• Non ci sono risultati.

GEOGRAFIA POLITICA CONFLITTI ETNICI E NASCITA DI NUOVI STATI

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "GEOGRAFIA POLITICA CONFLITTI ETNICI E NASCITA DI NUOVI STATI"

Copied!
5
0
0

Testo completo

(1)

C

ONFLITTIETNICIENASCITADINUOVISTATI

La fine della "guerra fredda" ha segnato definitivamente il tramonto del bipolarismo (USA-URSS) che per 40 anni aveva condizionato la politica mondiale e ha favorito il riemergere di conflitti e tensioni che risalivano ai primi anni del '900.

I primi anni '90 hanno visto l'instaurarsi di un ordine internazionale unipolare come effetto del collasso sovietico e della vittoria della coalizione internazionale guidata dagli USA nella seconda guerra del golfo (contro l'Iraq di Saddam Hussein che aveva invaso il Kuwait).

Le conseguenze più immediate sono state il trionfo degli ideali di liberaldemocrazia e l'aumento di fiducia nelle organizzazioni internazionali (giudicate antidoto più adatto contro le guerre e le oppressioni).

A questa prima fase ne ha fatto seguito un'altra caratterizzata da un certo pessimismo generato dai processi di frammentazione su larga scala che hanno investito gli Stati afflitti da rivendicazioni etnico-nazionali.

Una terza fase alla fine degli anni '90 si è caratterizzata per la crescente incertezza della gerarchia del sistema internazionale, a causa della redistribuzione del

GEOGRAFIA POLITICA

(2)

potere globale tra nuove grande potenze emergenti (Cina, India, Brasile) e riemergenti (Russia).

La quarta ed ultima fase contrassegnata dalle tensioni prodotte dagli eventi dell'11 settembre 2001 (attacco terroristico con l'abbattimento delle due torri a New York), ha visto gli USA adottare una politica estera fortemente unilateralista per fronteggiare le nuove emergenze globali ma, contemporaneamente, il ritorno a un sistema internazionale gestito da un "concerto delle grandi potenze", in grado di limitare gli eccessi di potenza del colosso statunitense.

La mappa geopolitica del sistema internazionale che si è delineata nei primi anni del 2000 è dunque caratterizzata da una geografia del potere in continua trasformazione aperta a esiti in gran parte imprevedibili e stretta fra due spinte (all'integrazione del sistema internazionale e alla sua disintegrazione) ugualmente forti ma antitetiche.

Possiamo senza dubbio affermare che la fine della guerra fredda ha segnato l'avvio per una forte ripresa di frammentazione politica e territoriale che ha portato alla nascita di nuovi stati-nazione e, quindi, ad una nuova parata di sovranità territoriale.

Il crollo dell'Impero Sovietico determinò l'inizio di questa nuova ondata di frammentazione con lo sfaldamento di numerose composizioni multietniche del sistema internazionale.

L'aumento più considerevole nel numero di Stati si è verificato proprio dove il bipolarismo aveva assicurato per quarant'anni un ordine internazionale intoccabile:

l'Europa e lo spazio euroasiatico.

Il tramonto dell'URSS ha dato origine a 15 nuovi stati (Russia, Estonia, Lettonia, Lituania, Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Georgia, Armenia, Azerbaigian, Uzbekistan, Kazakistan, Tagikistan, Turkmenistan, Kirghizistan), dalle ceneri della Federazione Iugoslava sono sorti sei nuovi stati (Serbia, Montenegro, Slovenia, Croazia, Bosnia- Erzegovina, Macedonia), mentre il contestuale scioglimento della Cecoslovacchia ha visto nascere due nuovi stati (Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca).

La frammentazione della Russia Sovietica e, a cascata, dei sottosistemi dell'Asia centrale e del Caucaso, della Federazione Iugoslava, del sistema mediorientale (quest'ultimo iniziato già durante l'ultima fase della guerra fredda, con la guerra civile in Libano), insieme al collasso di interi sistemi regionali africani postcoloniali (Sierra Leone, Somalia, Etiopia, Liberia) e di fascia del Subcontinente indiano, ha aperto un nuovo ciclo di politica internazionale, con protagonisti nuovi e molto diversi tra loro.

(3)

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO – Geopolitica della conflittualità etnica: il diritto delle genti e il ritorno di forme imperiali

Con la fine della guerra fredda, il prepotente ritorno del fattore etnico sulla scena internazionale ha coinciso con lo sfaldamento di alcuni dei più importanti stati multietnici del globo (Unione Sovietica e Federazione Iugoslava). Da quel momento le spinte alla frammentazione si sono moltiplicate in tutti i paesi (esclusi forse solo Islanda e Giappone che tendono alla monoetnicità); richieste di autonomia o di indipendenza si sono materializzate in ogni angolo del globo, perfino in stati nazionali del mondo occidentale che si consideravano - in quanto liberaldemocratici e «moderni» - al riparo dall'anelito sciovinistico delle minoranze. In Canada non si sono attenuate le richieste indipendentistiche del Québec, mentre sempre più pressanti sono quelle dei quasi 4 milioni di bretoni francesi; i maori neozelandesi sono riusciti, dopo anni di lotte, a ottenere una particolare tutela legislativa e 7 seggi in parlamento; il popolo sámi, che nel 1989 aveva eletto il primo parlamento lappone in Norvegia, dispone oggi di propri rappresentanti anche in Svezia e Finlandia; il movimento separatista dei berberi d'Algeria, di base nella regione settentrionale della Cabilia, prosegue la sua lotta per

(4)

l'autonomia di un popolo che conta oltre 6 milioni di individui; rivendicano la propria autonomia anche gli sciiti del Libano, maggioranza numerica nel paese ma ancora privi di un potere corrispondente al loro peso demografico; sono sempre più violenti gli scontri nella regione di Mindanao (Filippine) tra le truppe governative e quelle dei ribelli musulmani. Esempi come questi ben testimoniano la diffusione capillare, su scala globale, del revanscismo etnico.

I casi di rivendicazioni etnica dagli effetti più dirompenti per la stabilità regionale e internazionale sono stati quelli a base territoriale (perché è più facile l'eventuale opzione secessionistica) e quelli con dispersione etnica «a mosaico» (per es.

i Balcani): in entrambi i casi, la comunità internazionale ha visto nell'intervento di forze multinazionali l'unico rimedio per evitare la destabilizzazione di interi sistemi regionali e genocidi su larga scala, salvo poi rendersi conto del rischio di guerre interregionali fra stati limitrofi causate dagli interessi di carattere etnico, economico ed energetico. Come accadde ai tempi della decolonizzazione, anche dopo il 1989 i gruppi etnici in lotta non si sono accontentati della semplice autonomia amministrativa ma hanno puntato all'indipendenza .politica attratti dalla possibilità di entrare a far parte del prestigioso

«club degli stati». Le soluzioni istituzionali tentate in un primo tempo dagli stati nazionali per venir incontro a queste richieste - assetti pseudo-federali o devoluzioni di vario tipo - non hanno avuto altro effetto, agli occhi dei gruppi etnici in lotta, che quello di far emergere il timore degli stati nazionali di un tracollo politico-territoriale. Da quel momento, la vulnerabilità di ogni stato nazionale è diventata cronica e totale la diffidenza dello stato verso le richieste delle proprie minoranze. Prima vittima illustre di questa situazione è stato il principio di autodeterminazione dei popoli, sottoposto al controllo sovrano delle potenze incaricate di ordinare gli assetti regionali. L'11 settembre è, in qualche modo, venuto in soccorso degli stati nazionali, dal momento che gli attentati al cuore di Manhattan hanno convinto le etnie in lotta per l'indipendenza ad abbandonare - almeno temporaneamente - l'uso di strategie di tipo terroristico, per paura di vedere la propria causa identificata con quella del terrorismo islamico (è il caso dell'IRA nordirlandese e dell'ETA basca). Gli attentati al WTC hanno avuto anche un'altra conseguenza: gli stati nazionali hanno visto nel ritorno a logiche imperiali l'antidoto contro ulteriori spinte alla frammentazione. A Washington, l'amministrazione neoconservatrice ha cominciato a guardare all'impero britannico, capace, nel XIX secolo, di creare e gestire un dominio coloniale di 400 milioni di persone con un esercito di funzionari ridottissimo, come a un modello per il proprio «impero» in fase di

(5)

costruzione. Per evitare il collasso di stati polietnici o per controllare aree strategiche (militarmente o energeticamente), la nuova linea neoimperiale di Washington punta, quando possibile, a installare proprie basi militari nel paese in questione (Caucaso, Asia centrale, Corno d'Africa), ad avviare massicci programmi di finanziamento dei governi per sanare i conti pubblici e costruire infrastrutture (paesi africani), a rifornire di materiale bellico o ad addestrare le forze armate per permettere al potere costituito di mantenere l'ordine interno e scoraggiare vicini minacciosi. II neoimperialismo americano, travestito da assistenza economica, militare o umanitaria, mira a consolidare la propria rete di punti di appoggio strategici nel sistema internazionale per impedire la frammentazione su larga scala degli stati multietnici a rischio di collasso (potenziali serbatoi di terroristi), ma anche per accerchiare le grandi potenze in ascesa (Cina, India e Russia), impedendo loro di divenire attori globali.

Riferimenti

Documenti correlati

I sette paesi vengono poi descritti sinteticamente ad uno ad uno attraverso la ricostruzione della storia più recente (prevalentemente degli ultimi 50 anni), la

2 shows the distribution for low momentum π − from 6 Li targets, before acceptance correction; the spectrum is fitted in the 120–140 MeV/c momentum range continuous black curve with

Il primo articolo – Elena Rova, «Usi funerari nel Caucaso Meridiona- le nell’Età del Bronzo Antico: il caso di Shida Kartli (Georgia)» – trae spunto dai risultati della

A seguito dei risultati ottenuti nelle prime campagne, si è deciso di focalizzare le ricerche sul distretto di Kareli e in particolare su Aradetis Orgora, uno dei siti

Il percorso tracciato dai testi evidenzia una volta ancora l’interesse di Ca’ Foscari per l’altra sponda dell’Adriatico, quella parte orientale della costa e il suo entroterra

Questi elementi – la ricerca di uno status internazionale come potenza regionale e profondamente immersa nelle norme legalitarie della società internazionale, la relazione col

The basin of the Aral Sea includes the territories of the five former Central Asian Soviet Socialist Republics (SSRs), Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan,

Armenia, Caucaso e Asia Centrale, 163-208 Колония Михайловская возникла в 1861 году на окраине города Владикавказа и называлась Владикавказская.. Но в 1867 она была