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Qualche riflessione sulla giusta causa di licenziamento

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Qualche riflessione sulla giusta causa di licenziamento

Autore: Ettore Pietro Silva | 08/01/2015

Quando espulsione dal posto di lavoro, senza preavviso, si giustifica per il grave comportamento posto in essere dal dipendente: i chiarimenti.

Nel panorama lavorativo italiano pressoché tutti sanno, in linea di massima, cosa sia un licenziamento per giusta causa; ma, forse, non tutti ne conoscono i molteplici risvolti ed i vari aspetti, che sono piuttosto complessi e di non facile applicazione pratica. Proviamo a fornire alcune sintetiche osservazioni.

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Secondo la normativa italiana in vigore, affinché un licenziamento sia legittimo, il datore di lavoro deve giustificare la sua decisione. Esistono due tipi fondamentali di motivazioni che consentono di licenziare un lavoratore: le motivazioni riferibili al lavoratore (soggettive) e quelle inerenti l’andamento aziendale (oggettive).

Le motivazioni di natura soggettiva sono fondamentalmente due:

– la giusta causa

– il giustificato motivo (meno grave).

La legge non determina il significato concreto di giusta causa: infatti il codice civile [1] si limita a definire genericamente come giusta causa di licenziamento quella che non consente la prosecuzione anche provvisoria del rapporto, vale a dire neppure il periodo di preavviso. In altre parole, il licenziamento per giusta causa scatta quando si verifica una circostanza così grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno temporanea, del rapporto lavorativo.

Cercando aiuto nella giurisprudenza, in generale, la giusta causa di licenziamento è qualcosa che deve essere contestata e provata sempre in concreto e mai in astratto. In altre parole deve essere riferita o riconducibile a uno o più fatti o comportamenti del lavoratore.

Questi fatti o comportamenti che, in ipotesi, il lavoratore avrebbe posto in essere, devono essere connotati da una gravità tale da compromettere irrimediabilmente ed immediatamente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Il rapporto fiduciario, si ricorda, è un elemento fondamentale e caratteristico di tutti i rapporti di lavoro, pur nelle varie gradazioni e sfumature che

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le differenti prestazioni lavorative comportano.

Si sottolinea ancora che la violazione del vincolo fiduciario deve essere verificata in base alle circostanze del caso concreto, ossia considerando, fra l’altro, la qualità del rapporto intercorso fra le parti, la posizione rivestita dal lavoratore, l’intensità dell’elemento intenzionale e il grado di fiducia caratterizzante lo specifico rapporto.

Come è evidente, si fa riferimento sempre al concetto di concretezza (la valutazione del datore non deve essere ipotetica o astratta) unitamente a quello di immediatezza cioè a dire che i fatti o i comportamenti del lavoratore devono essere tali da provocare la rottura del rapporto fiduciario sin da subito e non in maniera differita nel tempo.

In altre parole, se un lavoratore commette un fatto grave, gli deve essere contestato subito e deve essere subito evidenziata la conseguente rottura del vincolo fiduciario. Lo stesso fatto, segnalato invece dopo molte settimane o mesi, perde completamente la propria efficacia e se utilizzato per giustificare un licenziamento comporta la illegittimità del licenziamento con tutte le conseguenze del caso (reintegra e risarcimento del danno).

Se effettuato nei tempi e nei modi corretti, il datore di lavoro può recedere dal contratto subito, senza l’obbligo di dare il preavviso, né l’indennità di mancato preavviso. Come detto, si tratta di casi così gravi da provocare l’interruzione immediata del rapporto di lavoro (licenziamento in tronco).

Insieme ai concetti generali di cui sopra, derivanti dalla legge e dalla giurisprudenza, generalmente i contratti collettivi (CCNL) prevedono determinati fatti specifici che legittimano il licenziamento senza preavviso.

A titolo meramente esemplificativo (ma ve ne sono anche altri), possono costituire motivo di licenziamento per giusta causa:

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– il rifiuto ingiustificato e reiterato di eseguire la prestazione lavorativa/insubordinazione;

– il rifiuto a riprendere il lavoro dopo visita medica che ha constatato l’insussistenza di una malattia;

– il lavoro prestato a favore di terzi durante il periodo di malattia, se tale attività pregiudica la pronta guarigione e il ritorno al lavoro;

– la sottrazione di beni aziendali nell’esercizio delle proprie mansioni (specie se fiduciarie);

– la condotta extralavorativa penalmente rilevante ed idonea a far venir meno il vincolo fiduciario (es. rapina commessa da dipendente bancario);

– risse nei luoghi di lavoro o violenze verso gli altri lavoratori;

Questi gravissimi inadempimenti assumono la caratteristica di “inadempimenti contrattuali” proprio perché inseriti nei vari C.C.N.L., devono essere contestati formalmente come violazioni disciplinari dello Statuto dei Lavoratori [2] e anch’essi devono provocare e determinare il venir meno della fiducia posta alla base del rapporto di lavoro per poter determinare un licenziamento.

In conclusione e in base a tutto quanto sopra, il consiglio è quello di essere molto prudenti in caso si decida di effettuare un licenziamento per giusta causa. A meno che i fatti o le circostanze siano eclatanti e di facile documentazione, il licenziamento deve essere in grado di passare l’eventuale giudizio di un Tribunale del Lavoro.

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Il Giudice, infatti, dovrà valutare in concreto la violazione dell’elemento fiduciario, più che lo specifico inadempimento del lavoratore, e non è infrequente che la sua valutazione circa i fatti e le circostanze che costituiscono i presupposti del licenziamento siano differenti da quelli del datore di lavoro, dato che il livello di discrezionalità, in questi casi, è molto alto.

Note

[1] Art. 2119 cod. civ. [2] L. n. 300 del 20.05.1970 art. 7. Autore immagine: 123rf com

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