• Non ci sono risultati.

CAP. 5 – Gli altri impianti termoelettrici

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CAP. 5 – Gli altri impianti termoelettrici"

Copied!
20
0
0

Testo completo

(1)

CAP. 5 – Gli altri impianti termoelettrici

1. Cogenerazione

La cogenerazione è definita come produzione combinata di elettricità e di calore1, entrambi intesi come effetti utili, con un processo in cascata.

La precisazione concernente l’utilità del calore è necessaria in quanto qualsiasi motore termodinamico produce calore, come risultato dell’incompleta conversione in potenza meccanica della potenza termica entrante nel ciclo.

Il processo in cascata comprende essenzialmente due casistiche:

• quella “topping”, in cui la produzione elettrica è effettuata con un ciclo termodinamico ad alta temperatura (che in genere utilizza combustibile come fonte energetica) e la produzione termica è conseguente al rilascio di calore dal ciclo;

• quella “bottoming”, in cui il calore entrante nel ciclo termodinamico di produzione di energia elettrica è il cascame di un utilizzatore di calore ad alta temperatura.

1 Il Decreto Legislativo n. 79/99 ha indicato la priorità di utilizzazione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili e di quella prodotta mediante impianti di cogenerazione. L’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas, responsabile insieme al Gestore del Sistema Elettrico dell’applicazione di tale indicazione, ha emanato il 19 marzo 2002 una delibera che stabilisce che un impianto può essere chiamato di cogenerazione se il suo indice di risparmio energetico IRE è superiore al 5%. Tale indice esprime il risparmio percentuale di combustibile primario realizzato in un anno solare da un impianto cogenerativo rispetto a due ipotetici impianti, uno dei quali produce esclusivamente energia elettrica e l’altro soltanto energia termica. Il consumo di combustibile di questi due impianti è confrontato, a parità di energia elettrica ed energia termica prodotte, con il consumo effettivo dell’impianto di cogenerazione. La delibera stabilisce anche un valore minimo (15%) dell’incidenza percentuale della produzione termica rispetto all’energia totale prodotta dall’impianto, rispetto cioè alla somma dell’energia elettrica e di quella termica.

La legislazione attuale riconosce alla cogenerazione alcuni benefici, i principali dei quali sono:

• esenzione dall’obbligo di acquisto di Certificati Verdi relativi alla quota di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili;

• diritto all’utilizzazione prioritaria dell’energia elettrica prodotta da impianti di cogenerazione, dopo quella

(2)

Pertanto, in tale sistema cogenerativo esistono quattro flussi energetici rilevanti che attraversano la frontiera tra il sistema e l’ambiente:

• la potenza termica Qin sviluppata dalla combustione completa del combustibile immesso nell’impianto (di norma con riferimento al suo potere calorifico inferiore);

• la potenza elettrica netta W, primo effetto utile;

• la potenza termica utile netta Qu, secondo effetto utile;

• la potenza termica dispersa ΣQdiss, che chiude il bilancio di primo principio del sistema ed è la somma delle varie dispersioni che possono essere allocate nei diversi processi presenti nel sistema.

Vale la relazione:

diss u

in W Q Q

Q = + +Σ

La definizione di rendimento di un sistema cogenerativo non è operazione univoca, poiché, a fronte di una spesa energetica rappresentata da Qin, vi sono due effetti utili W e Qu che hanno diverso valore termodinamico ed economico e possono essere pesati in modo diverso. (Il problema non si pone invece in una centrale elettrica, essendo presente un unico e ben determinato effetto utile, ovvero W).

Anzitutto, bisogna dire che indici che tengono conto di solo due dei tre flussi energetici W, Qu e Qin

non possono essere considerati rendimenti in senso proprio: sono solo indici utili per stabilire certe caratteristiche dell’impianto, ma non sono certo in grado di attribuirgli un merito.

Tali indici sono:

il rendimento elettrico

in

el Q

= W η

il rendimento termico

in u

th Q

= Q η

l’indice elettrico

u

e Q

I = W

Per tener conto di entrambi gli effetti utili è naturale definire un rendimento di primo principio:

in u

I Q

Q W + η =

Questo rendimento, sicuramente utile in termini quantitativi, ha però il difetto di attribuire lo stesso valore ad elettricità e calore, approccio lacunoso sia dal punto di vista energetico che da quello economico.

E’ allora possibile riferirsi ad un rendimento di secondo principio, definito come:

in x u

II Q

T Q T

W ⎟⎟⎠

⎜⎜ ⎞

⎛ − +

=

1 0

η

in cui il calore è pesato con il suo equivalente meccanico, intendendo come Tx la temperatura media a cui è reso disponibile il calore e T0 la temperatura dell’ambiente di riferimento.

Tuttavia anche questo rendimento ηII, seppure ineccepibile dal punto di vista termodinamico, ha in genere il difetto opposto a ηI, cioè quello di attribuire un valore in genere troppo basso al calore utile (soprattutto per valori di Tx medio-bassi) e di dare conseguentemente una valutazione riduttiva all’opportunità di effettuare la cogenerazione.

(3)

Conseguentemente, per esprimere con un unico indice la qualità termodinamica di un’operazione di cogenerazione, conviene operare un confronto tra i consumi energetici del nostro impianto e quelli che si avrebbero producendo gli stessi effetti utili in assenza di cogenerazione.

I flussi di combustibile chiamati in causa sono quelli indicati in figura:

• F è il combustibile necessario nell’impianto cogenerativo,

• FWC è il combustibile necessario a produrre W in una normale centrale elettrica con rendimento ηelC,

• FQC è il combustibile necessario a produrre Qu in una caldaia convenzionale con rendimento ηthC.

Chiamando FC la somma FWC+FQC, è allora possibile definire un indice di risparmio energetico:

thC u elC QC

WC C

C

Q W

F F

F F F

F IRE F

η η +

− + =

− =

= 1 1

Questo indice esprime chiaramente quanto combustibile abbiamo risparmiato utilizzando la cogenerazione rispetto alla produzione separata degli stessi beni: è quindi il riferimento più opportuno per valutare la convenienza energetica in termini globali di un processo cogenerativo.

A questo concetto si ispirano altri indici utilizzati nelle applicazioni; tra questi è molto diffuso il rendimento di produzione elettrica ηpe:

thC QC u

pe Q

F W F

F W

η η

− =

=

che attribuisce alla produzione elettrica solo la quota di combustibile in più rispetto alla produzione termica con una caldaia.

Tale rendimento ηpe è facilmente confrontabile con ηelC, stabilendo come la cogenerazione consenta

(4)

2. Centrali a recupero

Nelle industrie chimiche, cartarie, tessili, alimentari si ha sovente la necessità di avere disponibile, oltre all’energia elettrica, una notevole quantità di vapore, a pressione relativamente bassa, per le lavorazioni. Viene allora prodotto vapore con temperatura e pressione superiori a quelle di utilizzazione e si sfrutta in un turbogruppo, per la produzione dell’energia elettrica necessaria per lo stabilimento, il maggior salto entalpico disponibile.

Dette:

Gv portata del vapore inviato alla turbina,

p2 pressione del vapore allo scarico della turbina (che è pari alla pressione del vapore alle utilizzazioni, maggiorata delle perdite di carico nelle tubazioni),

t2 temperatura del vapore allo scarico della turbina (che sarà di 20÷30°C superiore alla temperatura di saturazione, onde evitare che il vapore arrivi umido alle utilizzazioni), h2 entalpia del vapore allo scarico della turbina,

Pu potenza elettrica netta utile, Pa potenza assorbita dagli ausiliari, ηmt rendimento meccanico della turbina, ηa rendimento dell’alternatore,

il salto entalpico, che dovrà essere utilizzato dalla turbina, sarà

v a mt

a u

G P h P

= +

Δ η η

L’entalpia del vapore all’ingresso in turbina dovrà essere h1 =h2h.

Per ricavare la temperatura e la pressione del vapore si determinerà dapprima sul diagramma di Mollier il punto 2’ corrispondente all’espansione teorica isoentropica che avverrebbe fra 1 e 2’, utilizzando in turbina il salto adiabatico Δhad che è maggiore di Δh.

Il punto 2’ si trova sulla isobara p2 in corrispondenza dell’entalpia

i ad

h h h h h

h η

−Δ Δ +

= Δ

− Δ

+ 2

2

essendo

ad

i h

h Δ

= Δ

η il rendimento termodinamico della turbina.

Il punto corrispondente alle caratteristiche del vapore all’ingresso in turbina sarà l’intersezione della isoentropica passante per 2’ e della isoentalpica h1.

(5)

Se le caratteristiche del vapore sono ammissibili per un impianto razionale, si costruirà un impianto a recupero totale. Se pressione e temperatura sono un po’ troppo basse, si potrà ancora costruire un impianto a recupero totale partendo da vapore a temperatura e pressione più elevate ed immettendo nella rete di distribuzione esterna la maggior potenza elettrica prodotta. Se al contrario temperatura e pressione sono troppo elevate, per la convenienza economica si dovrà aumentare la portata vapore praticando il recupero parziale, che consiste nel far espandere una parte di vapore fino alla pressione p2 ed una parte fino alla pressione di un condensatore tradizionale.

Un’interessante applicazione delle centrali a recupero è quella del riscaldamento centralizzato di vaste aree urbane, con funzione di integrazione invernale per quanto riguarda la produzione di energia elettrica.

Negli ultimi anni, in concomitanza con un progressivo aumento della richiesta di climatizzazione estiva degli ambienti, si sono cominciati a diffondere impianti di raffreddamento ad assorbimento2, ovvero dispositivi che producono freddo utilizzando come energia primaria una fonte di calore a media o ad alta temperatura. La possibilità di utilizzare tali dispositivi nei settori in cui il numero di ore equivalenti di impiego del calore è limitato (tipicamente i settori non industriali) consente di recuperare l’energia termica anche nei mesi estivi, aumentando così la convenienza energetica e, di conseguenza, anche quella economica e ambientale.

Si passa così dagli impianti di cogenerazione (CHP, Combined Heat and Power) a quelli di trigenerazione (CHCP, Combined Heat Cool and Power).

2 In un impianto frigorifero convenzionale a compressione, l’effetto di refrigerazione viene prodotto nell’evaporatore, dove il fluido refrigerante evapora assorbendo calore; tale calore viene successivamente ceduto nel condensatore, dove il refrigerante condensa. L’energia necessaria a fare aumentare la temperatura del fluido refrigerante e consentirgli quindi di cedere all’esterno il calore prelevato dall’ambiente interno viene fornita da un compressore meccanico.

Anche in un impianto ad assorbimento l’effetto di refrigerazione viene ottenuto dall’evaporazione del fluido refrigerante, che è presente nell’impianto in soluzione con un fluido assorbente; l’effetto di compressione del fluido refrigerante viene ottenuto, anziché tramite una compressione meccanica come negli impianti convenzionali, per mezzo della variazione di concentrazione di un’opportuna soluzione di fluido refrigerante con fluido assorbente ottenuta a temperature diverse. In tal modo, nel generatore viene separato per distillazione il fluido refrigerante dal fluido assorbente e, mentre il primo viene raffreddato nel condensatore e successivamente fatto espandere per ottenere l’effetto frigorifero, il secondo viene inviato all’assorbitore nel quale avviene la ricostituzione della soluzione originaria, che viene poi nuovamente inviata al generatore di vapore. Il refrigerante e la soluzione assorbente formano quella che viene chiamata coppia di lavoro. Le coppie di lavoro più diffuse sono la coppia ammoniaca/acqua e la coppia bromuro di litio/acqua.

(6)

Per un impianto a recupero totale può essere impiegato il sistema con turbina a contropressione, nel quale il vapore allo scarico dalla turbina va direttamente alle utilizzazioni.

o quello con turbina a condensatore caldo, nel quale il vapore condensa in uno scambiatore per generare acqua calda.

Nel primo caso, se il vapore viene consumato nelle lavorazioni, si ha un ciclo aperto e l’acqua deve essere sempre integrata. Nel secondo caso, il ciclo è chiuso e si può usare acqua con alto grado di demineralizzazione. In entrambi i casi la produzione di energia elettrica è rigidamente asservita alla produzione di vapore per usi interni all’azienda.

Per rendere indipendenti le due produzioni (energia elettrica e vapore per le lavorazioni) e nei cicli a recupero parziale viene impiegato il sistema con turbina a spillamento regolato che consiste in una turbina a due corpi (AP e BP); all’uscita del corpo AP si spilla il vapore per le utilizzazioni, mentre la restante quantità di vapore va nel corpo di BP e quindi al condensatore.

(7)

I casi finora esaminati prevedono l’utilizzazione del vapore ad una sola pressione.

Talvolta è invece necessaria una certa quantità di vapore ad una pressione intermedia fra quella di ammissione turbina e quella di scarico: ciò si ottiene praticando uno spillamento in posizione opportuna.

Rispetto agli schemi di principio riportati nelle figure precedenti, quelli adottati negli impianti industriali prevedono l’installazione del degasatore con funzione anche di preriscaldamento dell’acqua di alimento, nonché, per gli impianti a ciclo aperto, di un impianto di trattamento dell’acqua di integrazione.

Nella figura seguente è riportato lo schema di un impianto per la produzione di energia elettrica e di vapore per le utenze a due diverse pressioni; il ciclo prevede, oltre al degasatore, anche un riscaldatore di alta pressione.

E’ evidente che nel ciclo a contropressione i riscaldatori a spillamento, che possono essere richiesti dalle caratteristiche della caldaia, non hanno alcun effetto nel migliorare il rendimento, mentre lo hanno nel ciclo a condensazione.

Nei moderni impianti a contropressione, la pressione e la temperatura all’ammissione in turbina sono rispettivamente dell’ordine di 50÷70 bar e di 400÷450°C.

La turbina, del tipo ad azione o con il primo stadio ad azione, sfrutta un salto entalpico di 100÷200 kcal/kg ed ha perciò un numero di stadi non molto elevato (10÷20) anche perché la velocità di rotazione si tiene assai più elevata della macchina sincrona (8.000÷15.000 giri/min).

L’accoppiamento al turboalternatore è perciò realizzato per mezzo di un riduttore ad ingranaggi.

La regolazione delle turbine a contropressione può essere effettuata da un regolatore di velocità, se il gruppo è destinato ad alimentare una rete elettrica indipendente; in tal caso la produzione di vapore è variabile con il carico elettrico.

Se il gruppo funziona in parallelo con una rete di distribuzione o con altri gruppi generatori di maggior potenza, si adotta, a regime raggiunto, un regolatore di contropressione che mantiene costanti le caratteristiche del vapore allo scarico della turbina. In tal caso la produzione di energia elettrica è determinata dalla utilizzazione del vapore.

Le turbine a spillamento regolato svincolano le due produzioni e necessitano di entrambe le regolazioni; se la richiesta di vapore dallo stabilimento aumenta, diminuisce la quantità di vapore che va nel corpo BP della turbina e quindi la potenza elettrica resa; il regolatore di velocità della turbina interviene ed apre l’ammissione del vapore di quanto è necessario per ristabilire l’equilibrio fra potenza richiesta e potenza generata.

(8)

3. Impianti di generazione distribuita

La Generazione Distribuita (GD) è un nuovo modello di produzione e distribuzione di energia, che si basa sull’integrazione nelle reti elettriche di piccoli-medi impianti a fonte rinnovabile e di cogenerazione (quasi sempre a gas naturale) generalmente connessi alla rete di distribuzione.

Spesso questi impianti sono localizzati in prossimità dell’utente finale, contribuendo così a ridurre la necessità d’investimenti e d’infrastrutture per aumentare la capacità di trasporto delle reti di trasmissione e distribuzione e consentendo nello stesso tempo la riduzione delle perdite di rete e dei costi di distribuzione.

La Generazione Distribuita può fornire un’alimentazione di maggiore affidabilità e di miglior qualità elettrica: la capacità di ridare potenza in tempi brevi ad una rete utente ed in futuro ad isole di distribuzione potrà dare una maggiore sicurezza al sistema, riducendo i rischi e gli effetti di possibili blackout.

La liberalizzazione del mercato elettrico, l’adozione di obiettivi ambientali internazionali, il continuo sviluppo delle tecnologie di generazione, automazione e comunicazione sono gli elementi che sostengono l’interesse e lo sviluppo sempre maggiore del concetto di generazione distribuita.

Una penetrazione molto significativa della GD è in grado di modificare sensibilmente l’assetto del sistema elettrico italiano, che dalla sua attuale struttura fortemente centralizzata:

centrali – rete di trasmissione – rete di distribuzione – utenza

potrebbe evolversi verso un modello a struttura mista:

centrali – rete di trasmissione – generazione distribuita – rete di distribuzione – utenza L’ingresso massiccio della generazione distribuita nel mondo elettrico comporta quindi la necessità di una maggiore flessibilità nel controllo e nella protezione della rete elettrica e pone chi esercisce la rete di fronte a problematiche nuove. La rete di distribuzione, originariamente concepita come passiva (adatta ad assorbire potenza dalle reti di livello di tensione superiore), ora diventa essa stessa attiva in quanto può andare ad invertire il normale flusso di potenza, il che comporta un cambiamento nelle logiche di protezione e di controllo della rete.

La Generazione Distribuita è costituita da diverse tecnologie a fonte rinnovabile. Queste tecnologie, specie quelle innovative, potranno fornire un contributo rilevante anche nei settori del terziario e domestico quando ne sarà provata l’affidabilità e i miglioramenti tecnologici consentiranno una riduzione dei costi d’impianto. Per l’integrazione in rete di queste tecnologie diventa essenziale la disponibilità di sistemi di accumulo che siano caratterizzati da un basso costo e da una lunga durata;

servirà anche la disponibilità di nuove funzioni di controllo supportate da innovative tecnologie informatiche e di comunicazione.

Le tecnologie della GD possono essere così suddivise:

Tecnologie tradizionali - Piccole turbine a gas e a vapore - Motori alternativi

Tecnologie innovative - Microturbine - Motori Stirling - Celle a combustibile

(9)

Microturbine

Le microturbine realizzano un ciclo Brayton semplice, con compressore centrifugo monostadio, turbina radiale centripeta ad uno o due stadi e palette non raffreddate, rigenerazione molto spinta.

Altre caratteristiche sono il rapporto di compressione alto per il singolo stadio ma relativamente basso in assoluto, velocità di rotazione elevate e variabili, presenza di un inverter che trasforma la corrente alternata ad elevata frequenza in corrente continua e successivamente in alternata alla frequenza nominale di 50 Hz.

La velocità di rotazione è intorno al centinaio di migliaia di giri al minuto; le potenze sono tra le decine e poche centinaia di kW; il rendimento elettrico si aggira intorno al 30%.

Le microturbine si prestano egregiamente a cedere il proprio calore di scarico a un’utenza termica in loco.

La taglia delle microturbine è particolarmente adatta per impieghi nel settore terziario (alberghi, ospedali, ristoranti, centri commerciali, serre, essiccatoi, ecc.) o in piccole industrie.

Le maggiori barriere alla loro affermazione risiedono nei costi d’impianto ancora elevati (900÷1300 €/kW).

(10)

Motori Stirling

I motori Stirling prendono il nome dal ciclo termodinamico cui fanno teoricamente riferimento (due isoterme e due isocore). La realizzazione pratica è un motore a doppio pistone e circuito chiuso, con un rigeneratore e una fonte di calore esterna (camera di combustione esterna o collettore solare).

Un pistone libero (displacer) e un pistone di potenza (power piston) si muovono alternativamente in un cilindro riempito con gas, in genere elio o idrogeno.

Il displacer sposta il gas di lavoro senza alterarne il volume e lo muove alternativamente attraverso il rigeneratore tra la zona calda e la zona fredda. La pressione che si crea con la variazione di temperatura del gas è applicata al pistone di potenza che produce lavoro meccanico.

Il rigeneratore assorbe calore dal gas che passa attraverso di esso andando dalla zona calda alla zona fredda e restituisce il calore immagazzinato al gas che ritorna dalla zona fredda alla zona calda.

Nei moderni motori Stirling ad alta efficienza le temperature superano i 700°C e le pressioni raggiungono i 20 MPa. Normalmente la potenza utile è trasmessa a un albero a gomiti.

La figura seguente mostra le quattro fasi di un motore Stirling con due pistoni:

(11)

Celle a combustibile

Le celle a combustibile sono dispositivi elettrochimici che convertono direttamente l’energia chimica di una reazione in energia elettrica.

Schematicamente sono costituite da uno strato di elettrolita che separa un catodo e un anodo porosi.

Le reazioni elettrochimiche che generano energia elettrica avvengono agli elettrodi e continuano fino a che anodo e catodo sono alimentati dall’esterno, rispettivamente da un combustibile (idrogeno o gas arricchito di idrogeno tramite processi di reforming) e da un ossidante (ossigeno contenuto nell’aria).

La scelta dell’elettrolita definisce la temperatura di esercizio ottimale di una cella a combustibile, da cui discendono modalità operative, caratteristiche costruttive e problematiche ben distinte per ciascun tipo di cella.

Il calore prodotto nella reazione elettrochimica può essere poi recuperato sotto forma di acqua calda o vapore per riscaldamento e/o usi industriali, portando il rendimento complessivo termico ed elettrico a valori superiori all’80%.

I prezzi sono ancora molto elevati e non competitivi; tuttavia i costruttori ritengono di raggiungere nell’arco di alcuni anni l’obiettivo posto tra 1000 e 1500 €/kW.

Per aumentare l’efficienza delle unità destinate alla generazione distribuita sono realizzati anche sistemi ibridi che accoppiano celle a combustibile, operanti a temperature superiori a 600°C, con microturbine.

Tali sistemi offrono modularità, rendimenti elevati, basse emissioni.

Un’unità combinata Fuel Cell/Micro-Turbine (CFCMT) è composta da una cella a combustibile ad alta temperatura con reformer, un compressore d’aria, una piccola turbina a gas ad alta velocità e un generatore sincrono a magnete permanente.

Nel modo topping lo scarico della cella a combustibile è utilizzato per alimentare la turbina a gas.

(12)

Nel modo bottoming lo scarico della cella a combustibile cede calore all’aria compressa della turbina a gas.

Le celle a combustibile SOFC sono adatte per essere impiegate nel modo topping per le alte temperature raggiunte (intorno ai 1000°C), mentre le celle MCFC, che operano a 650°C, sono più adatte per il modo bottoming.

(13)

Nella figura seguente è rappresentato un impianto ibrido da 700 kW circa.

Temperatura (°C) Pressione (kPa) Portata (kg/s)

1 15 101,3 0,662

2 178 304 0,662

3 871 300,9 0,662

4 872 293,5 0,662

5 639 106,9 0,662

6 862 104,4 0,274

7 15 204,7 0,022

8 25 120 0,040

9 108 120 0,040

10 95 120 0,062

11 253 120 0,062

12 816 120 0,062

13 862 116,8 0,138

14 913 103,7 0,724

15 910 103,7 0,724

16 358 103,6 0,724

17 330 102,8 0,724

18 200 102,6 0,724

Tale impianto utilizza gas naturale e presenta un rendimento elettrico lordo del 71,2%.

All’avviamento la turbina a gas deve portare in temperatura le celle a combustibile e il reformer prima della loro messa in servizio.

(14)

4. Centrali geotermoelettriche

Gli impianti geotermoelettrici sono quelli che utilizzano il vapore naturale del sottosuolo (ad esempio il vapore dei soffioni boraciferi) per generare energia elettrica.

Il soffione è un getto, naturale o ottenuto artificialmente per trivellazione, di vapore mescolato ad altre sostanze (acido borico, anidride carbonica, ecc.); esso si sprigiona da grandi profondità del sottosuolo (oltre 1000 metri).

La produzione di energia elettrica utilizzando vapore endogeno fu sperimentata, per la prima volta al mondo, nel 1904 a Larderello in Toscana; nel 1913 fu installato, sempre a Larderello, il primo gruppo di generazione geotermoelettrico da 250 kW, segnando l’inizio di questa nuova attività industriale.

La produzione elettrica si mantenne a livelli modesti fino al 1938, ma successivamente ebbe un rapido e costante incremento.

L’esperienza italiana ha rappresentato l’unico esempio nel mondo fino al 1958, quando fu installato un gruppo di generazione in Nuova Zelanda; in quello stesso anno la produzione a Larderello aveva raggiunto i 2 miliardi di kWh, con una potenza installata di circa 300 MW.

A partire dagli anni ’50 furono sviluppati i campi geotermici di Bagnore e Piancastagnaio, localizzati sul Monte Amiata, e quindi il campo di Travale-Radicondoli, che si trova a circa 20 km a est di Larderello.

Successivamente l’esplorazione geotermica fu estesa anche nel Lazio, in Campania e nelle Isole Eolie. Tutte queste aree sono caratterizzate da elevate temperature nel sottosuolo, ma i modesti valori di permeabilità riscontrati, le caratteristiche dei fluidi reperiti e le problematiche ambientali ed autorizzative hanno reso possibile lo sviluppo per la produzione elettrica del solo campo di Latera, ubicato nel Lazio settentrionale in prossimità del lago di Bolsena.

Per mantenere e addirittura incrementare la produzione di fluido endogeno sono state da tempo avviate due differenti strategie:

• l’esplorazione profonda (3000÷4000 metri) per verificare la presenza di nuovi orizzonti produttivi all’interno del basamento metamorfico sottostante il serbatoio carbonatico,

• la reiniezione di vapore condensato ed acqua all’interno del serbatoio, per incrementare la produzione di vapore dai pozzi già in esercizio.

Ambedue le strategie hanno avuto successo e hanno permesso di incrementare significativamente la produzione di fluido e quindi di energia elettrica.

La perforazione di pozzi profondi ha permesso di reperire fluido a maggiori temperature e pressioni e di estendere le aree produttive.

La reiniezione nel campo di Larderello, avviata verso la fine degli anni ’70, ha permesso di verificare che le acque immesse in alcuni pozzi vengono vaporizzate all’interno del serbatoio a spese dell’enorme quantità di energia termica immagazzinata nelle rocce e il vapore così generato incrementa la produzione dei pozzi circostanti.

Il fluido erogato dai pozzi è costituito da una miscela di vapor d’acqua e di gas, la cui percentuale in peso è mediamente del 5%. Fra i gas è prevalente l’anidride carbonica (CO2) che ne rappresenta il 95% circa in peso; altri componenti sono l’idrogeno solforato (H2S), l’idrogeno, il metano (CH4) e l’azoto. Sono inoltre presenti l’acido borico (H3BO3) e l’ammoniaca (NH3).

La temperatura del fluido erogato è variabile da un minimo di 150°C ad un massimo di 260°C; in ogni caso il vapore risulta surriscaldato. La pressione alla bocca del pozzo varia con la portata utilizzata, diminuendo dalla portata minima alla massima. La portata massima di un singolo pozzo può superare le 300 t/h, ma è normalmente compresa tra 50 e 100 t/h.

Prefissata una certa pressione di esercizio alla bocca del pozzo, la portata diminuisce sensibilmente nel primo periodo di erogazione, tendendo a raggiungere un valore asintotico sul quale si stabilizza.

(15)

La tecnica di perforazione dei pozzi è analoga a quella petrolifera; alla bocca dei pozzi vengono raccordati i vapordotti che trasportano il vapore alla centrale termica. Si tratta di tubazioni di diametro notevole, rivestite di uno strato di materiale isolante, alle quali si assegna un andamento a zig-zag per assorbire le dilatazioni termiche.

Le prime centrali costruite nella zona di Larderello hanno utilizzato direttamente il vapore endogeno in turbine a contropressione, con vapore in entrata a circa 200°C e 5 bar e in uscita a 105°C e poco più di 1 bar.

Questo sistema può richiedere la preventiva depurazione chimica del vapore per evitare un troppo rapido logorio delle palette delle turbine (oppure le palette devono essere costruite con materiali resistenti all’azione dei sali disciolti).

Ha il vantaggio di un basso costo d’impianto, ma presenta un consumo di vapore (a 4,8 bar e 185°C) piuttosto elevato (20 kg/kWh).

E’ particolarmente indicato per l’utilizzazione di un fluido endogeno ad alto contenuto di gas incondensabili.

Si sono anche costruiti impianti nei quali il vapore endogeno cede il suo calore all’acqua, in appositi scambiatori detti trasformatori di vapore, per ottenere vapor d’acqua puro da inviare in turbina.

Il vapore entra in turbina alla pressione di circa un’atmosfera e alla temperatura di 120°C; la turbina è a condensazione, con condensatore a superficie raffreddato con acqua di circolazione fornita da una torre di raffreddamento.

Questo sistema ha il vantaggio di una minore usura delle turbine e di un consumo di vapore

(16)

Impianto geotermoelettrico a condensazione

S = soffione, T = turbina, A = alternatore, B = trasformatore di vapore, C = condensatore, A1 = pompa del vuoto, Tr = torre di raffreddamento, P = pompa, D = separatore di condensa

Un terzo sistema consiste nell’inviare direttamente il vapore endogeno in turbine a condensazione, con condensatori a miscela raffreddati con acqua di circolazione fornita da grandi torri di raffreddamento a tiraggio naturale.

Impianto geotermoelettrico a condensazione senza scambiatore di calore intermedio S = soffione, T = turbina, A = alternatore, C = condensatore,

A1 = turboaspiratore, Tr = torre di raffreddamento, P = pompa

Con questo impianto si ha il problema dell’estrazione dei gas incondensabili dal condensatore: dati i volumi presenti, l’estrazione deve essere effettuata con compressori a più stadi che assorbono il 10÷20% dell’energia prodotta; nonostante ciò si può ridurre il consumo di vapore a meno di 10 kg/kWh.

I compressori estrattori del gas possono essere azionati da un motore elettrico o essere coassiali al gruppo turbina-alternatore.

Questo tipo di impianto è quello attualmente più adottato in Italia.

(17)

5. Centrali con motori Diesel

Il ciclo teorico dei motori Diesel comprende quattro fasi:

1. compressione dell’aria lungo l’adiabatica 1-2, 2. combustione lungo la isobara 2-3,

3. espansione lungo l’adiabatica 3-4, 4. scarico lungo la isobara 4-1.

Rispetto al ciclo Diesel teorico, quello effettivo presenta una minor potenza resa per effetto della perdita triangolare, dovuta al fatto che per limitare la corsa del pistone lo scarico avviene secondo la isocora 4’-1.

Il rapporto di compressione del motore è di 1:15 ÷ 1:20; si raggiungono pressioni di 20÷30 bar e la pressione media della fase di espansione è di 5÷6 bar.

La temperatura dopo la combustione raggiunge i 1500°C.

Il rendimento effettivo è inferiore a quello del ciclo teorico di Carnot-Ericsson (composto da due isoterme e due isobare) evolvente fra le stesse temperature.

Se L è il lavoro per ciclo riferito all’unità di peso dei gas prodotti dalla combustione, m è il peso del combustibile, Q2-3 il calore della trasformazione 2-3, sarà:

3 3

2v R'T

p = p2v2 =(1m)RT2

Q23 = p2

(

v3v2

)

=R'T3 −(1−m)RT2 (essendo p2 = p3)

+

=

2

1 3

' 4 2

3 (1 ) ' (1 )

'T m RT c dT m c dT

R

L v v

Il terzo e quarto termine di quest’ultima espressione rappresentano rispettivamente il lavoro compiuto nell’espansione 3-4’ e il lavoro speso nella compressione 1-2.

Comunemente si trascura m e si pone:

R’ = R cv’ = cv = cost Sarà allora:

(18)

L=cp

(

T3T2

)

cv

(

T4'T1

)

(essendo cp = cv+R)

Si può interpretare il secondo membro dell’uguaglianza come differenza tra la quantità di calore trasmessa lungo la 2-3 e una quantità di calore supposta tolta nella trasformazione a volume costante 4’-1.

Il rendimento del ciclo risulta:

) (

) 1 (

2 3

1 4

T T c

T T c Q

L

p v

− −

= η =

Si può porre questo risultato in forma diversa:

⎟⎟⎠

⎜⎜ ⎞

⎛ −

⎟⎟⎠

⎜⎜ ⎞

⎛ −

=

1 1 1 1

2 3 2

1 4 1

T T T

T T T

η k (essendo

v p

c k =c )

La 1-2 è una adiabatica e quindi: 1

1

1 2 2

1 1

⎟⎟ =

⎜⎜ ⎞

=⎛ k

k

v v T T

ρ (essendo

2 1

v

= v ρ )

La 2-3 è a pressione costante e quindi: = =τ

2 3 2 3

T T v v

La 3-4 è una adiabatica e quindi:

1

4 3 3

4

⎟⎟⎠

⎜⎜ ⎞

=⎛ k

k

p p T T

Sostituendo, si ottiene la relazione:

) 1 (

1 1 1

− −

=

τ ρ η τkk

k

(19)

Come noto, i motori Diesel possono essere a 2 o a 4 tempi, a seconda che il ciclo venga completato con 2 o 4 corse di stantuffo, ovvero uno o due giri dell’albero.

Il tipo a due tempi a pari potenza ha minor peso e ingombro e maggiore uniformità della coppia motrice. Nel primo tempo si ha l’espansione ed il lavaggio con aria; nel secondo tempo compressione, iniezione del combustibile ed accensione.

Per grandi potenze (>800 CV per cilindro) i motori Diesel vengono costruiti a doppio effetto, cioè con camere di combustione da entrambe le parti del pistone.

La velocità di rotazione varia fra i 150 e i 750 giri/min; il numero dei cilindri è compreso fra 6 e 18 e la potenza massima di una unità può raggiungere 10 MW.

I servizi ausiliari del motore possono essere azionati direttamente dall’albero oppure da motori elettrici. I compressori e le pompe dell’acqua, dell’olio lubrificante e della nafta assorbono complessivamente circa il 2% della potenza del motore.

Il raffreddamento dei cilindri è effettuato in circuito chiuso con acqua servizi refrigerata da acqua di mare o di fiume; le necessità di acqua di raffreddamento sono notevolmente inferiori a quelle delle centrali a vapore. L’acqua può anche essere raffreddata in ciclo chiuso con apposite torri di raffreddamento.

Il deposito combustibile consta di appositi serbatoi sistemati all’esterno dell’edificio della centrale.

Per l’avviamento è necessario un impianto ad aria compressa, che deve avere una riserva d’aria in serbatoio sufficiente per garantire l’avviamento anche dopo un lungo periodo di fermata.

L’accoppiamento col generatore è sempre rigido.

Per ridurre le irregolarità di tensione dovute alla coppia variabile del Diesel, se in servizio separato, e per ridurre le oscillazioni della potenza erogata in parallelo con la rete, si deve richiedere per il gruppo elettrodiesel un piccolo grado di irregolarità (rapporto fra la differenza della velocità

(20)

Se il momento d’inerzia delle masse rotanti (compresa quella del generatore elettrico) non è sufficiente a ridurre il grado di irregolarità al valore desiderato, occorre aumentarlo artificialmente dotando il gruppo di volano.

I generatori diesel sono in genere utilizzati per alimentare servizi elettrici privilegiati, intervenendo in presenza di black-out. Sono altresì molto impiegati per l’elettrificazione di aree rurali lontane dalla rete principale, soprattutto nei paesi del terzo mondo e in quelli in via di sviluppo.

In impianti di cogenerazione possono raggiungere rendimenti significativi, ottenendo vapore con il recupero del calore posseduto dai gas di scarico e acqua calda tramite il raffreddamento dei cilindri del motore.

Negli ultimi anni il progressivo calo dei costi degli impianti a fonti rinnovabili ha portato ad un ricorso sempre più frequente a queste tecnologie per alimentare gruppi d’utenze o piccole reti locali situate in aree remote. Data l’aleatorietà delle fonti rinnovabili, è poi opportuno associare ad esse impianti in grado di garantire la continuità del servizio, quali i generatori diesel, realizzando in tal modo sistemi ibridi. La più generale configurazione di un sistema ibrido comprende una o più unità di generazione a fonte rinnovabile (generatore fotovoltaico, eolico, idroelettrico), una o più unità di generazione convenzionale (diesel), un sistema di accumulo (meccanico, elettrochimico, idraulico), sistemi di condizionamento della potenza (inverter, raddrizzatori, regolatori di carica), un sistema di regolazione e controllo. Rispetto ai sistemi isolati che impiegano solo fonti rinnovabili, i sistemi ibridi consentono di realizzare impianti di taglia maggiore, riducendo le dimensioni del sistema di accumulo e il rischio di fuori servizio.

Fino ad ora il modo più comune per esercire gli impianti ibridi è stato quello di considerarli come un accrescimento della potenzialità dell’impianto diesel.

Recentemente si sta diffondendo anche la tendenza a progettare sistemi ibridi nei quali le fonti rinnovabili e l’accumulo forniscono fino all’80-90% dei fabbisogni energetici, lasciando al diesel la funzione di soccorso. Naturalmente un impianto con queste caratteristiche richiede maggiori costi di investimento e può essere conveniente laddove l’approvvigionamento dei combustibili è oneroso o inaffidabile.

Riferimenti

Documenti correlati

massa in grammi numericamente uguale alla sua massa atomica o molecolare contiene un numero di atomi o.. molecole uguale al numero

– L'ultima eguaglianza esprime la condizione di equilibrio chimico e può essere interpretata come la curva di intersezione delle due superfici che rappresentano i

Potere isolante della pelliccia di diversi animali in funzione del suo spessore e in rapporto a quello del cotone: V, volpe bianca; LG, lupo e grizzly; OB, orso bianco; R, renna;

Lo studio condotto in questa trattazione approfondisce il tema dell’ergonomia e del comfort all’interfaccia uomo-macchina nell’accezione più ampia del termine, fino

201 201 -- si misura senza errore la si misura senza errore la T T O O di oggetti di oggetti con immagine più piccola del sensore con immagine più piccola del sensore -- non

Similarly, German commentators who endorse the concept of “social market economy” don’t refer to it as a constitutional objective, but a “strategy in economic policy” to achieve

- mediare l’esito di alcune successive misure (in termini di temperatura calcolata), così da limitare sia le inevitabili oscillazioni dovute alle imprecisioni sulla determinazione

3) Nella terza fase, dopo l’approvazione del docente, del tutor e dell’esperto di Wikipedia, gli studenti hanno pubblicato le voci online; ogni studente si è iscritto alla