, Il mitodelbravo italiano. Persistenze, caratterie vizi di un paeseantico/modemo, dalleleggi razziali all’italiano del Duemila cit.,pp. 64-65.

In primo luogo, infatti, sebbene quel passag­

gio venga registrato come repentino e inaspet­

tato in tutte le memorie, in esse è possibile an­

che riscontrare la consapevolezza che la perse­

cuzione dei diritti colpì non solo le comunità ebraiche ma soprattutto i singoli individui. Al­

cuni autori poi, e direi specialmente Pisa e Ta­

gliacozzo, sono coscienti che le leggi razziali, che li hanno resi non cittadini, possono facil­

mente aprire la strada a forme di persecuzione ben più violente. Tagliacozzo lo scrive ripetuta- mente nel suo diario: nei giorni in cui prepara la fuga da Roma si rende perfettamente conto che il censimento degli ebrei (1938) e quei ripetuti, precisi elenchi con nomi, indirizzi e numero dei componenti delle famiglie ebree che prefettura, polizia e comuni possiedono, possono diventa­

re estremamente pericolosi.

In secondo luogo, se in tutte le memorie le parole “tedesco”, “tedeschi” ritornano in modo martellante, se tutti i racconti sono pervasi dal terrore che suscita la sola vista dei soldati tede­

schi, altrettanto presente è la paura quotidiana non solo per la delazione delle spie ma anche per la fredda osservanza delle norme da parte del diligente burocrate del Comune, per l’even­

tualità di un controllo dei documenti e delle car­

te annonarie fatto da qualsiasi vigile o poliziot­

to italiano. Bidussa, a questo proposito, riporta la tabella tratta dal volume di Picciotto Fargion, dalla quale si evince che dei 7.013 arresti di ebrei, 1.898 furono eseguiti da italiani, 2.489 da tede­

schi, 312 da italiani e tedeschi e 2.314 si verifi­

carono in circostanze ignote e commenta:

In ognicaso, anche volendo insistere su una “scala di responsabilità”[tra italianie tedeschi] - un modo ele­

gante di riproporre una “deresponsabilizzazione” -ri­

sulterebbe difficile controbattere [... ][a questi] dati45.

Il 14 settembre a Roma si diffonde la notizia che i tedeschi si sono fatti consegnare dalla questu­

ra le Uste degù ebrei. Nei giorni successivi mol­

te famiglie ebree lasciano la città in cerca di un rifugio più sicuro, in campagna, in montagna, nei paesi del Lazio, dell’Umbria e dell’Abruzzo.

A partire da quel giorno, il diario di Taglia- cozzo e le altre memorie diventano molto simi­

li: la narrazione procede da una fuga all’altra, dalla ricerca di un rifugio più sicuro presso ami­

ci “ariani”, a volte anche presso sconosciuti, al­

la richiesta di ospitalità in chiese e conventi.

Per Tagliacozzo, e per i nove cittadini roma­

ni che hanno raccontato le loro vicende in La re­

sistenza silenziosa, due sono le date indimenti­

cabili di quel fatidico autunno. La prima è quel­

la del 26-28 settembre, in cui i tedeschi obbli­

garono gli ebrei di Roma a versare in trentasei ore cinquanta chiù d’oro. La raccolta dell’oro non fu importante solo perché tutti coloro che potevano (anche parecchi “ariani”) diedero il lo­

ro contributo, ma anche perché questa rapina da parte dei tedeschi fece pensare a molti che non ci sarebbero state altre forme di persecuzione:

tante volte, nei secoli precedenti, a Roma ma an­

che in altre città d’Italia e d’Europa, i papi e i diversi sovrani avevano commutato le condan­

ne a morte degli ebrei in pene pecuniarie, mol­

to più utili per l’erario. La seconda è quella del 16 ottobre quando, con l’arresto di più di mille cittadini romani, caddero del tutto le illusioni di coloro che avevano sperato che l’oro acconten­

tasse i tedeschi. Qualcuno era già lontano da Ro­

ma, come Tagliacozzo, che, informato degù ar­

resti, scrive nel diario che anche questi fatti co­

sì terribili sono da aggiungere al numero degli avvenimenti possibili; gli altri autori delle nove memorie o erano già nascosti in qualche parte della città o sfuggirono “per caso” all’arresto.

Il 10 e 11 ottobre 1943 i quotidiani scrissero che tutte le normative antiebraiche abrogate do­

po il 25 luglio erano state ripristinate e annun­

(11)

ciarono nuove disposizioni. Un mese dopo, il 14 novembre, il punto 7 del “manifesto program­

matico” approvato a Verona nella prima assem­

blea del nuovo Partito fascista repubblicano sta­

bilì: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. Il 30 novembre 1943 il mi­

nistro dell’interno dispose l’arresto e l’interna­

mento di tutti gli ebrei; il sequestro di “tutti i lo­

ro beni mobili ed immobili” (che sarebbero sta­

ti successivamente confiscati); l’adozione di una

“speciale vigilanza” di polizia nei confronti di quei figli di matrimoni misti che nel quinquen­

nio precedente erano stati classificati di “razza ariana”. Il 4 gennaio 1944 un decreto legislati­

vo di Mussolini ingiunse ai capi delle province di confiscare “immediatamente” tutti i beni di qualsiasi natura delle persone di “razza ebrai­

ca”46. Infine, un provvedimento del capo della polizia del 28 gennaio 1944 stabilì che i prefet­

ti dovevano sciogliere le comunità ebraiche e se­

questrare i loro beni47.

46 M.Sarfatti, Gli ebrei negliannidel fascismo: vicende, identità, persecuzione, cit., pp. 1743-45.

47M.Sarfatti, Gli ebrei negliannidel fascismo: vicende, identità, persecuzione, cit., p. 1747.

48 Le memorie del secondo grupposonole seguenti: V. Nathan, Roma 1943-1945.Una famiglia nella tempesta, cit.;

C. Rimini, Una carta in più, cit.; A. Cavaglion, Pervia invisibile, cit.;F.Giannetti,Le vocidal campo. La memoria salvata, cit.; R. Loy,Laparola ebreo,cit.

49 Introduzionea V. Nathan,Roma 1943-1945. Una famiglia nellatempesta, cit., p. 37.

I timori e i disagi degli ebrei divennero sem­

pre maggiori. Tagliacozzo e la sua famiglia, che pure erano riusciti a rifugiarsi in un paese sui monti del Lazio, non si sentono più sicuri: mol­

ti in paese conoscono il loro cognome e quindi bisogna temere qualche denuncia. L’insegnante che aveva cominciato a dare lezione ai ragazzi è impaurita e non li accetta più nella sua casa.

Tagliacozzo non sa dove fuggire e scrive che lui e la famiglia sono quasi rassegnati alla loro sor­

te perché sembra impossibile lottare, da soli, contro tanto accanimento. Viene presa allora la decisione di tornare a Roma dove è più facile nascondersi che in un piccolo paese in cui tutti si conoscono. Tornano quindi in città ma la fa­

miglia si divide: i ragazzi sono nascosti in un collegio, la moglie e la bambina presso amici,

l’autore in un convento. In tal modo, alle ango­

sce quotidiane si aggiungono le preoccupazioni per i familiari di cui è difficilissimo avere noti­

zia. Trascorrono così i primi mesi del 1944, fi­

no al 5 giugno, il giorno dell’arrivo degli Allea­

ti. Per Tagliacozzo la liberazione di Roma si­

gnifica la gioia di essere come gli altri, di poter gridare alto il proprio nome, di uscire per le stra­

de senza paura.

Passando ora alle memorie del secondo gruppo, è possibile individuare, tra gli elementi fonda­

mentali, prima di tutto la volontà di ricordare a figli e nipoti — che non fi hanno vissuti — gli avvenimenti degli anni compresi tra il 1938 e il 1945, facendo in modo che i familiari, in parti­

colare i discendenti, ritrovino le proprie radici e, infine, dare testimonianza della vita di quegli anni48.

In Roma 1943-1945, l’autrice, Virginia Nathan, a distanza di anni, racconta le vicende della sua famiglia, anglo-romana, e le proprie riflessioni su quel periodo. Nell’introduzione, Maria Immacolata Macioti, che ne ha curato l’e­

dizione, scrive che queste memorie hanno

accanto auna funzioneautobiografica,unafunzione storica.Lautrice non se l’è propostoma lesue pagine gettanoluce su uno specifico ceto sociale [lalta bor­

ghesia], testimoniano di esso e di un ’epoca ormai scom­

parsa, danno indicazioni su come si è vissutoa Roma, neglianni della persecuzione ebraica, essendoebrei:

esia pure ebrei importanti49.

L’autrice nelle prime pagine presenta breve­

mente la storia della sua famiglia partendo dal­

la bisnonna Sara Levi Nathan, fervente mazzi­

niana, che aveva ospitato a Londra Mazzini e che si era successivamente trasferita in Italia. Si sofferma poi su Ernesto, figlio di Sara, sindaco

(12)

di Roma nel 1907, e sui propri genitori, trasfe­

ritisi a Roma da Londra nel 1934: Joe, il padre, è rappresentante della Banca d’Italia a Londra;

la madre, Peggy, appartiene a una ricca famiglia australiana. Nonostante i loro legami con l’In­

ghilterra, i Nathan sono cittadini italiani dalla seconda metà dell’ottocento, ben inseriti nella società della capitale ma anche con legami, non solo di parentela, con l’Inghilterra.

Della situazione che si stava creando in Ita­

lia, stando alle sue memorie, Virginia sembra si sia accorta solo nel novembre del 1938, quando sentì alla radio l’annuncio di una nuova serie di provvedimenti contro gli ebrei. Vero è che ella aveva allora solo tredici anni, ma viene sponta­

neo chiedersi come mai né le sorelle maggiori né i genitori, colti e informati, le avessero mai detto nulla di quanto si stava preparando già da circa un paio d’anni50. Pochi giorni dopo suo pa­

dre ricevette una lettera di licenziamento dalla Banca d’Italia. Fu un colpo terribile: “dato il no­

me di famiglia e la sua posizione [Joe Nathan]

non avrebbe mai pensato di potersi trovare, lui e la sua famiglia, coinvolto in una persecuzio­

ne: soprattutto da parte degli italiani”51. Quindi anche per questa famiglia dell ’ alta borghesia ro­

mana le leggi razziali del 1938 furono un even­

to inaspettato, a cui nemmeno Joe Nathan cre­

deva si sarebbe giunti. Per lui, che aveva rice­

vuto varie offerte di lavoro dagli Stati Uniti e dall’America del Sud, fu molto meno difficile che per altri decidere, nel dicembre 1938, di tra­

sferirsi all’estero con la famiglia, organizzare la partenza e imbarcarsi da Napoli per Melbourne, dove intendeva lasciare la moglie e le figlie. Tut­

50 La campagnadi stampa contro gli ebrei cominciò a diffondersi giàdal1936 su giornali dipartito come “IlRegime fascista”di Farinacci; la primamanifestazione antisemita inItalia si tennea Ferrara, nel giugno del 1936. La pubbli­ cazione dellibro diPaolo Orano, Gli ebreiin Italia, avvenne nellaprile del 1937. Relativamente a quegli anni, DeFe­ licescrive:“Nell’aprile 1937 la campagna antisemita ripreseimpetuosa. Si può dire cheda questo momentosinoalla caduta delfascismo il 25luglio e oltre,sinoall’aprile del1945 quando fu spazzato via l’ultimoresiduo del fascismo stesso, essa non ebbe più sosta; cfr. Renzo DeFelice Storia degli ebrei italianisotto il fascismo,Torino,Einaudi, 1993, p. 212 e pp.204-214.

51 V.Nathan, Roma 1943-1945. Una famiglia nella tempesta,cit., p. 48.

52 V. Nathan, Roma1943-1945. Unafamiglia nella tempesta, cit.,p.49, nota 9.Del ritorno in Italiadei Nathan Susan Zuccotti {L'Olocausto in Italia, Milano, Tea,1995,p. 22) una versione diversa:Joe Nathan, che lavoravanegliSta­ ti Uniti, alla fine del 1939- quando stava perscoppiare la guerra- avrebbe decisodi tornare inItalia con lafamiglia per nostalgia dellaterradei suoi antenati.

tavia, pochi mesi dopo, nell’aprile del 1939, egli tornò in Italia, così scrive la figlia, per sistema­

re i suoi affari52. Qui egli ebbe un grave inci­

dente e fu in pericolo di vita. La moglie e le fi­

glie, avvertite, ritornarono a Roma. Due setti­

mane dopo vennero ritirati a tutti gli ebrei i pas­

saporti: anche i Nathan si trovarono così pri­

gionieri in Italia.

Degli anni 1940-19431’autrice ricorda in par­

ticolare due avvenimenti: all’entrata in guerra dell’Italia, il padre, temendo delle rappresaglie contro gli ebrei, portò tutta la famiglia in un pae­

se sui monti Rufini, da dove però in novembre i Nathan si ritrasferirono nella loro villa di Ti­

voli; nel 1943 venne sequestrato da parte delle autorità militari il piano superiore della loro vil­

la. In questa occasione l’autrice e una delle so­

relle vennero rimandate a Roma. Riferendosi a quel periodo, Virginia scrive che, nonostante tut­

to, lei e le sorelle si accorsero poco delle condi­

zioni di vita che la guerra imponeva a tanti ita­

liani e delle privazioni a cui erano sottoposti gli ebrei. L’autrice racconta che raramente il padre e la madre parlarono con le figlie della situa­

zione politica negli anni 1938-1943; riconosce inoltre che lei e le sorelle erano state delle pri­

vilegiate, in quanto, per la posizione sociale del padre, non avevano subito le privazioni e le umi­

liazioni che invece avevano colpito i loro coe­

tanei ebrei. Probabilmente per queste ragioni Virginia, quando nel settembre 1943 con la sua famiglia dovette fuggire da Roma precipitosa­

mente perché il nome di Joe Nathan era tra i pri­

mi nella lista degli ebrei che i tedeschi ricerca­

vano, visse questo brusco passaggio da una re­

(13)

lativa quiete alla fuga in modo ancora più dram­

matico di altri.

Confrontando le pagine delle memorie di Vir­

ginia con quelle scritte da altri autori da noi pre­

si in esame, emerge un elemento rilevante: Vir­

ginia, posta di fronte alle stesse esperienze de­

gli altri — fughe, ricerche di nascondigli, sepa­

razione dai familiari, mancanza di punti di rife­

rimento, convivenza con persone ostili e infide

— si rivela ancor più indifesa, forse per aver go­

duto, negli anni precedenti, di un’adolescenza molto protetta. Eppure anche Virginia, nei du­

rissimi mesi del 1944 trascorsi a Roma, dovet­

te servirsi di tutte le sue capacità per sopravvi­

vere. Anche lei dimostrò di avere “coraggio, de­

terminazione, flessibilità e ingegnosità”, le do­

ti indispensabili che permisero ad alcuni ebrei, che non si erano accorti a tempo debito del pe­

ricolo che incombeva su di loro, di affrontare la difficilissima situazione. Scrive a questo propo­

sito Susan Zuccotti:

la flessibilità li aiutava aresisteresenza un rifugio per­ manente,a passare di casa in casa a volte senza cono­ scere i nomi di coloro cui affidavano lapropriavita. E lingegnositàforniva leidee:dove andare, dichi fi­ darsi, quale travestimento usare, qualirispostedareai sospettosi. Naturalmentenonc’eranogaranzieperché, oltre atuttele altre qualità per sopravvivere, erane­ cessaria una fortunaquasiincredibile. Perquanto i lo­ ro pianifossero perfetti, dovevanoevitarei continui controlli, sottrarsi alla curiosità dei vicini, eludere le spie e i delatori. Vivevano giorno per giorno, con una tensione quasi intollerabile. Ma con l’aiuto della for­ tuna riuscirono asopravvivere53.

53 S. Zuccotti,LOlocaustoin Italia, cit.,pp.238-239.

54 Cfr. C. Rimini, Unacarta in più, cit.

55 C. Rimini, Una carta in più, cit., pp.85-86.

Anche i Nathan sopravvissero, nonostante la de­

lazione che aveva perduto il padre.

Diversamente da quelli di Virginia si com­

portarono invece i genitori di Cesare Rimini, autore di Una carta in più54, anch’egli nel 1938 un ragazzino, figlio di una famiglia della bor­

ghesia benestante di Mantova. Rimini ricorda

che, in seguito all’emanazione delle leggi raz­

ziali, mentre uno zio, avvocato a Milano, scel­

se di emigrare in Brasile, suo padre decise di­

versamente. Poiché i ragazzi Rimini (Cesare e le sue due sorelle) erano figli di matrimonio mi­

sto (padre ebreo, madre cattolica), un parroco di Mantova, che aveva manifestato la sua di­

sapprovazione per la persecuzione antisemita, quando uscì una circolare che stabiliva una cer­

ta data perché fosse ritenuto valido il battesimo dei figli di matrimonio misto, propose al padre di battezzarne i figli falsificando la data, oppu­

re di fare per loro dei certificati di battesimo falsi.

Il padre di Cesare, pur ritenendo il battesimo una specie di tradimento nei confronti dei pa­

renti ebrei che non avevano simile opportunità, volle che i figli fossero battezzati per salva­

guardarli da eventuali pericoli.

Cesare Rimini, a differenza di Virginia Nathan, ricorda che a lui e alle sue sorelle i genitori, in quegli anni, non nascosero mai nulla. I ragazzi Rimini partecipavano totalmente alla vita dei grandi, conoscevano i problemi e i rischi che la famiglia doveva affrontare e i motivi delle de­

cisioni prese. “Ci sono delle date — scrive Ce­

sare — che hanno avuto riflessi sulla vita di tut­

ti, tutti hanno perso qualcosa, anche solo una parte di giovinezza, ma noi bambini le abbiamo vissute come una cronaca di famiglia”55.

Anche Tagliacozzo aveva sempre ritenuto op­

portuno tenere informati i suoi figli della situa­

zione in cui si trovavano, sia quando i ragazzi passarono dalla scuola pubblica a quella ebrai­

ca, sia di fronte all’estendersi dei divieti impo­

sti agli ebrei, sia — nel 1943-1944 — di fronte ai pericoli di ogni giorno.

Ciò che accomuna gli scritti di Cesare Rimi­

ni e di Virginia Nathan è invece la sottovaluta­

zione della persecuzione fascista degli anni 1938-1943. Sulle leggi razziali Cesare Rimini

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