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CAPITOLO 1 I modelli base di training

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

I modelli base di training

1.1

Introduzione

Quando si parla di capitale il primo significato che viene preso in considerazione è quello di capitale fisico, tangibile: un c/c bancario, le quote azionarie di una società, le catene di montaggio delle imprese, per esempio, sono tutte considerate forme di capitale poiché producono reddito ed altri outputs utili per il processo produttivo di un’impresa per periodi di tempo molto lunghi.

Ma in questo lavoro ci concentreremo su un altro tipo di capitale; l’istruzione, la formazione professionale, un corso d’informatica o d’inglese, per esempio, sono considerati capitale poiché aumentano i guadagni ed il valore di una persona e quindi “it

is fully in keeping with the capital concept as traditionally defined to say that expenditures on education, training, medical care, etc, are investments in capital1

Tali investimenti, anche se razionali e basati su un calcolo di costi e benefici attesi, non producono però capitale “fisico”, ma capitale umano definito come il bagaglio di conoscenze o di caratteristiche proprio del lavoratore poiché è impossibile separare una persona dalle proprie conoscenze ed abilità (embodiment of human capital).

Lo sviluppo, negli anni ’70 dello scorso secolo, di una teoria generale degli investimenti in capitale umano ha permesso di trovare una spiegazione uniforme e coerente per un’ampia gamma di fenomeni empirici ai quali la teoria economica tradizionale non aveva ancora fornito una chiara interpretazione.

Alcuni di questi fenomeni sono i seguenti:

1. i salari, di solito, aumentano con l’età ad un tasso decrescente; sia il tasso di crescita, sia il ritardo con cui i salari si adeguano alle abilità con il passare

1 Human capital: a theoretical and empirical analysis with special reference to education (pag. 16) – Gary S. Becker (1993).

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16 dell’età, tendono ad essere positivamente correlati con il livello di abilità (più un lavoratore accumula abilità e maggiormente i salari si adegueranno, in termini di quantità e velocità, con l’età);

2. il tasso di disoccupazione tende ad essere inversamente correlato con il livello di abilità dei lavoratori;

3. le imprese di paesi sottosviluppati sembrano essere “più paternalistiche” verso i lavoratori rispetto a quelle nei paesi sviluppati;

4. i giovani cambiano lavoro più frequentemente e ricevono più istruzione e formazione professionale rispetto ai lavoratori più anziani;

5. la distribuzione dei salari è positivamente asimmetrica, soprattutto tra professionisti e lavoratori più abili, dove per abilità non s’intendono le competenze acquisite “on-the-job”, ma delle capacità innate del lavoratore; 6. le persone più abili ricevono più istruzione e formazione rispetto alle altre; 7. la divisione del lavoro è limitata dall’estensione del mercato;

8. l’investitore-tipo in capitale umano è più impetuoso e quindi più incline a sbagliare rispetto a quello in capitale tangibile.

Tutti questi fenomeni, così come altre importanti implicazioni empiriche, possono essere derivati da semplici ragionamenti fondati sull’accumulazione di capitale umano e lo scopo di questo capitolo è proprio quello di presentare tali argomenti teorici in forma generale.

In questo capitolo, infatti, verrà presentata un’accurata discussione sulla formazione professionale (distinguendo tra general e specific training e presentando i modelli base di Becker) per illustrare l’effetto di un investimento in capitale umano su salari, occupazione ed altre variabili economiche; nei paragrafi tre e quattro, invece, verranno trattati più brevemente gli investimenti in istruzione, informazione e salute.

Nell’ultimo paragrafo verranno invece derivate importanti relazioni tra salari, costi di investimento e tassi di rendimento seguendo una linea che suddivide l’analisi in tre sottocategorie, ciascuna determinata dalla durata del periodo di investimento considerato; infine, nell’appendice a questo capitolo verranno fornite spiegazioni alternative ad alcuni fenomeni studiati dalla teoria del capitale umano.

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17

1.2

La formazione professionale (on the job training).

Prima dell’analisi di Gary Becker le teorie riguardanti il comportamento delle imprese hanno ignorato l’effetto del processo produttivo stesso sulla produttività dei lavoratori, o comunque questo non è mai stato formalizzato in analisi economiche. Molti lavoratori, infatti, aumentano la loro produttività apprendendo nuove abilità e perfezionando quelle vecchie durante la vita lavorativa anche se, presumibilmente, la futura produttività potrà essere migliorata solo sostenendo un costo (il valore del tempo e degli sforzi sostenuti dagli apprendisti, l’insegnamento fornito da altri dipendenti, gli equipaggiamenti ed i materiali usati, ecc, che sono considerati costi nel senso che, se vengono utilizzati per produrre l’output corrente, non possono essere impiegati per incrementare l’output futuro), altrimenti si osserverebbe sempre una domanda illimitata per la formazione.

Per iniziare l’analisi consideriamo un’impresa che assuma lavoratori per un periodo determinato (in casi limitati questo periodo tende a zero) e per il momento assumiamo che sia il mercato del lavoro, sia il mercato dei prodotti siano perfettamente concorrenziali; conseguenza di quest’ultima assunzione è che, se non ci fosse on-the-job training, i salari sarebbero dati per le imprese ed indipendenti dalle loro azioni.

In accordo con il modello neoclassico si assume che l’impresa massimizzi i profitti pagando a ciascun lavoratore un salario monetario pari al valore del prodotto marginale dell’ultimo lavoratore assunto:

MP = W (1)

dove W rappresenta i salari (o i costi marginali del lavoro) e MP rappresenta il prodotto marginale del lavoro in valore (cioè moltiplicato per il prezzo dei beni prodotti) o i ricavi marginali del lavoro (quanto l’impresa ricava vendendo l’output che ha ottenuto impiegando un lavoratore in più).

Poiché le imprese assumono lavoratori solo per un periodo e poiché i salari ed i prodotti marginali futuri sono indipendenti dal comportamento corrente delle imprese, si può legittimamente assumere che i lavoratori abbiano un unico prodotto marginale (per un

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18 dato ammontare di altri inputs) ed un unico salario per ogni periodo identificati, rispettivamente, con la massima produttività possibile e con il salario di mercato.

Per essere più precisi possiamo aggiungere l’indice temporale t all’equazione precedente per indicare che l’equilibrio di ogni periodo dipende solo dai flussi di quel periodo, e così l’equazione (1) diventa:

MPt = Wt (2)

Questo ragionamento cambia quando si considera che la formazione professionale diminuisce i ricavi correnti e aumenta i costi correnti, anche se le imprese saranno comunque incentivate ad investirvi se i ricavi futuri saranno sufficientemente alti o le spese future sufficientemente basse.

Seguendo questo schema l’insieme delle condizioni di massimizzazione del profitto sintetizzate nell’equazione (2) può essere riscritta in termini di valore attuale di ricavi marginali del lavoro e costi marginali del lavoro; se Et e Rt rappresentano,

rispettivamente, i costi marginali ed i ricavi marginali del periodo t e i rappresenta il tasso di sconto di mercato, la condizione di equilibrio (l’impresa assume lavoratori fino a che) può essere scritta come:

1 0 1 0 1 1 ) 1 ( ) 1 ( n t n t t t t t i E i R (3)

dove n rappresenta il numero dei periodi e Rt e Et dipendono dai ricavi e dalle spese

precedenti e successivi al periodo t.

Se la formazione è fornita solo nel primo periodo, le spese durante il periodo iniziale saranno date dal salario più i costi sostenuti per la formazione, mentre durante gli altri periodi saranno date solo dai salari ed i ricavi durante tutti i periodi eguaglieranno i prodotti marginali. L’equazione (3) diventa: MP0 + 1 n 1 t t t ) i 1 ( MP = W0 + k + 1 n 1 t t t ) i 1 ( W (4)

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19 Se definiamo G = 1 n 1 t t t t ) i 1 ( W MP (5)

l’equazione precedente può essere riscritta come:

MP0 + G = W0 + k (6)

Se consideriamo la differenza tra ciò che potrebbe essere prodotto (MP’0) se l’impresa

avesse investito le risorse spese per la formazione dei lavoratori in, ad esempio, capitale fisico e ciò che è prodotto (MP0) si ottiene il costo-opportunità del tempo (e di tutte le

altre risorse impiegate) speso in formazione non considerato nella variabile k. Se C è definita come la somma di costo opportunità e spesa in formazione l’equazione (6) diventa:

MP’0 + G = W0 + C (7)

Il termine G (l’eccesso attualizzato di ricavi marginali futuri sulle spese marginali future) è una misura dei profitti dell’impresa derivanti dalla formazione fornita e perciò G-C rappresenta la differenza tra il rendimento ed i costi del training; l’equazione precedente mostra quindi che il prodotto marginale eguaglia il salario nel periodo iniziale solo se il rendimento dell’investimento in capitale umano eguaglia i relativi costi (G=C)2.

2 Quest’analogia con la teoria tradizionale del capitale potrebbe far insorgere il dubbio di trovarsi di fronte ad una regressione spuria, ma nel seguito della trattazione vedremo che ci sarà bisogno di più specifiche assunzioni per applicare questa condizione ad investimenti in formazione professionale e giungere così a risultati più concreti.

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1.2.1 General training

Il training generico consiste nell’acquisizione di un bagaglio di competenze che possono essere spese nell’ambito di qualunque organizzazione (o impresa) attiva sul mercato del lavoro e, quindi, incrementa la produttività dei lavoratori in tutte le imprese e non solo in quella che ha fornito la formazione.

Poiché in un mercato del lavoro perfettamente concorrenziale i salari pagati da ciascuna impresa sono determinati dalle produttività marginali delle altre imprese, i salari futuri, così come i prodotti marginali, incrementeranno nelle imprese che forniscono general training; tali imprese potranno appropriarsi di parte dei rendimenti del loro investimento solo se il loro prodotto marginale cresce più dei salari pagati ai lavoratori.

Ma in caso di training generico i prodotti marginali delle imprese aumentano tutti dello stesso ammontare e, quindi, poiché i salari seguono lo stesso andamento, le imprese che forniscono formazione non riusciranno ad appropriarsi dei rendimenti dei loro investimenti; la conseguenza è che le imprese saranno indifferenti tra il fornire o meno formazione professionale generica solo se non dovranno sostenere alcun costo (e non la forniranno se esse dovessero sopportare i costi di tale investimento). I lavoratori che riceveranno general training saranno disposti a pagare le spese di formazione perché, proprio grazie ad essa, i loro salari futuri aumenteranno.

Quindi saranno gli apprendisti, e non le imprese, a sopportare i costi e ad appropriarsi dei rendimenti derivanti dal training generico.

Poiché i salari ed il prodotto marginale aumentano dello stesso ammontare avremo, in simboli, che MPt = Wt per ogni t=1,….,n-1 e perciò

G = 1 n 1 t t t t ) i 1 ( W MP = 0 (8)

L’equazione (7) si riduce così a:

MP’0 = W0 + C (9)

(7)

21

W0 = MP’0 - C (10)

In termini di prodotto marginale effettivo si avrà che:

MP0 = W0 + k (9’)

ossia:

W0 = MP0 - k (10’)

Il salario degli apprendisti non sarà uguale al loro prodotto marginale effettivo, ma sarà diminuito dei costi totali di training; in altre parole gli apprendisti sosterrebbero i costi di formazione ricevendo salari più bassi della loro produttività corrente (e quindi più bassi di quelli che potrebbero ricevere altrove) nel periodo iniziale, in cui la formazione viene realizzata.

Chi riceve general training, quindi, tenderà ad avere salari inizialmente più bassi che cresceranno poi con l’aumentare delle competenze acquisite e dell’età; è bene notare, però, che anche il capitale umano è soggetto a deprezzamento poiché alcune conoscenze possono essere perse se non vengono utilizzate con continuità e, in questo caso, si dovrebbe assistere ad una riduzione dei salari, ma tale collegamento tra deprezzamento del capitale e minori redditi derivanti dall’investimento è meno immediato rispetto al caso di capitale fisico (anche per vincoli istituzionali).

La formazione professionale ha un importante effetto sulla relazione tra salari ed età; data una certa produttività iniziale dei lavoratori, coloro che non hanno ricevuto formazione riceveranno lo stesso salario indipendentemente dall’età (linea UU) mentre coloro che l’hanno ricevuta otterranno salari più bassi durante il periodo di apprendistato e retribuzioni più alte alla fine di tale periodo, la curva più ripida TT (inoltre maggiore sono i costi ed i rendimenti dell’investimento, maggiore è l’inclinazione della curva).

La formazione non solo rende la curva più ripida, ma anche più concava (derivata seconda negativa) e questo significa che il tasso di crescita dei salari è maggiore durante la giovane età.

Supponiamo (caso estremo) che la formazione aumenti il livello della produttività marginale, ma non incida sulla pendenza, cioè che la produttività marginale di coloro

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22 che ricevono formazione sia indipendente dall’età; se i salari eguagliassero il prodotto marginale dopo l’avvenuta formazione, la curva T’T’ che rappresenta tale situazione, sarebbe parallela e più alta di UU senza evidenziare né inclinazione, né concavità. Poiché, comunque, i salari di coloro che ricevono formazione sarebbero minori della produttività marginale durante il periodo di formazione ed uguale dopo, essi aumenterebbero bruscamente al termine del periodo di formazione e poi si stabilizzerebbero (curva T’T’) impartendo un’apparenza di concavità alla curva considerata nell’insieme.

Le imprese che massimizzano i profitti in un mercato del lavoro perfettamente concorrenziale non sono disposte a sostenere le spese di formazione generica e pagano a coloro che ricevono formazione il salario di mercato. Se, comunque, esse decidessero di sostenere i costi di formazione necessari, si osserverebbe un eccesso di offerta di lavoratori per tali corsi ed un turnover molto basso durante il periodo di formazione e ciò comporterebbe un sensibile aumento dei costi del lavoro. Quindi, le imprese che non pagassero il salario di mercato ai lavoratori che ricevono formazione potrebbero avere difficoltà a soddisfare la loro richiesta di abilità e potrebbero essere meno vantaggiose rispetto alle altre; le imprese poi che pagassero sia i costi di formazione, sia un salario più basso rispetto a quello di mercato per lavoratori più abili, si troverebbero nella

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23 peggiore delle situazioni perché attirerebbero troppi apprendisti e troppo pochi lavoratori qualificati3.

Possiamo infine vedere un’analogia tra le imprese che forniscono training generico (e quindi economie di scala alle altre imprese) e quelle che sviluppano un nuovo processo che non può però essere brevettato; come i brevetti sono un incentivo per le imprese ad investire in R&D, così il diritto di proprietà sulle competenze ricevute acquisito automaticamente4 dai lavoratori costituisce un incentivo a ricevere formazione e ad accettare un salario più basso durante il periodo di “apprendistato”.

1.2.2 Specific training

Il “general training” aumenta la produttività marginale degli apprendisti dello stesso ammontare nell’impresa che fornisce training ed in altre imprese; il training che, invece, aumenta la produttività principalmente nell’impresa che lo fornisce è chiamato “specific training” (la formazione totalmente specifica ha effetto soltanto sulla produttività dell’impresa che la fornisce).

Altri costi di assunzione, come le spese per le agenzie di collocamento o il tempo speso in colloqui per esempio, sono anch’essi una forma di investimento in capitale umano, ma non sono costi di formazione; sono investimenti perché sono spese sostenute in un breve periodo di tempo che creano effetti di lungo periodo sulla produttività, sono specifici perché incrementano la produttività principalmente nell’impresa che sostiene tali spese e sono investimenti in capitale umano perché perdono il loro valore se il lavoratore lascia l’impresa.

L’effetto degli investimenti in capitale umano sulla produttività dei lavoratori dipende dalle condizioni di mercato e dalla natura dell’investimento; per un’impresa che opera in forte regime monopolistico tutti gli investimenti in formazione sono specifici mentre le imprese che operano in mercati estremamente concorrenziali dispongono di una gamma ridotta di investimenti specifici.

3

E’ questo il caso del settore militare che offre un’ampia gamma di abilità utili anche nel settore civile durante il primo periodo di arruolamento, ma che vede proprio coloro che hanno ottenuto tali competenze lasciare la carriera militare perché potrebbero ricevere salari maggiori nel settore civile.

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24 Se la formazione fornita da un’impresa fosse completamente specifica, il salario che un lavoratore potrebbe ottenere altrove sarebbe indipendente dall’ammontare di formazione ricevuta, e lo stesso varrebbe per il salario pagato dall’impresa stessa. Le imprese si approprierebbero così del rendimento di tale “training” nella forma di maggiori profitti derivanti da una più alta produttività e la formazione verrà fornita solo se il rendimento (scontato ad un apposito tasso) sarà almeno pari ai costi (l’equilibrio concorrenziale di lungo periodo richiede che il valore attuale del rendimento eguagli esattamente i costi). L’equazione di equilibrio per un’impresa che investe in formazione in un mercato concorrenziale è già stata definita nell’equazione (7), dove G può essere esplicitato come: 1 n 1 t t t t ) i 1 ( W MP G (11)

E’ bene notare che l’eguaglianza tra salario e prodotto marginale nel periodo iniziale coinvolge il prodotto marginale opportunità e non il prodotto marginale effettivo. I salari sarebbero maggiori dell’effettivo prodotto marginale se parte della produttività fosse prevista come parte del programma di formazione. Inoltre, anche se inizialmente i salari eguagliassero il prodotto marginale, essi sarebbero più bassi in futuro perché la differenza tra il prodotto marginale futuro ed i salari costituisce il rendimento della formazione di cui si appropriano le imprese. Tutto questo, peraltro, deriva dall’assunzione che le imprese pagano tutti i costi di formazione e si appropriano dei rendimenti, ma si potrebbe obiettare che i lavoratori potrebbero pagare tutti i costi di specific training ricevendo un salario più basso inizialmente ed appropriarsi poi dei rendimenti ottenendo successivamente un salario pari al prodotto marginale, così come affermato in caso di general training. Seguendo la notazione dell’equazione (7), Wt

eguaglierebbe MPt, G sarebbe uguale a zero e W0 eguaglierebbe MP0’- C come nel caso

di training generico. O forse è più plausibile che siano le imprese a sostenere i costi di formazione e ad appropriarsi dei rendimenti di tali investimenti?

Si può rispondere a questa domanda ragionando in questo modo: se le imprese avessero sostenuto costi di formazione specifica per un lavoratore che poi avesse lasciato il lavoro, le loro spese sarebbero state parzialmente sprecate e non ci sarebbero stati ulteriori rendimenti. Parimenti, un lavoratore che fosse stato licenziato dopo essersi pagato il suo periodo di formazione non si approprierebbe di nessun rendimento e

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25 incorrerebbe in perdite. La volontà di lavoratori o imprese a sostenere i costi di formazione specifica dipenderebbe perciò dalla probabilità e dalla misura del turnover del lavoro, fenomeno che è pressoché ignorato dalla teoria tradizionale.

In altri termini, un’impresa sarà danneggiata dalle dimissioni di un lavoratore che ha ricevuto training specifico, e che quindi stava ottenendo un salario pari a quello di mercato, perché non riuscirebbe a trovare un lavoratore egualmente capace (non avendo ricevuto formazione) al quale però deve essere comunque pagato il salario di mercato. Nello stesso modo un lavoratore che ha sostenuto le spese per la propria formazione (specifica) incorrerebbe in una perdita notevole dopo il licenziamento perché non sarebbe in grado di trovare un lavoro ugualmente vantaggioso altrove.

Le imprese che sopportano i costi di formazione specifica tengono conto del turnover del lavoro cercando di ottenere un rendimento elevato dai lavoratori che rimangono alle proprie dipendenze in modo da bilanciare le perdite derivanti da coloro che si licenziano e, inoltre, riconoscendo che la probabilità che un lavoratore si licenzi è legata ai salari pagati; obiettivo delle imprese diventa così quello di ridurre la percentuale di dimissioni offrendo ai lavoratori un salario maggiore di quello che potrebbero ricevere altrove al termine del periodo di formazione o, in altre parole, permettendo loro di appropriarsi di una parte dei ricavi derivanti dalla formazione. D’altro canto, affinché i salari troppo elevati non comportino un eccesso di offerta di lavoro non qualificato, occorrerà che sia i costi che i ricavi dell’investimento in formazione siano suddivisi tra imprese e lavoratori5; la quota di costi (e ricavi) a carico (e a favore) dei lavoratori dipenderà dalla relazione che c’è tra abbandoni e salari, tassi di licenziamento e profitti, ed altri fattori. Come abbiamo detto prima, se il training non fosse completamente specifico incrementerebbe (in misura minore) anche la produttività del lavoratore presso altre imprese e di conseguenza anche il salario ivi ricevibile. Così il training può essere scomposto in due parti, una completamente generica ed una completamente specifica; maggiore è la prima e più grande sarà l’effetto sui salari di altre imprese.

Poiché le imprese non sostengono tutti i costi “generici” e pagano solo una parte di quelli “specifici”, la frazione di costi pagata dalle imprese sarà negativamente correlata

5A. Marshall, in tema di talenti specifici e loro effetti su salari e produttività, ha scritto: “Thus the head

clerk in a business has an acquaintance with men and things, the use of which he could in some cases sell at a high price to rival firms. But in other cases it is of a kind to be of no value save to the business in which he already is; and then his departure would perhaps injure it by several times the value of his salary, while probably he could not get half that salary elsewhere” (Principles of Economics (pg. 626),

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26 alla consistenza della componente generica e positivamente correlata alla specificità del training.

Se G rappresenta il valore attuale del rendimento della formazione di cui si appropriano le imprese si avrà che MP0’ + G = W0 + C. Se G’ misura il rendimento di cui si

appropriano i lavoratori, il rendimento totale G’’ sarà la somma di G e G’ e, in equilibrio, G’’ = C.

Se a rappresenta la parte dei ricavi totali di cui si appropriano le imprese e, tenendo conto che G = aG’’ e G’’ = C, l’equazione (7) può essere scritta come:

MP’ + aC = W + C (12)

da cui

W = MP’ – (1-a)C (13)6

I lavoratori sopportano una frazione (1-a) dei costi e si appropriano di una frazione (1-a) dei ricavi; se il training fosse completamente generico a = 0 e torneremmo all’equazione (10) mentre se il training fosse completamente specifico a = 1 e avremmo MP0’ = W.

Concentriamoci ora su alcune delle maggiori implicazioni derivanti dall’analisi della formazione on the job, sia generica che specifica:

Le imprese razionali corrispondono ai lavoratori che hanno seguito corsi di formazione generica lo stesso salario che potrebbero ricevere altrove, mentre concedono salari più alti a coloro che hanno ricevuto training specifico; inoltre, le imprese non si preoccupano della questione del turnover dei lavoratori in caso di training generico e non hanno incentivo ad offrire loro “un premio” in aggiunta al salario opportunità ricevibile altrove perché i costi di tale training sono interamente a carico dei lavoratori. Le imprese si concentrano sul problema del turnover (cercando di offrire un salario maggiore) solo nel caso di

6 Se G’’ non fosse uguale a C e fosse, per esempio, G’’ = G + G’ = C + n, con n ≥ 0 si avrebbe che il valore attuale dei ricavi totali sarebbe maggiore di quello dei costi totali. Allora G = aG’’ = aC + an e l’equazione diventerebbe:

MP’ + aC + an = W + C oppure

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27 formazione specifica perché ora anch’esse sostengono una parte dei costi di formazione.

E’ bene notare però che il training generico aumenta i salari che i lavoratori potrebbero ricevere altrove mentre questo non vale per il training (completamente) specifico; conseguenza di ciò è che fare un paragone tra salari alternativi darebbe un’ingannevole impressione dell’effetto assoluto sui salari di differenti tipi di training.

I lavoratori che hanno ricevuto formazione specifica hanno meno incentivo a dimettersi e le imprese hanno meno convenienza a licenziarli rispetto a quelli che hanno ricevuto training generico o non hanno ricevuto alcun tipo di formazione e quindi i tassi di licenziamento e di abbandono da parte dei lavoratori sono inversamente correlati all’ammontare di formazione specifica ricevuta7 (diseconomie esterne a carico dei lavoratori e delle imprese che forniscono training).

Nel caso di riduzione della domanda circoscritta ad una sola impresa solo pochi lavoratori, tra quelli che hanno ricevuto formazione specifica, verranno licenziati perché, almeno inizialmente, il loro prodotto marginale continuerà ad essere maggiore dei salari che ricevono.

Se la diminuzione della domanda fosse permanente tutti i lavoratori verrebbero licenziati quando il loro prodotto marginale si riduce al di sotto dei salari percepiti e tutti sarebbero così costretti a cercare un’altra occupazione. Se il declino fosse invece temporaneo, i lavoratori che hanno ricevuto una formazione specifica non sarebbero licenziati anche se il loro prodotto marginale si riducesse al di sotto del salario percepito perché le imprese perderebbero l’investimento fatto nel passato qualora tali lavoratori trovassero un’altra occupazione; le imprese preferirebbero così sopportare inizialmente una perdita per poi tornare a guadagnare in futuro, una volta che la domanda si sarà riassestata al livello precedente.

I lavoratori che hanno sostenuto corsi di formazione specifica inizialmente ricevono un salario maggiore di quello che potrebbero ricevere altrove e, per avere incentivo a lasciare il proprio posto di lavoro, il salario pagato dalle altre imprese deve aumentare più dell’iniziale differenza tra le due retribuzioni; le

7 Il turnover sarebbe così ridotto al minimo per i lavoratori che hanno ricevuto training (estremamente) specifico.

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28 conclusioni sono quindi le stesse viste prima ed un aumento dei salari-opportunità comporterà una più bassa percentuale di dimissioni tra lavoratori che hanno ricevuto training specifico.

Le imprese che forniscono training specifico hanno interesse ad “assicurarsi” ed a prevenire le dimissioni dei propri lavoratori; tra i metodi a loro disposizione c’è la possibilità di stabilire contrattualmente (soprattutto per le figure manageriali) dei “benefits” elargibili al lavoratore solo se quest’ultimo non interrompe volontariamente il rapporto di lavoro con l’impresa (si tratta di componenti pensionistiche private che in Italia non sono comuni, ma che invece rivestono una grande importanza negli Stati Uniti dove non esiste un sistema previdenziale statale) oppure lo stabilire contratti a lungo termine che di fatto trasformano ogni tipo di training in specifico ed incentivano le imprese ad investire in capitale umano (oltre a tutelare i lavoratori contro i licenziamenti). L’importanza del training specifico e l’incentivo ad investire in capitale umano aumenta in regime di monopsonio8 perché in questo caso ogni tipo di formazione diventa specifica, indipendentemente dalla sua natura.

1.3 Istruzione ed altre conoscenze

Una scuola può essere definita come un’istituzione specializzata nella

produzione di training per distinguerla da un’impresa che offre sì formazione, ma la cui attività principale è la produzione di merci; alcune scuole sono specializzate nel fornire un solo tipo di competenze mentre altre, come le università, offrono una gamma diversificata di abilità.

L’acquisizione di certe competenze richiede sia periodi di specializzazione (teorica) che esperienze “sul campo” e possono quindi essere fornite in parte dalle imprese ed in parte dalle scuole. Questo significa che ci sono elementi complementari tra cultura e lavoro e tra cultura e tempo impiegato in formazione, i quali a loro volta dipendono in parte dall’ammontare di conoscenze formali disponibili.

8 Forma di mercato in cui l’offerta è frammentata in un numero indefinito di operatori e la domanda è concentrata in un unico operatore.

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29 Uno studente non deve lavorare per pagarsi la formazione fornita dalle scuole, ma il discorso cambia se il training è fornito dalle imprese (per esempio durante le vacanze). I suoi salari saranno di solito più bassi di quelli che avrebbe potuto ricevere se non fosse stato impegnato con gli studi ed avesse potuto lavorare regolarmente; la differenza tra ciò che avrebbe potuto guadagnare e ciò che invece effettivamente riceve è un importante costo opportunità indiretto dell’istruzione.

Il salario netto può essere così definito come la differenza tra l’attuale salario ed i costi diretti di istruzione, cioè in simboli:

W = MP – k (14)

dove MP è il prodotto marginale corrente (assunto uguale al salario) e k rappresenta i costi diretti di istruzione (per esempio tasse scolastiche, tasse universitarie, ecc).

Se MP0 è il prodotto marginale che lo studente avrebbe potuto ottenere sotto forma di

salario, l’equazione precedente può essere scritta come:

W = MP0 – (MP0 – MP + k) = MP0 – c (15)

dove c è la somma dei costi diretti ed indiretti e dove il salario netto W è la differenza tra il salario potenziale MP0 ed i costi totali c.

La relazione (15) ha la stessa forma di quella derivata per la formazione professionale sul luogo di lavoro e questo suggerisce che, spesso, le scuole possono essere trattate come una sorta di imprese e gli studenti come un caso di apprendisti.

Nella formula (15) sono implicitamente considerati (e sottratti) anche i costi indiretti di istruzione perché, altrimenti, i salari sarebbero stati definiti come la somma dei guadagni osservati e di quelli previsti, e questi ultimi sono uno dei maggiori costi di istruzione. Questo perché quando vengono fatti paragoni tra i salari di apprendisti e studenti è necessario che i salari dei secondi siano definiti nello stesso modo di quelli dei primi9, cioè al netto di tutti i loro costi (diretti ed indiretti). Indipendentemente da quali costi (se tutti o solo quelli indiretti) vengano sottratti dai salari potenziali, le

9 Gli studenti spesso hanno guadagni netti negativi ed in questo aspetto differiscono dagli apprendisti che ricevono corsi di formazione sul luogo di lavoro, sebbene un tempo anch’essi avessero inizialmente guadagni negativi.

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30 conclusioni a cui giungiamo in materia di istruzione sono quindi le stesse ottenute in tema di training generico.

La formazione professionale e l’istruzione non sono le sole attività che aumentano il reddito di una persona principalmente facendo leva sulle conoscenze possedute od acquisite da essa; conoscere i prezzi praticati da vari venditori, per esempio, permette di effettuare l’acquisto più conveniente, o sapere i salari pagati da più imprese può consentire di lavorare per quella che offre il salario più alto.

Questi esempi chiariscono il fatto che essere a conoscenza di informazioni circa il sistema economico, politico e sociale e/o circa le varie alternative di produzione e consumo permette di aumentare significativamente i propri redditi reali.

Consideriamo più in dettaglio un investimento sostenuto per ottenere informazioni circa le opportunità di lavoro disponibili; le spese sostenute per contattare le agenzie di collocamento, acquistare giornali che pubblicano annunci di lavoro, il tempo speso per esaminare tali annunci, ecc costituiscono un investimento in informazione (circa le opportunità di occupazione) che potrebbe aumentare i guadagni nella forma di un salario più alto.

Se tali costi sono a carico del lavoratore, che si appropria anche dei guadagni collegati, un investimento di questo tipo ha le stesse implicazioni di quelli in training generico ed istruzione anche se è bene notare che i costi diretti di ricerca (così come i costi diretti di istruzione) sono aggiunti al consumo, piuttosto che sottratti dai salari; se invece è l’impresa a sostenere i costi e ad appropriarsi dei ricavi connessi all’aver assunto un lavoratore più produttivo le conclusioni sono le stesse formalizzate in tema di formazione specifica.

Se siano i lavoratori o le imprese a sostenere i costi di ricerca dipende dall’effetto di un cambiamento di lavoro (per esempio il trasferimento in un’altra città) sulle alternative possibili; maggiori sono le possibilità rese disponibili da un cambio di lavoro e più alta sarà la parte di costi che i lavoratori saranno disposti a sostenere. Comunque sia, anche in questo caso, la questione può essere analizzata con gli strumenti descritti nei paragrafi precedenti.

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31

1.4 Incrementi salariali produttivi

Un modo per investire in capitale umano è quello di migliorare la salute fisica e psichica dei lavoratori; una riduzione nel tasso di mortalità durante l’età lavorativa, per esempio, incrementa le prospettive di guadagno perché estende il periodo durante il quale vengono ricevuti i salari, un’alimentazione migliore aumenta la forza e la resistenza e quindi la capacità di guadagnare, un miglioramento nelle condizioni di lavoro può influenzare il morale e la produttività, ecc….

Le imprese possono investire nella salute dei propri dipendenti attraverso esami medici, mense aziendali o evitando di svolgere attività pericolose; un investimento in salute che aumenti la produttività nello stesso modo in tutte le imprese ha lo stesso effetto di uno in formazione generica, mentre se aumenta la produttività soprattutto nell’impresa che lo effettua avrebbe lo stesso effetto di un investimento in formazione specifica.

Gli investimenti di questo tipo sono effettuati soprattutto al di fuori dell’impresa e, quando gli investimenti “sul posto di lavoro” (on-the-job training) sono finanziati tramite una riduzione dei salari durante il periodo di formazione, le somme disponibili per il primo tipo di investimenti saranno minori.

Occorre sottolineare che l’ammontare di denaro investito al di fuori dell’impresa è correlato ai salari solo nel caso di imperfezioni nel mercato dei capitali perché, altrimenti, tali investimenti potrebbero essere finanziati ricorrendo al prestito; l’analisi assume dunque che il mercato dei capitali sia estremamente imperfetto e che i salari ed altri redditi siano la principale fonte di denaro disponibile.

Un’impresa sarebbe disposta a sopportare i costi di investimenti in capitale umano effettuati dai propri lavoratori al di fuori di essa se potesse beneficiare dell’incremento di produttività derivantevi; l’unico modo per pagare tali spese è quello di offrire salari più alti durante il periodo di investimento poiché i prestiti diretti ai lavoratori sono considerati proibiti per assunzione. In altre parole, quando un’impresa concede un incremento salariale produttivo (cioè che aumenta la produttività) gli investimenti effettuati al di fuori di essa vengano convertiti in investimenti “on-the-job” in modo da aggirare le imperfezioni del mercato dei capitali.

(18)

32

MP + G = W + C = π (16)

dove W rappresenta i salari pagati in assenza di investimenti, C misura i costi di un incremento salariale produttivo ed è l’unico investimento effettuato, MP misura il prodotto marginale dei lavoratori quando vengono pagati i salari W e G rappresenta i guadagni ottenuti dall’impresa quando decide di offrire salari più elevati.

L’impresa sopporta costi totali per π = W + C e, poiché i costi di investimento sono ricevuti dai lavoratori sotto forma di salari più elevati10, π misura anche i salari totali. L’equazione (16) ci dice che l’investimento non verrà effettuato quando i guadagni dell’impresa sono nulli (G = 0) perché i salari totali (π) eguaglierebbero il prodotto marginale in assenza di investimenti.

E’ stato mostrato che le imprese ottengono benefici tanto maggiori (minori) dagli investimenti effettuati al proprio interno quanto più specifico (generico) è l’effetto ottenuto sulla produttività, maggiore (minore) è il loro potere di monopsonio e più lunghi (brevi) sono i contratti di lavoro; per esempio un incremento salariale speso in un miglioramento della dieta (che ha un immediato effetto sulla produttività11) sarebbe facilmente concesso, mentre se venisse speso in qualcosa con effetto ritardato le cose cambierebbero, così come arguiva Marshall che nei suoi “Principles of Economics” osservava come le imprese che operavano in mercati concorrenziali non avessero incentivo a concedere incrementi salariali poiché spesso questi avevano effetti sulla produttività posticipati nel tempo di una generazione (“Again, in paying his workpeople

high wages and in caring for their happiness and culture, the liberal employer confers benefits which do not end with his own generation. For the children of his workpeople share in them, and grow up stronger in body and in character than otherwise they would have done. The price which he has paid for labour will have borne the expenses of production of an increased supply of high industrial faculties in the next generation: but these faculties will be the property of others, who will have the right to hire them out for the best price they will fetch: neither he nor even his heirs can reckon reaping much material reward for his part of the good that he has done”)12

.

L’effetto di un incremento salariale sulla produttività dipende dal modo in cui è speso, il quale a sua volta dipende dai costi e dalle conoscenze dei lavoratori e dalle alternative

10 I costi di un investimento “on-the-job” non sono ricevuti dai lavoratori come maggiori salari ed è questo che distingue formalmente un investimento di questo tipo da un incremento salariale produttivo. 11 Più rapido è l’impatto e più probabile è che l’incremento venga concesso nella durata contrattuale. 12

(19)

33 ad essi disponibili; le imprese possono cercare di influenzare il modo in cui tale incremento può venire speso esortando, per esempio, i propri dipendenti a migliorare l’alimentazione, ad acquistare un’abitazione, a sottoporsi a controlli medici periodici o addirittura caldeggiando l’acquisto di specifici prodotti negli spacci aziendali.

Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti un investimento in capitale umano rende la curva età-salari più ripida, ma un incremento salariale che aumenta la produttività potrebbe avere l’effetto opposto e questo perché i salari ottenuti durante il periodo di investimento vengono considerati al netto dei costi di investimento generici e al lordo dei costi di un incremento salariale produttivo.

In termini formali, se E rappresenta i salari dichiarati durante il periodo di investimento e MP misura il prodotto marginale in assenza di investimenti, si avrà che:

E = MP – C con un investimento generico,

E = MP con un investimento specifico pagato dall’impresa, E = MP + C con un incremento salariale produttivo.

Usando la notazione dell’equazione (16) l’effetto di un incremento nell’intensità del lavoro finanziata da un incremento salariale può essere così formalizzato: se W e MP rappresentano i salari e la produttività iniziali, C l’incremento salariale e G i guadagni dell’impresa derivanti dalla maggiore produttività causata dall’aumento dei salari, si arriva alla conclusione che gli incentivi a concedere una gratificazione (in termini salariali e morali) dipendono dagli stessi fattori che influenzano la volontà dell’impresa di investire o meno al di fuori di se stessa.

1.5 Relazione tra guadagni, costi e tassi di rendimento

La decisione di quanto investire in capitale umano è basata essenzialmente su quale sarà il rendimento dell’investimento stesso (investimento che si estende per periodi abbastanza lunghi e variabili, e anche questo complica le cose perché “for since

investment in human capital usually extends over a long and variable period, the amount invested cannot be determined from a known “investment period”13

), ma studiare quali saranno gli effetti di una variazione di tale tasso sui salari (o più in

13 Human capital: a theoretical and empirical analysis with special reference to education (pg. 59)– Gary S. Becker (1993)

(20)

34 generale sui guadagni) non è un compito agevole perché essa è difficile da distinguere empiricamente da una variazione nella somma di denaro investita.

Inoltre la discussione concernente la formazione professionale illustrata nel precedente capitolo ha chiaramente indicato che l’ammontare investito in capitale umano è spesso “fuso” con i guadagni lordi in un concetto più generale di “guadagni netti” che comprende i guadagni lordi diminuiti dei costi di investimento o aumentati dei rendimenti dell’investimento stesso.

In questo capitolo, come già illustrato nel paragrafo introduttivo, saranno derivate importanti relazioni tra salari, costi di investimento e tassi di rendimento che permetteranno di distinguere una variazione nel rendimento da una variazione nell’ammontare investito.

La discussione, svolta dal punto di vista dei lavoratori e, quindi, limitata agli investimenti generici, procederà in questo modo:

1 Inizialmente si considererà un investimento ristretto ad un singolo periodo e con guadagni “spalmati” lungo tutti i restanti periodi;

2 In secondo luogo considereremo un investimento distribuito lungo un dato gruppo di periodi conosciuti come “periodo di investimento”;

3 Infine si mostrerà come il tasso di rendimento, l’ammontare investito ed il periodo di investimento possano essere derivati esclusivamente da informazioni circa i guadagni netti

Sia Y un’attività14

fornita da una persona in un dato periodo iniziale chiamato “età zero” con un flusso di salari netti reali Y0 durante il primo periodo, Y1 durante il periodo

successivo e così fino a Yn durante l’ultimo periodo. I salari reali sono la somma dei

salari monetari e dell’equivalente monetario dei “salari psicologici” (parte del rendimento dell’istruzione, in termini di guadagni, che va a remunerare i costi psicologici connessi con la formazione), ma l’analisi si applica indipendentemente dalla divisione tra componenti psicologici e componenti monetari.

Il valore attuale del flusso dei guadagni netti è:

n 0 j 1 j j ) i 1 ( Y ) Y ( V (17)

14 Il termine generale “attività” è usato per indicare che è permesso ogni tipo di investimento in capitale umano, e non solo la formazione professionale.

(21)

35 dove i è il tasso di sconto di mercato assunto per semplicità costante in ogni periodo15. Se consideriamo un’ulteriore attività X con un flusso di guadagni netti X0,……,Xn e con

un valore attuale V(X), avremo che il valore attuale del profitto ottenuto scegliendo la prima attività Y sarà dato da:

n 0 j 1 j j j ) i 1 ( X Y ) X ( V ) Y ( V d (18)

ma tale equazione può essere riformulata esplicitando la relazione tra costi e rendimenti. I costi che devono essere sopportati per investire in capitale umano eguagliano i guadagni netti previsti scegliendo di investire, piuttosto che scegliendo un’attività che non richiede investimento; se Y richiede un investimento nel periodo iniziale e X non lo richiede, il costo che deve essere sostenuto per scegliere Y piuttosto che X è la differenza tra i loro guadagni netti nel periodo iniziale ed il rendimento totale è il valore attuale delle differenze tra i guadagni netti nei successivi periodi.

Se C X0 Y0 e kj Yj Xj, per j = 1,…..,n, e R misura il rendimento totale, il guadagno totale derivante da Y può essere scritto come:

C R C ) i 1 ( k d n 1 j j j (19)

La relazione tra costi e rendimenti può essere derivata in un modo diverso considerando il tasso interno di rendimento, cioè il tasso di sconto che eguaglia il valore attuale dei rendimenti ed il valore attuale dei costi.

In altre parole, il tasso interno r è implicitamente definito dall’equazione:

n 1 j j j ) r 1 ( k C (20) che implica:

15 Si assumono, per semplicità, flussi discreti di reddito anche se una formulazione matematica più elegante richiederebbe che le sommatorie fossero sostituite da integrali, ma i risultati a cui si arriva seguendo la formulazione più semplice sono comunque gli stessi.

(22)

36 n 0 j 1 j j n 0 j 1 j j 0 d ) r 1 ( X ) r 1 ( Y (21)

poiché C X0 Y0 e kj Yj Xj, così che il tasso interno r è anche il tasso di sconto

che eguaglia il valore attuale dei guadagni netti.

Se il rendimento fosse costante in ogni periodo (oppure se Yj Xj k con j = 1,…,n) l’equazione (20) potrebbe essere semplificata in:

] ) 1 ( 1 [ r n r k C (22)

dove (1+r)-n è una correzione che prende in considerazione l’orizzonte infinito della vita e che tende a zero quando le persone vivono di più.

Come abbiamo visto, quindi, se l’investimento è circoscritto ad un dato singolo periodo il costo ed il tasso di rendimento sono facilmente determinati esclusivamente dalle informazioni sui guadagni netti.

Poiché un investimento in capitale umano è distribuito lungo più periodi l’analisi deve essere generalizzata per includere investimenti distribuiti su più periodi.

La definizione di un tasso interno in termini di valore attuale di guadagni netti in diverse attività si riferisce nello stesso modo all’ammontare ed alla durata dell’investimento, ma la definizione in termini di costi e rendimenti non può essere generalizzata così facilmente.

Se l’investimento richiesto dall’attività in questione fosse noto durante ognuno dei primi m periodi un semplice approccio potrebbe essere quello di definire il costo di investimento in ogni periodo come la differenza tra i guadagni netti in X e Y, i costi di investimento totali come il valore attuale di queste differenze ed il tasso interno sarebbe quello che eguaglia costi e rendimenti totali. In simboli:

j j 1 j X Y C , j = 0,……..,m-1 1 m 0 j j 1 j 1 ) r 1 ( C C 1 1 1 ) 1 ( ] ) 1 ( 1 [ m n m r r r k C (23)

(23)

37 Se m = 1 ritorniamo all’equazione (22).

Ci sono però delle puntualizzazioni da fare su questo facile approccio:

1. la stima dei costi totali richiede una conoscenza a priori e la specificazione del periodo di investimento, ma è difficile conoscere con precisione e senza errori il periodo coperto da un investimento in formazione professionale, ad esempio. 2. le differenze tra i guadagni netti in X e Y non misurano correttamente il costo

sostenuto per investire in Y poiché esse non riescono a stimare esattamente i guadagni previsti. Una persona che ha investito nel periodo iniziale potrebbe ricevere più di X1 nel periodo 1 purché l’investimento iniziale fruttasse un

rendimento positivo16.

Il vero costo di investimento nel periodo 1 corrisponderebbe ai guadagni totali previsti o, in alternativa, alla differenza tra quanto si sarebbe potuto ottenere e quanto è stato ottenuto. La differenza tra X1 e Y1 potrebbe sottostimare i veri

costi perché Y1 potrebbe essere maggiore di X1 anche se nel periodo 117 fosse

stato effettuato un investimento di ingente ammontare.

In generale, perciò, l’ammontare investito in ogni periodo sarebbe determinato non solo dai guadagni netti nello stesso periodo, ma anche dai guadagni netti nei precedenti periodi.

E’ bene notare che la generalizzazione del ragionamento ad investimenti “spalmati” su più periodi può essere notevolmente semplificata.

Siano Cj i guadagni previsti nel j-esimo periodo, rj il tasso di rendimento e sia kj il

rendimento per periodo di Cj, con k = ∑kj che rappresenta il rendimento totale

dell’intero investimento; se il numero di periodi fosse indefinitamente elevato e se l’investimento avesse luogo solo nei primi m periodi, l’equazione che relaziona costi, rendimenti e tassi interni sarebbe semplificata in18:

16 Se C

0 fosse l’iniziale investimento, ro il suo tasso interno ed i rendimenti fossero gli stessi in ogni periodo, nel periodo 1 sarebbe ricevuta una somma n

0 0 0 1 1 1 ) r 1 ( 1 C r X X 17 Y 1>X1 se n 1 0 0 0 1 C ) r 1 ( 1 C r X > X1 oppure se n 0 0 0 ) r 1 ( 1 C r > C1. 18 Un investimento nel periodo j comporterebbe un rendimento di k

j = rjCj in ogni periodo successivo se il numero dei periodi fosse infinito ed i rendimenti fossero gli stessi in ognuno di essi. Poiché il rendimento

totale è la somma dei rendimenti individuali

1 m 0 j 1 m 0 j 1 m 0 j j j j j j rC C C r C C r k k

(24)

38 1 m 0 j j r k C C (24) dove 1 m 0 j j jr w r c c wj j 1 m 0 j j 1 w (25)

Il costo totale, definito semplicemente come la somma dei costi durante ogni periodo, eguaglierebbe il valore capitalizzato dei rendimenti ed il tasso di capitalizzazione sarebbe una media pesata dei tassi di rendimento degli investimenti individuali.

Se tutti i tassi di rendimento fossero gli stessi in ogni periodo il termine k r nell’equazione (8) rappresenterebbe il valore, all’inizio dell’m-esimo periodo, di tutti i successivi guadagni netti differenziali tra X e Y, scontati al tasso interno di rendimento (cioè: m j j m j m m j j j r k r k r X Y )(1 ) 1 (1 ) 1

( ) ed i costi totali eguaglierebbero

il valore dei primi m differenziali tra X e Y anche all’inizio dell’m-esimo periodo (la fine del periodo di investimento)19. Il valore dei primi m differenziali deve anche eguagliare il valore di tutti i successivi differenziali tra X e Y poiché r altro non è che il tasso di rendimento che eguaglia i valori attuali in X e Y.

Il tasso interno di rendimento potrebbe essere determinato dall’imposizione dell’uguaglianza tra i valori attuali dei guadagni netti in X e Y solo se esso fosse costante in ogni periodo; si avrebbe quindi che

19 Poiché 0 0 0 Y C X , X1 Y1 C1 rC0 e più in generale 1 j 0 k k j j j Y C r C X con 0≤j<m allora 1 0 1 0 1 1 0 1 ) 1 ( ) 1 )( ( m j m j j m j k k j j m j j Y r C r C r X 1 0 1 0 2 1 . ]] ) 1 ( ... ) 1 ( 1 [ ) 1 [( m j m j j j m j m j r r r r C C C

(25)

39 1 j 0 k k j j j Y C r C X con 0≤j<m (26)

cioè che costi e tasso di rendimento possono essere stimati grazie alle informazioni sui guadagni netti.

Si è sottolineato prima come la stima dei costi totali richieda una conoscenza a priori del periodo di investimento, ma nel caso di formazione professionale (ad esempio) non è facile determinare tale periodo; dimostreremo ora che costi e rendimenti possono essere stimati anche senza conoscere tale periodo, ma solamente basandoci sulle informazioni relative ai guadagni netti.

Se fosse noto che l’attività X non richiede investimento (periodo di investimento pari a zero), l’ammontare investito in Y durante ogni periodo sarebbe definito da:

1 j 0 k k j j j X Y r C C j (27)

ed i costi totali da:

0 j

j C

C (28)

Il tasso interno di rendimento potrebbe essere determinato nel modo solito dall’uguaglianza tra il valore attuale di X e Y, i costi in ogni periodo dall’equazione (27) ed i costi totali dall’equazione (28).

La definizione di costi presentata qui estende a tutti i periodi la definizione avanzata prima per il periodo di investimento. La ragione su cui la definizione generale è basata è la stessa: l’investimento ha luogo in Y ogni volta che i guadagni sono minori della somma di quelli in X ed il reddito si accumula sui precedenti investimenti. Se i costi fossero maggiori di zero prima del periodo m ed uguali a zero successivamente, i primi m periodi sarebbero derivati empiricamente come periodo di investimento, ma i costi ed i rendimenti possono essere stimati dall’equazione (28) anche quando non c’è un semplice periodo di investimento.

Stimare empiricamente i costi richiede una conoscenza a priori che nulla è investito nell’attività X; senza questa informazione l’equazione (27) risulterebbe utile soltanto

(26)

40 per stimare la differenza tra quanto è stato investito nelle due attività, dato un certo flusso di guadagni netti.

L’affermazione che “nulla è investito in un’attività” significa solo che niente è investito dopo l’età in cui le informazioni sui primi guadagni diventano disponibili e l’investimento può aver avuto luogo prima di quest’età.

L’assunzione che la vita è infinita, sebbene irreale, spesso porta a risultati molto vicini alla realtà poiché un periodo di guadagno finito ha un effetto più amplificato sul rendimento di un investimento effettuato in più tarda età, il quale si riduce in misura maggiore rispetto al caso di un orizzonte temporale infinito. Un’analisi di un flusso di guadagni finito può essere approcciato in due modi:

1. il primo applica il concetto sviluppato per flussi infiniti ed afferma che c’è disinvestimento in capitale umano quando i guadagni netti sono maggiori dell’ammontare che potrebbe essere mantenuto infinitamente;

2. un’alternativa più utile lascia che il periodo di guadagno stesso influenzi la definizione di reddito accumulato e dei costi. Il reddito risultante da un investimento durante il periodo j sarà definito come

n j j j j r C r k ) 1 ( 1 (29)

dove n+1 è il periodo di guadagno e l’ammontare investito durante j sarà definito da: 1 0 1 (1 ) j k k n k k k k j j j r C r Y X C (30) 

(27)

41

APPENDICE: Spiegazioni alternative ad alcuni fenomeni studiati

dalla teoria del capitale umano

In questa sezione verranno illustrate alcune possibili interpretazioni alternative (alla teoria del capitale umano) di fenomeni osservati molto frequentemente nella realtà; gli interrogativi a cui cercheremo di dare una risposta sono “perché i lavoratori più

istruiti (con un titolo di studio maggiore) ottengono salari più elevati?”, oppure “perché alcune imprese offrono profili salariali crescenti con l’anzianità di servizio?”.

Per quanto riguarda la prima questione, ci sono due spiegazioni teoriche più rilevanti nella letteratura economica: la prima è quella del capitale umano enunciata nei paragrafi precedenti secondo la quale i maggiori salari dei lavoratori con più alta istruzione sono dovuti al fatto che l’istruzione acquisita aumenta anche la produttività sul posto di lavoro, mentre la spiegazione basata sulla selezione avversa si fonda su un ragionamento del tutto diverso. Secondo quest’ultima interpretazione, un grado di istruzione più elevato comporta salari maggiori non tanto perché consenta ai lavoratori di ottenere una produttività marginale maggiore sul posto di lavoro, ma perché tale livello di istruzione è un segnale di maggiori abilità innate che consentiranno al lavoratore che le possiede di essere più produttivo anche nel mercato del lavoro. Poiché un’impresa non ha la possibilità di osservare quali lavoratori saranno poi più produttivi di altri, essa potrà basarsi sul livello di istruzione per ottenere informazioni sulla futura produttività dei lavoratori assunti.

Mentre c’è un nesso di causa-effetto tra istruzione e produttività nella teoria del capitale umano, questo non vale nei modelli di selezione avversa; non è vero che i lavoratori sono più produttivi grazie all’istruzione che hanno acquisito, ma perché hanno delle caratteristiche innate (che possedevano anche prima di conseguire quel livello di istruzione) che in passato hanno loro consentito di ottenere più facilmente un titolo di studio e che, oggi, consentiranno loro di avere una maggiore produttività sul posto di lavoro.

Esistono, però, delle strategie poste in essere dagli agenti economici che mirano ad attenuare il problema della selezione avversa; si parla di segnalazione con riferimento a quelle strategie poste in essere dagli agenti più informati con lo scopo di trasmettere in modo credibile alla parte meno informata l’informazione privata posseduta dagli agenti

(28)

42 più informati. Affinché la dichiarazione (o segnale) risulti credibile agli occhi della controparte è necessario che il segnale trasmesso identifichi inequivocabilmente un dato tipo di lavoratore, cioè il segnale deve essere tale da poter essere emesso unicamente dai candidati “bravi” perché la sua emissione deve risultare talmente costosa che solo i candidati “bravi” hanno convenienza ad emetterlo.

Nell’ambito del mercato del lavoro, il segnale più noto sulle capacità (innate) dei lavoratori è rappresentato dal livello di istruzione da essi conseguito, ma affinché risulti davvero credibile devono essere rispettate due condizioni:

il costo per l’acquisizione del livello di istruzione che segnala l’abilità elevata del lavoratore è tale per cui solo i lavoratori più abili hanno convenienza a sostenere tale costo;

la mancata acquisizione di un certo livello di istruzione da parte di un lavoratore segnala inequivocabilmente all’impresa che quel lavoratore ha bassa abilità. Assumiamo, per semplicità, che vi siano sul mercato del lavoro due differenti tipi di lavoratori (entrambi neutrali al rischio), quelli con elevata abilità innata e quelli con bassa abilità; assumiamo, inoltre, che le caratteristiche osservabili dei lavoratori “bravi” siano le stesse dei lavoratori “meno bravi” e che, quindi, le imprese non abbiano la possibilità di osservare l’abilità dei lavoratori prima di assumerli, ma che possano soltanto conoscere il livello di istruzione da essi conseguito.

Consideriamo la funzione di utilità attesa di un lavoratore:

U = U(w,c,i) = w-ci (A.1)

dove w è il salario orario percepito dal lavoratore, c è il costo (costante) per acquisire un’unità di istruzione (che dipende dal lavoratore) e i è il livello di istruzione raggiunta. Dato il salario w fissato dall’impresa, e data la sua abilità innata fissata dalla Natura, ogni lavoratore deve scegliere il proprio livello di istruzione e, al riguardo, distinguiamo quattro casi:

i. un lavoratore con alta abilità sceglie di acquisire un livello alto di istruzione e, in tal caso, l’utilità attesa di un lavoratore è pari a wA-cA iA;

ii. un lavoratore con alta abilità sceglie di acquisire un livello basso di istruzione e, in tal caso, l’utilità attesa di un lavoratore è pari a wB-cA iB;

iii. un lavoratore con bassa abilità sceglie di acquisire un livello alto di istruzione e, in tal caso, l’utilità attesa di un lavoratore è pari a wA-cB iA;

(29)

43 iv. un lavoratore con bassa abilità sceglie di acquisire un livello basso di istruzione

e, in tal caso, l’utilità attesa di un lavoratore è pari a wB-cB iB;

in cui cA e cB rappresentano il costo per acquisire un’unità di istruzione, rispettivamente, per un lavoratore con alta abilità e per un lavoratore con bassa abilità, mentre iA e iB rappresentano i titoli di studio conseguiti, rispettivamente, da tali tipi di lavoratori. Le due condizioni necessarie affinché il titolo di studio rappresenti un segnale credibile sulle effettive abilità innate dei lavoratori possono essere così formalizzate:

wA-cB iA < wB-cB iB (A.2)

wA-cA iA > wB-cA iB (A.3)

da cui deriva:

cA(iA – iB) < (wA-wB) < cB(iA – iB) (A.4)

Le condizioni formalizzate dalle disequazioni (A.2) e (A.3) sono note come Vincoli di

autoselezione in quanto, se rispettate congiuntamente, garantiscono che ciascun

lavoratore scelga un livello di istruzione in relazione al proprio tipo e, così facendo, segnali alle imprese le proprie vere abilità innate. Affinché le due condizioni siano soddisfatte contemporaneamente è necessario, in primo luogo, che cA sia nettamente più basso di cB, cioè che il costo per acquisire un certo livello di istruzione sia nettamente più elevato per i lavoratori meno abili che per quelli più abili. In secondo luogo è necessario che il differenziale retributivo wA–wB (differenziale che riflette quello nella produttività dei lavoratori) non sia né troppo alto e né troppo basso: se troppo alto, infatti, potrebbe incoraggiare i lavoratori meno abili ad acquisire il livello alto di istruzione e se troppo basso, invece, potrebbe scoraggiare i lavoratori più abili dall’acquisire il livello alto di istruzione. E’ bene notare, però, che una differenza minore nei costi di acquisizione dell’istruzione tra tipi di individui, a parità di differenziale retributivo, oppure un differente differenziale retributivo, a parità di differenza nei costi di acquisizione dell’istruzione, potrebbero rendere il titolo di studio come un segnale non più credibile dell’abilità individuale.

Il secondo interrogativo a cui cercheremo di dare una risposta in questa appendice riguarda il perché alcune imprese offrono profili salariali crescenti con l’anzianità di servizio. La prima possibile spiegazione è quella basata sulla teoria del capitale umano:

(30)

44 all’interno dell’impresa si fa formazione “on-the-job”, la produttività del lavoratore cresce e questo determina un aumento del salario con l’anzianità di servizio.

In letteratura le spiegazioni alternative a tale impostazione sono sostanzialmente due: la prima è basata su alcune caratteristiche innate del lavoratore, mentre la seconda interpreta l’offerta di profili salariali crescenti come incentivo all’impegno del lavoratore.

Prima di analizzare più in dettaglio la prima delle due spiegazioni è necessario chiarire che cosa si intende per “selezione”; si parla di selezione in relazione a quelle strategie intraprese dalla parte meno informata atte ad indurre la parte più informata a rivelare l’informazione privata in suo possesso. Poiché difficilmente la parte più informata rivelerà di sua spontanea volontà le informazioni private che possiede quando le può sfruttare a proprio vantaggio, la strategia di selezione deve consistere nel predisporre un adeguato meccanismo che crei i “giusti” incentivi affinché la parte informata acquisisca interesse a farlo.

Per spiegare perché un profilo salariale age/wage increasing (inizialmente un salario più basso della produttività del lavoratore e poi, a partire da una certa data e fino all’età di pensionamento, una retribuzione via via sempre più alta della sua produttività) crea un meccanismo che consente alle imprese di attirare i lavoratori “migliori” per l’impresa (in particolare quelli con una più bassa propensione ad abbandonare l’impresa dopo i primi anni di esperienza) supponiamo che i lavoratori più giovani che entrano per la prima volta nel mercato del lavoro possano essere distinti in due categorie: i lavoratori “infedeli” che desiderano, almeno per i primi anni, sperimentare diverse opportunità lavorative presso imprese differenti ed i lavoratori “fedeli” che cercano fin da subito un’impresa che offra loro un impiego stabile e duraturo. Le imprese preferiscono i lavoratori del secondo tipo, in quanto assumere un lavoratore con il rischio che questo si licenzi dopo poco tempo comporta elevati costi di turn-over per l’impresa, ma come possono fare le imprese ad attirare solo lavoratori “fedeli”?. Una possibile spiegazione consiste proprio nell’offrire profili salariali crescenti con l’anzianità di servizio; un lavoratore “infedele”, infatti, non avrà convenienza a lavorare per un’impresa che all’inizio gli offre un salario molto più basso della sua produttività perché non compenserà mai questa differenza con salari più alti della produttività dopo una certa data (il lavoratore non rimane abbastanza a lungo alle dipendenze dell’impresa), mentre, al contrario, un lavoratore “fedele” potrebbe trovare conveniente un tale meccanismo

(31)

45 retributivo e, quindi, accettando l’impiego rivela di fatto di avere proprio quelle caratteristiche che l’impresa desidera.

Per spiegare perché profili salariali di questo tipo possono essere visti come incentivi all’impegno del lavoratore assumiamo che la carriera di un lavoratore possa essere suddivisa in due periodi: il primo corrisponde al momento in cui il lavoratore è “giovane”, mentre il secondo periodo corrisponde al momento in cui il lavoratore è “anziano”. In ciascun periodo il lavoratore ha una funzione di utilità del tipo “retribuzione – costo dell’impegno”:

U = retribuzione - e 2 c (A.5) dove 2 c

è il costo personale che il lavoratore subisce se esercita un certo impegno, il quale può assumere due soli valori e = {0,1}. Se il lavoratore sceglie e = 0 significa che il lavoratore si sta sottraendo alle proprie responsabilità lavorative e, quindi, sopporta un costo personale pari a zero.

Definiamo il salario wy come la retribuzione corrispondente al primo periodo (quando il lavoratore è “giovane”) e w0 come il salario del secondo periodo. Il costo dell’impegno in ciascun periodo è ce/2 ed il giovane lavoratore ha un’utilità, nel corso della sua vita lavorativa, pari alla somma dell’utilità del giovane e dell’anziano. Dal punto di vista formale, l’utilità del giovane lavoratore è:

0 o y y 0 y e 2 c w e 2 c w U U (A.6)

dove e0 (ey) è il livello di impegno scelto quando il lavoratore è anziano (è giovane). L’impegno è scelto dal lavoratore, ma non può essere osservato dall’impresa la quale può però monitorare il lavoratore con una frequenza p 1; se non cerca di sottrarsi agli impegni di lavoro, il lavoratore produce in ciascun periodo un valore della produttività del lavoro pari a y. Il lavoratore, inoltre, ha un’opzione esterna (utilità di riserva) pari a

u. L’impresa stabilisce il salario del giovane e quello dell’anziano, wy e w0; la questione da risolvere è se wy è minore di w0. Il problema fondamentale dell’impresa è scegliere il salario del lavoratore giovane, mentre quello del lavoratore è scegliere se impegnarsi

Figura

Tab. 1.  Formazione professionale: principali caratteristiche e politiche di formazione presso le  agenzie di aiuto temporaneo negli Stati Uniti
Tab. 2.  Confronto tra il logaritmo del salario orario dei lavoratori presso società con formazione e  senza formazione
Tab. 3.  Stime della relazione tra politiche aziendali di formazione e salari dei lavoratori
Tabella 1: Training events,  by country and selected characteristics
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