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PARTE 1: MODELLI E METODI DI ANALISI 1.

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PARTE 1: MODELLI E METODI DI ANALISI

1. STRATEGIA AZIENDALE E METODI DI VALUTAZIONE 1.1. CONCETTO DI STRATEGIA: CENNI

“La strategia è il disegno che definisce il sistema delle attività aziendali, orientandolo verso risultati ed obiettivi comuni”1. E’ con questa frase che è possibile aprire questo elaborato riguardante la strategia aziendale ed i metodi di valutazione dei risultati strategici.

Il concetto di strategia ha origini molto antiche, il suo primo cenno risale addirittura al VI – V secolo a.C. ed è riscontrabile nel trattato di strategia militare “Arte di guerra” attribuibile al generale cinese Sun – Tzu.

Tornando ai giorni nostri, a partire dagli anni 50’ si trovano numerose definizione di strategia.

Importanti cenni del concetto di strategia si ebbero negli Stati Uniti, precisamente nella così detta “scuola di Harvard”; una prima definizione fu fornita da Drucker (1954)2 il quale affermò che la strategia, intesa come pianificazione strategica, consiste nel processo continuo di prendere decisioni imprenditoriali, decisioni definite rischiose, con la massima conoscenza possibile del futuro, organizzando le risorse e gli sforzi per far si di raggiungere le decisioni prese ed infine misurare i risultati ottenuti confrontandoli con le aspettative. 1 “La strategia aziendale” V. Coda, G. Invernizzi, P.Russo Mc Graw Hill Education 2017 2 “It is the continuous process of making present entrepreneurial (risk-taking) decisions systematically and with the greatest knowledge of their futurity; organizing systematically the efforts needed to carry out these decisions; and measuring the results of these decisions against the expectations through organized, systematic feedback.” P. F. Drucker Management Tasks, Responsibilities, Practices

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Assieme agli studi di Drucker un altro contributo importante arrivò da Selznick3 (1957) il quale affermò che l’azienda per definire i suoi obiettivi non deve far riferimento solo alle minacce ed alle opportunità esterne ma anche ai propri punti di forza e debolezza.

Da qui si svilupparono ulteriori analisi e studi, sempre incentrati nella scuola harvardiana; Chandler (1962) definì le decisioni strategiche come quelle decisioni che riguardano la salute dell’azienda nel lungo periodo aggiungendo che richiedono, di solito, la loro attuazione mediante la scelta dei criteri d’azione, allocazione di risorse e fondi, attrezzature e personale.4

Inoltre diede anch’egli una definizione di strategia, affermando che può essere identificata come la determinazione degli obiettivi di base a lungo termine dell’azienda e la determinazione ed allocazione delle risorse necessarie per perseguire e raggiungere tali obiettivi. Decisioni di espandere il volume delle attività, di istituire stabilimenti e uffici distanti, di trasferirsi in nuove attività economiche o divenire diversificate in molte aree di business necessitano la definizione di obiettivi di base 5. Ansoff (1965) collegò la strategia all’ambito militare, trattandola in modo molto strumentale, asserendo che essa rappresenta un insieme di decisioni volte a raggiungere degli input che, a loro volta, rappresentano un input formulato a monte.

Circa sei anni più tardi Andrews (1971) definì la strategia come il percorso di obiettivi, scopi o fini, politiche e piani necessari per raggiungere tali obiettivi, dando la possibilità in questo modo di identificare il tipo di business in cui 3 P. Selznick “Leadership in Administration: a Sociological Interpretation” 4 “strategic decisions are concerned with the long- term health of the enterprise […] usually require implementation by an allocation or reallocation of resources-funds, equipment, or personnel” pag 11. A. D. Chandler JR, Strategy and Structure: Chapters in the History of the Industrial Enterprise. M.I.T. Press 1963 5 “strategy can be defined as the determination of the basic long-term goals and objectives of an enterprise, and the adoption of courses of action and the allocation of resources necessary for carrying out these goals. Decisions to expand the volume of activities, to set up distant plants and offices, to move into new economic functions, or become diversified along many lines of business involve the defining of new basic goals” pag. 13 A. D. Chandler JR, Strategy and Structure: Chapters in the History of the Industrial Enterprise. M.I.T. Press 1963

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l’azienda opera o dovrà operare ed il tipo di azienda che è o dovrà essere.6 In questa definizione si evince sia una dimensione interna, “tipo di azienda che è e che dovrà essere”, da cui l’azienda riesce a comprendere e venire a conoscenza dei propri punti di forza e debolezza; sia una dimensione esterna, “tipo di business in cui l’azienda opera o dovrà operare”, che permette di identificare minacce ed opportunità.

Tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80 altri studiosi cercarono di dare proprie definizioni del concetto di strategia. In primis ci fu7 Normann (1979) che, contestando il pensiero d Ansoff (1965) riguardante il collegamento della strategia all’ambito militare, sostenne che invece la strategia è frutto di un processo di apprendimento ed essa si forma in seguito ad una continua interazione con l’ambiente.8

Su tale contestazione procedette successivamente anche Mintzberg (1994) affiancando alla strategia il concetto della vision, intesa come l’idea di fondo dell’azienda che ne guida il posizionamento nei mercati e ne determina inoltre il progetto di azione condiviso dai soggetti presenti in azienda. Lo studioso afferma: “Le strategie di maggiore successo sono visioni, non piani”; fattore importante risulta quindi inoltre essere la creatività mediante la quale si definisce la vision.

Un contributo fondamentale si ebbe da Porter con il suo articolo dal titolo “what is strategy?” (1996). Egli affermò in prima battuta che la strategia competitiva è

6 “Strategy is the pattern of objectives, purposes, or goals and the major policies and plans for achieving these goals, stated in such a way as to define what business the company is in or is to be in and the kind of company it is or is to be.” K. Andrews, The Concept of Corporate Strategy Homewood, IL: Irwin, 1971 7 “L’evoluzione degli studi di strategia” A. Ricciardi, pag.8, estratto da Fabbrini G. Montrone A (a cura di) Economia aziendale. Aspetti evolutivi, letture e casi aziendali, Volume II, Franco Angeli, Milano. 8 “L’evoluzione degli studi di strategia” A. Ricciardi, pag.9, estratto da Fabbrini G. Montrone A (a cura di) Economia aziendale. Aspetti evolutivi, letture e casi aziendali, Volume II, Franco Angeli, Milano.

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essere diversi, significa scegliere deliberatamente un diverso insieme di attività che forniscano un mix di valori unico.9

Successivamente diede una vera e propria definizione di strategia, affermando che si tratta della creazione di una posizione unica e preziosa, coinvolgendo un insieme di attività diverse; aggiungendo poi che l’essenza del posizionamento strategico è scegliere attività diverse dai rivali.10 Ma la creazione di una posizione unica e preziosa non è sufficiente in quanto sarà necessario attuare attività di protezione nei confronti dei vari “attacchi” e tentativi di riposizionamento da parte dei competitors. Secondo Porter quindi, ci sarà il prevalere di un’azienda su un'altra qualora una delle due riesca ad identificare un vantaggio competitivo, ovvero quando riesca a differenziarsi dall’altra. Dalle sue parole si evince come il posizionamento strategico sia il fulcro della strategia, posizionamento che ha successo qualora ci sia un insieme di attività uniche, preziose che forniscano un valore maggiore rispetto ai competitors (differenziazione) o che conferiscano un uguale valore ma ad un costo minore (leadership di costo). Questi concetti si legano ad altre due sue precedenti pubblicazioni: “Competitive Strategy” (1980) e “Competitive advantage” (1985). Nel primo libro, oltre a dare una prima definizione di strategia, evidenziata come la presa di azioni offensive o difensive per creare una posizione difendibile nell’industria, introduce inoltre tre strategie generiche che, tenendo conto delle 5 forze competitive11 dall’autore stesso evidenziate, permettono all’azienda di poter avere performance migliori rispetto ad un competitor; queste tre strategie sono: 9 “Competitive strategy is about being different. It means deliberately choosing a different set of activites to deliver a unique mix of value” M. Porter, What is strategy?, Harvard Business Review, Pag.67 10 “Strategy is the creation of a unique and valuable position, involving a different set of activities. […] The essence of strategic positioning is to choose activities that are different from rivals”. M. Porter, What is strategy?, Harvard Business Review, Pag.68 11 1. Concorrenza delle aziende rivali; 2. Concorrenza dei prodotti sostitutivi; 3. Concorrenza dei nuovi entranti; 4. Potere contrattuale dei fornitori; 5. Potere contrattuale dei clienti. Pag 53 “Introduzione all'analisi strategica dell'azienda”, S. Bianchi Martini, Giappichelli Editore, 2009

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• Ledership di costo • Differenziazione • Focalizzazione

Ottenere una leadership di costo significa creare valore per il cliente in linea con i competitors, ma ad un costo minore per il cliente stesso. Secondo Porter tale risultato si raggiunge cercando di ridurre i propri costi specialmente nelle aree come Ricerca e Sviluppo, vendita, pubblicità e marketing; senza però trascurare la qualità e le caratteristiche del prodotto, il quale infatti deve essere percepito dai clienti come paragonabile o accettabile rispetto a quelli già presenti sul mercato. Tale vantaggio necessita anche della costruzione di importanti economie di scala ed apprendimento. Questa strategia inoltre protegge l’azienda che la attua dalle successive mosse dei competitors che tenteranno a loro volte di ridurre i prezzi.

Per attuare una strategia di costo, aggiunge Porter, è necessario possedere un’ampia quota di mercato e avere un facile accesso alle materie prime.12

La seconda strategia di base è quella di differenziazione, ciò significa che l’azienda offre un servizio o un prodotto che è unico rispetto a quello offerto dai competitors. Tale unicità, spiega Porter nel suo libro, può avvenire sotto varie forme come ad esempio in termini di design o immagine del brand, tecnologia, customer service, rete di distribuzione. La differenziazione da quindi la possibilità di proteggersi dai competitors anche perché genera una fidelizzazione del cliente con conseguente minore sensibilità al prezzo. Per ottenere profitto è inoltre necessario che l’azienda imponga un prezzo al suo prodotto che dia la possibilità di remunerare gli extra-costi di produzione, necessari alla differenziazione.13

Infine si ha la focalizzazione, in cui l’azienda si focalizza, ovvero si concentra, su un determinato insieme di consumatori o su un determinato segmento di mercato. L’azienda quindi cerca di ottenere un vantaggio

12 “Competitive Strategy” M. Porter Pag. 35 – 37 , The free press, 1980 13 “Competitive Strategy” M. Porter Pag. 37 – 39 , The free press, 1980

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competitivo all’interno del segmento scelto e tale vantaggio si rifà alle due strategie sopra esaminate, può infatti essere di costo o di differenziazione.14

Il pensiero di Porter riguardo al posizionamento ed al vantaggio strategico, rappresentato dalle 5 forze competitive e dalle tipologie di strategie base (leadership di costo, leadership di differenziazione e focalizzazione), si differenzia dal modello RBV “Resource Based View” in quanto, se il primo approccio prevede la costituzione per le aziende di un vantaggio competitivo facendo riferimento maggiormente ad elementi esterni e basato sulla costituzione di risorse uniche e preziose, il secondo modello basa il vantaggio competitivo su fattori interni, ovvero esclusivamente sulla “capacità di valorizzare le risorse e le competenze disponibili cogliendo appieno le potenzialità delle stesse”15.

A tal proposito Barney (1991) sostiene che il vantaggio competitivo deriva dalle risorse e competenze che un’azienda controlla e che sono uniche, rare, imperfettamente imitabili e non sostituibili. Tali risorse e competenze possono essere rappresentate da elementi tangibili ed intangibili, come ad esempio la capacità di gestione dell’azienda, i suoi processi organizzativi, informazioni e conoscenze possedute16.

Il modello di Porter invece valuta il vantaggio competitivo sulle caratteristiche del prodotto/servizio e l’impatto che esso genera sul mercato spingendo quindi l’azienda ad analizzare fattori esterni come minacce ed opportunità. L’azienda si trova quindi prima ad identificare il proprio posizionamento sul mercato e solo successivamente a definire le risorse e le competenze necessarie.

L’evoluzione concettuale evidenziata da Coda17, e che riconduce alla definizione di strategia in apertura di questo capitolo, si fonda sull’idea che gli obiettivi definiti in principio siano spesso obiettivi “scontati” dai soggetti predisposti a definirli e pertanto non ci sia una corretta riflessione ed analisi su di 14 “Competitive Strategy” M. Porter Pag. 39 – 40 , The free press, 1980 15 “Introduzione all'analisi strategica dell'azienda”, S. Bianchi Martini, Giappichelli Editore, 2009, pag. 93 – 94 16 “The resource based view of the firm: Ten years after 1991” J. Barney, M. Wright, D.J. Ketchen Jr 17 “La strategia aziendale” V. Coda, G. Invernizzi, P.Russo Mc Graw Hill Education 2017

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essi, ma la definizione degli stessi produce degli effetti sull’insieme delle attività da porre in essere per realizzarli. L’azienda ben gestita deve infatti tenere in considerazione gli interessi di tutti gli stakeholders, siano essi azionisti, clienti, fornitori, etc…18

Premesso che, come scrive il Coda, le aziende producono vari tipi di risultati:

• Risultati competitivi: apprezzamento da parte dei clienti • Risultati sociali: fedeltà, consenso dai collaboratori

• Risultati economico – finanziari: apprezzamento da parte degli azionisti e dei creditori, focalizzati sul rendimento azionario e sul mantenimento della solvibilità aziendale;

l’ obiettivo dell’azienda diviene quello di cercare di raggiungere tutti e tre le tipologie di risultato. Il raggiungimento dei risultati sopra esposti diviene necessario per avere una soddisfazione completa di tutti gli stakeholders a causa della forte connessione tra i risultati stessi.

Il raggiungimento degli obiettivi sotto forma di tali risultati prevede la definizione delle attività che sono rappresentate nel disegno chiamato “strategia”; “La strategia è il disegno che definisce il sistema delle attività aziendali, orientandolo verso risultati ed obiettivi comuni”19.

Si nota quindi immediatamente il collegamento tra strategia – attività – risultati/obiettivi.

Diviene a questo punto fondamentale andare a distinguere le due tipologie di attività che rientrano nell’insieme delle attività aziendali, concetti che verranno inoltre ripresi nei capitoli successivi. Si possono quindi distinguere attività correnti ed attività di setup.

Le attività correnti “sono rappresentate tipicamente dalle attività di acquisto, produzione e vendita (e da tutte le relative attività di supporto) che si succedono

18 “La strategia aziendale” V. Coda, G. Invernizzi, P.Russo Mc Graw Hill Education

2017 pag. 1-2

19 “La strategia aziendale” V. Coda, G. Invernizzi, P.Russo Mc Graw Hill Education

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in modo ricorrente. Queste attività definiscono il posizionamento strategico attuale di un’azienda e rappresentano la determinante principale dei risultati ottenuti nel periodo in cui sono svolte. Contribuiscono direttamente alla soddisfazione dei clienti (prodotti corrispondenti alle loro aspettative), dei collaboratori (offerta di condizioni di impiego migliori rispetto a quelle presenti sul mercato del lavoro), degli azionisti (produzione di rendimenti in grado di soddisfare o superare le aspettative), degli altri interlocutori (mediante l’attenzione verso gli effetti che le attività aziendali producono sulla società e sull’ambiente)”20.

Le attività di setup invece “pongono le condizioni per lo svolgimento ed il rinnovamento delle attività correnti. Definiscono il posizionamento strategico target di un’azienda ed il modo per raggiungerlo”21

In sostanza data una certa azienda, le attività correnti spingono l’azienda ad attuare attività di setup, le quali a loro volta verranno affiancate e genereranno nuove attività correnti, e così via. L’azienda noterà, afferma Russo (2017), che “le sue nuove attività correnti non saranno probabilmente le stesse che erano state definite come attività correnti target; le attività correnti future costituiranno la determinante principale dei risultati futuri; nello stesso tempo, secondo un processo incessante, l’azienda avrà avviato un nuovo insieme di attività di setup, volto a modificare nuovamente le condizioni di svolgimento delle attività correnti”22.

In base a ciò che è stato espresso fino ad ora, si potrebbe dire che attività correnti ed attività di setup costituiscono la strategia aziendale.

Dopo aver definito il concetto di strategia a cui faremo riferimento nella trattazione, cioè quello basato sulle attività, non resta che andare a definire le relazioni tra strategia e risultati, passo necessario per comprendere come

20 “La strategia aziendale” V. Coda, G. Invernizzi, P.Russo Mc Graw Hill Education 2017 pag. 5 21 “La strategia aziendale” V. Coda, G. Invernizzi, P.Russo Mc Graw Hill Education 2017 pag. 6 22 “La strategia aziendale” V. Coda, G. Invernizzi, P.Russo Mc Graw Hill Education 2017 pag. 9

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l’azienda può verificare il raggiungimento degli obiettivi prefissati, il successo delle attività predisposte ed il soddisfacimento dei soggetti portatori di interesse. Nel prossimo capitolo quindi si andranno a definire le metodologie di valutazione dei risultati aziendali.

1.2. METODI DI VALUTAZIONE DEI RISULTATI AZIENDALI: RIFLESSIONE SULLA RELAZIONE TRA STRATEGIA E RISULTATI

Nel capitolo precedente è stata trattata l’evoluzione del concetto di strategia aziendale, soffermandoci poi alla definizione fornita da Coda comprendente la relazione strategia – attività – risultati. Tale definizione afferma: “La strategia è il disegno che definisce il sistema delle attività aziendali, orientandolo verso risultati ed obiettivi comuni”.

Compito di questo capitolo è quello di andare ad introdurre i metodi di valutazione dei risultati aziendali.

Come descritto nel capitolo precedente tra gli obiettivi dell’azienda vi è quello di andare a produrre risultati competitivi, sociali ed economico-finanziari che, poiché sono fortemente collegati tra loro, pregiudicano il complessivo andamento aziendale e il soddisfacimento dei vari stakeholders.

E’ quindi obbligo dell’azienda andare a misurare tali risultati, nello specifico: • I risultati competitivi, che manifestano l’apprezzamento da parte dei

clienti; possono essere misurati attraverso indicatori quantitativi (quota di mercato, copertura del mercato, fedeltà dei clienti, loro grado di soddisfazione) ed indicatori qualitativi (stato di salute della clientela, affidabilità);

• I risultati sociali, che manifestano fedeltà e consenso dai collaboratori, sono misurati maggiormente attraverso indicatori qualitativi. Tali indicatori si differenziano in relazione alla tipologia di soggetti esaminati. Ad esempio, se si fa riferimento ai collaboratori dipendenti, indicatori sociali potranno essere: livelli di soddisfazione, tassi di assenteismo,

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produttività, senso di appartenenza all’azienda; se si fa riferimento ai fornitori e distributori: qualità delle relazioni, confronto dei risultati economico-finanziari lungo la filiera produttiva.

• Risultati economico finanziari, che a loro volta evidenziano l’apprezzamento da parte degli azionisti e dei creditori, i quali sono focalizzati sul rendimento azionario e sul mantenimento della solvibilità aziendale. Quando si parla di risultati economico finanziari è necessario distinguere tra:

o Redditività o Liquidità

o Solidità patrimoniale o Valore delle azioni

Con il termine redditività si intende la capacità dell’azienda di remunerare il capitale proprio, con liquidità e solidità si fa riferimento alla capacità dell’azienda di far fronte agli impieghi finanziari rispettivamente nel breve e nel lungo periodo ed infine il valore delle azioni rappresenta il valore attribuito ai risultati previsti nel lungo periodo per l’azionista.

E’ opportuno specificare a questo punto che per il proseguo dell’elaborato ci baseremo sul modello di valutazione proposto da Coda, incentrato sui concetti di redditività e valore delle azioni; ciò sarà svolto nei paragrafi successivi.

Si può però aggiungere che un metodo alternativo per la valutazione delle strategie potrebbe essere quello dell’utilizzo della Balanced Scorecard, descrivibile come uno strumento di implementazione strategica e di misurazione delle performance aziendali avente come caratteristiche principali la multidimensionalità, rappresentando 4 prospettive di analisi:

1. Financial perspective

2. Internal business perspective

3. Innovation and learning perspective 4. Customers perspective

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La trattazione e l’applicazione della Balance Scorecard potrebbero essere spunto per un ulteriore elaborato.

1.3. GLI INDICATORI ED I MODELLI DI ANALISI DELLA REDDITIVITÀ OPERATIVA

Come descritto precedentemente il concetto di redditività operativa rientra nell’ambito della misurazione dei risultati economico – finanziari.

La redditività operativa è definita come il rapporto tra reddito operativo e capitale investito netto e “costituisce la misura della remunerazione del capitale investito in azienda a titolo di debito o di rischio. E' data dal rapporto tra risultato operativo e capitale investito.”23 Questo rapporto, come detto, evidenzia sia la redditività del capitale proprio sia la redditività del capitale di debito.

Il rapporto così sopra descritto esprime il ROI (return on investiment).

Per ciò che riguarda gli elementi che compongono numeratore e denominatore, al numeratore inseriamo il reddito operativo. Il reddito operativo preso a riferimento è semplicemente espresso come “il reddito prima di imposte, sopravvenienze e insussistenze, oneri finanziari”24.

Maggiori problematiche si hanno nella definizione dell’elemento al denominatore, nello specifico problematiche legate a:

• Gli elementi da inserire nell’aggregato “capitale investito” • Il momento temporale da prendere a riferimento

Per quanto riguarda il primo punto, “gli elementi da inserire nell’aggregato capitale investito”, è possibile identificare tre alternative:

23http://www.borsaitaliana.it/bitApp/glossary.bit?target=GlossaryDetail&word=R

edditivit%E0%20del%20Capitale%20Investito

24 Capitolo IV “Le determinanti della redditività operativa” V. Coda, “Concetto di

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1 2 3 Attivo totale - fondi ammortamento - fondi svalutazione crediti - fondo deprezzamento magazzini

Attivo totale netto

Attivo totale - fondi ammortamento - fondi svalutazione crediti - fondo deprezzamento magazzini

Attivo totale netto - debiti verso fornitori - fondo indennità di fine rapporto Attivo totale - fondi ammortamento - fondi svalutazione crediti - fondo deprezzamento magazzini

Attivo totale netto - debiti a breve

Tab. 1: “Alternative di interpretazione del capitale investito” Nel dettaglio l’“attivo totale” o “totale attivo” è inteso come il totale delle voci presenti nell’attivo dello Stato Patrimoniale ovvero comprensivo di attivo immobilizzato ed attivo circolante.

Esaminando le alternative il Coda afferma che la prima è quella più comunemente usata in Italia mentre la terza, che trova applicazione negli USA, nel nostro paese risulta pressoché sconosciuta. Il motivo, spiega ancora il Coda, è da ritrovarsi nel fatto che nel nostro paese vi è un forte ricorso all’indebitamento a breve sistematicamente rinnovato per far fronte alla necessità di capitali a lungo termine; e di conseguenza non è possibile far riferimento alla voce “capitale permanente25” dell’impresa come differenza tra “attivo totale netto” e “passivo

25 capitale di proprietà – risorse del capitale di proprietà che si estinguono entro l’anno. (ad esempio utili da distribuire alla fine dell’esercizio) + finanziamenti tecnicamente a medio e lungo termine destinati a rimanere in modo permanente nell’impresa (ad esempio il TFR accantonato in azienda ad esclusione della parte che si prevede di dover pagare nell’anno per licenziamenti o dimissioni dei dipendenti, come nel caso di dipendenti che andranno in pensione nel corso dell’anno) + finanziamenti tecnicamente a breve termine destinati a rimanere in modo permanente nell’impresa. (ad esempio debiti che formalmente sono a breve termine,

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corrente”, Capitale permanente dell’impresa utilizzato per il calcolo del “grado di indebitamento”26 o dell’effetto di leva finanziaria27.

La seconda alternativa sta invece prendendo sempre più piede nel nostro sistema, particolarmente nelle imprese e gruppi di maggiore dimensione ed è identificabile come perfezionamento della prima alternativa poiché le voci di costo dei debiti verso fornitori e del fondo di indennità di fine rapporto sono presenti nel reddito operativo e non negli oneri finanziari. Infatti gli interessi impliciti28 presenti nei debiti verso fornitori sono inclusi nel reddito operativo attraverso i prezzi negoziati per acquisto a regolamento differito.

Occorre adesso soffermarci sul secondo punto “il momento temporale da prendere a riferimento”, cioè è importante definire se si fa riferimento agli investimenti netti di inizio esercizio, di fine esercizio, un dato medio tra i due o una media che sia basata su situazioni patrimoniali infrannuali.

Al fine di esprimere un concetto basato sulla capacità dell’azienda di autofinanziarsi è più opportuno l’utilizzo del valore degli investimenti netti di inizio esercizio.

In conclusione la formula utilizzata per la determinazione del reddito operativo sarà quella data da:

• Al numeratore il reddito operativo, prima di imposte, sopravvenienze e

insussistenze. ma che per effetto di continui rinnovi si trasformano in finanziamenti permanenti per l’impresa) 26 (Passività a medio-lungo termine + Passività correnti) / Mezzi Propri 27 capitale proprio+capitale di debito/capitale proprio = totale attività (impieghi)/capitale proprio 28 interessi impliciti (attivi e passivi) sono interessi che si sono generato in sede di scambio di merci nel momento della definizione del credito (debito)

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• Al denominatore gli investimenti netti ad inizio periodo definiti facendo

riferimento alla seconda alternativa ovvero quella dell’attivo totale netto escludendo debiti verso fornitori e fondo indennità di fine rapporto che sono identificabili come debiti onerosi senza interessi espliciti29.

La redditività operativa viene utilizzata per andare a definire se la scelta strategica risulta soddisfacente o meno, tale verifica può essere attuata percorrendo due sentieri:

• Analisi per indici

• Analisi del tessuto causale

29 interessi palesemente pattuiti tra le parti: ad esempio l’interesse su un mutuo ricevuto da una banca, l’interesse espressamente concordato tra l’impresa e un fornitore per l’ottenimento di una forma di pagamento particolarmente dilazionata Reddito operativo Investimenti netti di inizio periodo Redditività operativa =

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1.3.1. ANALISI PER INDICI DI BILANCIO

L’analisi per indici di bilancio rappresenta la prima strada percorribili per andare a valutare la redditività operativa.

Come trattato precedentemente, tale redditività, espressa come rapporto tra reddito operativo ed investimenti netti di inizio periodo è rappresentativa del ROI (return on investiment). Il ROI è quindi uno dei più importanti termini del business e ci indica la redditività, ovvero quanto rende il capitale investito dall'azienda nella gestione caratteristica30.

E’ possibile suddividere il ROI come il prodotto di due ulteriori indici:

• Redditività delle vendite, ROS (return on sales):

Tale indice esprime la redditività sulle vendite cioè traduce quanto residua dai ricavi dei vendita dopo aver coperto tutti i costi operativi dell’area caratteristica.

• Tasso di rigiro degli investimenti netti, Turnover del Capitale, Indice di

rotazione o di velocità del Capitale.

Questo indicatore esprime il numero di cicli operativi necessari al capitale investito per "trasformarsi" in ricavi di vendita.

30 la gestione caratteristica è anche detta “gestione tipica”, il suo risultato è la differenza fra i ricavi ottenuti a fronte della vendita di beni o servizi oggetto dell’attività dell’azienda e i costi sostenuti per realizzarli (spese commerciali, costi di produzione etc.). Reddito Operativo Ricavi delle vendite Ricavi di vendita Investimenti netti di inizio periodo

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Il tasso di rigiro degli investimenti è ulteriormente analizzabile mediante indici di rigiro e di durata dei crediti commerciali, dei debiti verso fornitori, del magazzino, del capitale di esercizio.

La caratteristica dell’indice di rotazione del capitale è quella di rappresentare il rapporto tra una dimensione operativa “ricavi di vendita” (“fatturato netto”) ed una dimensione strutturale nella figura degli “investimenti netti di inizio periodo”. Confrontando l’indicatore con altri elementi come dati di anni precedenti, dati di concorrenti ed obiettivi di budget è possibile definire se vi sono presenti degli squilibri tra volume di attività svoltasi nell’esercizio e dimensioni strutturali31.

La problematica che intercorre nella determinazione della redditività operativa mediante gli indici riguarda il fatto che il reddito operativo posto al numeratore risulta inquinato dai costi fissi di struttura, non si riesce quindi ad avere una corretta distinzione delle componenti fisse e delle componenti variabili, non permettendo quindi di decifrare il loro peso sul reddito operativo. Un espediente per poter risolvere tale problematica potrebbe essere quella di porre in rapporto non più il reddito operativo con i ricavi di vendita, ma il margine di contribuzione ottenibile attraverso un’analisi del conto economico.

Importante limite che riguarda la valutazione della redditività mediante indici di bilancio risiede nel fatto che essa non permette di separare la componente variabile dalla componente fissa, non permette cioè di andare a definire l’impatto che le due componenti hanno rispettivamente sulla redditività.

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1.3.2. ANALISI DEL TESSUTO CAUSALE

Come detto nei paragrafi precedenti per andare a definire se la scelta strategica risulta soddisfacente o meno si deve andare ad analizzare la redditività operativa, ovvero si debbono andare a verificare i risultati prodotti in termini di redditività. Tale verifica potrebbe essere soddisfatta attraverso una analisi per indici.

Tale metodologia non permette però di separare la componente variabile dalla componente fissa, non permette cioè di andare a definire l’impatto che le due componenti hanno rispettivamente sulla redditività.

Per fare ciò si può utilizzare un secondo metodo chiamato “analisi del tessuto causale”, che considera separatamente reddito operativo e capitale investito netto andandone ad identificare le determinanti.

Per poter svolgere un’analisi di questo tipo è necessaria la costruzione di un modello di conto economico a costi fissi e variabili, che dia la possibilità di identificare un margine di contribuzione unitario, un margine di contribuzione complessivo e successivamente il valore del reddito operativo.

Ricavi netti - Costi variabili Margine di contribuzione

- Costi fissi Reddito operativo

Tab 2: Conto economico a margine di contribuzione e costi fissi Per ciò che riguarda la componente variabile, ovvero la parte che va ad identificare le determinanti variabili del reddito si fa riferimento al prezzo-ricavo dei prodotti venduti e ai costi variabili relativi ai fattori che si impiegano in quantità variabili con il variare modesto dei volumi di produzione o di vendita32.

32 “Le strategie competitive”, G. Invernizzi, McGraw-Hill Education Edizione, 2014,

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Ulteriori elementi presi a riferimento sono i tassi di cambio per convertire valuta estera in valuta nazionale, composizione del volume di produzione e vendita ed infine i rendimenti espressivi dell’efficienza di impiego dei fattori produttivi varabili.

Il volume di produzione e vendita fa riferimento alla capacità produttiva per un certo grado di utilizzo della capacità produttiva, giro di affari del mercato e quota di mercato detenuta dall’azienda.

Per meglio capire la costruzione del modello è possibile suddividerlo in una componente variabile ed una componente fissa.

La componente variabile del modello prevede la definizione di “margini di contribuzione medi unitari delle singole classi di prodotti” ottenuti mediante la differenza tra “ricavi medi unitari” e “costi variabili medi unitari”. Mettendo successivamente in relazione i “margini di contribuzione medi unitari delle singole classi di prodotti” e la “composizione % del volume di produzione/vendita” è possibile determinare il “margine di contribuzione medio unitario”. Ulteriore “step” per la determinazione del Reddito Operativo secondo questo modello riguarda il rapporto tra il “margine di contribuzione medio unitario” precedentemente determinato ed il “volume di produzione/vendita” comprensivo di “capacità produttiva”, “grado di utilizzo della capacità produttiva”, “giro di affari del mercato” e “quota di mercato”.

La componente così detta “fissa” del modello vede la determinazione dei “costi fissi” che sottratti al “margine di contribuzione complessivo” permettono di ottenere il Reddito Operativo.

Focalizzandoci sulla disamina dei costi fissi si evidenzia come essi siano dati dalla somma dei “costi di struttura”, “costi di politica” ed “ammortamenti”.

I “costi di struttura” comprendono le caratteristiche relative all’organico come “carichi di lavoro”, “struttura organizzativa”, “assenteismo, conflittualità, produttività”. Rientrano nell’insieme di tale classe di costi anche i “saggi retributivi medi”.

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I “costi di politica”, anche definiti “costi discrezionali”, sono comprensivi invece di tre famiglie principali di costi che è possibile enunciare, come i “costi di Ricerca & Sviluppo”, “Costi di formazione”, “costi promozionali”.

Infine gli ammortamenti espressi dalla relazione tra “criteri di ammortamento” e “valori da ammortare”. Di seguito si riporta la rappresentazione in forma schematica del modello di analisi del tessuto causale.

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Fig 1. “principali determinanti del reddito operativo” Fonte: Coda Invernizzi

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E’ possibile definire quattro determinanti su cui far leva per apportare migliorie al margine33:

• Allargamento della forbice “prezzo-costo/prezzo-ricavo” • Miglioramento di efficienza di impiego dei fattori variabili

• Spostamento del mix di produzione/vendita sui prodotti (o sulle varietà di prodotto) più remuneratori

• Aumento del volume di produzione/vendita

I fattori sopra evidenziati possono essere presi a riferimenti non solo singolarmente, ma anche in modo combinato dando la possibilità di evidenziare le relazioni causa-effetto che vi intercorrono.

Un esempio di azione che coinvolge la leva di aumento del capitale è riportata dallo stesso Coda34 “la fattibilità tecnica della via indicata per ultima (di aumento di volume) può ottenersi alternativamente aumentando la capacità produttiva (possibilmente con investimenti marginali, diretti ad eliminare ciò che nella produzione costituisce “collo di bottiglia”), oppure cercando di aumentare il grado di utilizzo della capacità produttiva attualmente disponibile (ad esempio, passando da uno a più turni di lavoro; effettuando ore di lavoro straordinario; cercando di ridurre i tempi persi per cambi di produzione attraverso la ricerca di un “portafoglio ordini” meno frammentato; diminuendo le ore produttive perse a causa di scioperi o altre manifestazioni di conflittualità, grazie ad una migliore gestione delle relazioni industriali; e così via).

Collegate però alle determinanti della logica variabile sono quelle della logica dei costi fissi e del capitale investito netto.

Per ciò che riguarda il primo fattore un aumento dei volumi di produzione e vendita può avere, ad esempio, effetti sui costi fissi (basti pensare alla necessità per l’azienda di detenere un nuovo impianto in seguito ad una decisione di aumentare il volume di produzione).

33 Capitolo IV “Le determinanti della redditività operativa” V. Coda 34 Capitolo IV “Le determinanti della redditività operativa” V. Coda

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Anche per ciò che riguarda i costi fissi il Coda evidenzia le specifiche relazioni causa-effetto35: “quanto alla categoria dei costi di struttura, notevole influsso sul loro ammontare di solito hanno gli organici delle unità organizzative originanti detti costi, nonché i livelli dei saggi retributivi. Il dimensionamento degli organici, poi, a sua volta, dipende dai carichi di lavoro (indiretto) da svolgere, della struttura organizzativa (a sua volta condizionata da certe opzioni tecnologiche) e da fattori vari che incidono sulla intensità di utilizzo della struttura (come livelli di produttività, assenteismo, conflittualità).

Quanto ai “costi discrezionali”, essi dipendono dalla quantità e qualità dei fattori allocati alle c.d. attività discrezionali (di ricerca e sviluppo, formazione, promozione) e dai costi unitari di acquisizione degli stessi. (…) Ad esempio, maggiore è il rendimento della spesa pubblicitaria minore può essere il budget della stessa; maggiore è l’efficacia delle attività di ricerca e sviluppo, maggiore è la motivazione dei tecnici in esse impegnati e la capacitò di attrarre risorse valide.”

L’altra componente che deve essere tenuta in considerazione è quella degli investimenti netti, trattasi della determinante posta al denominatore del rapporto esprimente la redditività operativa; essa presenta il circolante netto il capitale fisso ed i fondi di indennità di fine rapporto.

In primis si vanno ad elencare le determinanti del circolante netto, esse sono:36

• Prezzi (prezzo – costo e prezzo - ricavo); • Volumi (di produzione e di vendita); • Rendimenti (dei processi produttivi);

• Composizione dei volumi (mix di vendita per livelli di prezzo – ricavo;

mix di fatturato per condizione di regolamento; mix di produzione per tipologie tecnologiche/merceologiche; mix di acquisti per condizioni di regolamento);

• Ritardi temporali (ossia “durate” delle dilazioni di pagamento offerte ai

clienti; nei ritardi aggiuntivi negli incassi dei crediti commerciali; dei cicli

35 Capitolo IV “Le determinanti della redditività operativa” V. Coda pag 95 36 Capitolo IV “Le determinanti della redditività operativa” V. Coda pag 97

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produttivi; dei periodi di consegna dei fornitori, dei periodi di consegna ai clienti; delle condizioni di pagamento praticate dai fornitori; dei ritardi aggiuntivi nei pagamenti ai fornitori, dei margini temporali di sicurezza incorporati nel “sistema di programmazione e controllo delle giacenze”; di altri eventuali margini temporali incorporati nelle politiche delle scorte). E’ immediato notare come le prime tre determinanti ed alcuni elementi della quarta determinante siano presenti anche nel modello causale relativo al reddito operativo e si nota come esse partecipino alla risultanza del margine di contribuzione complessivo.

Le determinanti presenti invece all’ultimo punto, e cioè quelle riguardanti la durata e quelle presenti al quarto punto relative alla condizioni di regolamento, sono espressamente ed esclusivamente determinanti relative al circolante netto. La componente fissa influenza anch’essa non solo la parte degli investimenti netti ma anche quella del reddito operativo.

Riferendosi alle immobilizzazioni tecniche nette37 si hanno influenze dal punto di vista di:

• Criteri di valutazione e di ammortamento, influenti sulle quote di

ammortamento; rientranti nel modello causale della parte relativa al reddito operativo nell’aggregato dei costi fissi;

• Concorrono a determinare le capacità produttive • Concorrono a determinare i rendimenti di processo

Le immobilizzazioni finanziarie e patrimoniali concorrono poi anch’esse, come le attività liquide al dare origine ai proventi extra-gestione tipica.

I fondi indennità anzianità, che sono elementi passivi del patrimonio, dipendono da fattori che a loro volta hanno influenza sul reddito operativo; tali fattori sono i saggi retributivi, i saggi organici e l’anzianità di servizio del personale.

Nella pagina seguente è possibile prendere visione del modello causale relativo al circolante netto.

37 sono costituite da immobili, impianti macchinari e attrezzature industriali, al

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Fig. 2 “determinanti dell’attivo circolante netto” Fonte: Coda Invernizzi

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In conclusione è possibile evidenziare la complessità del sistema e come, se analizzando le varie relazioni causali riguardanti le determinanti della redditività operativa, risultato operativo al numeratore e capitale investito al denominatore si noti che i fattori causanti la redditività operativa38:

• Sono numerosissimi e di natura differente, ma riconducibili a poche categorie fondamentali;

• Sono fra loro interconnessi;

• Spesso influiscono per più vie sulla redditività operativa, contribuendo a rendere variamente interconnesse le variazioni di “margini di contribuzione complessivi”, “costi fissi”, “capitale circolante”, “immobilizzazioni”, “debiti per trattamento di fine rapporto”.

La definizione del reddito operativo permette di esprimere in modo particolarmente immediato quelle che sono le strategie aziendali che ne stanno alla base. Questo perché gli elementi che abbiamo visto precedentemente comporlo “sono tutte variabili su cui si esercita l’azione manageriale”39.

Richiede invece maggior sforzo andare a cogliere la strategia competitiva, ovvero la strategia che sta alla base e che rappresenta il “disegno” e la spiegazione delle attività da cui successivamente risulta il reddito operativo.

Per fare ciò è necessario riferirsi a due aspetti focali:

• La distinzione tra attività correnti40 e attività di setup

• Come il management concepisce e persegue l’obiettivo di migliorare la redditività

Con riferimento al primo punto occorre capire se, come suggerisce il Coda, “le determinanti della redditività operativa sono manifestazione esclusiva 38 Invernizzi G., “Le strategie competitive”, McGraw-Hill Education Edizione, 2014, pag. 83 39 Invernizzi G., “Le strategie competitive”, McGraw-Hill Education Edizione, 2014, pag. 83 40 “Le attività correnti consentono di acquistare, produrre e vendere in condizioni migliori o peggiori rispetto ai concorrenti e spiegano il successo o l’insuccesso dell’azienda in un certo momento” Russo P, “Posizionamento strategico e risultati aziendali” Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, agosto 2004

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dell’operatività corrente dell’impresa”. Si deve quindi verificare se prezzi - costi di mercato, volumi, mix di produzione/vendita, efficienza, capacità produttiva, quota di mercato, struttura organizzativa, costi fissi vengono influenzate dalle cosiddette attività di setup, dove per attività di setup, come già spiegato in precedenza, si intendono “quelle attività che avviano e rinnovano le attività correnti, in modo più o meno tempestivo ed efficace: esse spiegano quindi perché un’impresa è o sarà in grado di svolgere le attività correnti in modo migliore o peggiore dei concorrenti, circostanze alle quali rispettivamente si associano performance superiori o inferiori rispetto alla media del settore”41.

In relazione alla determinante costi fissi, essa può essere influenzata da attività correnti ma anche da attività di setup generici come ad esempio i costi di pubblicità destinati ad affermare un nuovo marchio aziendale, i costi di ricerca e sviluppo finalizzati a produrre innovazioni di prodotto e di processo, costi di formazione sostenuti per un processo di riposizionamento strategico in corso, costi di struttura per progetti di reingegnerizzazione di processi in corso di svolgimento i cui benefici si avranno in futuro.

La separazione ed identificazione delle attività correnti e quelle relative al setup delle determinanti del reddito operativo consente di evidenziare il posizionamento strategico attuale dell’azienda e quindi anche scelte definite per attuare miglioramenti futuri di redditività a breve/medio-lungo termine.

Per ciò che riguarda invece il secondo punto “come il management concepisce e persegue l’obiettivo di migliorare la redditività” occorre quindi definire quelle che sono le logiche delle scelte definite per attuare miglioramenti futuri di redditività a breve/medio – lungo termine. Tali logiche posso essere quelle di:

1. cogliere ogni possibilità di creare profitto senza però avere un chiaro intento strategico;

41 P . Russo, “Posizionamento strategico e risultati aziendali” Milano, Università

Cattolica del Sacro Cuore, agosto 2004

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2. orientamento al miglioramento della redditività facendo leva sul posizionamento strategico ed al consolidamento e/o rinnovamento del posizionamento esistente.

Per svolgere un analisi specifica e dettagliata non è sufficiente qui fermarsi, ovvero non è sufficiente fermarsi alla separazione tra attività correnti e di setup e definizione delle logiche di fondo.

Si avrebbe infatti necessità di addentrarsi all’interno della strategia competitiva, attraverso42:

• identificazione dei fattori chiave che incidono sui risultati economico-finanziari;

• comprensione dell’impatto degli eventi ambientali rilevanti;

• esplicitazione e valutazione dell’impatto che le leve decisionali possono esercitare sui fattori chiave;

Secondo il Coda questo tipo di analisi estremamente dettagliata permette di aiutare la direzione a:

• maturare una consapevolezza piena dell’importanza relativa che le diverse quantità economiche hanno nel determinare la variabilità del reddito operativo e del capitale investito netto; questo punto si sostanzia nella focalizzazione e scelta delle aree di intervento prioritarie su cui l’azienda deve concentrare le sue risorse, scelta che viene fatta tenendo conto della sensibilità della redditività operativa al variare delle diverse quantità economiche che la determinano. La sensibilità della redditività operativa viene studiata mediante lo strumento della sensitive analysis (what if) che utilizza indicatori di sintesi per la sua funzione informativa.

42 G. Invernizzi, “Le strategie competitive”, McGraw-Hill Education Edizione, 2014

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Gli indicatori di sintesi sono riconducibili a:

- leva del prezzo di vendita: permette di stimare di quanto vari il risultato operativo a seguito di un punto percentuale del prezzo di vendita

- leva operativa (o della quantità venduta): permette di stimare quanto varia il risultato operativo a seguito di una variazione di un punto percentuale della quantità venduta

- leva dei costi variabili: permette di stimare quanto vari il risultato operativo a seguito di una variazione di un punto percentuale dei costi variabili.

- leva dei costi fissi: permette di stimare quanto vari il risultato operativo a seguito di una variazione di un punto percentuale dei costi fissi.

L’utilizzo delle leve implica due assunti fondamentali; il primo prevede la parità di altre condizioni ed il secondo prevede la

Fatturato Reddito Operativo Margine di Contribuzione complessivo Reddito Operativo Costi Variabili Reddito Operativo Costi Fissi Reddito Operativo

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partenza da un certo risultato operativo iniziale. Risulta difficile pensare che il variare di una condizione non influenzi le altre e pertanto il primo assunto rappresenta un limite di validità del modello di analisi.

Il secondo assunto si lega invece ad un più ampio concetto ovvero quello dell’incidenza dei costi fissi e variabili. La didattica vuole che “la leva operativa di un’azienda sarà determinata in gran parte dalla sua struttura dei costi. Da una parte, il risultato operativo di aziende con alti costi fissi e bassi costi variabili unitari sarà probabilmente molto più sensibile a cambiamenti nelle vendite. Dall’altra parte un’azienda con costi variabili unitari alti e costi fissi modesti avrà un risultato operativo che non sarà sensibile ai cambiamenti nel volume di vendita”. Supponendo quindi due aziende con struttura dei costi differenti, partendo da uno stesso valore di risultato operativo iniziale, sarà la struttura a determinare il grado di leva. Ma questa condizione può essere presa in considerazione solo a livello didattico, dal punto di vista pratico il livello di risultato operativo influenza notevolmente il livello di leva operativa, infatti un risultato operativo molto basso porterà di conseguenza ad un aumento del valore delle leve e ciò porta ad inquinare la qualità delle analisi.

Per risolvere questa problematica si suggerisce di andare a rapportare i valori delle singole leve, analizzandole quindi in maniera congiunta, nello specifico mettendo a rapporto leva operativa e leva del prezzo; ciò permette di andare ad evidenziare scelte strategiche basate sul prezzo di vendita e di ambito competitivo. Un’azienda con un rapporto molto basso tra le due leve non avrà convenienza ad aumentare la quantità venduta, mentre invece un’azienda con un rapporto elevato avrà maggiore convenienza, infatti prendendo a riferimento due

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aziende con una struttura di costi opposti, ovvero una con costi fissi maggiori dei costi variabili ed un’altra con costi variabili maggiori dei costi fissi, a parità di fatturato, una variazione delle quantità prodotte avrà un maggiore effetto sul margine di contribuzione, sul risultato operativo e di conseguenza sulla leva e sul rapporto tra leve dell’azienda con una struttura di costi in cui predominano i costi fissi.

• aprire la via a una migliore comprensione dell’influsso che i concreti comportamenti direzionali hanno sulla redditività operativa. Capire le determinanti della redditività operativa risulta passaggio obbligato per focalizzare l’attenzione sulla creazione e salvaguardia di redditività ed il maggiore coinvolgimento dei soggetti aziendali in tale azione. Da qui nasce infatti la motivazione nel capire e nell’approfondire i vari nessi causali tra le determinanti della redditività operativa.

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1.4. MODELLI DI ANALISI DEL VALORE FONDATI SUL PREZZO DI MERCATO E SUI FLUSSI PROSPETTICI

In questo elaborato il concetto di valutazione fa riferimento alla misurazione del così detto “valore delle azioni”, ovvero il valore attribuito ai risultati previsti nel lungo periodo per l’azionista43; tale concetto si lega inoltre a quello di strategia, entrambi infatti devono essere misurati facendo riferimento al lungo periodo, trovando quindi connessione con alcuni degli ambiti di applicazione della valutazione dell’azienda che vedremo in seguito.

E’ importante iniziare con il definire le ragioni per la misurazione del valore delle aziende, all’interno dei quali si evidenzieranno le connessioni con il valore delle azioni.

Misurare il valore delle aziende non significa solo andare ad identificare il prezzo di una transazione sul mercato, ma è importante eseguire il processo di valutazione per quanto riguarda i seguenti determinati ambiti44:

a) Le scelte strategiche di azienda; b) La misurazione delle performance c) La redazione del bilancio di esercizio

d) Le applicazioni di garanzia relative al diritto societario ed al diritto fallimentare

e) Le operazioni di acquisto di attività d’impresa

Andando a trattare brevemente queste cinque ambiti per cui diviene importante attuare una identificazione del valore si può Pozzoli fa notare “l’importanza, per le imprese, di introdurre nei processi decisionali una riflessione sul valore prodotto per gli azionisti, come punto chiave di ogni processo strategico che voglia assicurare all’azienda una vita non effimera e di progressiva crescita”45. Tale riflessione necessita di una valutazione delle strategie al fine di identificare 43 “La strategia aziendale” V. Coda, G. Invernizzi, P.Russo, Mc Graw Hill Education 2017, pag. 82 44 “Valutazione d’azienda, tecniche operative di misurazione del valore” S. Pozzoli, pag. 3 45 “Valutazione d’azienda, tecniche operative di misurazione del valore” S. Pozzoli, pag. 4

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le aree strategiche d’affari che producono, o non producono, come scrive Pozzoli, “un valore adeguato alle aspettative complessive dell’azienda”; si tratta del primo ambito di applicazione della misurazione del valore.

Gli ambiti della misurazione delle performance e quella della redazione del bilancio di esercizio sono estremamente legate al primo ambito relativo alle scelte strategiche aziendali; attraverso di esse si ha la possibilità di una valutazione che dia possibilità di dare uno sguardo al futuro e non solo al passato, sono infatti i risultati futuri che interessano maggiormente agli utilizzatori del bilancio.

Il quarto ambito di applicazione, ossia quello riferito alle applicazioni di garanzia relative al diritto societario ed al diritto fallimentare, ai casi di operazioni di finanza straordinaria46, di liquidazione volontaria, fallimentare e coatta; è necessario che un terzo soggetto indipendente proceda alla definizione del valore aziendale al fine di garantire trasparenza ed autotutela dei soggetti coinvolti e con lo scopo di “certificare l’esistenza di un determinato valore del capitale o degli assets oggetto dell’ operazione.”47

Il quinto ed ultimo ambito della valutazione è quello riguardante le operazioni di acquisto di attività d’impresa; anche qui si evidenzia una relazione con “le scelte strategiche di azienda”, questo perché chi acquista lo fa, o potrebbe fare, con il fine di avviare un processo di integrazione, un processo di sinergie o creare un polo produttivo. Questo ambito riflette la “crescente tendenza allo sviluppo delle aziende per via esterna”48 in cui l’azienda oltre ad usufruire, per la creazione di profitto e di vantaggio competitivo, delle leve del valore interno (come ad esempio facendo ricorso a strategie di vantaggio di costo e di differenziazione per rendere cioè il prodotto unico) usufruisce delle leve del valore esterno; ovvero coglie opportunità che scaturiscono dall’utilizzo di driver esterni, cioè driver ottenuti mediante azioni di acquisizioni di aziende, rami di aziende o partecipazioni. In questa fase la definizione del valore diviene fondamentale per

46fusioni, scissioni, scorpori, trasformazioni, aumenti di capitale in natura

47 “Valutazione d’azienda, tecniche operative di misurazione del valore” S. Pozzoli,

pag. 5

(33)

far si che il prezzo pattuito non si discosti in modo eccessivo, sia al rialzo che al ribasso, dal reale valore dell’oggetto di acquisto e che ci sia un’adeguata e realistica misurazione del valore realizzabile dalle sinergie ed integrazioni frutto del processo di acquisizione.

Ci sono però altre motivazioni, oltre a quelle evidenziate precedentemente in questo paragrafo, che hanno spinto nel tempo a focalizzarsi sulla valutazione dell’azienda49:

f) Forte intervento degli investitori istituzionali sui mercati finanziari (banche, compagnie assicuratrici, istituti di previdenza, società finanziarie, fondi comuni di investimento);

g) Processo di privatizzazione delle aziende pubbliche, dove la necessità di cessione ai privati genera una necessità di valutazione delle quote di capitale cedute.

Come specificato in apertura di questo capitolo il concetto di valutazione a cui si fa riferimento è quello del così detto “valore delle azioni”, ovvero il valore attribuito ai risultati previsti nel lungo periodo per l’azionista50; tale concetto si lega a quello di strategia, trovando connessione, come è possibile ora vedere, con i primi tre ambiti illustrati all’inizio di questo paragrafo. Si tratta infatti di andare a misurare ed esaminare i risultati economico-finanziari dell’azienda, facendo riferimento alla strategia aziendale ed anche in questo caso partendo da elementi definiti all’interno del bilancio d’esercizio.

Non è difficile determinare quali siano i risultati che l’azionista ritiene importanti, tali risultati possono essere infatti i dividendi.

I dividendi influenzano l’andamento del valore delle azioni future; un aumento di queste ultime dipenderà da una prospettiva di aumento dei dividendi stessi.

Il valore dei dividendi dipende però dal valore dell’azienda, rappresentato dal valore attuale dei risultati futuri, ovvero dal valore economico del capitale investito.

49 “Logiche e metodologie di valutazione d’azienda” E. Gonnella, Pag. 17

50 “La strategia aziendale” V. Coda, G. Invernizzi, P.Russo, Mc Graw Hill Education

(34)

Diviene quindi fondamentale stabilire l’“Enterprise Value”, definito come il valore di mercato dell’intero attivo dell’impresa o valore economico del capitale investito dell’azienda, da cui poi sarà possibile ottenere l’ “Equity Value”, nome anglosassone utilizzato per identificare il valore delle azioni o il valore di mercato del patrimonio netto; è possibile ottenere l’Equity Value sottraendo dall’Enterprise Value il Net Debt, conosciuto nel nostro linguaggio come Posizione Finanziaria Netta; entrambi esprimono infatti l’indebitamento finanziario dell’azienda, definibile come debiti finanziari a breve e lungo periodo al netto dei crediti finanziari a breve e lungo periodo51.

Al fine di conoscere Enterprise Value e Equity Value si identificano vari criteri e metodologie di valutazione:

• Metodo dei multipli o moltiplicatori • Metodi reddituali

• Metodi finanziari • Metodi patrimoniali • Metodi misti

Ai fini della nostra analisi, in cui lo scopo è adesso quello di determinare Enterprise Value ed Equity Value in quanto elementi espressivi del valore delle azioni, andremo ad illustrare nel dettaglio il metodo dei multipli o moltiplicatori, il metodo finanziario secondo l’approccio asset side (facente riferimento al WACC) ed infine l’utilizzo dell’indicatore di performance EVA® come strumento di valutazione all’interno dei metodi misti52.

51 La PFN può inoltre essere calcolata come: +crediti finanziari a breve +altre attività correnti finanziarie -debiti a breve verso le banche -passività correnti finanziarie Posizione Finanziaria Netta a breve +crediti finanziari a medio/lungo termine -passività finanziarie a medio/lungo termine Posizione Finanziaria Netta 52 Per approfondimenti relativi agli altri metodi di valutazione, fare riferimento a: • “Logiche e metodologie di valutazione d’azienda” E. Gonnella

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Si è deciso di far riferimento a tali metodologie a causa della loro larga diffusione e maggiore semplicità di calcolo, almeno apparente.

1.4.1. Metodo dei multipli o moltiplicatori

Secondo questo metodo il valore dell’azienda “scaturisce dal prodotto tra un moltiplicatore, opportunamente stimato, e la corrispondente grandezza (denominatore del multiplo) della società oggetto di valutazione”53. In una concezione più ampia il metodo dei multipli o moltiplicatori non è utilizzato esclusivamente per l’identificazione della valutazione del valore dell’azienda, ma anche per la formulazione di un giudizio sulla convenienza a investire in un titolo quotato sui mercati regolamentati.

Ai fini del nostro elaborato ci concentreremo sull’utilizzo per la determinazione dell’Enterprise Value e di conseguenza dell’Equity Value.

Con questo metodo il valore viene stimato per analogia, infatti “il valore di una data impresa si determina sulla base dei prezzi di borsa che il mercato assegna a soggetti economici comparabili alla società oggetto di valutazione” 54.

E’ inoltre possibile raggruppare i multipli in due categorie:

• Multipli che danno la possibilità di determinare direttamente l’Equity Value, chiamati “multipli equity side”

• Multipli che determinano l’Enterprise Value e quindi successivamente in via indiretta l’Equity Value, come differenza tra Enterprise Value e Net Debt. Tali multipli sono chiamati “multipli asset side”

• “Valutazione d’azienda, tecniche operative di misurazione del valore” S. Pozzoli • “Introduzione alla valutazione del capitale economico, criteri e logiche di stima”, S. Bianchi Martini, L. Cinquini, G. Di Stefano, M. Galeotti • “Nuovo trattato sulla valutazione delle aziende”, L. Guatri, M. Bini 53 “Logiche e metodologie di valutazione d’azienda” E. Gonnella, Pag. 239 54 “Valutazione d’azienda, tecniche operative di misurazione del valore” S. Pozzoli, pag. 202

(36)

Moltiplicatori Equity Side.

Secondo Gonnella (2013), è possibile rappresentare una formula generale per questo tipo di moltiplicatori. Essa proviene dalla seguente uguaglianza55:

Dove:

We = valore dell’azienda target (Equity Value)

Kt = grandezza espressiva del valore dell’azienda target P = prezzo di mercato delle aziende comparabili (price) K = grandezza espressiva del valore delle aziende comparabili

(P/K)c = multiplo medio di mercato di un campione di aziende comparabili

L’equazione pone il rapporto tra il valore dell’azienda target e la grandezza espressiva di tale valore, uguale al moltiplicatore scelto.

Attraverso un’operazione matematica, ponendo We come variabile indipendente si ottiene:

Per andare quindi ad individuare l’Equity Value è necessario conoscere il multiplo medio di mercato di un campione di aziende comparabili, composto come visto dal prezzo di mercato delle aziende comparabili, dalla grandezza espressiva del valore delle aziende comparabili e dalla grandezza espressiva del valore dell’azienda target.

Tra i moltiplicatori Equity side si identificano di seguito i più rilevanti: • Price to Earnings

• Price to Book Value 55 “Logiche e metodologie di valutazione d’azienda” E. Gonnella, Pag. 247 We Kt = P K c P K . Kt We = c

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a. Price to Earnings.

Il multiplo price to earnings ha come grandezza di riferimento l’utile netto mentre come variabile chiave il risultato reddituale, ed è dato “dal rapporto tra il valore di borsa di un’azione (price) e l’utile netto annuo per azione (earning). Alla base di tale multiplo vi è l’assunto che “l’utile netto sia la variabile esplicativa del valore di un’impresa, e che l’acquisto di un’azione equivalga al diritto ad incassare un flusso illimitato di dividendi annui pari all’utile netto per azione”56.

Applicando la formula generale sopra evidenziata si ottiene la formula relativa al Price to Earnings, essa risulta essere pari a57:

Dove:

We = valore dell’azienda target (Equity Value)

Et = risultato di periodo dell’azienda target (Earning)

P = prezzo di mercato delle aziende comparabili (price) anche detto capitalizzazione di borsa

E = risultato di periodo delle aziende comparabili

(P/E)c = multiplo Price Earnings di un campione di aziende comparabili

Il moltiplicatore Price to Earnings presenta vantaggi e limiti. I vantaggi possono essere così riassunti:

• È di facile comprensione, richiama la relazione intuitiva che lega il prezzo agli utili dell’azienda;

• I dati sul multiplo sono facilmente reperibili, per questo è tra i più conosciuti ed utilizzati. 56 “Valutazione d’azienda, tecniche operative di misurazione del valore” S. Pozzoli, pag. 204 57 “Logiche e metodologie di valutazione d’azienda” E. Gonnella, Pag. 248 P E . Et We = c

(38)

I limiti sono:

• L’utile netto, al denominatore della frazione, è l’ultimo elemento del conto economico e pertanto dipende dalle componenti positive e negative del reddito;

• E’ influenzato dalle politiche di bilancio e pertanto può portare a risultati fuorvianti;

• L’indicatore è molto volatile in quanto risente in modo elevato di eventuali variazioni del reddito nei vari periodi amministrativi, diviene molto importante quindi la definizione dell’orizzonte temporale di riferimento;

• Il multiplo dipende dal livello di indebitamento e quindi impone di selezionare comparables con struttura finanziaria simile;

• I dati del multiplo possono variare da paese a paese in base ai principi contabili utilizzati per la redazione del bilancio di esercizio;

• I dati del multiplo possono variare da paese a paese in base ai diversi effetti dei sistemi di tassazione;

• Gli ultimi due punti limitano la scelta del comparables ad aziende che operino in regimi di tassazione simili e con utilizzo di stessi principi contabili per la redazione del bilancio di esercizio;

• Il price to earnings può essere utilizzato sono per aziende in utile e non per aziende in perdita.

Per quanto riguarda la definizione dell’orizzonte temporale è pensiero comune e condiviso prendere a riferimento una media semplice o ponderata dell’utile durante il periodo selezionato. Gonnella (2013) aggiunge però che diverso è il caso in cui si hanno aziende comparables che siano soggette a processi di crescita o ridimensionamento. In questo caso sarà necessario prendere a riferimento esclusivamente i dati futuri o adottare una media ponderata ponendo maggiore peso ai risultati attesi, al fine di evitare sottovalutazioni o sopravvalutazioni rispettivamente delle aziende in crescita o quelle in ridimensionamento. Altra problematica espressa dall’autore riguarda le aziende operanti in settori con

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