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Capitolo 3.

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Capitolo 3. Wilderness e nature writing

Una volta tentata una definizione generale di wilderness, si forniranno alcune coordinate generali sul nature writing. In seguito, si vedrà in che modo e in che misura sia possibile per l’opera prima di Dillon Wallace, The Lure of the Labrador Wild (1905), trovare un posto in questo panorama immenso, sia in prospettiva meramente letteraria sia culturale. Nel capitolo successivo, si analizzerà l’importanza della wilderness nella formazione del pensiero americano.

3.1. Come nasce il concetto di wilderness

Storicamente, uomo e natura hanno iniziato a essere due entità distinte solo a partire dal momento in cui il primo si è distaccato dalla seconda. Attraverso lo sviluppo di tecniche che gli permisero di sfruttare al meglio fauna e flora, l’essere umano ha abbandonato la condizione di cacciatore-raccoglitore ed è passato a quella di allevatore e agricoltore. Ben presto, tutto quel che poteva ricadeva sotto il suo controllo fu considerato “selvaggio”. La wilderness come concetto si è dunque sviluppato in parallelo e in opposizione all’evolversi della civiltà. I popoli nomadi o i popoli che ancora si sostentano grazie alla caccia e alla raccolta non hanno maturato un concetto proprio di wilderness, poiché non hanno diviso la natura in “addomesticata” e in “selvaggia”. La vita di queste popolazioni, per quanto regolata da gerarchie sociali e organizzata secondo principi, è impensabile se non in comunione con l’ambiente naturale che li circonda.

I nostri antenati erano costretti a vivere in territori che oggi definiamo “selvaggi”; il controllo degli elementi della natura, come il fuoco, l’addomesticamento di animali selvaggi, tutte tappe fondamentali di ciò che chiamiamo “civiltà”, gradualmente allontanarono l’uomo dalla condizione di primitivo e lo spinsero verso quella di individuo civilizzato. Man mano che tale distanziamento avveniva, la vita disgiunta dalla civiltà e dai suoi valori divenne anche elemento di paura, tanto che

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spesso si associava al mostruoso ogni territorio che sfuggiva al controllo del’uomo. Di fatto, per secoli, l’interesse per la natura si è limitato all’agricoltura1, strumento dell’evoluzione dell’essere umano.

Già gli antichi opponevano cultura e natura. Aristotele sosteneva che la natura avesse un’organizzazione piramidale, e che l’uomo si collocasse al vertice più alto, essendo in grado di ottenere il massimo rendimento da tutto quanto si trovava ai gradi inferiori.

Wilderness è il termine che, nel corso del tempo, si è imposto per designare l’essenza della natura selvaggia e incontaminata dalla mano dell’uomo. Si tratta di un sostantivo derivato dall’alto-tedesco e norreno wildēor (da wilđ, “selvaggio”, “incontrollato” e dēor, “animale”, “bestia”, quindi creature che non si trovano sotto il controllo dell’uomo). Venne impiegato già nel Beowulf (VIII secolo) per indicare animali fantastici e misteriosi. Da wildēor deriva wilder e, da questi, wilderness, che venne a significare “il luogo degli animali selvaggi”. Lo stesso aggettivo wild pare aver avuto origine da will, “volontà”, da cui deriva willful, “determinato”, ovvero sia “non controllabile”.

Con l’avvento della religione cristiana e del suo sistema di credenze, il termine passò a designare, nella tradizione comune europea, luoghi della terra isolati, non coltivati e non abitati dall’uomo in quanto colmi di difficoltà e pericoli, ritenuti addirittura la dimora prediletta di Satana e dei suoi spiriti; il lemma amplia dunque il suo arco semantico e diviene l’allegoria della perdizione dell’uomo, uscito o allontanatosi per un certo motivo dalla civiltà. L’esempio più celebre di questo nuovo uso del termine si riscontra con ogni probabilità nella versione inglese della Bibbia (1382, basata sulla Vulgata di San Girolamo) ad opera di John Wycliffe (1331-1384), che con wilderness denota le ampie distese desertiche del Medio Oriente incontrate dai cristiani e dagli ebrei. Sono moltissime le occorrenze riscontrate sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento, e il termine viene di fatto utilizzato anche come sinonimo di desert. Al di là dell’episteme religiosa, giungiamo alla definizione offerta dai moderni dizionari: “a wild and uncultivated region, as of forest or desert, uninhabited or inhabited only by wild animals”2

, praticamente invariata da oltre due secoli a questa parte.

1

R. Nash, in Wilderness and the American Mind, New Haven (Conn.), Yale University Press, 1982, p. 9.

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23 3.1.1 Definizione preliminare di wilderness

Indagare più approfonditamente gli aspetti specifici della wilderness è però un compito arduo. Quanto deve essere esteso un territorio per poter essere definito “incontaminato”? Sono ammesse tracce di civilizzazione? Se sì, in che misura e, soprattutto, di che tipo? In che modo dobbiamo rapportarci alle popolazioni primitive? Domande come queste sono potenzialmente infinite, e tali da rendere impossibile che gli studiosi siano in grado di fornire risposte universalmente accettabili. Anche se fosse possibile stabilire un’estensione territoriale minima, dovremmo comunque tenere in considerazione il diverso impatto che essa avrebbe sul singolo soggetto; conviene quindi attenersi a quanto dice il dizionario, in quanto riesce almeno a rendere l’idea del tipo di territorio.

Da sempre le regioni selvagge, le immense pianure che sbalordiscono, i misteri che esse ospitano e i rischi che vi si possono correre occupano un posto fondamentale nella formazione del pensiero americano. Dalla fine del XV secolo, quando i colonizzatori iniziarono a insediarsi in America del Nord, si trovarono di fronte a paesaggi del genere, in cui non vi erano chiese o palazzi reali, solo qualche wigwam e poco più. Ovviamente non potevano ancora conoscere l’estensione territoriale del continente che stavano per conquistare: erano terre di cui fino a poco prima ignoravano l’esistenza. La nascita e lo sviluppo del concetto di wilderness sono stati favoriti dal territorio vastissimo e morfologicamente molto vario degli Stati Uniti e del Nord America in generale. E l’esplorazione di tali distese costrinse i coloni a vivere a stretto contatto con la natura. L’obiettivo non aveva basi spirituali; il loro intento era la conquista militare e il dominio politico del territorio, in modo da sfruttarne il suolo per scopi agrari, i mari, i numerosi animali da pelliccia. Ma il contatto con la natura, il vivere all’aperto, anche in condizioni climatiche estreme (specialmente nelle zone più a nord), fu inevitabile. Durante la colonizzazione dell’America, o “Nuovo Mondo”, come essa viene tutt’oggi chiamata dagli europei, convinti fino alla fine del XV secolo che il mondo consistesse del solo Vecchio Mondo, il concetto di wilderness era già in qualche misura presente nel pensiero dei conquistatori, la cui cultura era piena di leggende su foreste e animali pericolosi per l’uomo. Eracle, eroe civilizzatore per eccellenza della

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cultura occidentale, combatte non a caso contro belve selvagge e mostruose, mettendo in evidenza il conflitto fra la civiltà e ciò che sta fuori da essa.

Denotativamente, wilderness indica solo una “terra non abitata”. È nel momento in cui viene connotato culturalmente secondo certi criteri che il termine acquisisce significati che, ovviamente, variano col divenire del tempo. In epoca contemporanea la wilderness non viene più percepita come luogo di smarrimento spirituale, come avvenne in epoca cristiana, ma come luogo in cui è possibile una riconciliazione con il mondo. Nel corso dei secoli, grazie anche all’apporto fondamentale da parte del romanticismo, le ampie lande selvagge sono state progressivamente rivalutate, e in seguito apprezzate e percepite non più come luoghi ostili; una delle radici di tale cambiamento è riscontrabile nelle Lyrical Ballads (1798) di William Wordsworth (1770-1850) e Samuel Taylor Coleridge (1772-1834), in cui i due poeti inglesi ipotizzano un ritorno allo stato di natura, che permetterebbe all’uomo, rovinato da secoli di civilizzazione, di condurre una vita autentica e semplice. La natura è dunque riconosciuta come una ricchezza vitale per l’essere umano, come parte dell’espressione interiore.

Sostenere che la wilderness sia tutto ciò che non presenta evidenti tracce antropiche non è forse sbagliato, ma è sicuramente riduttivo. Ciò che il termine comunica non si limita a concetti di tipo spaziale, ma esprime anche la necessità di un rapporto armonico fra ambiente ed essere umano in quanto entità in grado di stabilire con la natura un certo tipo di rapporto, nello specifico un rapporto positivo.

Il motivo per cui si è scelto di utilizzare il termine inglese a discapito di un equivalente italiano non è l’assenza di una corrispondenza. Letteralmente parlando, “natura selvaggia” sarebbe una traduzione perfetta, ma, mentre rende sufficientemente bene l’immagine desertica, non è in grado di coprire altre sfumature lessicali inerenti all’espressione.

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25 3.2 Che cosa si intende con nature writing

A cominciare dagli anni Settanta, l’attenzione prestata al fenomeno letterario riguardante i viaggi nei territori selvaggi ha subito una notevole impennata, fino a divenire un vero e proprio fenomeno di massa, tanto che il nature writing, prima poco studiato, ha iniziato a ritagliarsi il proprio spazio all’interno delle antologie. Il caso più eclatante degli ultimi venticinque anni è forse il successo del libro di Jon Krakauer (1954-) Into the Wild (1996), ottenuto anche grazie all’aiuto del film omonimo da esso tratto, diretto da Sean Penn (1960-) e uscito nel 2007. Ma l’interesse non è limitato a questioni puramente commerciali o di moda; anche in ambito accademico la considerazione per il nature writing è cresciuta molto.

Il genere si lega direttamente al concetto di wilderness e di ambiente in generale, di cui si fa espressione letteraria. Include dunque opere di diverso tipo (narrativa, saggistica, eccetera) che mettono al centro uno o più aspetti della natura, da intendersi nel suo senso più ampio. Proprio in virtù della sua ampiezza, è contro ogni probabilità auspicare che da questa congerie tipologica si possano derivare paradigmi interpretativi coerenti3.

3.2.1 Lo sviluppo del genere

La prima e più importante influenza sul nature writing fu la terra stessa4. Quando gli europei dettero inizio alla colonizzazione dell’America, si trovarono di fronte territori sostanzialmente vergini, selvaggi appunto, che già racchiudevano in sé il concetto di wilderness che verrà sviluppandosi.

Contemporaneamente all’ascesa in termini politici ed economici degli Stati Uniti, la letteratura espressione del paese giunse a rivestire un ruolo centrale nello

3

J. Haines, “The Rise of Nature Writing: America’s Next Great Genre?”, in Manoa, IV, 2, Fall 1992, p. 83.

4

T. J. Lyon, This Incomparable Land: A Book of American Nature Writing, Boston (Mass.), Houghton Mifflin Company, 1989, p. 16.

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sviluppo del nature writing a partire da Walden; or, Life in the Woods (1854) di Henry David Thoreau (1817-1862), che inaugura il tema fortunatissimo della simbiosi fisica e spirituale stabilita dall’uomo americano con la natura. Possiamo considerare questo testo come uno spartiacque nell’evoluzione della rappresentazione della natura: Walden contribuì ad allontanare gli aspetti sinistri che erano stati associati alle foreste e ai boschi. Di lì a poco si diffuse un nuovo sottogenere letterario, il nature writing per l’appunto, entro cui si affiancano alle opere di letterati per professione, come Walt Whitman (1819-1892) e Jack London (1876-1916), i lavori scientifici condotti da teorici del settore come Aldo Leopold (1887-1948) e John Muir (1838-1914).

Verso la fine del XVIII secolo, ovvero quando il romanticismo inizia a spingere l’individuo a vivere appieno la natura, il nature writing acquisisce una certa autonomia. Il movimento e le tipologie discorsive condividono molti valori: l’affermazione del mondo naturale come congeniale all’uomo, lo scetticismo verso il pensiero puramente razionale in quanto non in grado di spiegare il mondo nella sua totalità, il disprezzo per il materialismo, l’amore per ciò che è spontaneo, la predilezione per il semplice e il primitivo5.

3.2.2 Uso della terminologia e classificazione

Nel suo lavoro del 1989, This Incomparable Land: A Book of American Nature Writing, Thomas Jefferson Lyon sostiene che questo tipo di letteratura costituisca un genere molto vasto, a cui egli si riferisce con vari nomi, che usa indistintamente: nature writing, nature literature, literature of nature, outdoor literaure, per quanto lo studioso tenda a servirsi prevalentemente del primo in elenco. Al di là della capacità di un termine di definire il genere meglio di altri, il termine nature writing è sicuramente ampio a sufficienza e, conseguentemente, illustra bene una serie di testi eterogenei, tutti incentrati sulla natura e quasi sempre sul rapporto dell’uomo con essa. Ron Watters,

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invece, predilige outdoor literature6, poiché la scrittura di un testo sulla natura non è possibile senza attività all’aperto. È evidente che quest’ultima espressione è meno funzionale della precedente allo scopo di mettere in evidenza il tema centrale, ovvero la natura stessa; ecco perché optiamo per nature writing.

In senso lato, all’interno di questo sottogenere letterario si distinguono due categorie di testi. Da una parte, si situano gli studi che analizzano l’ambiente naturale e le sue componenti animali e vegetali da un punto di vista meramente scientifico; a tal riguardo esistono lavori nell’ambito della ricerca biologica, zoologica ed ecologica. Dall’altra, invece, esiste una tradizione costituita da saggi, romanzi, raccolte di poesie, racconti, diari di viaggio, oltre a guide turistiche (le quali, però, costituiscono un caso a parte), che indagano, su basi storiche, filosofiche, antropologiche, il rapporto stabilito dall’uomo con la dimensione del “selvaggio”, dell’”impervio”.

Più in dettaglio, è possibile suddividere il nature writing in tre macrocategorie, organizzate in base alla modalità di trasmissione delle informazioni e all’importanza del ruolo giocato dall’uomo e dall’ambiente7. Si vedrà che quanto segue non è uno schema rigido. I due parametri proposti vanno a braccetto: più il libro si incentra su dati, conoscenze di tipo zoologico o botanico, più sarà considerevole il ruolo rivestito dall’ambiente stesso; se, invece, lo stupore dello scrittore di fronte alla bellezza del paesaggio prevale sulla conoscenza geologica, è il punto di vista dell’uomo ad acquisire più rilevanza.

La prima macrocategoria ha a che fare con la conoscenza scientifica pura, per quanto non possa escludere a priori considerazioni personali dello scrittore. Qui rientrano gli studi scientifici con scopi descrittivi, come i manuali, ed è l’ambiente naturale a svolgere il ruolo di protagonista; il lavoro dell’uomo si limita alla sola attività di studio. Tali libri (i saggi in particolar modo) possono essere comunque scritti sia in prima sia in terza persona, segno evidente di una maggiore o minore impronta personale8.

L’aspetto scientifico è fondamentale anche in relazione all’atteggiamento di ognuno verso la natura: il viaggiatore alla ricerca di un rapporto intimo con l’ambiente, magari con la speranza di recuperare così il rapporto con se stesso, non è certamente

6

Cfr. http://www.ronwatters.com/OLNotes1.html, sito a cura di Ron Watters, Professore Emerito presso la Idaho State University (ID).

7

T. J. Lyon, This Incomparable Land: A Book of American Nature Writing, cit., p. 3.

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obbligato a vivere lontano dalla propria abitazione per periodi lunghi e immergersi nella natura impervia. In questo ambito rientra a pieno titolo il ramble9, dove il ruolo dell’uomo e quello della natura si equivalgono. Diffusissima nella letteratura americana, in genere la letteratura d’escursione prevede che l’autore registri una serie di impressioni personali, anche sulla base delle proprie conoscenze scientifiche, più o meno elevate. Ovviamente l’autore non è un mero osservatore, né si limita a raccogliere dati, ma vive con l’ambiente un rapporto attivo. Tutta o quasi l’opera di John Burroughs (1837-1921) rientra in questa macrocategoria10.

L’ultima categoria mette leggermente da parte l’aspetto scientifico, in quanto si caratterizza per un’interpretazione della natura di matrice filosofica. Muir, che studiò i ghiacciai in un periodo in cui la glaciologia era ancora agli esordi, fu anche in grado di distaccarsi dall’approccio scientifico e ne descrisse le attività come manifestazione divina. Da qui i libri che esaltano la vita in mezzo alla natura11. Possono essere interessanti non solo in prospettiva filosofica in senso lato, ma perché toccano questioni più strettamente sociali, come fa Walden. Rientra in questo ambito anche il viaggio come avventura, in cui viene dato risalto ai pericoli a cui si corre incontro, allo sforzo psicofisico, alla solitudine e alla paura con cui occorre confrontarsi, all’obiettivo da raggiungere. Spesso questi testi hanno origine da un contrasto fra civiltà e natura. Lo stesso Thoreau si scaglia contro l’economia alla base della civiltà, da lui considerata ipocrita.

Al di fuori di questa triplice tipologia, troviamo le attività che l’uomo può svolgere nei confronti della natura, con fini di salvaguardia. È fondamentale che l’opera dell’uomo per la salvaguardia e il mantenimento dell’ambiente sia effettuata sulla scorta di competenze geologiche, botaniche, zoologiche. Uno dei libri di maggior rilievo in questo senso è In Defence of Nature (1969) di John Hay (1915-2011)12.

Tornando ai legami col romanticismo, è ora possibile fare un’ulteriore considerazione: mentre alla base del movimento romantico vi è la percezione soggettivistica della natura, nel nature writing è d’importanza quasi sempre vitale la

9

È difficile trovare un equivalente italiano. Letteralmente ramble significa sia “fare un’escursione” sia “vagare”. Un equivalente italiano potrebbe essere “letteratura d’escursione”.

10

T. J. Lyon, This Incomparable Land: A Book of American Nature Writing, cit., pp. 3-5.

11

Ibidem, pp. 3-6.

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conoscenza oggettiva della natura, anche se a volte è possibile ignorarla o usarla in maniera complementare a interpretazioni di tipo diverso.

A dispetto di queste teorie circa la possibilità di osservare il nature writing dall’interno, molti critici giudicano inaccettabile il riconoscimento del genere come autonomo13; John Daniel, pur ammettendo l’esistenza di una tradizione e l’importanza dell’impatto dei vasti territori nord-americani incontaminati sull’immaginario, asserisce che i libri ascrivibili a questo genere non siano in grado di insegnarci sulla natura più di quanto già sappiamo e, soprattutto, non ci diano suggerimenti circa l’atteggiamento da tenere nei suoi confronti14.

3.2.3 Il successo

È indubbio che il processo di urbanizzazione e di meccanizzazione della vita e del paesaggio americani abbia fatto sì che si sviluppasse un certo interesse per quanto concerne l’ambiente; ecco la prima delle tre ragioni che, a detta di John A. Murray15, stanno alla base dell’enorme popolarità raggiunta dal nature writing a partire dagli anni Settanta. Il secondo motivo ha fondamento scientifico: l’ambientalismo, fenomeno sociale e culturale di secondaria importanza fino ai primi anni Ottanta, è stato in poco tempo istituzionalizzato e, quindi, è entrato a far parte della vita politico-culturale. L’ultimo motivo ha a che fare con la letteratura stessa: fin dai primi anni Sessanta, lo sperimentalismo ha spinto la letteratura verso lidi di nicchia, allontanandola dal gusto popolare. Il lettore comune ha dunque voltato le spalle alle elites culturali e ha ritrovato nel nature writing la purezza della poesia e la concretezza della narrativa. Murray, inoltre, auspica che il nature writing sia in grado di fondere e rendere di nuovo fruttuosa la scrittura16.

Le prime due ragioni sono condivisibili e difficilmente opinabili, la terza richiederebbe un discorso a parte, che qui non interessa. Tuttavia esse non esprimono

13

R. Finch, “Being at Two with Nature”, in The Georgia Review, XLV, 1, Spring 1991, p. 100.

14

J. Daniel, “The Rise of Nature Writing: America’s Next Great Genre?”, in, Manoa, cit., pp. 77-78.

15

J. A. Murray, “The Rise of Nature Writing: America’s Next Great Genre?”, in Manoa, cit., pp. 73-74.

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appieno, a nostro avviso, il motivo che ha portato tanti autori a trattate il tema della natura, quasi che prima della modernità si ignorasse il rapporto fra natura ed essere umano, in realtà già radicato in Walden, icona suprema del nature writing americano: “I went to the woods because I wished to live deliberately, to front only the essential facts of life, and see if I could not learn what it had to teach, and not, when I came to die, discover that I had not lived. […] I wanted to live deep and suck out all the marrow of life […]”17.

Quest’affermazione ci permette anche di mettere ancora più a fuoco il concetto stesso di wilderness. Per quanto il libro più famoso di Thoreau sia il resoconto di un rapporto intimo con la natura, egli non si addentrò in un territorio selvaggio, poiché visse in una casa di legno da lui stesso costruita

[…] by the shore of a small pond, about a mile and a half south of the village of Concord and somewhat higher than it, in the midst o fan extensive wood between that town and Lincoln, and about two miles south of […] Concord Battel Ground; but I was so low in the woods that the opposite shore, half a mile off, like the rest, covered with woods, was my most distant horizon18.

Thoreau riesce, però, a manifestare le motivazioni che spingono molte persone a vivere, per periodi più o meno lunghi, a stretto contatto con la natura: non si tratta solo di allontanarsi dal trambusto della vita moderna, che porta l’essere umano a distaccarsi da se stesso, ma proprio del rapporto profondo esistente fra uomo e natura, che non deve essere percepito solo come valore relativo, ma anche e soprattutto in senso assoluto: l’uomo è per natura incline a vivere in mezzo alla natura, anche se ciò può emergere, nel contesto moderno, tramite il confronto, spesso ostile e antitetico, tra essere umano ed ecosistema. La prima delle due citazioni tratte da Walden esprime al meglio questo concetto.

17

H. D. Thoreau, Walden; or, Life in the Woods, in A Week, Walden, The Maine Woods, Cape Cod, New York (NY), Literary Classics of the United States, 1985, p. 394.

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31 3.3 Dillon Wallace e The Lure of the Labrador Wild

Eccoci giunti al momento di rispondere all’esigenza posta all’inizio, ovvero contestualizzare The Lure of the Labrador Wild secondo la tassonomia proposta sul nature writing e analizzare come la wilderness venga presentata nel libro. Iniziamo cercando di identificare il testo dello scrittore di Congers. Partendo dalla classificazione più generale, non si presenta alcun problema, dal momento che il testo non ha contenuti scientifici; basato in buona parte sui diari di Hubbard e dello stesso Wallace, è il resoconto di una spedizione effettuata nel Labrador nel 1903 e non andata a buon fine. Aveva scopi geografici e antropologici che, a causa di una serie di errori di valutazione, non furono raggiunti. Del viaggio attraverso fiumi e laghi, rapide e cascate, ci colpiscono gli sforzi fisici e psicologici che i tre membri dovettero sopportare, non il loro intento di contribuire alla conoscenza geografica del Labrador o arricchire quella sugli indiani Naskaupi.

Passando all’importanza dei ruoli rivestiti dall’elemento umano e da quello ambientale, è a nostro avviso non troppo difficile affermare che si equivalgono. Sono abbondanti le descrizioni (comunque non dettagliatissime) di corsi e masse d’acqua, ecosistemi, condizioni climatiche, eccetera, e i loro effetti, positivi e negativi, sulla spedizione:

The atmosphere was crisp, pure, and exhilarating. The fir trees and shrubs gave out a delicious perfume, and their waving tops seemed to beckon us on. The sky was deep blue, with here and there a feathery cloud gliding lazily over its surface. The bright sunlight made our hearts bound and filled our bodies with vigour, and as we stood there on the edge of the unknown and silent world we had come so far to see, our hopes were high, and one and all were eager for the battle with the wild19.

[…] In great gusts the wind swept down, howling dismally among the trees and driving the sleet into our faces. Still we sat cowering in silence when Hubbard arose, […] and stood with his back to the blaze, apparently deep in thought. Presently, turning slowly towards the lake, he walked down through the intervening brush and stood alone on the sandy shore contemplating the scene before

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him – the dull, lowering skies, the ridges in the distance, the lake in its angry mood protesting against his further advance, the low, wooded land that hid the gate to Michikamau.

Weather-beaten, haggard, gaunt and ragged, he stood there watching; then seemed to be lost completely in thought, forgetful of the wind and weather and dashing spray. Finally he turned about briskly, and, with quick, nervous steps, pushed through the brush to the fire, where George and I were still sitting in silence. Suddenly, and without a word of introduction, he said:

“Boys, what do you say to turning back?” (ibidem, p. 98).

Le due citazioni mettono in evidenza come ambiente e umanità si coniughino, e come il primo influenzi la seconda. La prima citazione rimanda all’inizio dell’esplorazione, nel momento in cui Wallace, Hubbard ed Elson attraversano un piccolo corso d’acqua che permetterà loro di immergersi nei territori incontaminati del Labrador. La seconda si riferisce a uno degli episodi cruciali della spedizione, nella circostanza in cui i tre viaggiatori decidono di tornare indietro, avendo ormai capito di non essere più in grado di proseguire. Fra la landa selvaggia e gli esploratori si viene a creare un certo tipo di rapporto. Nel primo caso, si ha una descrizione indubbiamente positiva dell’ambiente, che dà forza agli esploratori, rendendoli solari, mentre nel secondo esso viene descritto come dotato di una volontà propria che, attraverso le azioni del tempo, comunica all’uomo che oramai è un soggetto indesiderato. Apparentemente negative paiono anche le impressioni di Wallace sull’attraversamento della valle del Susan, di cui scrive:

I was glad to leave the valley of the Susan. Our whole course up the valley had been torturous and disheartening. We had been out fifteen days from Northwest River Post and had covered only eighty miles. Hubbard had been ill, and I had been ill. Always, as we pressed onward, I dreaded the prospect of retracing our steps through the Susan Valley. I hated the valley from end to end. I have more reason to hate it now. To me it is the Valley of the Shadow of Death (ibidem, pp. 43-44).

Nonostante gli inconvenienti, il rapporto con l’ambiente è comunque quasi sempre neutro; anzi, più avanti, il peggioramento delle condizioni climatiche, che rende il cammino ovviamente ancor più difficoltoso, contribuisce al rafforzamento dell’amicizia fra Wallace, Hubbard ed Elson:

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While we were sitting around the fire Hubbard wished me to promise to spend Thanksgiving Day with him that year […] Thanksgiving, he said, must be our reunion day always. No matter what happened, we must always make a special effort to spend that day together in the years to come. We must never drift apart. We were brothers, comrades – more than brothers. We had endured the greatest hardships together, had fought our way through that awful country together, had starved together; and never had there been misunderstanding, never a word of dissension (ibidem, p. 114).

Quando, a più riprese, ci vengono narrati il pericoloso attraversamento delle rapide, le faticose attività di trasbordo, la pioggia incessante, come fattori che contribuiscono al ritardo rispetto al programma iniziale, Wallace non dimostra avversione all’ambiente; ne sta facendo una descrizione, spesso condita con considerazioni personali. Ma ciò di cui si deve tener maggiormente conto è che il pericolo, in particolar modo per l’uomo abituato a certe comodità offerte dalla società moderna, si nasconde dietro ogni angolo in un territorio come il Labrador; esso è l’essenza stessa della wilderness. L’attrazione dei tre esploratori nei confronti dell’allora terra incognita nasce proprio da tutto questo. E Wallace, Hubbard ed Elson ne erano ben consapevoli. Di fatto, l’esaltazione della lotta per la sopravvivenza in una landa disabitata è uno dei leitmotiv di The Lure of the Labrador Wild.

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