Diari e memorie sulle leggi razziali in Italia pubblicati negli anni 1997-1998
Lucia Reatini
1938-1945: queste due date ricorrenti in tutti i diari e le memorie analizzati in queste pagine1 scandiscono con forza i racconti che gli ebrei ita
liani fanno della loro vita in quegli anni. Il 1938 segna l’inizio della persecuzione antisemita in Italia: pubblicazione del Manifesto della razza (14 luglio); divieto agli ebrei di partecipare a congressi e manifestazioni intemazionali (21 lu
glio); censimento degli ebrei italiani e stranieri (22 agosto); espulsione degli ebrei stranieri, aria- nizzazione della scuola pubblica, istituzione de
gli uffici statali incaricati della persecuzione (set
tembre); Dichiarazione sulla razza del Gran Consiglio del fascismo (6 ottobre); espulsione dal Pnf di tutti gli ebrei, compresi quelli con be
nemerenze fasciste2. Le memorie discusse in queste pagine sono state suddivise in due grup
pi. Nel primo gli autori mettono in evidenza la violazione dei diritti dei cittadini ebrei e il peso dell’ingiustizia determinata dal fascismo a par
tire dal 1938, presentano al lettore tutte le con
seguenze che negli anni successivi hanno gra
vato sulla loro vita. Del secondo gruppo fanno
invece parte gli scritti che pongono in particola
re l’accento sugli anni 1943-1945 e sulla perse
cuzione fisica abbattutasi sugli ebrei messa in at
to dal governo fascista della Rsi e dai tedeschi.
Tutti gli autori delle memorie pubblicate in Italia nel 1997-1998, cioè in coincidenza con il sessantesimo anniversario delle leggi razziali, manifestano stupore, meraviglia, incredulità nei mesi dell’emanazione ddi quei provvedimenti:
non riescono a credere che il fascismo, che fino a qualche anno prima aveva proclamato che in Italia il problema razziale non esisteva, assu
messe ora una chiara posizione antisemita.
Tutti tranne tre: il primo è Vittorio Foa3 che, già nelle lettere scritte ai familiari nel 1937, esprime la sua preoccupazione per gli articoli apparsi sui giornali fascisti (“Il Tevere”). Foa, nonostante sia in carcere da due anni e quindi riesca a seguire gli avvenimenti politici solo di riflesso, attraverso articoli di riviste, quando gliene viene concessa la lettura, in una lettera ai genitori del 30 aprile di quell’anno scrive di ri
tenere che queste affermazioni razziste non sia
1 Alberto Cavaglion,Pervia invisibile, Bologna, Il Mulino, 1998; Vittorio Foa, Lettere della giovinezza.Dalcarcere 1935-1943, Torino, Einaudi, 1998; Fulvio Giannetti, Le voci dal campo. La memoria salvata, Roma, EdizioniAsso
ciate,Editrice Intemazionale, 1997; Lotti Goliger-Steinhaus, Caro Federico. Storia di una famiglia ebrea,Bolzano, Edizioni Raetia, 1998; MarcoImpagliazzo(a cura di), Laresistenza silenziosa. Leggi razziali eoccupazione nazista nellamemoria degli ebrei diRoma[nove testimonianze], Milano, Edizioni Guerini e Associati, 1997;Virginia Nathan, Roma 1943-1945. Una famiglia nella tempesta, Roma, Edizioni Seam, 1997; Vittorio Pisa, Diario, in Enzo Collotti (a cura di), Razzae fascismo. La persecuzione controgli ebrei in Toscana (1938-1943), voi. Il, Documenti, Roma, Ca rocci, 1999, pp.134-145; Cesare Rimini, Una carta in più,Milano, Mondadori, 1997; MarioTagliacozzo, Metà della vita. Ricordi della campagna razziale 1938-1944, Milano, Baldini & Castaldi, 1998;Rosetta Loy, La parolaebreo, Torino, Einaudi, 1997.
2 MicheleSarfatti,Gli ebrei negli annidel fascismo: vicende, identità, persecuzione, inStoria d'Italia,Annali 11,Gli ebrei in Italia. Dall’emancipazione aoggi, Torino, Einaudi, 1997,pp. 1680-1688.
3V. Foa,Lettere della giovinezza. Dal carcere1935-1943, cit.
‘Italia contemporanea”,giugno2000, n. 219
no “occasionali scoperte di qualche genio soli
tario” ma rispondano “indubbiamente ad un pia
no preordinato”4.
4 V. Foa,Letteredella giovinezza. Dal carcere 1935-1943,cit., p. 226.
5 V. Foa,Letteredella giovinezza. Dal carcere 1935-1943, cit.,p. 222.
6 Michele Sarfatti, Lapersecuzione degli ebreiinitalia dalleleggirazziali alladeportazione, in La persecuzione de gli ebrei duranteil fascismo. Le leggi del1938, Camera dei Deputati, Roma,pp. 86-87.
7 V. Foa,Lettere della giovinezza. Dal carcere1935-1943,cit.,p.530.
8 V. Foa,Lettere della giovinezza. Dal carcere1935-1943, cit., p. 531.
9M. Sarfatti, Gli ebrei negli annidel fascismo: vicende, identità, persecuzione, cit.,p. 1675.
10L. Goliger-Steinhaus, Caro Federico. Storia diuna famiglia ebrea, cit.
In una lettera precedente di due settimane, quella del 16 aprile 1937, sempre diretta ai ge
nitori, Foa aveva manifestato due importanti convinzioni: la prima è che il destino degli ebrei italiani dipende da tante circostanze ma certo non dalla loro “assimilazione” (e questo con
cetto verrà ripetuto da Foa anche nelle lettere del 1938 e del 1939 per criticare quegli ebrei che, credendo di sfuggire alla persecuzione e per sentirsi più “assimilati”, si sono affrettati a con
vertirsi al cattolicesimo); la seconda riguarda l’atteggiamento della maggioranza degli italia
ni che giudica “indifferenti” alla sorte degli ebrei5. Foa insomma non aspetta l’emanazione delle leggi razziali per rendersi conto di ciò che si sta preparando. Un altro elemento importan
te che si coglie nelle lettere successive (datate 1938-1939) è la reazione sdegnata dell’autore, non tanto in quanto ebreo ma in quanto cittadi
no, di fronte alla persecuzione. Ciò che gli sem
bra indegno di una nazione civile è la revoca di molti diritti, dal divieto di esercitare la propria professione, all’espulsione dall’esercito e dagli impieghi pubblici, al divieto di frequentare la scuola statale, tutto ciò che Michele Sarfatti de
finisce “denazionalizzazione degli ebrei”, “de
classamento di fatto"6. Malgrado la sua indi
gnazione, tuttavia, nel dicembre 1938 Foa spie
ga ai genitori che il suo “pessimismo dell’acca- dimento” non diminuisce le sue energie, ma le potenzia e genera “Fottimismo dell’azione”7, un atteggiamento da lui appreso in famiglia e che purtroppo — si rammarica — è poco diffuso tra gli ebrei. Non a caso egli definisce “spiriti de
boli ed incapaci di inquadrare le proprie vicen
de nella storia contemporanea” i cittadini ebrei suicidatisi proprio in quei mesi e quelli che si sono convertiti o si affrettano a farlo8.
Questo severo giudizio di Foa sul comporta
mento degli ebrei italiani appare abbastanza mo
tivato e confermato dalla quasi totalità delle me
morie da noi prese in considerazione, nelle qua
li lo stupore e l’incredulità con cui sulle prime vengono accolte le leggi razziali è seguito dal
l’adeguamento e poi dalla sottomissione. Così interpreta questo comportamento Michele Sar
fatti:
Gli ebrei percepironoilprogressivo deterioramento della propria condizione nella società italiana, ma ac cettarono con difficoltàl’ideadell’approssimarsidel
la persecuzione. A ostacolare tale comprensionecon tribuirono soprattutto l’ottundimento originato da un quindicennio didittatura, una fiduciaacritica nelpro gressivo incivilimento dell’umanità, laprofonda ita lianitàditutti,ilfascismo di alcuni e il consensodi molti alla patria9.
Le uniche memorie, tra quelle da noi conside
rate, in cui vengano espressi convinzioni e sen
timenti almeno in parte analoghi a quelli di Foa, sono di Lotti Goliger-Steinhaus10. Lotti, nata a Karlsbad (l’attuale Karlovy Vary della Repub
blica ceca) e vissuta negli anni 1936-1939 a Me
rano e a Karlsbad dove il marito possedeva due negozi di pelletterie, decide nel 1994, a 88 an
ni, di scrivere, sotto forma di lettera al figlio Fe
derico, la storia della sua vita e della sua fami
glia ebrea. Nel suo libro ella afferma di essersi ben presto resa conto delle persecuzioni che la politica nazista stava preparando a danno degli ebrei e di avere ripetutamente insistito presso il marito e i suoceri perché si mettessero in salvo finché era possibile, come stavano facendo mol
ti ebrei loro concittadini che si erano procurati i visti di ingresso per la Palestina, gli Stati Uni
ti e per alcuni stati dell’America meridionale.
Tuttavia nessuno volle ascoltarla, e il marito si limitò ad accettare, dopo la Conferenza di Mo
naco e la cessione dei Sudati a Hitler, di trasfe
rirsi definitivamente a Merano.
Ad avvicinare le memorie di Lotti a quelle di Foa non è però solo la consapevolezza del peri
colo, ma anche la grande determinazione nel- l’affrontare le difficoltà. Questo atteggiamento emerge dalle pagine in cui ella racconta dell’ar
resto del marito a Merano come ebreo straniero (1939) e del trasferimento suo, del marito e del bambino ancora molto piccolo al confino a La- gonegro (in provincia di Potenza). Lotti non si arrende mai: come Foa in carcere, lei al confi
no affronta, ogni giorno, la sua lotta contro la miseria, le malattie del bambino, la fame, i ri
schi, con fermezza, senza rassegnazióne o sot
tomissione.
La combattività di Lotti Goliger-Steinhaus e di Foa è sostenuta dal fatto che essi non si sen
tono, o non vogliono essere, assimilati: l’una perché straniera, l’altro perché antifascista. Ciò conferisce alla lotta che essi sostengono ogni giorno per la sopravvivenza un carattere parti
colare e spiega anche perché essi riescano a ve
dere meglio e in anticipo i pericoli dell’antise
mitismo rispetto alla stragrande maggioranza de
gli ebrei italiani che, “arrivati impreparati e di
sarmati al 1938, convinti che in Italia non vi fos
se antisemitismo”, come scrive Amos Luzzatto,
“vogliono solo essere rassicurati e rifiutano co
me profeti di malaugurio quelli che li richiama
no alle altre realtà europee11.
11 Amos Luzzatto,Autocoscienza e identità ebraica, inStoriad’Italia, Annali 11, Gliebrei in Italia, Torino, Einaudi, 1977,p. 1839.
12 II diario di Vittorio Pisa è pubblicato in E. Collotti (a cura di), Razzae fascismo. La persecuzione contro gliebreiin Toscana (1938-1943), cit., voi.Il, Documenti, pp. 134-145.
13 E.Collotti(a cura di), Razza e fascismo.La persecuzione contro gli ebrei inToscana (1938-1943), cit.,voi. Il, Do
cumenti,p. 134.
14 E.Collotti(a cura di),Razzaefascismo. Lapersecuzionecontrogliebrei in Toscana (1938-1943), cit., voi. Il, Do cumenti, pp. 135-136.
Un posto particolare tra gli autori delle me
morie da noi considerate è occupato anche da
Vittorio Pisa, nato a Firenze nel 1906, laureato in legge e piccolo proprietario terriero, ebreo vi
cino alla propria religione ma anche fascista per conformismo. Nel breve diario, tenuto tra l’a
gosto del 1938 e il dicembre 193912, egli espri
me sin dalle prime righe l’angoscia provocata in lui dalle leggi razziali e, per definire la situa
zione che queste hanno determinato, usa il vo
cabolo “tragedia”. Nella prima pagina, datata 20 agosto 1938, annota: “mi sembra l’aria impre
gnata di veleno, sprizzante dai giornali, ormai battenti la gran cassa dell’argomento prediletto:
ebrei”13. Più oltre si chiede come sia possibile sperare nel futuro, guardare all’avvenire: “Que
st’ultimo [l’avvenire] non lo si vede più. È tra
gedia”. Alcuni giorni più tardi, il 24 agosto, Vit
torio Pisa sembra voler spiegare il senso dram
matico delle pagine iniziali e scrive: “Non è vi
vere né morire: più il tempo passa, più si sente come è stata dolorosa la mazzata che, a tradi
mento, nella peggior malafede, si è voluta, in modo proditorio, infliggere”14. Certo, tutti i provvedimenti razziali presi dal fascismo in quei mesi sono, per Pisa, egualmente gravi, ma ciò che più lo colpisce è la separazione che si è vo
luta creare tra cittadini italiani. Tutte le pagine successive sottolineano infatti l’angoscia di un italiano che, perché ebreo, non è più considera-^
to come gli altri, anche se, come tutti gli altri, continua a sentirsi legato al proprio paese, alla sua cultura e alla sua storia.
Il diario di Pisa presenta, accanto alle analo
gie con gli altri scritti (incredulità, riprovazione per l’offesa recata dai provvedimenti antisemi
ti alla dignità e al sentimento di italianità dei cit
tadini ebrei), un alto livello di consapevolezza.
Innanzitutto circa i fini e gli inevitabili effetti della campagna di stampa attuata dal fascismo.
Pisa non è solo un lettore particolarmente dili
gente, che segue con attenzione gli articoli sul
la razza, gli attacchi e le offese agli ebrei che provocano in lui come negli altri autori disagio, turbamento e dolore. L’avvocato Pisa si rende conto in modo preciso e senza illusioni che la campagna di stampa, che ha preceduto e ora af
fianca la normativa del governo, è estremamen
te pericolosa perché influirà sulle opinioni de
gù italiani: certo non trasformerà tutta la popo
lazione in nemici degli ebrei ma in tanti lascerà un segno. In data 31 agosto, riferendosi a un bra
no sul concetto di razza, tratto dalla “Rassegna intemazionale di documentazione”, commenta:
“Così è accaduto, che a tramite di tali falsi as
sunti (falsi i razzisti e il razzismo) [...] è come venuto a calare un bandone di separazione per cui ci si sente a disagio, non tanto per il presen
te, in cui ancora l’opinione pubblica non è cor
rosa, ma per il pensiero di ciò che sarà, quando direttive, stampa c metodi di regime avranno get
tato tanto odio e tanta mala fede, sì da arroven
tare e mettere a fuoco”15. Pochi giorni dopo, il 5 settembre, registra: “Oggi, considerate la scon
cezza delle notizie propagate dai giornali, sem
pre in mala fede e sempre in atteggiamento schifoso, ho ritenuto opportuno di sospenderne la lettura”16. Tuttavia, la censura imposta a se stesso (la lettura dei giornali ora è limitata alle sole notizie ufficiali) purtroppo non lo induce ad affrontare quello che definisce “l’enormità del
lo sfacelo morale, collettivamente impresso a noi di razza ebrea”17. Egli sente gravare addos
so a sé e alla sua famiglia (la moglie e una bim
ba di pochi anni) un peso enorme e ne è piena
mente consapevole. Il 25 ottobre annota: “È ne
cessario farsi forza. Mettere in pratica il pen
15 E. Collotti(a cura di), Razzaefascismo. La persecuzionecontro gli ebreiin Toscana (1938-1943),cit., voi. II, Docu menti, p. 136.
16 E.Collotti (a curadi),Razzaefascismo. La persecuzionecontro gli ebreiin Toscana(1938-1943), cit., voi. Il, Docu menti, p. 137.
17E.Collotti (a cura di),Razzaefascismo. La persecuzionecontro gli ebreiin Toscana (1938-1943), cit., voi. H, Docu menti, p. 137.
18E.Collotti (a curadi),Razzae fascismo. La persecuzione contro gli ebreiin Toscana (1938-1943), cit.,voi. II, Docu menti, p. 139.
19 E. Collotti (acura di), Razza e fascismo. Lapersecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943),cit., voi. II, Docu menti, p. 139.
siero di dover vivere ora (sessanta minuti) per ora (altri sessanta minuti). È giuocoforza far co
sì”18. Ma questa osservazione è propria di chi è disperato e, come Pisa ripetutamente scrive, di chi “vegeta, non vive”.
Ma la consapevolezza di Pisa riguarda anche la situazione generale degli ebrei, da lui giudi
cata già drammatica nel 1938-1939 mentre mol
ti altri suoi correligionari ancora si illudono che qualcosa possa cambiare in meglio. Tutte le pa
gine scritte da Pisa smentiscono coloro che han
no affermato e affermano che le leggi razziali del fascismo sono state “leggere” e, in fondo, al
meno negli anni 1938-1943, non hanno cam
biato molto la vita quotidiana degli ebrei. Egli, sottolineando il vuoto delle proprie giornate e la depressione che tormenta il suo animo, il 26 gen
naio 1939 scrive: “Vegetare è il mio: non vive
re. Perdere gli anni migliori: non acquistare.
Constatare la propria deficienza a organizzare:
non potere avere speranze. E queste ultime non ci possono più essere quando all’ostracismo del
la convivenza sociale, ci si deve racchiudere in sé medesimi e avere di fronte a sé la cupa, fo
sca degradante compagnia, che speranze mai darà, che viene detta rassegnazione”. E, poco più avanti : “Ecco il 1939. Non più italiani se non mussoliniani, non più uomini, per somma di
sgrazia. Perché l’uomo non deve vegetare, de
ve vivere e vivere non è questo”19.
La drammaticità delle frasi sopra riportate è anche il segno della sofferenza di Pisa non solo come ebreo ma anche come fascista. Il suo es
sere “fascista” non sparisce da un giorno all’al
tro: egli continua a credere in quell’ideale, seb
bene in modo contorto, angosciato, illudendosi forse, e nello stesso tempo senza illusioni. È dun
Diari e memorie sulle leggi razziali in Italia
que un gesto di lealtà verso il passato quello che lo induce ad andare a montare la guardia al sa
crario dei caduti fascisti il 17 dicembre 1938, proprio nel momento in cui viene comunicata l’espulsione degli ebrei dal partito: “Ho appreso la notizia in Camicia nera e nello stesso tempo che avevo servito con fede a un’ idea, quale quel
la di sentire l’aura dei vecchi fascisti caduti per un movimento che non è più quello di prima”20.
20E. Collotti (a cura di),Razzae fascismo. Lapersecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943), cit., voi. Il, Do
cumenti, p 139.
21 Cfr.l’introduzione diEnzo Collotti al diario,inE. Collotti(a cura di), Razza efascismo. La persecuzione contro gli ebrei in Toscana (1938-1943), cit., voi.II,Documenti,p. 132-133.
22 E. Collotti (a cura di), Razzaefascismo. La persecuzione contro gli ebreiin Toscana (1938-1943), cit.,voi. II, Do
cumenti, p.141.
23 M.Tagliacozzo, Metà della vita. Ricordi della campagna razziale1938-1944, cit.Il dattiloscrittoèstato presenta to dai figli di MarioTagliacozzo (morto aRoma nel 1979) nel 1997 al concorsoper diari inediti diPieve Santo Stefa no e ha vintoil primopremio alTunanimità.
24 Si vedano in particolare le nove testimonianze di cittadini italianiappartenenti alla comunità ebraica di Roma rac colte in M. Impagliazzo (a cura di). La resistenza silenziosa. Leggirazzialieoccupazionenazistanella memoria de
gli ebrei di Roma, cit.
Collotti dà di questo gesto e anche del fatto che, all’entrata in guerra dell’Italia, Vittorio Pi
sa presenta la domanda per partire volontario, una duplice spiegazione: da una parte tutto ciò costituirebbe “il tentativo di dimostrare al regi
me che la lealtà degli ebrei è superiore anche al
l’oltraggio da essi patito”21; dall’altra, soprat
tutto nella presentazione della domanda di ar
ruolamento, si esprimerebbe il desiderio di Pi
sa, evidentemente ancora vivo nel 1940, di di
mostrare che egli è uguale agli altri cittadini ita
liani e ha gli stessi diritti.
Come altri ebrei fascisti, Pisa aveva forse cre
duto che il regime potesse tornare a quello che egli riteneva fosse stato il fascismo degli anni venti e trenta: un movimento che esprimeva “una maniera ‘fascista’ di vedere l’Italia forte grande libera, potente, antibolscevica, antirazzista, an
tinepotista, tutta propensa alla propria forza in tutto ciò che può essere il bene della Nazione”22.
Di impostazione molto diversa dagli scritti sui quali ci siamo finora soffermati è il diario- memoria di Mario Tagliacozzo, un agente di commercio di condizioni abbastanza agiate che vive a Roma con la moglie e i tre figli. L’opera, dal titolo Metà della vita. Ricordi della campa
gna razziale 1938-1944, che è stata distrutta più volte, per ragioni di sicurezza, e riscritta dal
l’autore in momenti di calma, percorre un lento cammino, dagli ultimi mesi del 1937 ai giorni della liberazione di Roma23. Essa è particolar
mente interessante non solo per la rievocazione degù avvenimenti più significativi della perse
cuzione di quegli anni, ma anche perché l’auto
re riporta con molta attenzione gli stati d’animo suoi e della famiglia di fronte al manifestarsi del- l’antisemitismo e via via all'aggravarsi della si
tuazione. Le reazioni di Tagliacozzo e della mo
glie sono, per questo aspetto, del tutto simili a quelle degli altri autori ebrei di memorie e te
stimonianze24. “Incredulità” è la parola che si ripete nelle pagine relative alla fine del 1937 e nei primi mesi del 1938, in cui l’autore scrive che le voci che circolavano su una possibile pre
sa di posizione antisemita del governo fascista venivano giudicate da lui e dalla moglie “fanta
smi”. Tagliacozzo si sente così ben inserito nel
l’ambiente di lavoro (si occupa da anni di com
mercio di tessuti), gode della fiducia di quanti lo conoscono, ha un ampio giro di amicizie sia a Roma che nelle altre città italiane in cui si re
ca spesso per affari (e sono quasi tutte amicizie e relazioni con cittadini italiani non ebrei), che continua a non credere a un possibile antisemi
tismo italiano. Successivamente però, la pub
blicazione del Manifesto della razza, il censi
mento degli ebrei italiani e stranieri (agosto 1938) e soprattutto la campagna antirazziale del
la stampa, di giorno in giorno sempre più inci
siva, gravano su di lui. Tagliacozzo scrive che, in quell’estate del 1938, leggendo i giornali, gli
sembrava che gli ebrei si fossero macchiati di tutti i delitti possibili. Egli e la sua famiglia si sentono cittadini italiani come gli altri. Per lo
ro, che sono sempre vissuti lontano dall’am
biente della comunità ebraica e dalle cerimonie religiose, il fatto di venir chiamati sprezzante
mente “giudei” è un’offesa e un dolore.
Simile in molti punti a quella di Tagliacozzo è la testimonianza di Susanna Di Lecce25, lau
reata in lettere nel 1938 e insegnante dal marzo 1939 della scuola ebraica di Roma. La profes
soressa Di Lecce, dopo essersi chiesta la ragio
ne di tanto odio e del fatto che la gente e gli in
tellettuali abbiano ceduto senza ribellarsi alle menzogne della razza, commenta: “Quando dal- l’alto si insinua il sospetto e si inizia la perse
cuzione, il ridicolo sembra credibile e l’assurdo diventa possibile. In tanti si convinsero della no
stra colpevolezza. — Se li trattano così dura
mente devono aver commesso qualcosa di tre
mendo — si diceva. Questa frase è stata pensa
ta prima in tedesco, poi in francese, in russo, in italiano e in tante altre lingue europee”26.
25 Cfr. M.Impagliazzo (a cura di), La resistenza silenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nella memoria degli ebrei di Roma,cit.,cap. Vili, Persecuzione eresistenza.
26 M. Impagliazzo (a cura di), La resistenza silenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nellamemoria degli ebrei di Roma, cit., p.98.
27 Fausto Coen, Italiani ed ebrei: comeeravamo. Leleggirazziali del 1938, Genova, Marietti, 1988,pp.31-34.
28 M. Impagliazzo (a cura di), Laresistenza silenziosa. Leggirazziali e occupazione nazista nella memoria degli ebrei di Roma, cit., cap.I, La resistenza del Rabbino.
29 M.Impagliazzo (a curadi),Laresistenza silenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nella memoriadegliebrei di Roma, cit., pp.85-86.
30 M.Impagliazzo (a cura di), Laresistenza silenziosa. Leggirazzialieoccupazione nazista nella memoriadegliebrei di Roma, cit., p.88.
Anche il provvedimento che vieta la fre
quenza della scuola pubblica ai ragazzi ebrei (2 settembre 1938) viene registrato da molte delle memorie considerate con stupore e incredulità.
Tagliacozzo scrive di non aver detto nulla ai fi
gli nei giorni immediatamente successivi alla sua emanazione perché non sapeva come spie
gargliene la ragione.
Tuttavia egli, come molti altri in varie città italiane27, cerca di affrontare la situazione. Rac
conta infatti della sua partecipazione a un “Co
mitato di padri di famiglia” che chiede al presi
dente della Comunità israelitica romana di isti
tuire delle scuole per i ragazzi ebrei e, successi
vamente, scrive che la frequenza dei figli alla stessa scuola avvicina tra loro famiglie che pri
ma non si conoscevano, crea nuovi rapporti e stabilisce elementi di solidarietà. Considerazio
ni quasi analoghe troviamo nella testimonianza di Davide, un giovane romano nato nel 1932, che viveva insieme ai genitori e ai fratelli mag
giori nella zona del Portico d’Ottavia, il ghetto di Roma28, e in quella di Angelo Pipemo, allo
ra allievo del liceo Mamiani sempre di Roma.
Quest’ultimo racconta che le leggi razziali rap
presentarono per lui “un evento incomprensibi
le e inaccettabile la cui ragione [...] [gli] era del tutto estranea”. E aggiunge: “Questa divisione, tra ebrei e non, non aveva alcun senso per me, e tanto meno per i miei amici [...] il fatto di es
sere ebreo, cosa cui non avevo mai dato troppo peso, diventava improvvisamente l’abisso inva
licabile che mi separava dai normali, dai puri, dagli ariani”29.
Pipemo ricorda poi l’apertura, il 28 novem
bre 1938, della scuola della Comunità ebraica di Roma. Egli, oltre a sottolineare l’alto livello della scuola—essa aveva quattro indirizzi: gin
nasio-liceo classico, istituto tecnico inferiore e superiore, magistrali, avviamento professiona
le e vi insegnavano, tra gli altri docenti, molti dei professori ebrei espulsi dall’università —, precisa che la sua apertura “anzitutto fu la resi
stenza pacifica e dignitosa della comunità ebrai
ca alla profonda ingiustizia della persecuzione antisemita”30. Essa inoltre — osserva Pipemo, come già aveva fatto Tagliacozzo —, “permise a molte famiglie che erano isolate e non fre
quentavano la sinagoga, di sentirsi membri di
Diari e memorie sulle leggi razziali in Italia
una “comunità minoritaria”. Gli ebrei si ritro
varono “uniti dal disprezzo di cui [...] [erano]
vittime e fu proprio questo ad accrescere il [...]
[loro] senso di identità, di appartenenza ad un popolo”. Così egli conclude: “quanto meno, la solidarietà nella cattiva sorte ci avvicinava”31.
31 M. Impagliazzo (acura di), La resistenza silenziosa.Leggirazziali e occupazione nazista nella memoria degli ebrei di Roma, cit., p.93.
32 M. Sarfatti,Gli ebrei negli anni del fascismo: vicende, identità, persecuzione, cit.,pp.1720-1721.
33 Primo Levi, Isommersi ei salvati, Torino,Einaudi, 1986, pp. 133-134.
Avvenne allora anche un altro fatto impor
tante, registrato sia dal diario di Tagliacozzo sia da altre memorie: rincontro tra gli ebrei italia
ni e quelli stranieri. Gli ebrei stranieri non era
no tanto quelli giunti in Italia negli anni venti o all’ inizio degli anni trenta, ormai ben inseriti nel
la vita cittadina, quanto quelli provenienti dal
l’Europa centrale e dalla Germania, in condi
zioni economiche ben diverse: molti di loro era
no poveri poiché avevano lasciato tutti i loro be
ni nella patria d’origine e vivevano in Italia con l’aiuto della Comunità. I nuovi arrivati raccon
tano delle persecuzioni antisemite in atto ma, anche se ascoltano le loro testimonianze, gli ebrei italiani sembrano non capirli. Questi ulti
mi si sentono molto diversi dai primi non solo perché parlano un’altra lingua, hanno altri co
stumi e usanze, ma soprattutto per la loro inte
grazione nella popolazione italiana, per la loro accettazione e attiva partecipazione alle vicen
de della storia d’Italia, dal Risorgimento al fa
scismo. Molti degli ebrei italiani, specialmente quelli che vivono nelle grandi città, sentono par
lare di sinagoghe bruciate, di distruzioni di ca
se e negozi, di arresti e di continue violazioni dei diritti civili, ma è come se tutto ciò avve
nisse in un mondo lontano, non in stati europei.
Essi rispondono agli ospiti stranieri e a se stes
si che avvenimenti simili in Italia non possono succedere, che loro si sentono e sono italiani quanto gli “ariani”. Anche Tagliacozzo ripete nel suo diario queste affermazioni. Tuttavia, su con
siglio di amici che intendono espatriare, sia pu
re con poca convinzione, prepara il passaporto.
Michele Sarfatti scrive che, anche se per il fa
scismo “la soluzione definitiva della questione antiebraica era rappresentata dall’eliminazione degli ebrei dalla penisola”, coloro che emigra
rono fra il 1938 e il 1941 furono soltanto circa 6.000 sui circa 45.000 iscritti alle Comunità e circa 3.000 sui 36.000-37.000 ebrei italiani. Ep
pure — nota Sarfatti — “la grande maggioran
za degli ebrei italiani era in grado di abbando
nare per sempre l’Italia”32.
Per spiegare il tipo di considerazioni e di sen
timenti che impedivano agli ebrei di optare per l’emigrazione, Sarfatti riporta le parole con cui efficacemente li ha descritti Primo Levi:
Questo villaggio, ocittà,oregione, o nazione, è il mio, ci sono nato, ci dormonoi miei avi. Ne parlo la lingua, ne hoadottatoi costumi e la cultura; a questa cultura ho forseanchecontribuito. Ne hopagato itributi,ne ho osservato le leggi. Ho combattuto lesue battaglie, senza curarmi se fosserogiuste o ingiuste: homessoa rischio la miavita per i suoiconfini,alcuni mieiami ci eparenti giacciononei cimiteri di guerra, io stesso, inossequio allaretorica corrente, mi sonodichiarato disposto a morire per la patria. Non la voglio né la pos so lasciare:se morrò, morrò “in patria”, saràil mio mo dodimorire “per la patria”33.
Le frasi di Levi effettivamente si potrebbero tro
vare scritte in quasi tutte le memorie che stiamo esaminando. In più, per gli ebrei romani, c’è il legame con Roma, ci sono le loro tradizioni e il loro linguaggio che si intrecciano, da quasi due
mila anni, con le vicende, il dialetto e le tradi
zioni della capitale. D’altra parte, per Primo Le
vi, è la stessa domanda “perché gli ebrei non so
no fuggiti?” che va messa in discussione:
Domandarsi e domandare il perché è ancora unavol
ta il segnodiuna concezionestereotipa ed anacroni sticadellastoria: più semplicemente di una diffusa ignoranzae dimenticanza, che tende ad aumentare con l’allontanarsi deifatti nel tempo. L’Europa del 1930- 1940 non era l’Europa odierna. Emigrare èdoloroso
270
sempre,allora era anchepiùdifficilee piùcostoso di quantonon siaoggi. Per farlo, occorrevanon solo mol
to denaro, ma anche una “testadiponte”nelpaese di destinazione, parentied amici disposti a daregaranzie e anche ospitalità34. [... ] L’ “estero”, perl’enorme mag
gioranza della popolazione, era uno scenario lontano e vago, soprattutto per la classemedia,menoassillata dalbisogno. Di fronte alla minacciahitlerianala mas
simaparte degli ebrei indigeni, in Italia, in Francia, in Polonia, nella stessaGermania, preferì rimanere in quellache essi sentivano come la loro “patria”, con motivazioni ampiamente comuni, eanche se con sfu maturediverse da luogoaluogo35.
34P. Levi,I sommersi ei salvati, cit., p. 132.
35 P. Levi,I sommersi e i salvati, cit., p. 133.
M.Impagliazzo (a cura di), Laresistenzasilenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nella memoria degli ebrei diRoma, cit., cap. V,Leleggi razziali.
M. Impagliazzo (a cura di), Laresistenza silenziosa. Leggi razziali e occupazione nazista nella memoriadegliebrei diRoma, cit., p.68.
M.Sarfatti, Gliebrei negli anni del fascismo: vicende,identità, persecuzione, cit., p. 1728.
Quanto scrive Levi è confermato dal diario di Tagliacozzo, il quale, riflettendo sulla possibi
lità di emigrare, si chiede: quali opportunità di lavoro troverò all’estero? Come posso trasferi
re la famiglia e soprattutto come posso esporre mia moglie e i miei ragazzi a un futuro così in
certo? Il fratello, che ha fatto un viaggio in Fran
cia e in Inghilterra, gli ha parlato dell’esistenza di notevoli difficoltà a trovare lavoro; per que
sti motivi, e anche perché la situazione italiana nel 1939 sembra stabilizzata, l’idea della par
tenza viene da lui accantonata. Poi, dopo i nuo
vi provvedimenti contro gli ebrei della fine del 1939, egli toma a pensare di lasciare l’Italia e, nel 1940, presenta una domanda di emigrazio
ne verso gli Stati Uniti, cercando di tener segreta questa decisione perché c’era chi cercava di ap
profittare della situazione per rilevare a prezzi molto bassi le ditte di proprietà di ebrei.
Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, e fino al 1943, le condizioni di vita degli ebrei sono si
mili aquelle di tutti gli altri italiani : tesseramento dei generi alimentari, privazioni e restrizioni do
vute allo stato di guerra, bombardamenti. Ta
gliacozzo, riferendosi agli anni compresi tra il 1942 e il primo semestre del 1943, osserva che per lui e i familiari la questione razziale passa
quasi in secondo ordine rispetto alla gravità del
la situazione determinata dalle vicende della guerra.
Però, se Tagliacozzo continua ad avere di
screte possibilità di svolgere il suo lavoro, per altri i divieti legati alle leggi razziali costitui
scono la rovina. Così ci presenta la situazione la testimonianza di Alberto36, nato a Roma, la cui famiglia numerosa traeva il necessario per vi
vere dall’attività del padre, venditore ambulan
te. Alberto ricorda così quanto successe dopo il 1938: “Come una pioggia micidiale e violenta centinaia di disposizioni antisemite investirono la nostra vita in tutte le sue pieghe più nascoste.
Tutta la nostra esistenza era ormai regolata da leggi, decreti e circolari riservate che ci confi
navano in uno spazio sempre più ridotto, limi
tando tutti i nostri movimenti fino a soffocar
ci”37. Al padre fu ritirata la licenza di venditore ambulante e dovette arrangiarsi in qualche mo
do per mantenere la famiglia.
Scrive a questo proposito Sarfatti:
Tra gli italiani,lapuntadi massima miseria si verificò probabilmente aRoma, dovela sola revoca del 1940 delle autorizzazioni al commercio ambulante colpì nu merose centinaia di“capi-famiglia delpopolino, tutti con moltissimi figliedaltre personea carico”. In ter
minigenerali, la persecuzionecomportò un decisoim poverimento mediodel gruppoebraiconelsuo insie me e un forteimpoverimentodi ampi strati diesso; oc
corre tener presente che a questo fenomeno finì col contribuire la stessaopera di assistenza agliebrei bi
sognosi,sostenuta largamente daquellifacoltosi e per il momento meno colpiti dallepersecuzioni38.
I quarantacinque giorni del governo Badoglio sono giorni di speranza per tutti gli ebrei. Ta
gliacozzo spera che, con la caduta di Mussoli
ni, gli ebrei torneranno a essere liberi, uguali agli altri. Tuttavia, il tempo passa e i giornali tac
ciono sull’argomento razziale. Qualche piccolo segno induce a sperare: “Il Tevere” è stato sop
presso; alcuni commissariati di Roma hanno re
stituito le radio sequestrate agli ebrei (anche se lui non è tra i fortunati). Però, per Tagliacozzo, la possibilità di continuare a lavorare è comple
tamente svanita a causa dei bombardamenti del
le città del Nord e di Roma.
Si giunge così al settembre 1943, una data impressa, insieme a quelle del 1938, nei ricor
di, nei diari, nelle memorie degli ebrei italiani.
Per tutti essa segna una svolta fondamentale nel
la persecuzione antisemita.
A proposito del rilievo dato a questa data dal
la memorialistica e delle differenze tra i due pe
riodi della persecuzione antisemita in Italia (1938-1943 e 1943-1945) di cui essa rappresen
terebbe uno spartiacque, Enzo Collotti scrive:
[Nel] primodecennio posteriore alla liberazione, quan
do il ricordo degli orrori delladeportazione e dei cam pidi sterminio era assolutamente predominante e an cora incombente,nel ricordo dei testimoni e protago
nisti si poteva leggere una cesuramoltonettatra ciò che era accadutoprimadell’8 settembre1943 e il pe
riodo posteriore all’ armistizio [...]. Soltanto in uname
morialistica più recentee quindi legataaduna rivita- lizzazione dellasensibilità rispettoagli eventidel193 8 [...], ifattidel 1938 sonostati rivissuti per lospesso
re che ebbe laferita infertaal principio dell'eguaglianza dei cittadiniindipendentementedalla valutazione di ciò che sarebbe successo dopo l’armistizio del 194339.
39Enzo Collotti, Il razzismo negato,“Italia contemporanea”, 1998, n. 212,pp. 578-579.
40E. Collotti, Il razzismonegato, cit., p.579,nota 7,
41 DavidBidussa, Il mito del bravo italiano. Persistenze, caratteri evizi diun paese antico/modemo, dalle leggi raz ziali all’italiano del Duemila, Milano, IlSaggiatore,1994, p. 64.
42 Liliana Picciotto Fargion, Il libro della memoria,Milano, Mursia, 1994, p. 160.
43 D. Bidussa, Ilmitodelbravoitaliano. Persistenze, caratteri evizi di un paese antico/modemo,dalleleggi razziali all’italiano delDuemila cit., p.64.
Tra le opere di memorialistica che non sottoli
neano o sottolineano meno questa “cesura”, Col
lotti annovera il diario di Tagliacozzo40. Anche le nove testimonianze raccolte da Impagliazzo a Roma risentono di questa “cesura”, ma tutti i loro autori, in modo più o meno esplicito, rivi
vono il periodo tra il 1938 e il 1943 come un pe
riodo di umiliazione, di dolore, che si rinnova
va ogni giorno di fronte al saluto negato da ex amici “ariani”, alla perdita del lavoro, all’e
spulsione dei figli dalle scuole, al sequestro de
gli apparecchi radio che tenevano compagnia di giorno e di sera, quando per il coprifuoco non si poteva uscire, al divieto di tenere biciclette. Tut
tavia, se nel ricordare a distanza di anni la per
secuzione antisemita in Italia, nessuna di queste testimonianze sottovaluta le leggi razziali fasci
ste, del periodo successivo all’armistizio si ri
corda il terrore: terrore vissuto ogni giorno per la propria vita e per quella dei familiari, terrore che il rifugio faticosamente trovato venga sco
perto, terrore di trovarsi soli di fronte a innu
merevoli possibili nemici.
Scrive David Bidussa:
In Italia, dunque il passaggio da unasituazione di li
bertà vigilata [quella delleleggi del 1938] aunadiraz zia indiscriminata non avviene ex abrupto ma ha luo
go, comunque, senza soluzione di continuità41.
Citando poi un’affermazione di Liliana Picciot
to Fargion42, Bidussa aggiunge:
Lasecondaoperazioneèpossibile perché la primaè statagià svolta in modoesaustivo e, comunque, piùche sufficiente. Dopodiché non resta che procedere a un prelevamento per ilqualesi possiedono già tuttii dati [...].L’azionevede coinvolti militi della Rsie funzio
naridi Pubblica Sicurezza in varie occasioni: per esem
pio nella gestione del campo diFessoli.Ilcoinvolgi
mento è costante nelle operazioni di sequestro - più precisamente di rapina -deibeni ebraici ad opera di prefetti e funzionaridiPs in unintrecciounico incui la rapinae la deportazione si configurano come seg menti funzionalmente distinti diun’unica partitura43.
Un attento esame delle memorie da noi esami
nate convalida sia la considerazione di Bidussa circa il passaggio, dalla fase della “persecuzio
ne dei diritti” a quella della “persecuzione del
Lucia Realini
le vite”44, sia la sua considerazione circa la re
sponsabilità degli italiani nell’ attuazione di que
sta seconda fase.
44Michele Sarfatti, 1938. Le leggi contro gliebrei ealcune considerazionisulla normativa persecutoria, in La legi slazione antiebraica in Italia e in Europa, Roma,Camera dei deputati, 1989, pp. 47-48.
D. Bidussa, Il mitodelbravo italiano. Persistenze, caratterie vizi di un paeseantico/modemo, dalleleggi razziali all’italiano del Duemila cit.,pp. 64-65.
In primo luogo, infatti, sebbene quel passag
gio venga registrato come repentino e inaspet
tato in tutte le memorie, in esse è possibile an
che riscontrare la consapevolezza che la perse
cuzione dei diritti colpì non solo le comunità ebraiche ma soprattutto i singoli individui. Al
cuni autori poi, e direi specialmente Pisa e Ta
gliacozzo, sono coscienti che le leggi razziali, che li hanno resi non cittadini, possono facil
mente aprire la strada a forme di persecuzione ben più violente. Tagliacozzo lo scrive ripetuta- mente nel suo diario: nei giorni in cui prepara la fuga da Roma si rende perfettamente conto che il censimento degli ebrei (1938) e quei ripetuti, precisi elenchi con nomi, indirizzi e numero dei componenti delle famiglie ebree che prefettura, polizia e comuni possiedono, possono diventa
re estremamente pericolosi.
In secondo luogo, se in tutte le memorie le parole “tedesco”, “tedeschi” ritornano in modo martellante, se tutti i racconti sono pervasi dal terrore che suscita la sola vista dei soldati tede
schi, altrettanto presente è la paura quotidiana non solo per la delazione delle spie ma anche per la fredda osservanza delle norme da parte del diligente burocrate del Comune, per l’even
tualità di un controllo dei documenti e delle car
te annonarie fatto da qualsiasi vigile o poliziot
to italiano. Bidussa, a questo proposito, riporta la tabella tratta dal volume di Picciotto Fargion, dalla quale si evince che dei 7.013 arresti di ebrei, 1.898 furono eseguiti da italiani, 2.489 da tede
schi, 312 da italiani e tedeschi e 2.314 si verifi
carono in circostanze ignote e commenta:
In ognicaso, anche volendo insistere su una “scala di responsabilità”[tra italianie tedeschi] - un modo ele
gante di riproporre una “deresponsabilizzazione” -ri
sulterebbe difficile controbattere [... ][a questi] dati45.
Il 14 settembre a Roma si diffonde la notizia che i tedeschi si sono fatti consegnare dalla questu
ra le Uste degù ebrei. Nei giorni successivi mol
te famiglie ebree lasciano la città in cerca di un rifugio più sicuro, in campagna, in montagna, nei paesi del Lazio, dell’Umbria e dell’Abruzzo.
A partire da quel giorno, il diario di Taglia- cozzo e le altre memorie diventano molto simi
li: la narrazione procede da una fuga all’altra, dalla ricerca di un rifugio più sicuro presso ami
ci “ariani”, a volte anche presso sconosciuti, al
la richiesta di ospitalità in chiese e conventi.
Per Tagliacozzo, e per i nove cittadini roma
ni che hanno raccontato le loro vicende in La re
sistenza silenziosa, due sono le date indimenti
cabili di quel fatidico autunno. La prima è quel
la del 26-28 settembre, in cui i tedeschi obbli
garono gli ebrei di Roma a versare in trentasei ore cinquanta chiù d’oro. La raccolta dell’oro non fu importante solo perché tutti coloro che potevano (anche parecchi “ariani”) diedero il lo
ro contributo, ma anche perché questa rapina da parte dei tedeschi fece pensare a molti che non ci sarebbero state altre forme di persecuzione:
tante volte, nei secoli precedenti, a Roma ma an
che in altre città d’Italia e d’Europa, i papi e i diversi sovrani avevano commutato le condan
ne a morte degli ebrei in pene pecuniarie, mol
to più utili per l’erario. La seconda è quella del 16 ottobre quando, con l’arresto di più di mille cittadini romani, caddero del tutto le illusioni di coloro che avevano sperato che l’oro acconten
tasse i tedeschi. Qualcuno era già lontano da Ro
ma, come Tagliacozzo, che, informato degù ar
resti, scrive nel diario che anche questi fatti co
sì terribili sono da aggiungere al numero degli avvenimenti possibili; gli altri autori delle nove memorie o erano già nascosti in qualche parte della città o sfuggirono “per caso” all’arresto.
Il 10 e 11 ottobre 1943 i quotidiani scrissero che tutte le normative antiebraiche abrogate do
po il 25 luglio erano state ripristinate e annun
ciarono nuove disposizioni. Un mese dopo, il 14 novembre, il punto 7 del “manifesto program
matico” approvato a Verona nella prima assem
blea del nuovo Partito fascista repubblicano sta
bilì: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. Il 30 novembre 1943 il mi
nistro dell’interno dispose l’arresto e l’interna
mento di tutti gli ebrei; il sequestro di “tutti i lo
ro beni mobili ed immobili” (che sarebbero sta
ti successivamente confiscati); l’adozione di una
“speciale vigilanza” di polizia nei confronti di quei figli di matrimoni misti che nel quinquen
nio precedente erano stati classificati di “razza ariana”. Il 4 gennaio 1944 un decreto legislati
vo di Mussolini ingiunse ai capi delle province di confiscare “immediatamente” tutti i beni di qualsiasi natura delle persone di “razza ebrai
ca”46. Infine, un provvedimento del capo della polizia del 28 gennaio 1944 stabilì che i prefet
ti dovevano sciogliere le comunità ebraiche e se
questrare i loro beni47.
46 M.Sarfatti, Gli ebrei negliannidel fascismo: vicende, identità, persecuzione, cit., pp. 1743-45.
47M.Sarfatti, Gli ebrei negliannidel fascismo: vicende, identità, persecuzione, cit., p. 1747.
48 Le memorie del secondo grupposonole seguenti: V. Nathan, Roma 1943-1945.Una famiglia nella tempesta, cit.;
C. Rimini, Una carta in più, cit.; A. Cavaglion, Pervia invisibile, cit.;F.Giannetti,Le vocidal campo. La memoria salvata, cit.; R. Loy,Laparola ebreo,cit.
49 Introduzionea V. Nathan,Roma 1943-1945. Una famiglia nellatempesta, cit., p. 37.
I timori e i disagi degli ebrei divennero sem
pre maggiori. Tagliacozzo e la sua famiglia, che pure erano riusciti a rifugiarsi in un paese sui monti del Lazio, non si sentono più sicuri: mol
ti in paese conoscono il loro cognome e quindi bisogna temere qualche denuncia. L’insegnante che aveva cominciato a dare lezione ai ragazzi è impaurita e non li accetta più nella sua casa.
Tagliacozzo non sa dove fuggire e scrive che lui e la famiglia sono quasi rassegnati alla loro sor
te perché sembra impossibile lottare, da soli, contro tanto accanimento. Viene presa allora la decisione di tornare a Roma dove è più facile nascondersi che in un piccolo paese in cui tutti si conoscono. Tornano quindi in città ma la fa
miglia si divide: i ragazzi sono nascosti in un collegio, la moglie e la bambina presso amici,
l’autore in un convento. In tal modo, alle ango
sce quotidiane si aggiungono le preoccupazioni per i familiari di cui è difficilissimo avere noti
zia. Trascorrono così i primi mesi del 1944, fi
no al 5 giugno, il giorno dell’arrivo degli Allea
ti. Per Tagliacozzo la liberazione di Roma si
gnifica la gioia di essere come gli altri, di poter gridare alto il proprio nome, di uscire per le stra
de senza paura.
Passando ora alle memorie del secondo gruppo, è possibile individuare, tra gli elementi fonda
mentali, prima di tutto la volontà di ricordare a figli e nipoti — che non fi hanno vissuti — gli avvenimenti degli anni compresi tra il 1938 e il 1945, facendo in modo che i familiari, in parti
colare i discendenti, ritrovino le proprie radici e, infine, dare testimonianza della vita di quegli anni48.
In Roma 1943-1945, l’autrice, Virginia Nathan, a distanza di anni, racconta le vicende della sua famiglia, anglo-romana, e le proprie riflessioni su quel periodo. Nell’introduzione, Maria Immacolata Macioti, che ne ha curato l’e
dizione, scrive che queste memorie hanno
accanto auna funzioneautobiografica,unafunzione storica.L’autrice non se l’è propostoma lesue pagine gettanoluce su uno specifico ceto sociale [l’alta bor
ghesia], testimoniano di esso e di un ’epoca ormai scom
parsa, danno indicazioni su come si è vissutoa Roma, neglianni della persecuzione ebraica, essendoebrei:
esia pure ebrei importanti49.
L’autrice nelle prime pagine presenta breve
mente la storia della sua famiglia partendo dal
la bisnonna Sara Levi Nathan, fervente mazzi
niana, che aveva ospitato a Londra Mazzini e che si era successivamente trasferita in Italia. Si sofferma poi su Ernesto, figlio di Sara, sindaco
di Roma nel 1907, e sui propri genitori, trasfe
ritisi a Roma da Londra nel 1934: Joe, il padre, è rappresentante della Banca d’Italia a Londra;
la madre, Peggy, appartiene a una ricca famiglia australiana. Nonostante i loro legami con l’In
ghilterra, i Nathan sono cittadini italiani dalla seconda metà dell’ottocento, ben inseriti nella società della capitale ma anche con legami, non solo di parentela, con l’Inghilterra.
Della situazione che si stava creando in Ita
lia, stando alle sue memorie, Virginia sembra si sia accorta solo nel novembre del 1938, quando sentì alla radio l’annuncio di una nuova serie di provvedimenti contro gli ebrei. Vero è che ella aveva allora solo tredici anni, ma viene sponta
neo chiedersi come mai né le sorelle maggiori né i genitori, colti e informati, le avessero mai detto nulla di quanto si stava preparando già da circa un paio d’anni50. Pochi giorni dopo suo pa
dre ricevette una lettera di licenziamento dalla Banca d’Italia. Fu un colpo terribile: “dato il no
me di famiglia e la sua posizione [Joe Nathan]
non avrebbe mai pensato di potersi trovare, lui e la sua famiglia, coinvolto in una persecuzio
ne: soprattutto da parte degli italiani”51. Quindi anche per questa famiglia dell ’ alta borghesia ro
mana le leggi razziali del 1938 furono un even
to inaspettato, a cui nemmeno Joe Nathan cre
deva si sarebbe giunti. Per lui, che aveva rice
vuto varie offerte di lavoro dagli Stati Uniti e dall’America del Sud, fu molto meno difficile che per altri decidere, nel dicembre 1938, di tra
sferirsi all’estero con la famiglia, organizzare la partenza e imbarcarsi da Napoli per Melbourne, dove intendeva lasciare la moglie e le figlie. Tut
50 La campagnadi stampa contro gli ebrei cominciò a diffondersi giàdal1936 su giornali dipartito come “IlRegime fascista”di Farinacci; la primamanifestazione antisemita inItalia si tennea Ferrara, nel giugno del 1936. La pubbli cazione dellibro diPaolo Orano, Gli ebreiin Italia, avvenne nell’aprile del 1937. Relativamente a quegli anni, DeFe licescrive:“Nell’aprile 1937 la campagna antisemita ripreseimpetuosa. Si può dire cheda questo momentosinoalla caduta delfascismo il 25luglio e oltre,sinoall’aprile del1945 quando fu spazzato via l’ultimoresiduo del fascismo stesso, essa non ebbe più sosta”; cfr. Renzo DeFelice Storia degli ebrei italianisotto il fascismo,Torino,Einaudi, 1993, p. 212 e pp.204-214.
51 V.Nathan, Roma 1943-1945. Una famiglia nella tempesta,cit., p. 48.
52 V. Nathan, Roma1943-1945. Unafamiglia nella tempesta, cit.,p.49, nota 9.Del ritorno in Italiadei Nathan Susan Zuccotti {L'Olocausto in Italia, Milano, Tea,1995,p. 22)dà una versione diversa:Joe Nathan, che lavoravanegliSta ti Uniti, alla fine del 1939- quando stava perscoppiare la guerra- avrebbe decisodi tornare inItalia con lafamiglia per nostalgia dellaterradei suoi antenati.
tavia, pochi mesi dopo, nell’aprile del 1939, egli tornò in Italia, così scrive la figlia, per sistema
re i suoi affari52. Qui egli ebbe un grave inci
dente e fu in pericolo di vita. La moglie e le fi
glie, avvertite, ritornarono a Roma. Due setti
mane dopo vennero ritirati a tutti gli ebrei i pas
saporti: anche i Nathan si trovarono così pri
gionieri in Italia.
Degli anni 1940-19431’autrice ricorda in par
ticolare due avvenimenti: all’entrata in guerra dell’Italia, il padre, temendo delle rappresaglie contro gli ebrei, portò tutta la famiglia in un pae
se sui monti Rufini, da dove però in novembre i Nathan si ritrasferirono nella loro villa di Ti
voli; nel 1943 venne sequestrato da parte delle autorità militari il piano superiore della loro vil
la. In questa occasione l’autrice e una delle so
relle vennero rimandate a Roma. Riferendosi a quel periodo, Virginia scrive che, nonostante tut
to, lei e le sorelle si accorsero poco delle condi
zioni di vita che la guerra imponeva a tanti ita
liani e delle privazioni a cui erano sottoposti gli ebrei. L’autrice racconta che raramente il padre e la madre parlarono con le figlie della situa
zione politica negli anni 1938-1943; riconosce inoltre che lei e le sorelle erano state delle pri
vilegiate, in quanto, per la posizione sociale del padre, non avevano subito le privazioni e le umi
liazioni che invece avevano colpito i loro coe
tanei ebrei. Probabilmente per queste ragioni Virginia, quando nel settembre 1943 con la sua famiglia dovette fuggire da Roma precipitosa
mente perché il nome di Joe Nathan era tra i pri
mi nella lista degli ebrei che i tedeschi ricerca
vano, visse questo brusco passaggio da una re
lativa quiete alla fuga in modo ancora più dram
matico di altri.
Confrontando le pagine delle memorie di Vir
ginia con quelle scritte da altri autori da noi pre
si in esame, emerge un elemento rilevante: Vir
ginia, posta di fronte alle stesse esperienze de
gli altri — fughe, ricerche di nascondigli, sepa
razione dai familiari, mancanza di punti di rife
rimento, convivenza con persone ostili e infide
— si rivela ancor più indifesa, forse per aver go
duto, negli anni precedenti, di un’adolescenza molto protetta. Eppure anche Virginia, nei du
rissimi mesi del 1944 trascorsi a Roma, dovet
te servirsi di tutte le sue capacità per sopravvi
vere. Anche lei dimostrò di avere “coraggio, de
terminazione, flessibilità e ingegnosità”, le do
ti indispensabili che permisero ad alcuni ebrei, che non si erano accorti a tempo debito del pe
ricolo che incombeva su di loro, di affrontare la difficilissima situazione. Scrive a questo propo
sito Susan Zuccotti:
la flessibilità li aiutava aresisteresenza un rifugio per manente,a passare di casa in casa a volte senza cono scere i nomi di coloro cui affidavano lapropriavita. E l’ingegnositàforniva leidee:dove andare, dichi fi darsi, quale travestimento usare, qualirispostedareai sospettosi. Naturalmentenonc’eranogaranzieperché, oltre atuttele altre qualità per sopravvivere, erane cessaria una fortunaquasiincredibile. Perquanto i lo ro pianifossero perfetti, dovevanoevitarei continui controlli, sottrarsi alla curiosità dei vicini, eludere le spie e i delatori. Vivevano giorno per giorno, con una tensione quasi intollerabile. Ma con l’aiuto della for tuna riuscirono asopravvivere53.
53 S. Zuccotti,L’Olocaustoin Italia, cit.,pp.238-239.
54 Cfr. C. Rimini, Unacarta in più, cit.
55 C. Rimini, Una carta in più, cit., pp.85-86.
Anche i Nathan sopravvissero, nonostante la de
lazione che aveva perduto il padre.
Diversamente da quelli di Virginia si com
portarono invece i genitori di Cesare Rimini, autore di Una carta in più54, anch’egli nel 1938 un ragazzino, figlio di una famiglia della bor
ghesia benestante di Mantova. Rimini ricorda
che, in seguito all’emanazione delle leggi raz
ziali, mentre uno zio, avvocato a Milano, scel
se di emigrare in Brasile, suo padre decise di
versamente. Poiché i ragazzi Rimini (Cesare e le sue due sorelle) erano figli di matrimonio mi
sto (padre ebreo, madre cattolica), un parroco di Mantova, che aveva manifestato la sua di
sapprovazione per la persecuzione antisemita, quando uscì una circolare che stabiliva una cer
ta data perché fosse ritenuto valido il battesimo dei figli di matrimonio misto, propose al padre di battezzarne i figli falsificando la data, oppu
re di fare per loro dei certificati di battesimo falsi.
Il padre di Cesare, pur ritenendo il battesimo una specie di tradimento nei confronti dei pa
renti ebrei che non avevano simile opportunità, volle che i figli fossero battezzati per salva
guardarli da eventuali pericoli.
Cesare Rimini, a differenza di Virginia Nathan, ricorda che a lui e alle sue sorelle i genitori, in quegli anni, non nascosero mai nulla. I ragazzi Rimini partecipavano totalmente alla vita dei grandi, conoscevano i problemi e i rischi che la famiglia doveva affrontare e i motivi delle de
cisioni prese. “Ci sono delle date — scrive Ce
sare — che hanno avuto riflessi sulla vita di tut
ti, tutti hanno perso qualcosa, anche solo una parte di giovinezza, ma noi bambini le abbiamo vissute come una cronaca di famiglia”55.
Anche Tagliacozzo aveva sempre ritenuto op
portuno tenere informati i suoi figli della situa
zione in cui si trovavano, sia quando i ragazzi passarono dalla scuola pubblica a quella ebrai
ca, sia di fronte all’estendersi dei divieti impo
sti agli ebrei, sia — nel 1943-1944 — di fronte ai pericoli di ogni giorno.
Ciò che accomuna gli scritti di Cesare Rimi
ni e di Virginia Nathan è invece la sottovaluta
zione della persecuzione fascista degli anni 1938-1943. Sulle leggi razziali Cesare Rimini