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Richiami di analisi dei segnali

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Academic year: 2021

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Richiami di analisi dei segnali

5. Richiami di analisi dei segnali

In questo capitolo si richiamano alcune definizioni degli strumenti che risulteranno utili nella successiva analisi delle instabilità fluidodinamiche associate alle turbomacchine e che verranno implementate nel programma matlab impiegato per tale scopo.

5.1. Dati deterministici ed aleatori

Ogni volta che si devono compiere delle misurazioni per controllare il verificarsi di certi avvenimenti si devono effettuare degli esperimenti. Per esempio se si volesse studiare la caduta di un grave, lasciato libero ad una certa altezza h dal suolo, e desiderassimo, in particolare, verificare la formula del tempo di caduta ( = 2ℎ ⁄ ) dovremmo effettuare degli esperimenti nei quali dovremmo, con la massima accuratezza possibile, controllare il tempo impiegato dal corpo per raggiungere il suolo. Gli esperimenti così realizzati forniranno tutta una serie di dati che, nel caso limite in cui l’effetto della resistenza dell’aria risultasse trascurabile e nel caso di identiche condizioni iniziali, fornirebbero tutti risultati identici. I dati provenienti da questi esperimenti permetterebbero di verificare la validità della suddetta formula. In questo modo, una volta verificata la validità della formula, sarebbe possibile

prevedere il tempo necessario al corpo per raggiungere il suolo senza effettuare ulteriori

prove. Possiamo, in questo caso, dire che l’esperimento condotto ha carattere deterministico, nel senso che è possibile prevedere il risultato di un esperimento a priori, sulla base di una formula. Esiste, tuttavia, un altro tipo di esperimento, definito aleatorio; infatti se supponiamo di sedersi ad una cassa di un supermercato e di contare il numero di clienti che si presentano in un ben preciso intervallo di tempo e ripetiamo il solito esperimento in giorni diversi alle solite ore, si vedrà come non sia possibile prevedere a priori con esattezza il numero di clienti che si avranno un ben preciso giorno. Questo sta ad indicare che per questo tipo di esperimento non è possibile determinare una legge che possa permettere di predire il risultato cercato ma che è, invece, possibile determinare questo solo a posteriori, cioè dopo che la prova è stata effettuata. L’unica cosa che può essere fatta in questo secondo esempio è

(2)

costruire un andamento globale dei risultati sulla base delle prove effettuate. In questo modo i dati ottenuti mostrano quella che viene chiamata regolarità statistica.

Questa regolarità permette anche per l’esperimento aleatorio di ricavare delle leggi cui l’esperimento ottempera; tuttavia queste leggi non hanno il carattere delle leggi deterministiche, con le quali è possibile prevedere in modo preciso il comportamento di un evento e di poterlo quantificare precisamente, ma hanno un carattere statistico, evidenziando piuttosto una possibilità che si realizzi un certo evento.

Per quanto i fenomeni fisici siano governati da precise leggi, molto spesso non è possibile studiarli sulla base deterministica. Infatti accade spesso di non conoscere precisamente queste leggi che governano i fenomeni e/o di non riuscire a tenere sotto controllo certi altri fenomeni che possono interagire con quello analizzato. Tutto questo fa sì che negli esperimenti ci siano sempre delle componenti “aleatorie” che possono cambiare da un esperimento all’altro; questo impone anche nella fisica di utilizzare gli strumenti utilizzati per studiare i fenomeni aleatori. Va comunque ricordato che un esperimento fisico presenta delle notevoli differenze da un esperimento totalmente aleatorio; infatti un esperimento fisico, per quanto possa essere influenzato da componenti aleatorie, se ripetuto più volte, evidenzia dei comportamenti generali che si ripetono al variare delle prove. Per poter, quindi, correttamente interpretare i dati, evidenziando la parte fisica del fenomeno, è necessario ripetere più volte il solito esperimento, considerando alla fine l’insieme delle prove  () di tutte le possibili prove () (dove t è il tempo) che possono essere effettuate. Tuttavia nel caso generalmente supposto di processo ergodico, successivamente definito, da una sola prova è possibile determinare l’intero processo aleatorio.

5.2. Alcune definizioni

Prima di iniziare a parlare più in profondità dei processi aleatori si introducono alcune importanti definizioni.

Sia  () un qualsiasi processo aleatorio, si hanno le seguenti definizioni per la distribuzione teorica di probabilità ( ):

• se () è discreta: ( ) rappresenta la probabilità che la variabile casuale assuma il

valore specifico ;

• se () è continua: ( ) rappresenta, invece, la densità di probabilità, mentre ( )

rappresenta la probabilità che la variabile casuale assuma valori tra e +  . Si definisce la media di insieme del processo  () in questo modo:

µ() =  () =   ()( )



 (5. 1)

La media d’insieme, essendo basata sulla probabilità che la assuma un certo valore, risulta in generale diversa da una media temporale, che esprime il valor medio nel tempo di una variabile e che è così definita:

µ( ) = !"#$→&

1

'  ()

(

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Il valore quadratico medio di (), detto anche momento del secondo ordine, che rappresenta un indice del grado di dispersione dei dati rispetto all’asse delle ordinate, è così definito:

 *() =  ( ())*( ) 

 (5. 3)

Dalla definizione del valore quadratico medio si ottiene quella di varianza, che, a differenza del valore quadratico medio, esprime la dispersione dei dati rispetto al valore medio assunto da questi. La varianza viene tipicamente indicata con ,*, dove , è detta deviazione standard, e viene così espressa matematicamente:

,*= ( −  )* =  * − ( )* (5. 4)

dalla quale segue la nota formula che lega il momento del secondo ordine con la varianza e con la media del processo:

 * = ,*+ #* (5. 5)

Detti  e  + / due istanti di tempo distinti, si definisce l’auto-covarianza del processo in questo modo:

0(,  + /) = 23 () − µ()43 ( + /) − µ( + /)45 (5. 6)

L’auto-covarianza indica quanto un processo, epurato del suo valor medio temporale, assomiglia a se stesso traslato nel tempo di una quantità /.

Introdotto un secondo processo aleatorio 7() si può definire la cross-covarianza tra i processi e 7 nel seguente modo:

08(,  + /) =  93 () − µ()4 :7( + /) − µ8( + /);< (5. 7)

La cross-covarianza, similmente all’auto-covarianza, è una funzione del tempo di traslazione / tra due fenomeni, e 7, che permette di quantificare la somiglianza tra queste due funzioni, preventivamente epurate del loro valor medio.

Si possono, inoltre, definire la funzione di correlazione del processo e la funzione di cross-correlazione tra i due processi e 7 come segue:

>(/) =  () ( + /) (5.8)

>8(/) =  ()7( + /) (5.9)

>8(/) = 7() ( + /) (5.10)

La funzione di autocorrelazione, diversa dalla funzione di auto-covarianza in quanto confronta il vero segnale e non quello epurato dal valor medio e come tale dipende solo dall’intervallo temporale di separazione /, evidenzia quanto un processo aleatorio all’istante  assomigli a se stesso all’istante  + /; come tale, rileva il suo valore massimo per /=0, mentre tende ad assumere valore nullo per / → ±∞. Questo viene messo chiaramente in luce dalla successiva Figura 5-1 per un processo casuale stazionario ().

(4)

Figura 5-1:Proprietà ed andamento caratteristico della funzione di autocorrelazione di un processo casuale stazionario.

Il motivo per cui per / → ±∞ la funzione di autocorrelazione tende a #* può essere spiegato riferendosi al coefficiente di correlazione (D definito in maniera più generale successivamente) per () e ( + /), così definito:

D = () − #  ( + /) − # ,* dal quale, dopo semplici calcoli, si ottiene:

D =>(/) − #,* *

Da questa espressione, tenendo conto che per intervalli di tempo sufficientemente lunghi (/ → ±∞) i due processi casuali () e ( + /) diventano scorrelati, in quanto non esisterà più una relazione coerente tra i valori dell’uno e quelli dell’altro, si avrà che D=0 (ovvero processi scorrelati) e, di conseguenza, >(/ → ∞) = #*. La dimostrazione della simmetria della funzione >(/), ovvero che la funzione in questione è pari, è banalmente verificata sostituendo a  il valore di  − /, ottenendo così che >(/)=>(−/).

La funzione di cross-correlazione è estremamente importante per gli scopi dell’analisi delle instabilità che sarà presentata successivamente. Infatti questa funzione mette a confronto due distinte funzioni casuali stazionarie () e 7() e permette, similmente a quanto fa la funzione di autocorrelazione per una singola funzione casuale stazionaria del tempo, di evidenziare similitudini nei comportamenti e nei valori assunti da questi segnali sfasati di un intervallo di tempo /, al variare di quest’ultimo. Sulla base della definizione di funzione di cross-correlazione per processi casuali stazionari si può dedurre la seguente relazione che viene messa in evidenza nella successiva Figura 5-2.

>8(/) = ,,8D8(/) + ##8

(5)

Figura 5-2: Proprietà e possibile andamento della funzione di cross-correlazione di due processi casuali stazionari.

Il comportamento presentato dalla funzione di cross-correlazione può essere giustificato notando che tra due processi casuali stazionari esisterà un certo valore di / (identificato in Figura con /)) per il quale i due processi presenteranno un massimo nella funzione di correlazione e che per valori sensibilmente elevati di / (/ → ∞) i due processi risulteranno scorrelati.

Ovviamente come fatto per il caso della media d’insieme è possibile anche per la covarianza e per la correlazione definire dei valori medi basati sulle medie temporali come segue:

0( , /) = !"#(→1'  3 () − µ()43 ( + /) − µ( + /)4 ( ) = >( , /) − E *( ) (5. 11) 08( , /) = !"#(→'  3 1 () − µ()4 :7( + /) − µ8( + /);  ( ) = >8( , /) − E( )E8( ) (5. 12) >(/) = !"#(→' 1  () ( + /) ( ) (5. 13) >8(/) = !"#(→1'   ()7( + /) ( ) (5. 14) >8(/) = !"#(→1'  7() ( + /) ( ) (5. 15)

I valori che si ottengono da queste funzioni definite su medie temporali differiscono da quelli che si ottengono se le funzioni sono definite su medie d’insieme, come fatto prima. Tuttavia se i processi sono stazionari, ovvero che il loro valor medio è indipendente dal tempo , allora le due definizioni forniscono i medesimi risultati.

5.3. Processi aleatori

I processi aleatori si suddividono in processi non stazionari e stazionari. I processi stazionari si suddividono a loro volta in:

(6)

• debolmente stazionari: se i valori medi µ() e µ8() e le funzioni di covarianza 0(,  +

/), 08(,  + /) e 088(,  + /) forniscono lo stesso risultato per qualunque valore fissato di .

• Fortemente stazionario: se tutte le possibili distribuzioni di probabilità coinvolgenti  () e 7() sono indipendenti da traslazioni temporali.

I processi aleatori stazionari vengono ulteriormente suddivisi in:

• debolmente ergodici: se i valori medi e le funzioni di correlazione e covarianza definite per mezzo della media di insieme possono essere calcolate mediante le corrispondenti medie temporali su una singola ed arbitraria ”funzione campione”.

Quindi se due processi stazionari  () e 7() sono debolmente ergodici si ha: µ( ) = µ

µ8( ) = µ8

0( , /) = 0(/)

088( , /) = 088(/)

08( , /) = 08(/)

• Fortemente ergodici: se le proprietà dei sistemi debolmente ergodici sono estendibili a tutte le altre proprietà statistiche, ovvero che tutte le proprietà statistiche basate sulla media di insieme sono deducibili dalle corrispondenti grandezze basate sulla media temporale.

Le condizioni sufficienti a stabilire l’ergodicità di un processo sono essenzialmente due: o Affinché un processo aleatorio arbitrario sia debolmente ergodico è sufficiente che sia debolmente stazionario e che le medie temporali µ( ) e le funzioni di autocovarianza 0(/, ) siano le stesse per ogni funzione campione .

o Affinché un processo aleatorio gaussiano sia ergodico è sufficiente che sia debolmente stazionario e la funzione di autocovarianza 0(/) sia tale che:

1 '  |0(/)|/ ( ( = 1 '  |>(/) − µ*|/ ( ( → 0 GH ' → ∞ (5. 16)

Quest’ultima condizione viene talvolta indicata come teorema ergodico. Le violazioni all’equazione precedente sono solitamente associate alla presenza di componenti periodiche nei dati. Bisogna però osservare che, essendo questa una condizione sufficiente e non necessaria per l’ergodicità, le medie temporali in luogo delle medie di insieme sono giustificate anche in presenza di violazioni alla precedente equazione e quindi anche in presenza di componenti periodiche; in questi casi bisogna verificare che le medie temporali di realizzazioni diverse siano le stesse.

5.4. Correlazione tra due processi aleatori

Indicando con  () e con 7() due processi aleatori ergodici, dal precedente paragrafo si deduce la validità delle seguenti espressioni che legano le funzioni di covarianza a quelle di correlazione:

(7)

088(/) = >88(/) − E8* (5. 18)

08(/) = >8(/) − EE8 (5. 19)

Nel caso in cui i valori medi siano nulli le funzioni di correlazione e di covarianza risultano uguali. Le funzioni di correlazione nel caso stazionario (già visto in precedenza) godono delle seguenti proprietà che permettono un’indagine completa dal solo studio per / > 0:

>(/) = >(−/) (5. 20)

>88(/) = >88(−/) (5. 21)

>8(/) = >8(−/) (5. 22)

Si può dimostrare la validità della seguente disuguaglianza di cross-covarianza:

J08(/)J*≤ 0(0)088(0) (5. 23)

e poiché risultano vere anche le seguenti relazioni:

|0(/)|*≤ 0(0) (5. 24)

J088(/)J*≤ 088(0) (5. 25)

0(0) = ,* (5. 26)

088(0) = ,8* (5. 27)

allora la disuguaglianza di cross-covarianza diviene:

J08(/)J*≤ ,*,8* (5. 28)

In questo modo si giunge alla definizione di coefficiente di correlazione D8(/), che non è altro che un’adimensionalizzazione della funzione di cross-covarianza:

D8(/) =0,8(/)

,8 (5. 29)

Questo coefficiente, in base a quanto esposto sopra, risulta essere sempre compreso tra −1 e +1 e rappresenta un indice del grado di dipendenza lineare tra i due processi  () e

7() . Nel caso in cui i valori medi di questi processi siano nulli il coefficiente di correlazione

si può anche scrivere in questo modo: D8(/) =>,8(/)

,8 (5. 30)

L’interpretazione matematica della funzione di correlazione è abbastanza semplice. Ipotizzando di avere a che fare, per semplicità, con due processi casuali a media nulla, la funzione di correlazione, per ciascun valore di /, fornisce la pendenza della retta di regressione lineare tra i valori di e quelli di 7. Nella seguente Figura si riportano diversi casi di

(8)

distribuzione dei dati che permettono di avere i valori dei coefficienti di correlazione evidenziati.

Figura 5-3: Rette di regressione lineare per differenti valori del coefficiente di correlazione.

5.5. Serie e trasformata di Fourier

Le tecniche impiegate nell’analisi dei segnali provenienti dai trasduttori di pressione PCB per lo studio delle instabilità fluidodinamiche si basano sull’analisi spettrale; è quindi necessario accennare agli strumenti che saranno impiegati, come la serie e la trasformata di Fourier.

Se () è un segnale periodico di periodo ' definita per −∞ <  < ∞ questo può essere scritto in termini di una serie di seni e coseni, anche detta serie di Fourier, in questo modo: () = M)+ 2 NMOPQ(2R S)) − TQ"U (2R S))  VW (5. 31) dove: > 0 è un numero intero;

S)=W(=*YX è la frequenza fondamentale, mentre Z è la pulsazione fondamentale;

M =W([ () cos(2R S)) $ _ $_ ; T =W([ () sin(2R S)) $ _ $_ ;

La serie di Fourier può anche essere scritta in un modo differente per evidenziare la fase c associata all’oscillazione di frequenza S) in cui può essere scomposto il segnale:

() = M)+ 2 N dOPQ (2R S) + 

VW

c) (5. 32)

In genere, tuttavia, si preferisce usare un’altra forma per esprimere la serie di Fourier, ovvero quella complessa. Indicando con e l’unità immaginaria e ricordando le espressioni del coseno e del seno in forma complessa:

OPQ(7) =Gf8+ G2 f8 (5. 33) Q"U(7) =Gf8− G2e f8 (5. 34)

(9)

dove Gf8 = cos(7) + eQ"U(7) è l’esponenziale complesso, si può scrivere la serie di Fourier in questo modo: () = N gGf*Yhij  V (5. 35) dove, per motivi matematici, si sono introdotte delle frequenze negative che, ovviamente dal punto di vista fisico non hanno nessun significato. Nella formula precedente si ha che:

g)= M)

g = dGfk GH = 1,2, …

g = dGfk GH = ⋯ , −2, −1

Il generico coefficiente g, sulla base del segnale (), può essere così calcolato: g =1'  ()Gf*Yhij

( *

(* (5. 36)

In particolare per = 0 si ha: g)='  ()1

( *

(* (5. 37)

che non è altro che l’espressione del valor medio del segnale.

Va comunque notato che non sempre è possibile scrivere un segnale () come serie di Fourier. Per segnali periodici si hanno, tuttavia, delle condizioni sufficienti che generalmente sono soddisfatte dai segnali fisici che si analizzano e che, se rispettate, assicurano la possibilità di tale sviluppo; queste vanno sotto il nome di criterio di Dirichlet:

• () è assolutamente integrabile sul periodo ' ( ovvero verifica la condizione [ | ()| <

$ _

$_

∞ );

• () è continua o presenta in un periodo un numero finito di discontinuità di prima specie; • () è derivabile rispetto al tempo nel periodo escluso al più un numero finito di punti nei quali esistono comunque finite le derivate destre e sinistre;

allora, se vengono rispettate queste tre richieste, la serie di Fourier converge al valore assunto dalla funzione () nei punti in cui questa è continua ed alla semisomma dei limiti destro e sinistro nei punti in cui () presenta discontinuità di prima specie.

La funzione g che rappresenta la trasformata di Fourier del segnale () sarà in generale complessa e come tale presenta un modulo ed una fase; la rappresentazione del modulo in funzione della frequenza è detta spettro d’ampiezza, mentre la rappresentazione della fase in funzione della frequenza è detta spettro di fase.

Per i segnali periodici la serie di Fourier è una somma di infiniti contributi frequenziali tutti equispaziati in frequenza, essendo tutti multipli interi della frequenza fondamentale S). Se il segnale () è non periodico, ovviamente non si può effettuare lo sviluppo in serie fatto sopra, tuttavia anche per questi segnali è possibile utilizzare una rappresentazione in cui questi

(10)

possano essere riscritti come somma di infiniti contributi sinusoidali; tuttavia la principale differenza con il caso periodico sta nel fatto che in questo caso il segnale non presenterà uno spettro discretizzato, bensì si avrà uno spettro infittito, in cui la distanza tra le frequenze che compongono il segnale non sarà più discreta, ma avrà carattere infinitesimo.

Per rappresentare un segnale aperiodico come somma di componenti periodiche sinusoidali consideriamo ciò che succede ad un segnale periodico quando se ne aumenta il periodo '. L’effetto di un aumento del periodo del segnale è quello di diminuire il valore della frequenza fondamentale S), con conseguente riduzione dell’intervallo di separazione tra due generiche frequenze armoniche componenti il segnale periodico; infatti si ha che: S)− ( −1)S)= S). Questo causa appunto un infittimento dello spettro del segnale. Ipotizzando

che il periodo di ripetizione del segnale sia ' → ∞, si avrà che la differenza tra un’armonica e l’altra diverrà infinitesima. L’effetto dell’aumento del periodo ' si ripercuote non solo sull’infittimento delle frequenze, ma anche su una diminuzione dell’ampiezza delle righe spettrali (vedi equazione 5.36); e quanto più aumenta la lunghezza del periodo e tanto maggiore sarà la diminuzione dell’ampiezza delle righe spettrali. Per ovviare a questo si ridefinisce il coefficiente di Fourier. Indicando con n() il segnale periodico di periodo ' il coefficiente di Fourier viene così ridefinito:

g( S)) ≜ 'g =  n()Gf*Yhij (

*

(* (5. 38)

In questo modo il nuovo coefficiente di Fourier non tende a zero quando ' → ∞. In questo modo dalle equazioni precedenti è possibile scrivere lo sviluppo in serie di Fourier per il segnale n() nel seguente modo:

n() = N g( S))Gf*Yhij∙ S) 

V

(5. 39) Adesso si può effettuare il passaggio al limite per il periodo ', mandandolo all’infinito. Il segnale periodico n() si trasforma così in un segnale aperiodico (); inoltre la serie a secondo membro altro non è che la somma di valori di una funzione valutata sui punti discreti equispaziati S), moltiplicati per la distanza S) tra due punti consecutivi, distanza che tende a zero quando ' → ∞. Quindi si può scrivere per () questa espressione (eq. 5.40), detta integrale di Fourier.

() =  g(S)G f*YhjS

 (5. 40)

Dall’espressione del coefficiente di Fourier modificato si può ottenere l’espressione di g(S):

g(S) =  ()G f*Yhj

 (5. 41)

Questa (eq. 5.41) è la trasformata continua di Fourier del segnale aperiodico (). Anche questa espressione, come nel caso periodico, può essere riscritta come segue:

g(S) = d(S)Gfk(h) (5. 42)

(11)

Dal legame tra frequenza e pulsazione (Z = 2RS)) si possono ottenere le seguenti espressioni per l’integrale di Fourier e per la trasformata di Fourier, del tutto equivalenti a quelle già presentate:

g(Z) =  ()G fXj

 (5. 43)

() =2R  g(Z)G1  fXjZ

 (5. 44)

Anche per i segnali aperiodici esistono delle condizioni sufficienti per lo sviluppo secondo l’integrale di Fourier. Queste condizioni fanno parte della criterio di Dirichlet nella variante per segnali aperiodici e risultano del tutto equivalenti a quelle per segnali periodici, purché opportunamente riadattati.

Un’altra condizione, oltre a quelle riadattate dal caso periodico, sufficiente perché un segnale aperiodico possa essere sviluppato in serie di Fourier è che l’energia del segnale sia finita, ovvero che:

 | ()| *

 < ∞ (5. 45)

Quindi per un processo stazionario (), definito su un intervallo infinito di tempo, l’integrale dell’equazione precedente ha valore infinito e quindi la trasformata di Fourier non esiste. Tuttavia in laboratorio non si possono fare misurazioni su un intervallo infinito di tempo, mentre sono disponibili misure di () su un intervallo finito di tempo ', per cui la g(S) può essere stimata calcolando la trasformata finita di Fourier g((S):

g((S) = g(S, ') =  ()Gf*Yhj (

) (5. 46)

Tuttavia le equazioni viste sopra vanno bene nel caso teorico in cui si conosce l’andamento della funzione (); in realtà in ogni misurazione fisica il segnale () viene conosciuto ad istanti ben precisi, ovvero viene ottenuto attraverso un campionamento. Assumendo che () venga campionato e rappresentato con U valori spaziati di ∆, la lunghezza del campione diviene ' = U∆ e la funzione continua () viene rimpiazzata dalla sequenza discreta di dati:

r= (U∆)

con n = 0,1,....,N-1.

Per S arbitraria, la versione discreta dell’equazione precedente diviene g(S, ') = ∆ N rGf*Yhr∆j

sW rV)

(5. 47) Tuttavia anche questa espressione non può essere conosciuta; infatti nell’equazione precedente si ha che S è una variabile continua che assume un’infinità di valori. Per questo quello che generalmente viene fatto è calcolare la precedente espressione solo per valori discreti.

Usualmente la scelta delle frequenze discrete per il calcolo dell’equazione precedente risulta la seguente:

S =' =t∆

(12)

g =g(S∆ = N ) rGf*Yrs sW

rV)

(5. 48) Alcune conseguenze di questa formula sono riportate di seguito, dove l’asterisco indica il complesso coniugato: u v w v x g= g∗ gs = g∗ g3s *z 4 = g3s *z 4 gs = g 

Si noti che i risultati sono unici solo fino a = t/2 in quanto per tale valore si raggiunge la frequenza di Nyquist S| =*∆jW .

5.6. Funzioni di densità spettrale

La funzione di densità spettrale è definita come la trasformata di Fourier della funzione di correlazione. Dati due segnali () e 7() rappresentanti due fenomeni stazionari ergodici, il cross-spettro è definito da:

}8(S) =  >8(/)Gf*Yh~/ 



(5. 49) Nel caso particolare in cui () = 7() si ha la funzione di densità dell’autospettro: }(S) =  >(/)Gf*Yh~/

 

(5. 50) Per come sono definite, le funzioni di densità spettrale presentano le seguenti proprietà:

}(−S) = }(S)

}88(−S) = }88(S)

}8(−S) = }8(S)

Le funzioni di densità spettrale, indicate più brevemente come autospettro e cross-spettro, sono definite su tutte le frequenze, sia positive che negative. Per questo motivo la }(S) è chiamata spettro a due lati. Si definisce anche la densità spettrale ad un lato (S) tramite la seguente relazione:

(S) = 2}(S) = 2  >(/)Gf*Yh~/ 

)

(5. 51) per 0 ≤ S < ∞; una definizione del tutto analoga vale anche per i cross - spettri.

Si può inoltre dimostrare che: }(S) =  0(/)Gf*Yh~/

 

+ E*€(S) (5. 52)

dove >(/) = 0(/) + E* (E è il valore medio del segnale () ) e €(S) altro non è che la funzione delta di Dirac.

(13)

Si ha quindi che se il valore medio dei dati non è nullo lo spettro presenta una funzione € nell’origine; per questo motivo ai dati sperimentali conviene sottrarre il valore medio prima di calcolare lo spettro; infatti se così non si facesse, graficando il modulo della }(S), si avrebbe un picco all’infinito per frequenza nulla.

In termini dello spettro ad un lato si ha: 8(S) = 2}8(S) = 2  >8(/)Gf*Yh~/  ) = 08(S) − e8(S) (5. 53) con 08(S) = 2  >8(/)OPQ (2RS/)/  ) (5. 54) 8(S) = 2  >8(/)Q"U (2RS/)/  ) (5. 55)

chiamati rispettivamente funzione di densità spettrale coincidente o cospettro (08(S)) e funzione di densità spettrale di quadratura (8(S)). Nella pratica si usa presentare il cross-spettro in termini di ampiezza e angolo di fase:

8(S) = J8(S)JGfk‚ƒ(h) (5. 56)

dove:

J8(S)J = „(08(S))*+ (8(S))* (5. 57)

c8(S) = MUW…08(S)

8(S)† (5. 58)

Il segno dei due termini che definiscono c8(S), 08(S) e 8(S), può essere positivo o negativo e determina il quadrante dell’angolo di fase c8(S). Il segno determina, inoltre, alla generica frequenza S, se () segue 7() o viceversa. Quando c8(S) è positivo si ha che 7() precede (), mentre quando c8(S) è negativo si ha che () precede 7().

Per la determinazione della fase tra i segnali dei trasduttori è stata utilizzata proprio la fase del cross-spettro.

Si fa infine notare che per il calcolo dello spettro veniva utilizzata in passato la definizione dello spettro stesso come trasformata di Fourier della funzione di correlazione, risultando un tempo di calcolo più lungo rispetto a quello necessario per il metodo usato oggigiorno basato sulla trasformata rapida di Fourier (FFT).

Una relazione importante che coinvolge l’ampiezza del cross-spettro è la seguente (Bendat [1]):

J8(S)J*≤ (S)88(S) (5. 59)

Questa relazione dà luogo alla definizione di funzione di coerenza ‡8(S): ‡8*(S) = J8(S)J

*

(S)88(S) (5. 60)

(14)

La funzione di coerenza è importante perché nel caso ideale in cui si consideri un ingresso ed un’uscita attraverso un sistema che sia lineare, essa ha valore unitario. Nell’analisi di due segnali raccolti da trasduttori separati angolarmente di una certa quantità, che vedono passare sotto di essi la stessa storia di pressione, ad esempio, lo scostamento dal valore 1 della funzione di coerenza ci dice con quale bontà possiamo supporre che una determinata frequenza misurata da uno dei due trasduttori corrisponda allo stesso fenomeno misurato a quella frequenza dall’altro trasduttore. Se la funzione di coerenza si avvicina ad 1 significa che la causa che genera i due segnali è la medesima.

5.7. Il teorema del campionamento e le sue conseguenze

Quando si campiona un segnale () per convertirlo da forma analogica a quella digitale, per la successiva analisi dei dati per mezzo di computer, bisogna prestare grande attenzione alla frequenza con la quale si effettua il campionamento. Infatti consideriamo il campionamento di un segnale a tempo continuo ():

U = (U')

dove ' è il periodo di campionamento ed U è l’U-esimo campione considerato.

Consideriamo gli effetti che questa scelta in campo temporale ha in ambito frequenziale; in particolare chiamiamo g(S) e gˆ(S) rispettivamente la trasformata di Fourier del segnale analogico () e della sequenza U. Si ha ovviamente che:

gˆ(S) = N UGf*Yrh(  rV = N (U')Gf*Yrh(  rV (5. 61) Attraverso dei semplici passaggi matematici che si possono ritrovare in Luise, Vitetta ([4]) si arriva all’importante formula seguente:

gˆ(S) =1' N g(S −')

 V

(5. 62) Questa relazione mostra che la trasformata di Fourier di una sequenza U ottenuta per campionamento si ricava come periodicizzazione della trasformata del segnale analogico di partenza (), con un periodo di ripetizione in frequenza pari alla frequenza di campionamento S|= 1 'z .

Un esempio molto importante dell’effetto del valore scelto per la frequenza campionatrice in funzione della banda del segnale analogico () è mostrato nella seguente Figura 5-4.

(15)

Figura 5-4: Trasformata del segnale analogico

Nella Figura M è mostrato lo spettro del segnale analogico ‰; nelle figure T e O sono, invece, mostrati gli spettri della sequenza della frequenza campionatrice impiegata

formula precedente (eq. spettro del segnale analogico frequenza campionatrice)

inferiore a 2‰ avviene quello che

trasformata del segnale analogico iniziale tendono a sovrapporsi. Questo ha un effetto deleterio nel caso in cui a partire dal segnale campionato si volesse risalire al segnale originale,

: Trasformata del segnale analogico Š(‹) e della sequenza ŠŒ con differenti valori della frequenza di campionamento.

è mostrato lo spettro del segnale analogico () con banda limitata e pari a sono, invece, mostrati gli spettri della sequenza

della frequenza campionatrice impiegata (si noti dalle figure T e O quanto evidenziato nella (eq. 5.62), ovvero che lo spettro della sequenza

spettro del segnale analogico () che viene ripetuto ad intervalli frequenziali pari alla frequenza campionatrice). Come si può notare quando la frequenza campionatrice diventa avviene quello che viene chiamato M!"MQ"U, ovvero le varie repliche della trasformata del segnale analogico iniziale tendono a sovrapporsi. Questo ha un effetto deleterio nel caso in cui a partire dal segnale campionato si volesse risalire al segnale originale,

con differenti valori della frequenza di

con banda limitata e pari a U per differenti valori quanto evidenziato nella enza U altro non è che lo che viene ripetuto ad intervalli frequenziali pari alla . Come si può notare quando la frequenza campionatrice diventa , ovvero le varie repliche della trasformata del segnale analogico iniziale tendono a sovrapporsi. Questo ha un effetto deleterio nel caso in cui a partire dal segnale campionato si volesse risalire al segnale originale,

(16)

infatti in questo caso si avrebbe quello che viene chiamato errore di aliasing che porterebbe a ricostruire un segnale distorto.

La condizione che garantisce l’assenza di aliasing per i segnali a banda limitata è la condizione di Nyquist, così espressa:

S| =' ≥ 2‰ (5. 63) 1

Questa condizione afferma appunto che per non avere aliasing è necessario che la frequenza di campionamento S| sia non inferiore a due volte l’estremo superiore della banda del segnale analogico ‰.

5.8. Bibliografia

[1]-J.S. Bendat, A.G. Piersol, Random data: analysis and measurement procedures, Wiley-Interscience, New York, 1971.

[2]-D.E. Newland, An introduction to Random vibrations and spectral analysis, Longman, London, 1975.

[3]-L. Torre, Studio sperimentale delle prestazioni e delle instabilità’ fluidodinamiche di

cavitazione su un prototipo dell’induttore della turbopompa LOx del motore Vinci, Tesi di

Laurea in Ingegneria Aerospaziale, Università degli Studi di Pisa, 2003-2004. [4]-M. Luise, G.M. Vitetta, Teoria dei segnali, MGraw-Hill, Milano,2003.

Figura

Figura 5-1:Proprietà ed andamento caratteristico della funzione di autocorrelazione di un processo casuale  stazionario
Figura 5-2: Proprietà e possibile andamento della funzione di cross-correlazione di due processi casuali stazionari
Figura 5-3: Rette di regressione lineare per differenti valori del coefficiente di correlazione
Figura 5-4: Trasformata del segnale analogico

Riferimenti

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