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Cap. 2 - Considerazioni sulla formazione delle quadrerie lucchesi del Sei e Settecento

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Academic year: 2021

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Cap. 2 - Considerazioni sulla formazione delle quadrerie lucchesi

del Sei e Settecento

Parlare dell’esistenza di un vero e proprio collezionismo a Lucca nei secoli XVII-XVIII comporta inevitabilmente approfondire uno dei suoi più importanti aspetti: la formazione delle quadrerie. Si tratta di una pratica che interessa maggiormente l’arredo dei palazzi signorili costruiti all’interno delle mura urbane, ed in alcuni casi riguarda anche le ville suburbane situate nella campagna circostante. La sua massima diffusione si manifesta dalla metà del Seicento fino al Settecento inoltrato, per poi proseguire, in misura ridotta, sino alla metà dell’Ottocento. Questo argomento ha attirato l’attenzione di molti studiosi che attraverso le loro ricerche, hanno contribuito a rivelare le origini e le fasi costitutive delle quadrerie più importanti di Lucca, ovvero quelle in possesso delle famiglie Buonvisi, Conti e Mansi, come vedremo più avanti nei prossimi capitoli.

In particolare, Patrizia Giusti Maccari ha sviluppato alcune considerazioni relative alle motivazioni ed agli orientamenti di gusto che stanno alla base della formazione di una quadreria. Per quanto riguarda il primo aspetto, la studiosa indica che a Lucca, attorno alla metà del Seicento, si comincia a considerare le quadrerie come “un bene da esibire con un valenza quasi pubblica e non più, come in precedenza, strettamente privata”.1

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Questo diverso atteggiamento è senz’altro legato alla trasformazione in chiave aristocratica della Repubblica. Questa ha avuto origine con l’emanazione della Riforma Martiniana 2 avvenuta nell’anno 1556 e successivamente si è consolidata con l’istituzione del Libro d’oro della nobiltà lucchese.3

Dobbiamo inoltre considerare che a Lucca non era presente un sovrano detentore di un potere assoluto e il governo cittadino si concentrava sulle mani dei rappresentanti di quella che era a tutti gli effetti una vera e propria aristocrazia. Le leggi che regolavano la partecipazione al Governo erano finalizzate ad evitare che la singola famiglia, o un dato individuo, emergessero concentrando in sé troppo potere. La valorizzazione dei beni permetteva dunque di esibire lo stato sociale, in un gioco senz’altro consapevole di variazioni e gradazioni. È vero peraltro che a Lucca si tendeva ad evitare ogni ostentazione delle ricchezze, allo scopo di scongiurare l’insorgere di malcontenti tra i diversi gruppi sociali. Era difatti essenziale che fosse garantito un clima di pacifica convivenza tra di essi. La valorizzazione di beni mobili e immobili doveva dunque essere perseguita all’insegna della sobrietà, in quanto l’esibizione di un’ostentata ricchezza avrebbe determinato uno squilibrio entro il sistema di rapporti di forza al quale abbiamo fatto cenno.4

2 Martino Bernardini, gonfaloniere della città, nel 1556 fu promotore della cosiddetta “Legge

Martiniana” per la quale si stabilì che a Lucca non potevano aspirare alle cariche della Repubblica i discendenti da genitori stranieri e del contado, eccettuati gli stranieri a cui fosse stata concessa la cittadinanza e le famiglie del contado i cui membri avessero già rivestito pubbliche cariche. Questa legge preparò l’accentramento dell’autorità nel patriziato cittadino. Cfr. Mazzei 1977, p. 50.

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Il Consiglio Generale nel 1628, seguendo l’esempio di Venezia, istituì il Libro d’Oro dove vengono ascritte le 224 famiglie che potevano accedere alle massime cariche contravvenendo palesemente agli ordinamenti costituzionali originari del Comune e della Repubblica. Lucca diventò così definitivamente una repubblica oligarchica. Questa decisione impoverì e irrigidì il sistema politico tendendo alla progressiva chiusura della città verso l’esterno ed al disimpegno dallo slancio imprenditoriale e commerciale dei lucchesi sulla scena internazionale adottato in passato. Cfr. Ibidem, p. 51.

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Patrizia Giusti Maccari ricorda che per i nobili lucchesi, in particolare durante il Seicento, “il patrimonio diventa così lo strumento indispensabile per esaltare le proprie origini, per accrescere la propria autorevolezza sociale e culturale, nonché per arricchire la propria educazione spirituale. Il riammodernamento in epoca barocca delle dimore in loro possesso, cittadine come suburbane, e la costituzione delle quadrerie sono da intendersi come fenomeni strettamente correlati tra di loro, dove l’unico comune denominatore è rappresentato dal marcato desiderio di visibilità.” Inoltre, sottolinea il fatto che l’acquisizione dei dipinti veniva considerata “un mezzo per scambi ed investimenti commerciali.” La pratica era favorita dal fatto che molte famiglie svolgevano la loro attività mercantile nelle più importanti piazze italiane ed estere. Questo può spiegare la presenza di un considerevole numero di quadri nordici nei palazzi. Ad esempio, Giuseppe Bernardini si procurò sedici ritratti di personaggi maschili probabilmente a Lione o a Chambery dove svolgeva la sua attività commerciale, mentre i Buonvisi, un secolo dopo acquistarono ad Anversa un buon numero di dipinti da destinare a una delle ville di proprietà della famiglia.5

Riguardo alla scelta dei dipinti e alla loro distribuzione sulle pareti, la studiosa ritiene che si seguisse “una prassi consolidata nel tempo che riserva poco spazio all’individualità dei singoli.” Questi aspetti possono essere ricostruiti attraverso la consultazione degli inventari, visto che la maggior parte delle collezioni è stata alienata tra Otto e Novecento a seguito dell’abolizione dell’istituzione fedecommissaria,6 l’unico strumento che permetteva la loro conservazione. La dispersione era favorita anche dall’estinzione del ramo maschile di molte famiglie e dalla possibilità di alienazione del patrimonio offerta dall’indemaniamento.7

5 Giusti Maccari 2007, p. 251.

6 Il fedecommesso o sostituzione fedecommissaria è una disposizione testamentaria attraverso la

quale il testatore istituisce erede ( nel qual caso si parla di fedecommesso universale o eredità fedecommissaria) o legatario (detto istituito) un soggetto determinato con l’obbligo di conservare i beni ricevuti, che alla sua morte andranno automaticamente ad un soggetto diverso (detto sostituito) indicato dal testatore stesso.

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Le carte degli archivi familiari, depositate presso l’Archivio di Stato di Lucca in tempi diversi e in forma più o meno completa, si presentano come una sorta di contenitore al quale è possibile attingere svariate informazioni che riguardano gli interessi privati ed economici delle famiglie. Tra di esse, si rivelano utili le carte pertinenti le attività commerciali, le disposizioni testamentarie, ed in particolare le stime eseguite in occasioni di divisioni ereditarie, di vendite all’incanto effettuate sotto la loggia del Palazzo Pretorio, e di fallimenti.8

Le operazioni di stima venivano eseguite dai Pubblici Banditori e Stimatori della Repubblica, un’istituzione di cui purtroppo ci restano poche notizie. Dai documenti analizzati il ricorrere di un ristretto numero di cognomi, Sorbi e Puccinelli, farebbe pensare ad un incarico trasmesso di padre in figlio. Per quanto riguarda la stima dei quadri, è ipotizzabile che i pubblici banditori si avvalessero dell’ausilio di pittori locali sicuramente più esperti nel redigere una valutazione dell’opera. Una perizia effettuata da un pittore avrebbe rappresentato un’ulteriore garanzia in merito alla veridicità delle attribuzioni ed al valore della stima.

Nella “Nota di tutti li quadri e loro stima” di proprietà di Antonio Frugoli, datata 1640, la valutazione viene effettuata addirittura da tre pittori, una prima da Guerruccio Totti identificato come “pittore lucchese”, la seconda da Marcantonio Cortonese e da Lanfranchi definiti “pittori moderni”. I pittori, in questo caso chiamati a svolgere il ruolo di periti, dovevano avere un punto di vista assai diverso, dato che in almeno nove casi le stime appaiono significativamente differenti tra di loro.9

8 Giusti Maccari 2007, p. 251.

9 Archivio di Stato di Lucca (d’ora in poi ASLu), Archivio Cenami, 34, 15,Nota di tutti li quadri e loro stima nella casa di Antonio Frugoli, 1640, cc. 368-369.

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Nella casa di Lucchesino Lucchesini la quadreria fu giudicata dal pittore Giovanni Coli (1636-1681). In questa occasione il valore monetario dei quadri non viene indicato, ma a conferire un’importanza alle opere è la presenza dei nomi di pittori illustri sia italiani (Leonardo, Fra Bartolomeo, Raffaello, Andrea del Sarto, Paolo Veronese, Giulio Romano, Polidoro da Caravaggio, Camillo Procaccino, Guido Cagnacci, il Guercino ed altri), sia stranieri (Albrecht Dürer, Pieter Brueghel e Pietro Paolo Rubens). A rappresentare la pittura locale vi sono diverse opere di Giovanni Coli alcune delle quali eseguite in stretta collaborazione con Filippo Gherardi. La descrizione del singolo quadro si completa con l’indicazione del soggetto rappresentato e le misure, espresse in braccio lucchese.10

Il pittore lucchese Domenico Brugieri riveste il ruolo di consigliere durante l’acquisto dei tre quadri di Alessandro Marchesini da parte del fiorentino Federico Antonio Sardini. Nel 1708, per l’improvvisa morte del committente, i quadri furono acquistati dal mercante lucchese Stefano Conti. Questi concluse la compravendita con la vedova Rosa Sardini attraverso l’intermediazione del pittore che fu incaricato di effettuare il pagamento di 114 scudi.11

Anche Gaetano Vetturali, pittore paesaggista attivo nel Settecento, dopo il suo rientro da Bologna, veniva spesso chiamato a valutare i quadri, le sculture, e i disegni.12 Il ruolo di stimatore di quadri viene ricoperto anche dal pittore e viaggiatore tedesco Georg Christoph Martini, che soggiorna a Lucca per quasi un ventennio, dal 1727 al 1745. L’occasione si presenta il 25 agosto 1740 quando viene redatto l’inventario dei beni appartenuti a Federico di Francesco Bernardini il quale cede al figlio “tutti li argenti, e gioie, mobili, suppellettili e utensili di qualsiasi sorte, si della Casa di Città, che quelli esistenti nelle Ville di Campagna, eccettuati però quelli della Casa del Bagno”. Incaricato a compilare l’elenco dei beni è il pubblico banditore Sebastiano Puccinelli, il quale si avvale della collaborazione di due esperti, dell’orefice Sebastiano Carrara per i gioielli, e del Martini per i dipinti.13

10 ASLu, Archivio Guinigi, 295, Nota dei quadri esistenti nelle chiese e nelle case di Lucca, elencate alfabeticamente, cc. 55-59. Nessun riferimento cronologico ci indica con esattezza

quando sia avvenuta la perizia.

11 Zava Boccazzi 1990, pp. 121, 134.

12 Ambrosini 2006, p. 230. Cfr. Biblioteca Statale di Lucca (d’ora in poi BSLu), Ms 1651, c. 5. 13 Betti 2013, nota 17, p. 14.

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Il pittore Pietro Nocchi (1783-1854), esponente della pittura lucchese di primo Ottocento, si preoccupa di valutare i “quadri che ha in consegna il sig[nore]

Francesco Ricci” provenienti dall’eredità dei Mansi e spettanti alla Signora

Camilla Parensi, e di redigere il “Catalogo dei quadri esistenti nella Galleria” di Palazzo Mansi a San Frediano che appartengono per divisione agli eredi Parensi ed Orsucci.14

I pittori non si limitavano solamente alla stima ma, di frequente, rivestivano anche il ruolo di consigliere e di intermediario nella compravendita dei quadri. Nella “Nota de i Quadri dell’Appartamento buono” redatta dal “dilettante” Giacomo Sardini ricorre spesso il nome del pittore lucchese Lorenzo Moni, nella doppia veste di consigliere e di intermediario con l’incarico di acquistare i quadri per conto del committente. In almeno quattro occasioni il Moni sembra rivestire il ruolo di acquirente diretto delle opere: “Due mezze figure del Paolini prese dal Moni p[er] Z[ecchini] 18”, e “Due d[ett]i p[er] ritto di Salvator Rosa presi dal Moni Z 9”, “Due architetture in una delle quali un Lume di Luna di Serafino Brizio del quale non si vedono che pochissimi quadri a olio avendo in Bologna quasi sempre lavorato a fresco, e a colla. Presi in Bologna dal Moni, e pag[a]tenele Z 12”, “Due d[ett]i di Bestie di Mons[igno]r Rosa di Tivoli il vecchio portati da Bologna dal Moni pagati Z 18”.

In altri casi, in una fase successiva all’acquisto, i quadri vengono inviati a Bologna per essere giudicati dal pittore e collezionista d’arte Carlo Bianconi: “Una d[ett]a di S[anta] Orsola di Guido Reni, o forse di Simon da Pesaro quando imitava Guido come si rivela dall'attestato del Sig[no]re Carlo Bianconi al quale fu trasmesso p[er] giudicarne a Bologna dal Moni che lo aveva acquistato in Pisa dalla Casa e che conservo in filza. Pagai il presente quadro Z 20”, e “Un S[an] Gio[vanni] Batt[ist]a d'emilio Savonanzi Scolaro di G[u]ido, come si ha dall'Attestato del Sig[no]re Bianconi Sopran[nominat]o conservato da me, che Lo esamino in Bologna trasmessoli cola dal Moni che lo provide in Pisa costatomi Z 8.” 15

14 ASLu, Archivio Mansi, 317, fasc. 1, IX, Quadri che ha in consegna il Sig[nore] Francesco Ricci, XIX sec., c. 1, e X, Catalogo dei Quadri esistenti nella Galleria, XIX sec., cc. 1-2. Cfr.

Giusti Maccari-Borella 1993, pp. 220-221; Betti 2013, p. 17.

15 ASLu, Archivio Sardini, 83, 46, Nota de i Quadri dell'Appartamento buono, XVIII-XIX sec.,

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Sulla base di questi elementi è ipotizzabile che la stima dei dipinti e delle opere d’arte figurative in genere, fosse frequentemente praticata dai pittori, che operavano anche in maniera indipendente rispetto all’operato dei Pubblici Banditori.

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2.1 - I Pubblici Banditori

Nonostante una presenza considerevole dei documenti emessi dai Pubblici Banditori, sappiamo ben poco sull’origine di questa carica istituzionale e, ancor meno, della loro formazione professionale.

Nello Statuto del Comune di Lucca del 1308, non è stato trovato espressamente

alcun ordine che riguardi direttamente i Pubblici Banditori, benché fossero molti gli atti d’interesse pubblico e privato nei quali era necessario quel modo di

pubblicazione che si diceva bando. Tuttavia la loro istituzione deve essere di origine antichissima, e forse non fu mai interrotta dai tempi romani in poi, avendo lo stesso ufficio dei praecones, un nome che fu mantenuto ai banditori del Medioevo nei documenti latini.

Forse, bisogna credere che costoro venissero considerati come dipendenti degli Anziani, ed allora è probabile che fossero menzionati nello Statuto del Popolo, di cui purtroppo si sono smarrite tutte le compilazioni. Quando poi la somma dei pubblici ordinamenti si venne a raccogliere nello Statuto del Comune, come fu in quello del 1331, vi si pose un’apposita rubrica De preconibus luc. Comunis et

eorum officio et salario. In essa è prescritto che debbano esservi tre buoni

Banditori che siano Banditori del Comune di Lucca, aventi ognuno annualmente 100 lire di feudo o salario, più due paia di panni del valore di lire 24; debbano essere provvisti d’armi militari, tenere cavalli o ronzini, ed infine siano obbligati a bandire nei luoghi consueti della città per conto dei pubblici ufficiali. I bandi si gridavano nei luoghi più frequentati, premesso il suono della tromba perché il popolo accorresse; naturalmente si pronunciavano in volgare. I Banditori, oltre gli uffici di carattere pubblico, si prestavano a compiere atti di interesse privato; come le vendite all’asta. Il numero dei Banditori fu poi ridotto a due, ed in questo numero rimasero, finché il loro ufficio ebbe vita.16

16 Le notizie riguardanti l’origine dei Pubblici Banditori e la loro funzione nel governo cittadino

sono riportate nell’Inventario degli Archivi Gentilizi compilato da Salvatore Bongi alla fine degli anni Settanta dell’Ottocento. Cfr. ASLu, Inventario Archivi Gentilizi, II, 1876, pp. 408-409.

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Nella riforma del 1446 attinente la materia degli uffici pubblici fu redatto il particolare Statuto del Regime, dell’Uffizio e dell’elezione dei Banditori, compreso nel Capitolo LV.

In sostanza si stabiliva che gli Anziani, il Gonfaloniere ed i Condottieri dovevano eleggere, col salario mensile di 5 fiorini per ognuno, due Banditori pratici e di buona voce, i quali dovevano tenere un cavallo, pronunciare i bandi a servizio di tutti i pubblici magistrati, procedere a cavallo per le vie della città; vendere all’asta i proventi e farne atto pubblico come procuratori e sindaci del Comune; ed infine accompagnare gli Anziani nelle feste e nelle processioni. Oltre il salario, si stabiliva che fossero rivestiti ogni anno dell’abito consueto e di un cappello adeguato, foderato di seta o di panno ed ornato di fregi d’oro.

Riguardo ai proventi dei Banditori per le faccende private, come vendite all’asta, fallimenti, eredità, inventari ecc., pare che col passare degli anni si fossero accresciuti al punto che il Consiglio Generale, il 5 luglio 1552, decretò che da quel momento si eleggessero senza stipendio, dovendo loro bastare quei compensi.

Lo Statuto non aveva decretato il tempo e la durata dell’elezione, ma un nuovo regolamento approvato il 19 ottobre 1580 dichiarò che i Banditori sarebbero stati eletti o riaffermati ogni anno; a loro s’impose l’obbligo di un pagamento che ammontava a 300 scudi, proibendo che direttamente o indirettamente comprassero qualsiasi oggetto messo all’incanto per mezzo loro ed inoltre veniva ribadito che fossero sottoposti a tassazione dall’Offizio sopra l’Entrate.

La prima volta che i Banditori venivano eletti, celebravano un contratto con la Repubblica; in tale occasione il Gonfaloniere conferiva loro il grado di Cavalieri dello Spron d’Oro.

Queste nomine probabilmente confermavano privilegi antichi. Durante il corso degli anni, i pubblici Banditori deposero il vestiario sfarzoso e il cappello, assumendo invece la veste senatoria detta lucco; ma con una riforma del 29 dicembre 1631 fu ordinato che la deponessero e fu disposto che portassero la veste imbracciata e lunga fino al ginocchio.

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Le loro elezioni, benché sottoposte a continue conferme, salvo poche eccezioni, furono a vita; anzi è osservabile, come abbiamo detto, che l’impiego come Banditore passasse generalmente di padre in figlio. L’istituzione sopravvisse alle tante trasformazioni politiche e ai modi di pubblicizzazione offerti in particolar modo dalla stampa.

Con il Duca Carlo Lodovico, attraverso un decreto del 27 agosto 1833, si confermarono le loro antiche e tradizionali attribuzioni determinando le loro funzioni, l’autorità e i compensi. Nel 1848 cessarono la loro attività almeno come ufficiali pubblici quando, avvenuta l’unione del Ducato al Granducato, fu introdotto il sistema legale toscano.17

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2.2 - La conoscenza delle quadrerie attraverso gli inventari legali

Nell’Archivio di Stato di Lucca i documenti emessi dai Pubblici Banditori sono stati raccolti in un’unica sezione composta da diciannove fascicoli. Si tratta di un’importante memoria storica dalla quale è possibile attingere informazioni utili al fine di poter incrementare la nostra conoscenza del panorama collezionistico cittadino. Dallo spoglio delle carte che ho effettuato è emerso un numero elevato di inventari caratterizzati da un’elencazione dettagliata dei beni mobili esistenti all’interno delle dimore lucchesi. Com’è possibile spiegare l’innumerevole quantità di documenti? Quali erano le motivazioni che comportavano la redazione di un inventario?

Le ragioni che inducevano a sottoscrivere un inventario erano essenzialmente due: in primo luogo, i fallimenti che si verificavano di frequente e comportavano la vendita all'incanto dei beni mobili ma anche di quelli immobili; non dimentichiamo che molti cittadini lucchesi erano a capo o facevano parte di società legate alla produzione e vendita dei tessuti e al mercato finanziario sia in Italia che nelle maggiori città europee. In secondo luogo, alla morte del possessore dei beni si rendeva necessario valutare l'intero patrimonio, ossia quantificare l’importo totale dell’eredità.

In termini di contenuto, gli inventari si presentano pressoché identici nella loro forma caratterizzati come sono da una descrizione completa, in alcuni casi ben dettagliata, di tutti gli oggetti collocati negli ambienti interni comprese le aree di passaggio.

In linea generale, le modalità per formulare un inventario sono essenzialmente due: la prima prevede una suddivisione per tipologie. In questo caso troviamo una sequenza di sezioni (mobili, dipinti, manufatti di uso domestico, argenterie, biancheria). L’altra modalità consiste nella compilazione di un elenco che rispetta la planimetria dell’abitazione, sostanzialmente una descrizione topografica. Si parte considerando i mobili compresi nel piano nobile composto solitamente da ingresso, sala, galleria, camere private, per poi proseguire al secondo piano con le restanti camere.

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Le opere pittoriche, spesso inventariate con la relativa stima, rientrano tra i beni considerati di maggior valore e costituiscono un indice di appartenenza sociale per chi le deteneva. La loro sistemazione interessa indifferentemente i diversi ambienti che compongono l’intera abitazione, anche se la sala di rappresentanza con la funzione di ricevimento degli ospiti rimane il luogo privilegiato dove esporre le opere di maggior pregio.

Per quanto riguarda l’allestimento delle quadrerie, a Lucca non sembra avere larga diffusione l’uso di destinare a tipi di stanza funzionalmente differenti, tipologie distinte di quadri come, al contrario, è riscontrabile a Bologna. Qui le quadrerie nobiliari formatesi nel Seicento si legano la pittura di storia e i ritratti di famiglia alle stanze che avevano funzione di rappresentanza come la sala, i quadri di carattere religioso sistemati nelle pareti alle camere private, i ritratti alle scale, gli studi e le biblioteche. I paesaggi, che hanno un ruolo puramente decorativo, sono collocati negli ingressi, sulle porte a segnare il passaggio da un locale all’altro, oppure in funzione di soprapporte nelle camere dei domestici. Le nature morte occupano infine lo spazio delle cucine e dei tinelli, mentre i disegni sono appesi alle pareti di tutte le stanze.Una simile modalità di esposizione è probabilmente imputabile all’impronta classicista che domina la pratica e la teoria delle arti a Bologna fra Sei e Settecento. Nonostante Lucca fosse direttamente legata a Bologna, per l’allestimento delle quadrerie non fu adottato lo stesso criterio diffuso nella città felsinea.18

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Se consultiamo l’inventario dei beni mobili della casa Conti al Suffragio, all’interno delle stanze private si mescolano diversi generi di pittura. Nella “Camera del Sig[nore] Francesco”, si presume una stanza da letto, i quadri di carattere religioso sono in maggioranza ma convivono con quelli di carattere mitologico, con i ritratti, con i quadri di paesaggi con architetture e con le nature morte.

Un’identica soluzione si manifesta in altri ambienti della casa, come nella “Prima” e nella “Seconda camera dell’Appartamento buono” mentre nel “Salotto” si vedevano i quadri di storia a carattere mitologico e religioso e ritratti di famiglia, in linea con l’esempio delle quadrerie bolognesi, accompagnati tuttavia da paesaggi, quadri di genere con figure ed altri con animali.19

Una situazione analoga è riscontrabile nella “casa in Lucca” di proprietà della famiglia Pini, la cui quadreria è stata recentemente studiata da Paola Betti. Come riportato nell’inventario del 1778, “In Sala” sono presenti ritratti, un quadro con il Volto Santo, e un altro con l’Arme della Repubblica e della casa Pini, in linea con l’arredo di una sala di rappresentanza, mentre “In Galleria”, nella “Camera del Letto”, nell’“Anticamera d[ett]a del Sig[no]r Giuseppe” e nella “Camera detta dopo la Camera Parata” si conferma quella sorta di mescolanza di generi: rovine e paesaggi, scene di genere e bambocciate, nature morte e bestiami, quadri con temi religiosi e mitologici, e ritratti.20

Al contrario, pare che la sistemazione dei quadri all’interno della dimora di Lucca di Lelio Guinigi aderisse ad un criterio d’allestimento per tipologie. Se confrontiamo l’inventario compilato seguendo la planimetria dell’abitazione, troviamo una disposizione più disciplinata rispetto agli esempi precedenti. Nelle camere private le pareti sono corredate di quadri religiosi raffiguranti storie della vita di Cristo, e figure di santi.

19 ASLu, Pubblici Banditori, 47, Inventario del Sig[nore] Giovanni Conti, 1781 ca., cc. nn..

L’inventario è stato meritoriamente citato da Nelli (2007) e da Betti (2013) senza offrire nessuna trascrizione.

20 ASLu, Pubblici Banditori, 46, Inventario di Mobili, Argenti, Biancheria e d’altro dell’eredità del fu Sig[nore] Giuseppe Pini ritrovato nella sua casa in Lucca, 1778, cc. 1-15.

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Ad esempio nella “Prima Camera della parte mezzo Giorno” abbiamo un quadro grande rappresentante l’“Entrata di Cristo a Gerusalemme” del Veronese, un quadro con la “Vergine con il Bambino e san Giuseppe”, opera del Procaccini, uno “Sposalizio di santa Caterina, san Francesco e santa Chiara” opere di Francesco Vanni, un quadro soprapporta rappresentante “Santa Maria Egiziaca”, mentre nella “Seconda Camera del Sig[no]re Abb[at]e” due quadri con figure di santi rispettivamente “San Francesco” e “San Carlo”, e due rappresentazioni di “Madonne”, condividono le pareti con un quadro di paesaggio. Nella “Camera Oscura” quattro quadri delle storie del Tasso di mano dello Scaglia convivono con tre opere di carattere religioso, una “Deposizione di Cristo dalla croce”, una “Visitazione”, ed un quadro raffigurante un “San Sebastiano”. Nella “Camera

della Torre” sono presenti un “San Sebastiano” e una “Giuditta”, una “Marina”

attribuita a Cornelio ed infine un “Ritratto all’antica” di Tiziano.

Nella “Sala” si trovano le “Due Arme della Famiglia Guinigi” assieme a “Quattro

Quadri grandi d’Architettura” e “Quattro soprapporti rappresentanti le Quattro Stagioni”, mentre le altre “salette” ospitano ritratti con personaggi di famiglia e

con altre personalità politiche e religiose. Nella “Prima Saletta”, abbiamo “Due

quadri di ritratti”, uno rappresenta Monsig[no]re Fabio Guinigi”, e l’altro il

“S[igno]re Curzio Franciotti”. Nella “Saletta di sopra” accanto ad un quadro ottangolare con il “Ritratto del Sig[no]re Com[mendato]re Guinigi” troviamo i ritratti di un “pontefice” e di un “guerriero”, e quattro “ritratti della Casa d’Este

di Modena”.

Anche il “Mezzanino sopra lo studio” appare un luogo riservato ai ritratti. All’interno dei due studi presenti nel palazzo sono ricordati quadri con soggetto religioso. In uno si trovano due quadri: un quadretto raffigurante “S[anta]

Agnese”, e l’altro con “Gesù Bambino, la Madonna, e S[an] Giuseppe” mentre,

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La “Prima Camera Terrena al mezzo giorno” molto probabilmente adibita ad uso comune, rappresenta l’unico esempio in cui convive l’insieme di generi che abbiamo già incontrato negli esempi precedenti. Si incontrano difatti: “Tre quadri

di Marina, Due Detti di Architettura, Un Ritratto di Pontefice, Un Quadro della Madonna, S[anta] Anna, e S[an] Giuseppe, Un detto di S[an] Carlo”.21

Un altro elemento importante sul quale, quando si consultano gli inventari, è necessario riflettere è costituito dalle indicazioni di paternità delle opere.

Per chiarire questo aspetto Patrizia Giusti Maccari porta come esempio l’inventario dei beni di Gaspare Mansi (1682) che lascia la sua eredità al fratello Raffaello e al nipote Ottavio. Nell’inventario si elencano complessivamente duecento quadri ma solamente quindici sono corredati dal nome dell’autore: due battaglie del fiorentino Iacopo Tarchiani, una scena di musica del lucchese Pietro Paolini, una natura morta con un filosofo di Simone del Tintore, anch’egli lucchese, uno specchio dipinto con una ghirlanda floreale e dieci nature morte di fiori del romano Mario dei Fiori.La qualifica d’antichità ma anche l’indicazione “di Fiandra” che nell’inventario accompagna quadri di cacce, paesaggi, fiori e

frutti, invece, rende esplicita la loro provenienza d’Oltralpe.22 Secondo la studiosa l’anonimato è riconducibile a due fattori. Da una parte sta la “reale ignoranza dell’identità dei loro autori” mentre, dall’altra deve essere considerata la “difficile grafia” e la “pronuncia ostica dei cognomi dei pittori” stranieri.23

Per quanto riguarda la presenza di copie, essa viene segnalata solo se riguarda opere di autori celeberrimi quali erano i grandi maestri del Cinquecento, Michelangelo, Raffaello, Tiziano, ma anche ad esempio di Fra Bartolomeo per rimanere nell’Italia centrale. Lo stesso discorso coinvolge anche i pittori di scuola veneta come Veronese e Tintoretto, ed arriva ai rappresentanti seicenteschi della scuola bolognese, soprattutto il Guercino.

21 ASLu, Archivio Guinigi, 61, Libro de Beni Stabili, e loro valore attenenti all’Eredità del già Nob[ile] Signore Lelio Guinigi, 1739, cc. n.n... L’inventario è stato meritoriamente citato da Giusti

Maccari (2007) senza offrire nessuna trascrizione.

22

ASLu, Archivio Mansi, Eredità, 2, II, Inventario di Robbe dell’Heredità del Sig[nore] Gasparo

Mansi, 1682, cc. 1-47. Vedi Appendice Documentaria, n. 3. Cfr. Giusti Maccari 2007, p. 252.

L’inventario è stato citato e trascritto per intero da Borella, Giusti Macccari (1993).

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Per questo motivo è possibile che nelle raccolte fossero comprese copie di dipinti, non individuate come tali in sede di inventario. Così, in quello relativo ai beni di Gaspare Mansi è citato un “S[an] Pietro in Vincolo con un Angelo” che, grazie alla testimonianza di una vecchia fotografia, la studiosa ritiene fosse una copia del

San Pietro liberato dall’angelo, eseguito attorno al 1620 per il marchese

Vincenzo Giustiniani da Gherardo delle Notti.24

Invece “La Madonna col Bambino e i santi Lucia e Lorenzo”, citata nell’inventario degli arredi del palazzo di Tommaso Guinigi, datato 1679, è detta copia, seppur di dimensioni maggiori, della pala d’altare eseguita da Fra Bartolomeo per il Duomo lucchese, una delle immagini più venerate a livello locale.25

Nella quadreria di Casa Lucchesini vengono segnalate come copie da Fra Bartolomeo “Due quadri del Dio Padre e del Cenacolo degli Apostoli”, realizzate dal pittore Pietro Sorri per ordine di Vincenzo Malpigli. Sempre nello stesso inventario vengono elencate numerose copie di opere di Tiziano, Veronese, e Tintoretto, eseguite dal pittore lucchese Giovanni Coli.26

Nell’“Inventario di quadri di Autori Diversi appartenenti al Card[inal]e Orazio

Filippo in Lucca Lasciati da esso in Lucca nelle mani dei suoi Sigg[no]ri Fratelli Ab[bat]e Bartolom[e]o e Gio[vanni] Batt[ist]a Spada”, datato 1716, si ricorda

“Un quadro con l’Adorazione de[i] Magi opera di Paulo Veronese copiata da

Pittori Lucchesi Gio[vanni] Coli, e Filippo Gherardi q[uan]do stavano a Venezia a studiare”. Inoltre, in esso viene segnalata una copia non attribuita ma che

farebbe pensare ad un’opera eseguita dai due artisti lucchesi, considerando il pittore veneziano a cui si fa riferimento: “Una copia in piccolo del quadro di

Epulone, e Lazzaro del Tintoretto fatta da Pittori Lucchesi”.

24

ASLu, Archivio Mansi, Eredità, 2, II, Inventario di Robbe dell’Heredità del Sig[nore] Gasparo

Mansi, 1682, cc. 1-47. Cfr. Giusti Maccari 2007, pp. 252-253.

25 ASLu, Archivio Guinigi, Miscellanea, 192, fasc. 1 Inventario di tutti i mobili del Sig[no]re Tommaso Guinigi in Lucca nella chiesina e robbe per la detta, 1679, cc. 1-10. Cfr. Ibidem, p. 252. 26

ASLu, Archivio Guinigi, 295, Nota dei quadri esistenti nelle chiese e nelle case di Lucca, elencate alfabeticamente, c. 44; BSLu, Ms 3300, Elenco di quadri giudicati da Coli in casa di Lucchesino Lucchesini, cc. 228-229. L’inventario Lucchesini è stato citato e trascritto per intero da

(17)

47

Sempre nell’inventario del Cardinale Spada è menzionata una copia del Guercino, con una precisazione destinata a chiarire perché il quadro appare non finito: “Un

quadro assai grande per traverso di P[ied]i 8 in circa copia del Guercino con la Vergine, Gesù e S[an] Giuseppe in viaggio non perfezionato, perché non è neppure perfezionato l’originale che si trova in Casa Massei” (dunque a Lucca).27

Altre copie del Guercino sono rintracciabili nella casa dell’architetto Giuseppe Pini dove si registrano Due quadri rappresentanti la S[antissi]ma Vergine

Assunta, e l’altro S[an] Francesco copie antiche del Guercino con cornice come sopra di altezza B[racci]a 3 1/6, e di larghezza B[racci]a3 con una stima pari a

Lire 120.Nello stesso inventario si segnalano anche Otto quadri rap[presentan]ti

di rottami di Architettura con Figure copiati dalli originali del Ricci con cornici c[om]e sop[r]a di altez[z]a B[racci]a 2 2/3, e di larg[hezz]a B[racci]a 1 1/4.28

Per quanto riguarda i grandi maestri del Cinquecento in due occasioni si ricordano due copie di Raffaello, la prima nel palazzo di Lucca della famiglia Bianchi (“Uno

detto [quadro] di braccio e 2/3 con entro Enea e Anchise ed Adamo ed Ascanio copia di Raffaello con cornice dorata”); 29 l’altra, anch’essa di piccole dimensioni nella casa di Alessandro Guinigi (“Un quadretto che rappresenta un quartiero di

soldati largo Br[accia] 1 1/6, alto Br[accia] 5/6, anzi il suddetto quadro rappresenta la copia d’un quadro dell’Ascensione di Raffaello d’Urbino alto Br[accia] 1, largo Br[accia] 2/3”). 30

27

BSLu, Ms 3299, fasc. 4, Inventario di quadri di Autori Diversi appartenenti al Card[inale]

Orazio Spada Lasciati da esso in Lucca nelle mani dei suoi Sig[nor]i Fratelli Ab[bate] Bartolom[e]o e Gio[vanni]Batt[ist]a Spada, 1716, cc. 1-4.; BSLu, Ms 1918, cc. 298-299.

L’inventario è stato citato e trascritto per intero da Ton (2009).

28

ASLu, Pubblici Banditori, 46, Inventario di Mobili, Argenti, Biancheria e d’altro

dell’eredità del fu Sig[nore] Giuseppe Pini ritrovato nella sua casa in Lucca, 1778, cc. 1-15. Cfr.

Betti 2005, pp. 141-160

29 ASLu, Pubblici Banditori, 42, Inventario Bianchi Palazzo in Lucca, 1756. L’inventario è

inedito.

30 ASLu, Pubblici Banditori, 39, Inventario de quadri ritrovati nelle stanze particolari della Casa di Lucca ove abitava il fu Nob[ile] Sig[nore] Alessandro Guinigi Franciotti, 1748, cc. 44-55.

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48

In un’unica occasione si incontra una copia di Michelangelo, peraltro di ottima qualità e di medie dimensioni, segnalata nella casa del Lucchesini: “Quadro in

tela di B[raccia] 3 d’altezza e 4 di lunghezza presentante una notte, figurata in una femmina con i suoi geroglifici è copia di ottimo maestro essendo l’originale di Michelangelo Buonarroti”.31

L’unico esempio sino ad ora rintracciato di copia di un’opera fiamminga, chiama in causa il pittore Bernardino Nocchi. Questi riprodusse un’originale di Van Dyck che rappresenta “Nostro Signore che va al Monte Calvario colle 3 Marie”.32 Come sottolinea Patrizia Giusti Maccari, consultando gli inventari è evidente che sia l’indicazione di paternità delle opere, sia la definizione precisa del loro stato di originali o copie, non erano considerati requisiti di primaria importanza. Questo “appare valido soprattutto nel Seicento, quando, anche a Lucca, il concetto del possesso connotato da un risvolto di tipo commerciale, prevale ancora su quello collezionistico”.33

Riguardo invece gli orientamenti di gusto dei patrizi lucchesi, la studiosa ci ha fornito un’ampia descrizione sulle categorie di dipinti che si incontrano con maggiore frequenza negli inventari.Il primato numerico spetta ai dipinti legati alla religiosità individuale. Essi riflettono una devozione di tipo genericamente e diffusamente tradizionale, spesso connessa alla spiritualità locale. Le “raffigurazioni del Volto Santo, della Madonna dei Miracoli, di quella del Soccorso, si aggiungono così a quelle della Madonna col Bambino, ovviamente le più ricorrenti e segnalate in maniera indistinta in tutti gli ambienti del palazzo. Meno frequenti, anche se di poco, sono i dipinti che hanno per protagonisti i santi, solitamente raffigurati a mezza figura. Notevole spazio viene riservato a quelli strettamente connessi alla spiritualità territoriale. Troviamo i santi Paolino, patrono di Lucca, Donato, Davino, Frediano, Zita, e a quelli di recente canonizzazione: Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Filippo Neri, Carlo Borromeo, Felice da Cantalice.”

31 ASLu, Archivio Guinigi, 295, c. 58; BSLu, Ms 3300, Elenco di quadri giudicati da Coli in casa di Lucchesino Lucchesini, c. 229. Cfr. Ton 2009, p. 156.

32

ASLu, Pubblici Banditori, 46, Inventario di Mobili, Argenti, Biancheria e d’altro

dell’eredità del fu Sig[nore] Giuseppe Pini ritrovato nella sua casa in Lucca, 1778, cc. 1-15. Cfr.

Betti 2005, pp. 154-159.

(19)

49

Un’altra categoria che, come ci si può aspettare, risulta largamente rappresentata è la ritrattistica. Esso costituisce difatti “un mezzo particolarmente idoneo ad esaltare il prestigio sociale e spirituale della famiglia”. A testimonianza di questo aspetto, si può citare il ritratto a figura intera di Stefano Orsetti, che con orgoglio ostenta l’insegna appena ricevuta dell’Ordine Cavalleresco della Chiave d’Oro, tra i più prestigiosi dell’Impero asburgico, dimostrando come il ricevimento di un’onorificenza ufficiale potesse costituire un’ottima causa per dare maggiore visibilità alla gloria della propria casata.

Non mancano neanche i numerosi ritratti di monsignori, cardinali e religiosi, tra questi: San Giovanni Leonardi, fondatore della Congregazione della Madre di Dio alla fine del Cinquecento, Giovan Battista Cioni, Cesare e Giulio Franciotti, i primi e più strenui collaboratori di Leonardi.

Una scarsa considerazione viene riservata ai ritratti di religiose. Tra i pochissimi quelli di “monaca Flavia Maria e di monaca Maria Caterina” in casa Guinigi, e di una non meglio identificata “monaca che studia”, attribuita a Pietro Paolini in casa Cittadella. 34

Le ricorrenti immagini di regnanti sembrano alludere alla fedeltà nei loro confronti. Per questo motivo erano in genere sistemati in ambienti come i grandi atri d’ingresso a piano terra, i “saltelli”, i pianerottoli delle scale, la sala principale, che consentiva l’accesso alla teoria di quelle successive.

La stessa esigenza veniva ottemperata dalle insegne familiari e della Repubblica, rappresentate su tela o su legno sagomato. Per queste ultime, almeno sulla base degli esemplari sopravvissuti, sembra di uso consueto il ricorso ad artisti lucchesi qualificati tra i quali Giovanni Marracci, Pietro Testa, Girolamo Scaglia, e Antonio Franchi.

(20)

50

Negli ambienti di rappresentanza e di uso familiare è ben rappresentata la categoria dei quadri storici, tanto d’argomento sacro, con temi desunti dal Vecchio e dal Nuovo Testamento, quanto mitologico e generalmente letterario. A differenza che in altri centri, la rappresentazione di scene desunte dai poemi del Tasso e dell’Ariosto non sembra godere di ampia fortuna. Tra i pochi esempi, si segnalano i quattro quadri dipinti di Girolamo Scaglia, con episodi della Gerusalemme liberata, ricordati nella “Camera Oscura” di Palazzo Guinigi fin dal 1679. 35

Categoria assai variegata e rivelatrice dell’interesse personale del proprietario è quella dei quadri di figura che, a mezzo busto o per intero, forniscono rappresentazioni genericamente allusive alla transitorietà della vita umana, in grado di assommare alla funzione morale quella decorativa, sempre più prevalente col passar del tempo. Tra i temi più consueti, le allegorie delle stagioni, e dell’età della vita.

Molto apprezzate risultano essere le rappresentazioni di paesi, tempeste, porti di mare, architetture e prospettive, vedute di città, battaglie e cacce, soggetti che acquistano una posizione predominante nelle collezioni private soprattutto nel Settecento. Un esempio rappresentativo sono le vedute di Venezia nella collezione di Stefano Conti commissionate ai pittori veneziani Luca Carlevarjis e Canaletto, mentre rappresentano l’apporto lucchese a questo genere le vedute di paesi ed architetture di Gaetano Vetturali e di Lorenzo Castellotti.36

Un altro aspetto interessante che emerge dagli inventari è la presenza di elementi di giudizio, spesso soggettivi, ai quali si attribuisce la funzione di valorizzare (o, al contrario, diminuire) il pregio dell’opera.

35 Ibidem, p. 254. 36 Ibidem, pp. 254-255.

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Nell’Inventario dei quadri di Gasparo Mansi, ad esempio, ricorre spesso l’aggettivo “buono” utilizzato nella descrizione dei dipinti, come nel caso di un quadro “di puttini nudi buono in tavola con Corn[ic]e antica nera e Dorata

A[ltezza] Br[acci]a 1 L[arghezza] Br[acci]a 1 e 5/6”, oppure quando si

descrivono alcuni pezzi fiamminghi (“6 Quadri di Caccie di fiandra buone con

Cornice di Pero longhi Br[acci]a 4 alti Br[racci]a 3” e “6 Detti [quadri] di Paesaggi di fiandra buoni con Cornice Nera e profilo d’oro puri A[ltezza] Br[racci]a1 e 1/4 L[arghezza] Br[acci]a 1 e 3/4”).37

Altre formule sottolineano l’apprezzamento nei confronti del quadro. Nell’inventario della quadreria Spada abbiamo diversi esempi al riguardo. Si definisce “di buona mano” un “quadro rappresentate il Beato Giovanni Durin

detto altrim[en]ti Scoto in mezza figura con una piccola concezione in lontananza, allusiva alla Dottrina del Santo circa l’Immacolata Concezione.”

Nella descrizione del quadro si aggiunge anche l’aggettivo creduto per indicare la paternità incerta dell’opera da alcuni attribuita addirittura al pittore fiammingo Van Dyck.38

In altre occasioni quando il compilatore non sembra sicuro in merito alla paternità dell’opera, appaiono formule generiche del tipo “dicesi originale” o “si dice

originale” (ad esempio, un ritratto su tavola di Fra Bartolomeo o di Raffaello, ed

un Cristo in piedi sul sepolcro di Taddeo Zuccari.) 39

“Due Teste di Vecchioni di Francesco Mola Aut[or]e celebre” vengono giudicate come “assai buone e stimate”, valorizzando sia l’eccellenza delle opere che la condivisione dell’apprezzamento. Si dichiara invece di “buon gusto” un quadro del pittore Lazzaro Baldi che fa da pendant ad un'altra opera del medesimo artista in cui si raffigura “Sisicambi e Statira a piedi d’Alessandro Magno dopo la

Sconfitta da esso data a Dario Re di Persia”.40

37 ASLu, Archivio Mansi, Eredità, 2, fasc. II, Inventario delle Robbe dell’Heredità Sig[nore] Gasparo Mansi, 1682, cc. 1-47. Cfr. Borella, Giusti Maccari 1993, pp. 201-203.

38

BSLu, Ms 3299, fasc. 4, Inventario di quadri di Autori Diversi appartenenti al Card[inale]

Orazio Spada Lasciati da esso in Lucca nelle mani dei suoi Sig[nor]i Fratelli Ab[bate] Bartolom[e]o e Gio[vanni]Batt[ist]a Spada, 1716, cc. 1-4; BSLu, Ms 1918, cc. 298-299.

39 A.S.L., Archivio Guinigi, 295, Nota dei quadri esistenti nelle chiese e nelle case di Lucca, elencate alfabeticamente, 1768 (?), cc. 66-67.

40 BSLu, Ms 3299, fasc. 4, Inventario di quadri di Autori Diversi appartenenti al Card[inale] Orazio Spada Lasciati da esso in Lucca nelle mani dei suoi Sig[nor]i Fratelli Ab[bate] Bartolom[e]o e Gio[vanni]Batt[ist]a Spada, 1716, cc. 1-4; BSLu, Ms 1918, cc. 298-299.

(22)

52

Altre voci, inoltre, ci informano sullo stato di conservazione e sulla cronologia dei dipinti. Sempre nell’inventario di Gaspare Mansi si indicano come “poco antichi” quattro quadri di “fiori e frutti” mentre si definiscono “nuovi” altri quattro quadri di natura morta.

Se queste espressioni compaiono in maniera sporadica è, al contrario, onnipresente il riferimento alla presenza e al tipo delle cornici.

La cornice era un complemento indispensabile dell’opera e riveste la funzione di accordare il dipinto al contesto ambientale, valorizzandone il contenuto. Nel Seicento la cornice fa parte integrante dell’arredo: nelle gallerie italiane dominano “le Salvadore” dal nome del pittore responsabile della loro diffusione, Salvator Rosa. Essa è caratterizzata da una sagoma liscia, a gola, dorata, senza decorazione. Accanto a questa tipologia se ne trova una più vistosa, caratterizzata da intagli e decorazioni con motivi fantastici, ispirati al mondo della natura, che sembrano divorare il legno lungo i montanti fino alla cimasa in un continuo dinamismo di forme. Nel Settecento, lo stile Rococò trionfa nella cornice Luigi XV che dalla Francia dilaga in Europa caratterizzando l’arredo del tempo con i suoi motivi decorativi a ventaglio, conchiglia e testina modellati in stucco dorato. Verso la fine del secolo, il gusto neoclassico impone materiali nuovi come marmi rari, tartaruga, riporti in bronzo dorato, nonché linee severe ispirate al mobilio dell’epoca.

Nella maggior parte degli inventari analizzati, le cornici più diffuse sono quelle definite “alla Romana”, cioè molto probabilmente con sagoma liscia, a gola.41 In presenza di intagli è dichiaratamente indicata come “intagliata” spesso accompagnata dal termine “all’antica”.

Tutte queste tipologie di cornici risultano “dorate ad acquetta” 42

o a “oro

buono”.

41

Sabatelli 1992, p. 12.

42 Questo tipo di doratura fa riferimento alla tecnica tradizionale, appunto, “la doratura all'acqua, o

a guazzo, che consiste nello stendere delle foglie d'oro su uno strato preparatorio di argilla di colore rosso proveniente dall’Armenia, chiamato bolo”. Cfr. Ibidem, p. 15.

(23)

53

Nel secondo caso, è molto probabile che lo stimatore intendesse sottolineare che l’oro della cornice era vero e, al contrario, non si trattava di foglie ad imitazione spesso utilizzato nella tecnica di doratura definita a missione.43

Gli inventari spesso riportano la misura dei dipinti. I valori della lunghezza e della larghezza vengono indicati utilizzando come unità di misura il braccio lucchese, che corrisponde a circa 60 centimetri. In alternativa all’indicazione della misura, si possono trovare gli aggettivi “grande” o “piccolo” per esprimere le dimensioni del dipinto, mentre per evidenziare il suo formato si usano le espressioni “traverso” come a dire che l’opera si dispone nel senso della larghezza, “bislungo” per specificare che la l’altezza del quadro è maggiore rispetto alla larghezza, ed infine “ritto” ad indicare la posizione in senso verticale.

In merito alla stima dei quadri nella maggior parte degli inventari la valutazione viene formulata in Lire lucchesi, e raramente in scudi romani, mentre, in alcuni casi, si utilizzano gli zecchini e i paoli.

Per quanto riguarda la disposizione, l’incremento numerico dei dipinti comporta una sistemazione secondo un criterio espositivo definito “a incrostazione”, ampiamente diffuso a livello europeo.44 Come dimostra un disegno raffigurante la disposizione dei dipinti in tre stanze al piano terreno di Palazzo Parensi, anche a Lucca la loro collocazione si espande a macchia d’olio sull’intera superficie delle pareti (fig. 1). Questa disposizione che richiama esigenze di visibilità né alcun desiderio di riservare una posizione privilegiata a quelli giudicati più importanti. Semplicemente sono il formato e le dimensioni a determinare il posizionamento.45

43 “Questa tecnica, a differenza della doratura ad acqua, non prevede né la preparazione del fondo

con gesso di Bologna, né la stesura del bolo ma consiste nello stendere un liquido con potere adesivo sull'oggetto da dorare, prima di stendere la foglia d'oro. Questo liquido adesivo è chiamato missione e può essere ad acqua oppure a vernice a base di olio.” Cfr. Sabatelli 1992, p. 15.

44 De Benedictis 1991, p. 101. Cfr. Giusti Maccari 2007, p. 255. 45 Giusti Maccari 2007, p. 255.

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