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LA RESPONSABILITÀ CIVILE, AMBIENTALE E PENALE

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Academic year: 2022

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L

A RESPONSABILITÀ CIVILE

,

AMBIENTALE E PENALE

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La disciplina della responsabilità ambientale è molto cambiata nel corso degli anni, anche grazie – se non soprattutto – alla normativa comunitaria.

Lo stesso testo originario della nostra Costituzione non conteneva l’espressione “ambiente”: furono la Corte di Cassazione e la Corte Costituzionale ad individuare l’ambiente come “bene immateriale unitario” ed a proclamare l’esistenza del diritto soggettivo a godere di un ambiente salubre in base al combinato disposto degli artt. 2, 3 e 32 Cost.

L’evidente difficoltà di individuare l’ambiente come bene oggetto di tutela aveva come inevitabile conseguenza il problema di definire un criterio attraverso il quale offrire tutela allo stesso.

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Il primo criterio individuato dal nostro Legislatore aveva una chiara natura risarcitoria: l’art. 18 della Legge 8 luglio 1986 n. 349, istitutiva del Ministero per l’Ambiente, in attuazione del principio “chi inquina paga”, prevedeva che

“Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l'ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l'autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato.

Per la materia di cui al precedente comma 1 la giurisdizione appartiene al giudice ordinario, ferma quella della Corte dei conti, di cui all'articolo 22 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3.

L'azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo...”.

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In realtà nulla impediva una tutela risarcitoria sulla base dei principi previsti dall’art. 2043 c.c. e 2058 c.c. in favore dello Stato allorché fossero state violate norme specifiche poste a tutela della salubrità del territorio.

Il quadro normativo cambia radicalmente con la DIR 2004/35/CE, la quale in tema di responsabilità ambientale, riprendendo il principio “chi inquina paga”, individua tre diverse fattispecie di danno all’ambiente, ovvero:

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1. danno alle specie e agli habitat naturali protetti, cioè danno che produce effetti negativi sul raggiungimento o sul mantenimento di uno stato di conservazione favorevole di tali specie e habitat;

2. danno alle acque;

3. danno al terreno, cioè qualsiasi contaminazione del terreno che crei un rischio significativo per la salute umana a seguito dell’introduzione, diretta o indiretta nel suolo, o nel sottosuolo, di sostanze, preparati, organismi o microorganismi.

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L’art. 7 della DIR 2004/35/CE, nel determinare le misure di riparazione, individuò 3 differenti criteri:

riparazione primaria, con cui si tenta di riportare le risorse e i servizi danneggiati alle condizioni originali;

• se nonostante ciò le risorse e i servizi danneggiati non tornano alle condizioni originarie, si opta per una “riparazione complementare” con cui si cerca, anche in sito diverso da quello danneggiato, di ottenere un livello di risorse e servizi analogo a quello precedente il danno;

Intervento “compensativo”, che si concretizza in qualsiasi intervento volto a compensare la perdita temporanea di risorse e servizi naturali scompensati dal danno, fino a quando la riparazione primaria non abbia prodotto un effetto completo.

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Con D.lgs. del 3 aprile 2006 (TU Ambiente) il Legislatore, abrogando l’intera normativa del danno ambientale prevista dall’art. 18 legge 349/1986, ha interamente recepito la direttiva 2004/35/CE.

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Fra le principali previsioni meritano di essere ricordate:

• L’introduzione di una definizione del danno ambientale (“qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima” – art. 300 comma 1);

L’introduzione del principio di “precauzione”, con la possibilità, per il Ministero dell’Ambiente, di porre in essere le azioni necessarie per la prevenzione di un danno ambientale non ancora verificatosi, ma di cui vi sia una minaccia imminente (art.

304);

• La previsione di una procedura amministrativa per l’individuazione delle necessarie misure di ripristino allorché si sia verificato un danno ambientale (art. 305 – 308);

• La previsione di un’azione risarcitoria in forma specifica e per equivalente patrimoniale in favore del Ministero dell’Ambiente per le ipotesi previste dall’art. 311 n. 2, ovverosia ….

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“Quando si verifica un danno ambientale cagionato dagli operatori le cui attività sono elencate nell'allegato 5 alla presente parte sesta, gli stessi sono obbligati all'adozione delle misure di riparazione di cui all'allegato 3 alla medesima parte sesta secondo i criteri ivi previsti, da effettuare entro il termine congruo di cui all'articolo 314, comma 2, del presente decreto. Ai medesimi obblighi è tenuto chiunque altro cagioni un danno ambientale con dolo o colpa. Solo quando l'adozione delle misure di riparazione anzidette risulti in tutto o in parte omessa, o comunque realizzata in modo incompleto o difforme dai termini e modalità prescritti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare determina i costi delle attività necessarie a conseguirne la completa e corretta attuazione e agisce nei confronti del soggetto obbligato per ottenere il pagamento delle somme corrispondenti”

(Art.311 comma 2 TU dell’Ambiente).

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L’art. 311 comma 3 TU dell’Ambiente definisce l’obbligazione risarcitoria in forma specifica come “parziaria”:

“Nei casi di concorso nello stesso evento di danno, ciascuno risponde nei limiti della propria responsabilità personale. Il relativo debito si trasmette, secondo le leggi vigenti, agli eredi nei limiti del loro effettivo arricchimento”.

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Le disposizioni del TU Ambiente non attuavano tuttavia in modo pieno i principi della Direttiva 2004/35/CE sicché, con ben due interventi legislativi, il Legislatore è dovuto intervenire prima con Dl del 25 settembre 2009 n. 135 precisando che il danno all’ambiente doveva essere risarcito secondo i principi indicati dalla direttiva europea di riparazione “primaria”, “complementare” e “compensativa”.

Successivamente, con legge 6 agosto 2013 n. 97, che ha previsto all’art.

25 l’eliminazione nel Testo Unico di qualsiasi riferimento al risarcimento “per equivalente”, rendendo quindi esclusive per il danno all’ambiente le sole misure di riparazione.

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Che differenza c’è fra risarcimento per equivalente e risarcimento in forma specifica?

Art. 2058 c.c. “Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore”.

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Accanto al principio di riparazione coesiste comunque il tradizionale criterio risarcitorio nei confronti di soggetti terzi che abbiano conseguito un danno ingiusto in conseguenza di un danno ambientale:

vi è dunque una responsabilità concorrente, sia di tipo ambientale (secondo i principi enunciati precedentemente), sia di tipo tradizionale.

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Vi è poi una responsabilità di tipo amministrativo prevista dalla parte quarta - Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati → Titolo V - Bonifica di siti contaminati, il quale, all’art. 239 – Principi e campo di applicazione, prevede:

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1. Il presente titolo disciplina gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati e definisce le procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie per l'eliminazione delle sorgenti dell'inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti, in armonia con i principi e le norme comunitari, con particolare riferimento al principio "chi inquina paga".

2. Ferma restando la disciplina dettata dal titolo I della parte quarta del presente decreto, le disposizioni del presente titolo non si applicano:

a) all'abbandono dei rifiuti disciplinato dalla parte quarta del presente decreto. In tal caso qualora, a seguito della rimozione, avvio a recupero, smaltimento dei rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato, si accerti il superamento dei valori di attenzione, si dovrà procedere alla caratterizzazione dell'area ai fini degli eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale da effettuare ai sensi del presente titolo;

b) agli interventi di bonifica disciplinati da leggi speciali, se non nei limiti di quanto espressamente richiamato dalle medesime o di quanto dalle stesse non disciplinato.

3. Gli interventi di bonifica e ripristino ambientale per le aree caratterizzate da inquinamento diffuso sono disciplinati dalle regioni con appositi piani, fatte salve le competenze e le procedure previste per i siti oggetto di bonifica di interesse nazionale e comunque nel rispetto dei criteri generali di cui al presente titolo”. (Art.239 TU dell’Ambiente)

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Anche i costi di natura amministrativa rispondono alla natura riparatoria di cui alla Direttiva 2004/35/CE.

(17)

Accanto alla responsabilità amministrativa, ambientale e civile vi è anche una responsabilità penale.

La legge di riforma degli Eco-delitti del 22 maggio 2015 n. 68 ha riscritto la responsabilità penale in tema di ambiente, in aggiunta alle disposizioni a suo tempo previste con il D.lgs. 231/2001. Tale legge ha introdotto il Titolo VI bis del libro Secondo del Codice Penale: “Dei delitti contro l’ambiente”.

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(18)

Accanto ad una serie di ipotesi di reato aventi natura contravvenzionale, definite mediante il riferimento a valori tabellari, viene individuata la fattispecie dell’art. 452 bis c.p.

(fortemente criticata dalla dottrina penalista per talune espressioni poco coerenti con il principio di tassatività previsto dall’art. 25 Cost.), che testualmente recita:

“È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:

1) delle acque o dell'aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;

2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.

Quando l'inquinamento è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”. (Art. 452 bis c.p.)

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La norma intende punire l’inquinamento ambientale e con esso condotte che, pur senza avere cagionato un evento catastrofico tale da mettere in pericolo un numero indeterminato di persone, si rivelino comunque gravemente lesive del bene ambiente.

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Il secondo reato introdotto è quello previsto dall’art.452 quater, il quale prevede che:

“Fuori dai casi previsti dall'articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente:

1) l'alterazione irreversibile dell'equilibrio di un ecosistema;

2) l'alterazione dell'equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali;

3) l'offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l'estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.

Quando il disastro è prodotto in un'area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”.

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Alla luce di questa disciplina, così sommariamente descritta, in che modo è possibile gestire il rischio ambientale?

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