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Academic year: 2021

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Capitolo 1

Metodologie d'indagine.

1.1. Cicli o sequenze di racconti?

Come già accennato nell'introduzione, non sono molti i contributi significativi sul racconto anglocanadese, e ancor più esigua è la bibliografia critica reperibile sulle sequenze o cicli di racconti. Nel mio studio mi sono avvalsa delle riflessioni formulate da Forrest L. Ingram e Robert M. Luscher sui cicli (cycles) o sequenze (sequences) di racconti, e da Gerald Lynch sui cicli di racconti canadesi di lingua inglese.

Occorre innanzi tutto rimandare alla questione terminologica su come definire quei gruppi di racconti organizzati attorno a uno o più soggetti comune, sia esso un personaggio, un tema in particolare o un luogo. Due sono gli orientamenti principali, che usano la diversa connotazione semantica dei termini “ciclo” e “sequenza” per definire questi racconti: l’impiego di uno dei due è spesso condizionato anche dalle caratteristiche dei racconti stessi, oltre che dalla prospettiva di analisi critica.

Per Forrest L. Ingram, un ciclo di racconti è: «a book of short stories so linked to each other by their author so that the reader's successive experience on various levels of the pattern of the whole significantly modifies his experience of each of its component parts»1. La

ricorrenza di determinate componenti che collaborano per ricreare un insieme organico a partire dai racconti, visti come i frammenti che compongono il ciclo, è alla base della sua definizione. La convinzione di Ingram secondo la quale il ciclo tende inevitabilmente verso la forma unitaria del romanzo, è messa in discussione da Robert M. Luscher. Per Luscher, il termine “ciclo” attira l’attenzione sulla periodicità di alcuni elementi, ma ne lascia in ombra la consecutività, l’organizzazione sequenziale, consecutiva, in cui tali elementi sono ordinati all’interno del gruppo di racconti: «Forrest Ingram’s term, short story cycle, which critics most commonly use, draws attention to the recurrence of theme, symbol, and character, but does so at the expense of deemphasizing the volume's successiveness»2. Per Luscher è

fondamentale tenere presente il fatto che ogni racconto è in se stesso un insieme chiuso, finito e distinto, che si oppone alla creazione di un tutto a partire dal gruppo in cui è inserito; tuttavia, ciò che emerge da un’attenta lettura di questi racconti sono delle strategie compositive che superano i vuoti esistenti tra l'uno e l'altro, nelle parole dello studioso: «the

1 F. L. Ingram, “Introduction: Theory and Perspective”, in F. L. Ingram, Representative Short Story Cycles of the

Twentieth Century, p. 19.

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discovery of larger unifying strategies that transcend the apparent gaps between stories»3.

L’appellativo “sequenza” con cui Luscher intende riferirsi a questa tipologia di narrativa breve, per lo studioso, è da preferirsi al termine “ciclo”, poiché insiste sul graduale sviluppo del significato dei testi, singoli e messi in relazione tra loro durante la lettura nella successione proposta dal volume in cui sono inclusi, o dai numeri delle riviste che li contengono. Il fatto che la sequenza sia scandita progressivamente da elementi ricorrenti, conclude Luscher ribaltando la prospettiva di Ingram, è quindi un modo per sottolineare l’evoluzione del significato di cui il lettore si appropria tra il racconto precedente e quello successivo dell’insieme. Si tratta di una sorta di giustapposizione di brandelli narrativi fra i quali intercorrono delle relazioni, ma che rifiuta l’unità strutturale del romanzo: è anzi il romanzo contemporaneo stesso a prendere in prestito tale frammentarietà come modello in base al quale organizzare i suoi contenuti. Per quanto riguarda i racconti interconnessi di Mavis Gallant, in base alle loro caratteristiche strutturali e tenendo presente quanto finora esposto, propenderei per riferirmi ad esse come sequenze: è evidente la costruzione progressiva del senso mediante la ripresa di elementi ricorrenti e la giustapposizione di frammenti narrativi, oltre all'assenza di quelle che Gerald Lynch definisce «return stories»4, le

storie conclusive dei cicli, soprattutto anglocanadesi, in cui si assiste a un movimento di ritorno al luogo d'origine da parte del protagonista o di uno dei personaggi del ciclo. Le “return stories” spingono il lettore a rivedere e spesso riformulare quanto appreso dai racconti precedenti, talvolta mettendo in discussione il senso del ciclo intero, mentre esemplificano la necessità del personaggio di ristabilire un contatto con le origini e quindi con la propria identità dopo l'esperienza dell'altrove. Lynch sceglie il termine ciclo poiché lo ritiene adeguato a rendere il senso delle dinamiche di sviluppo ricorsivo che collegano i racconti, per il riferimento alla tradizione di altri modelli letterari e culturali di ciclicità, ma soprattutto proprio per sottolineare la funzione di ritorno della storia conclusiva nei cicli anglocanadesi.

Nelle quattro sequenze di Mavis Gallant, al contrario, questa «fictional urge to return»5

non è mai condensata nel racconto conclusivo, essendo invece espressa come motivo ricorrente in vari stadi di ogni sequenza e, soprattutto, secondo modalità diverse in base ai vari personaggi. Se prendiamo in esame 'Linnet Muir', tralasciando per il momento la ricerca di dinamiche di sviluppo ricorsivo, la sequenza stessa rappresenta già di per sé un movimento di ritorno al luogo di origine intrapreso dalla protagonista per poter ridefinire la propria identità, ma nell'ottica di una maturazione artistica e personale che la porterà a liberarsi dei suoi legami con il passato. In 'The Carette Sisters' il movimento di ritorno compare in più momenti dello sviluppo narrativo, ed è espressione di istanze diverse a seconda del personaggio che lo attua. Il movimento di ritorno in 'Henri Grippes' assume connotazioni completamente diverse: la sequenza è ambientata quasi interamente a Parigi,

3 Ibidem.

4 G. Lynch, The One and the Many. English-Canadian Short Story Cycles, Toronto, University of Toronto Press,

2001, p. 28.

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nell'appartamento del protagonista eponimo, luogo con cui quest’ultimo intrattiene un legame pressoché morboso e che lascia solo per periodi di tempo molto limitato, non allontanandosi troppo dal quartiere, e solo in un paio di occasioni dalla Francia. Più articolate sono le dinamiche di ritorno presenti in 'Edouard, Juliette, Lena': i tre protagonisti tornano a Parigi dopo la parentesi della seconda guerra mondiale, ma il ritorno assume per ognuno di loro significati diversi, come avremo modo di vedere più oltre nell'analisi dei testi.

Lo studio di Lynch, se finora può non applicarsi appieno alle sequenze di Mavis Gallant, rimane tuttavia fondamentale per la suddivisione tipologica che propone dei cicli anglocanadesi. Lynch prende spunto da e amplia la suddivisione che Ingram fa dei cicli di racconti in “composed”, “arranged” e “completed”6, a seconda del ruolo che autore ed editore

assumono nella creazione del ciclo stesso. Un ciclo “completed” è composto di testi nati come racconti indipendenti, successivamente riuniti in ciclo attraverso un processo di completamento da parte dell'autore, il quale, dopo aver identificato una serie di elementi ricorrenti e potenzialmente unificanti all'interno di un determinato insieme di racconti, ha messo in atto alcune strategie completive: l'aggiunta di racconti che raccolgono, sviluppano, intensificano e ampliano le tematiche delle prime storie; ampie revisioni dei testi già pubblicati per adeguarli a un insieme coerente quale è il ciclo; raggruppamenti o risistemazioni di storie che presentano elementi in comune7. Un ciclo “arranged” presenta dei

testi che l'autore, o un revisore-autore, ha deciso di riunire per chiarire o commentare il senso di ciascuno in base a strategie di giustapposizione e associazione, che possono rispondere a vari criteri: ripetizione di uno stesso tema, uno o più personaggi ricorrenti o che appartengono ad una medesima generazione8. Un ciclo può definirsi “composed” quando i racconti che

include derivano da un progetto unitario dell'autore, come sostiente Ingram: «As story follows story in the series, the author allows himself to be governed by the demands of some master plan, or at least by a unifying directional impulse»9, che per l'appunto è il caso dei racconti di

Mavis Gallant di cui intendiamo occuparci.

Intesi inizialmente come preparatori a quattro romanzi distinti, e quindi espressione di un estremo «unifying directional impulse», l'autrice ha invece scelto di mantenere la struttura più frammentaria della sequenza di racconti, pubblicandoli a distanza di tempo l'uno dall'altro, e

6 Non esistendo una versione italiana del saggio di Ingram, proponiamo di tradurre i termini come: “composto”,

“combinato”, “completato”.

7 «The process of completion may consist merely in adding stories which collect, develop, intensify, and extend

the thematic patterns of the earlier stories in the series (Ein Hungerkünstler); or it may include extensive revisions of earlier stories in the cycle (The Unvanquished); or, finally, it may also entail regrouping and rearranging (Winesburg, Ohio). Winesburg began as a “composed” cycle with a loose plan. Anderson had to “complete” it, to round it off, before publishing it as a cycle. Other important examples of “completed” cycles are Joyce's Dubliners and Steinbeck's The Red Pony», in F. L. Ingram, op. cit., p. 18.

8 «An arranged cycle consists of stories which an author or editor-author has brought together to illuminate or

comment upon one another by juxtaposition or association. The criteria for such “arrangements” are varied: repetition of a single theme (Flannery O'Connor's Everything That Rises Must Converge), recurrence of a single character or set of characters (Erskine Caldwell's Georgia Boy), or even a grouping of representatives of a single generation (Fitzgerald's All the Sad Young Men, and Tales of the Jazz Age). For obvious reasons, arranges cycles are usually the loosest cycle forms», in F. L. Ingram, op. cit., p. 17

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raccogliendoli successivamente secondo diverse modalità. I racconti di 'Linnet Muir'10,

cronologicamente anteriori agli altri in base alla prima edizione su rivista, dopo essere stati pubblicati come sezione conclusiva di Home Truths, sono poi apparsi quindici anni più tardi all'interno di Selected Stories, come quart'ultima sezione: disposti secondo l'ordine cronologico degli eventi narrati, quindi alterando i legami e le corrispondenze intratestuali stabilite dalla raccolta precedente, il senso generale della sequenza è incompleto, poiché “With a Capital T” è escluso. Da un punto di vista del processo di raccolta dei testi, 'Linnet Muir' è l'unica sequenza i cui testi sono presentati come un insieme ben delineato di racconti collegati. 'Henri Grippes', cronologicamente la seconda sequenza per tre racconti su quattro11,

ha avuto due edizioni in raccolta: la prima all'interno di Overhead in a Balloon. Twelve Stories of Paris, in cui “A Painful Affair”, “A Flying Start” e “Grippes and Poche” sono rispettivamente il quarto, sesto e settimo racconto, interpolati al quinto posto da “Larry”, che non appartiene alla sequenza, mentre “In Plain Sight”, il testo conclusivo, sarà pubblicato solo otto anni più tardi. La seconda edizione di 'Henri Grippes' coincide con la sezione conclusiva di Selected Stories, in cui sono riportati i quattro racconti rispettando l'ordine cronologico di pubblicazione su rivista. 'Edouard, Juliette, Lena' è la terza sequenza12: se la prima edizione

all'interno di Overhead in a Balloon riporta i quattro racconti rispettando l'ordine cronologico della pubblicazione sul New Yorker, nella seconda edizione come penultima sezione di Selected Stories il senso complessivo e le strategie intratestuali vengono alterati, poiché “The Colonel's Child” è anteposto a “Rue de Lille”. Sia 'Henri Grippes' sia 'Edouard, Juliette, Lena' nella prima edizione non sono delimitati tipograficamente come insieme di racconti interconnessi, al contrario di quanto accade nella seconda edizione. L'ultima sequenza, in base alla pubblicazione su rivista, è quindi 'The Carette Sisters'13: il primo racconto a comparire su

Mademoiselle è “Declassé”, intitolato “1933” nella raccolta Across the Bridge, poi gli altri tre sul New Yorker a breve distanza l'uno dall'altro. Raccolti in Across the Bridge, sono i quattro racconti che aprono il volume, benché non inseriti in alcuna cornice che ne identifichi l'appartenenza a un insieme unitario, come accade invece tre anni più tardi in Selected Stories, in cui coincidono con la terz'ultima sezione.

Interessanti ai fini dell'analisi testuale sono le riflessioni di Ingram sulle caratteristiche in base alle quali l'unitarietà di un ciclo di racconti è identificabile, ovvero i «dynamic patterns of recurrence and development»14: i “patterns of recurrence”, traducibili come gli schemi di 10 Per comodità, riporto nuovamente, in questa e nelle tre note successive, i titoli dei racconti con l'indicazione

relativa alla prima pubblicazione. “In Youth Is Pleasure” (New Yorker, 24th November 1975), “Between Zero and

One” (New Yorker, 8th December 1975), “Varieties of Exile” (New Yorker, 19th January 1976), “Voices Lost in

Snow” (New Yorker, 5th April 1976), “The Doctor” (New Yorker, 20th June 1977), “With a Capital T” (Canadian

Fiction Magazine. Mavis Gallant Issue, n. 28, Spring 1978).

11 “A Painful Affair” (New Yorker, 16th March 1981), “A Flying Start” (New Yorker, 13th September 1982),

“Grippes and Poche” (New Yorker, 29th November 1982), “In Plain Sight” (New Yorker, 25th October 1993). 12 “A Recollection” (New Yorker, 22nd August 1983), “Rue de Lille”, (New Yorker, 19th September 1983), “The

Colonel's Child” (New Yorker, 10th October 1983), “Lena” (New Yorker, 31st October 1983).

13 “1933” (Mademoiselle, February 1987), “The Chosen Husband” (New Yorker, 15th April 1985), “From Cloud

to Cloud” (New Yorker, 8th July 1985), “Florida” (New Yorker, 26th August 1985). 14 F. L. Ingram, op. cit., p. 20.

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ricorsività, possono essere simmetrici o asimmetrici, a seconda della loro distribuzione all'interno dei racconti, mentre è possibile rintracciare “patterns of development”, o schemi di sviluppo, lineari o multidirezionali. Schema di sviluppo lineare è ad esempio l'evoluzione cronologica dell'azione, mentre schemi di sviluppo multidirezionale sono l'espansione e la diffusione di aspetti legati ai temi e ai simboli presenti nei racconti, oppure l'approfondimento e l'ampliamento del senso in base alle relazioni intratestuali e intertestuali evidenti nei testi che compongono il ciclo.

Gerald Lynch parte quindi dalle riflessioni di Ingram per perfezionarle e formulare una propria teoria sulle caratteristiche dei cicli di racconti anglocanadesi. Nell'introduzione al suo studio, Lynch sostiene la necessità di andare oltre rispetto a quanto sostenuto da Ingram sulla tripartizione dei cicli in “composed”, “arranged” e “completed”, etichette talvolta di dubbia attribuzione, e sull'identificazione di “patterns of recurrence and development”. Fondamentale per ottenere una tipologia dei cicli di racconti è ricercare quegli elementi narrativi che conferiscono loro la coerenza essenziale e creano il legame di ciclicità che li unisce15, ovvero

luoghi e personaggi, e, in misura minore, temi e stile o tono narrativo16, ove questi ultimi

servono a rafforzare la coerenza interna al ciclo17. Tuttavia Lynch si sofferma su come le due

categorie principali di luogo e personaggio spesso si sovrappongano nel processo di creazione della coerenza testuale, e nota anche che, qualora il luogo sia il fattore principale di coerenza di un ciclo18, questa non dipende necessariamente anche da uno o più personaggi, mentre

qualora le strategie di coerenza interna dipendano da uno o più personaggi ricorrenti19, sono

inevitabilmente legate anche ai luoghi in cui il ciclo è ambientato. Nei cicli anglocanadesi in particolar modo, il legame con il luogo esercita un ruolo fondamentale per la formazione del personaggio, oltre a fornire coerenza ulteriore all'insieme dei racconti che li compongono20,

come è appunto il caso delle quattro sequenze di Mavis Gallant. Il loro fattore di coerenza principale è rappresentato in ciascuna dal personaggio o dai personaggi principali, di cui sono

15 «A more useful and faithful method of categorizing story cycles is the simpler one of viewing them in terms of

what lends the cycle its primary coherence, what holds it together in its cyclical form». G. Lynch, op. cit., p. 20.

16 «There are story cycles unified primarily by place […]. In this proposed system, the other major category

accommodates cycles that are unified by character […]. Two minor categories can be added to these major ones of place and character. There are miscellanies of stories that are unified by a consistent thematic concern […]. And there are story collections that impress readers as more than usually unified by a consistent style or tone, collections that ofter cohere around a central theme or recurrent themes». G. Lynch, op. cit., pp. 20-21.

17 «If according to my proposed system the presence of a constituent theme or consistent style alone cannot be

the defining characteristic of a story cycle, it would be mistaken not to take into account the role those aspects play in strengthening the coherence of cycles unified primarily by place and/or character». G. Lynch, op. cit., p. 21.

18 Si pensi a In the Village of Viger di Duncan Campbell Scott, Sunshine Sketches of a Little Town di Stephen

Leacock, The Kissing Man di George Elliott, Around the Mountain di Hugh Hood, The Street di Mordechai Richler, fra i cicli più conosciuti in cui è il luogo a fare da filo conduttore fra i vari racconti.

19 Over Prairie Trails di Frederick Philip Grove, Klee Wyck di Emily Carr, A Bird in the House di Margaret

Laurence, Who Do You Think You Are di Alice Munro, solo per citare alcuni fra gli esempi più conosciuti.

20 «I would also note here what will emerge convincingly by the end of this study: that where story cycles unified

by place are never dependent on a single recurring character, Canadian story cycles unified primarily by a recurrent character are reliant also on place. In the Canadian short story cycle, place plays an essential role in the formation of character, while gracing both the character and the cycle itself with additional significant coherence». Ibidem.

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riportati frammenti dell’evoluzione personale a partire da uno o più eventi traumatici che ne innescano il processo di dislocazione spaziale. I luoghi, il movimento attraverso i luoghi e le funzioni che di volta in volta questi assumono all'interno del processo diegetico sono quindi fondamentali per la costruzione del senso nei testi presi in esame. La struttura della sequenza di racconti esprime la tensione fra l'uno e il molteplice che la contraddistingue, e che si traduce nel rapporto di indipendenza e interdipendenza reciproche fra i racconti, che mantengono la propria separazione formale, nonostante siano inseriti in un sistema complesso di rimandi e legami intertestuali e intratestuali; nelle strategie narrative adottate per sottolineare l'evoluzione ricorsiva delle tematiche principali e le dinamiche di ritorno, queste ultime intessute nella trama testuale dell'intera sequenza nei racconti di Mavis Gallant presi in esame.

1.2. Il racconto: strumenti teorico-critici.

In questa seconda parte del capitolo, vorrei fare riferimento ad alcune metodologie teorico-critiche che ho trovato funzionali all'analisi dei testi. A proposito della tensione tra l'uno e il molteplice insita nelle sequenze di racconti è utile rammentare ciò che Ian Reid espone nel suo studio “Destabilizing Frames for Story”21: ogni racconto subisce

inevitabilmente, già a partire dalla veste editoriale in cui è inserito, uno o più processi di framing da parte di chi ne usufruisce, quindi del lettore. Le caratteristiche di tale processo variano a seconda che lo si riconduca a uno dei due significati attribuiti al termine frame dalla linguistica cognitiva e dalla narratologia22. In linguistica cognitiva, un frame rappresenta una

sorta di schema mentale attraverso il quale l’essere umano organizza e classifica ogni tipo di informazione ricevuta; la linguistica cognitiva fa uso di entrambi i sensi in cui il lemma frame può essere inteso: come cornice, che inquadra situazionalmente l’evento da cui si ricevono le informazioni da decodificare, o come struttura, per cui le informazioni sono sistematizzate attraverso i vari processi cognitivi attivati nella decodifica del messaggio.

Reid continua chiarendo che, nei vari processi di framing, si possono individuare due tendenze generali, a seconda che siano le storie stesse a dare l’impressione di crearsi una sorta di frame virtuale per via di alcune loro caratteristiche intrinseche, o che operazioni esterne costruiscano un frame estemporaneo, e quindi modificabile, ai racconti23. Lo studioso 21 I. Reid, “Destabilizing Frames for Story”, in S. Lohafer, J. E. Clarey (a cura di), Short Story Theory at a

Crossroads, Baton Rouge, Louisiana State University Press, 1989. Per uno studio completo sull’analisi dei frame, si veda E. Goffman, Frame Analysis. L’organizzazione dell’esperienza, (trad. it. I. Matteucci), Roma, Armando Editore, [1974] 2001.

22 «The term frame has been variously used in literary criticism and related fields with no systematic analysis of

the different senses involved, which extend from that which is current in cognitive linguistics (a mental schema or ideational format used for organizing information) to that which is current in narratology (an embedded structure of tales within tales)». I. Reid, op. cit., p. 299.

23 «My attempt to sort out and clarify these usages can be summarized in advance, and in very general terms:

there are ways in which narratives virtually frame themselves, and there are ways in which they get framed by textual mediators (notably publishers, editors, and teachers) and by a whole range of assumptions that readers may bring to bear)». I. Reid, op. cit., p. 300.

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suggerisce una suddivisione tipologica dei processi di framing a seconda dei rapporti che questi intrattengono con il testo stesso e con quanto lo circonda, e parla di frame circumtestuale, intratestuale, intertestuale ed extratestuale24. In particolar modo, il frame

circumstestuale (o paratestuale) si riferisce a tutti quegli elementi che accompagnano il testo25,

compresi i titoli delle raccolte, eventuali prefazioni o postfazioni. Per i racconti, tuttavia, il frame circumstestuale è più instabile, dal momento che, mentre il romanzo di solito si identifica con la forma esteriore, visibile, del libro, il racconto, come del resto la poesia, si pone in tensione con il volume che lo include. Rappresenta solo una parte, benché in sé compiuta, oppure può comparire al di fuori della forma stessa del libro, qualora, ad esempio, sia pubblicato fra le pagine di un periodico: più frame circumtestuali si creano nel fruitore del racconto a seconda del contesto editoriale in cui è inserito, e ne influenzano di volta in volta la ricezione26. Frame circumtestuali particolari sono invece quelli che si attivano di fronte ai

racconti interconnessi, il cui legame non sia specificato da alcun tipo di intratitolo, come per 'Henri Grippes' e 'Edouard, Juliette, Lena' all'interno di Overhead in a Balloon, e 'The Carette Sisters' in Across the Bridge. Il frame circumtestuale si crea solo alla fine della fruizione di tutti i testi che formano le sequenze, ed è dato dalla somma dei frame intratestuali e intertestuali attivati progressivamente dalla lettura sequenziale dei singoli testi.

Si creano frame circumtestuali diversi, ad esempio, se si considerano, nella produzione di Mavis Gallant, quei racconti che sono stati pubblicati più di una volta in vari contesti (raccolte, periodici, miscellanee), accompagnati da elementi paratestuali dissimili, e di cui anche il titolo è modificato a seconda delle edizioni, com’è il caso del racconto che apre cronologicamente la sequenza delle sorelle Carette, presentato sul periodico statunitense Mademoiselle come “Déclassé” nel 1987, poi intitolato “1933” in occasione della sua ristampa in apertura della raccolta Across the Bridge and Other Stories nel 1993 e in Collected Stories tre anni più tardi. Elemento fondamentale del paratesto, il titolo ha in sé una spiccata funzione connotativa, per cui riesce a collocare il racconto in un dato orizzonte di attesa che ne influenza preventivamente l’assimilazione. Ho scelto di citare questo esempio poiché il senso del titolo originale è completamente stravolto nel passaggio alle ristampe successive. Il frame circumtestuale che il lettore crea anche attraverso il titolo è qui del tutto diverso, e non sarebbe inadeguato parlare di due processi di framing circumtestuale, dato che la prima impressione è di trovarsi davanti a due racconti distinti. Per quanto riguarda la prima edizione, il titolo è in francese: “Déclassé” è un participio passato usato in funzione di sostantivo o di aggettivo, ed indica colui che è socialmente decaduto; è declinato al maschile singolare e suggerisce come tema centrale del testo la discesa di un personaggio verso una classe inferiore; non ultimo, sembra alludere al fatto che il testo che segue sarà in francese. Il titolo “1933”, al contrario, fornisce un’indicazione cronologica dell’anno fondamentale per le

24 «I shall label these as circumtextual, intratextual, intertextual and extratextual frames». I. Reid, op. cit., p. 300. 25 Si veda in proposito G. Genette, Seuils, Paris, Seuil, 1987.

26 «[…] those texts that we call short stories are almost always either in tension with the book (being physically

less than the whole) or quite outside it (appearing, for example, in magazines). By that token they tend to emphasize the instability of any frames through which they are interpreted». I. Reid, op. cit., p. 301.

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vicende del racconto, in cui, dopo la morte del marito, M.me Carette e le due figlie bambine si ritrovano improvvisamente povere. Non è possibile, tuttavia, ignorare il fatto che si attua un rimando ben preciso al contesto storico in cui si svolge la storia: il 1933 è anche l’anno in cui Hitler giunge al potere in Germania, con tutto ciò che ne consegue. Ma Mme. Carette è volutamente ignara di quanto accade già al di là di Parc Lafontaine: ossessionata dalla forzata convivenza con la parte anglofona di Montreal, e dalla necessità di doversi declassare a lavorare come sarta, il titolo non può non sottolineare con una certa ironia il suo rifiuto di mettersi in relazione con gli eventi storici, e quindi la chiusura nei confronti della realtà esterna al suo orizzonte esistenziale. Il titolo assume quindi una doppia valenza referenziale, dato che indica l'anno in cui inizia il sovvertimento dell’ordine fino a quel momento in atto sia a livello storico, sia a livello della finzione narrativa.

Il racconto “The Moslem Wife”, tra i più conosciuti e apprezzati dell’autrice, nonché oggetto di numerose analisi critiche, nel corso degli anni ha attraversato una curiosa evoluzione dal punto di vista del processo di framing circumtestuale. Dopo la prima edizione sul New Yorker del 23 agosto 1976, è incluso nella raccolta From the Fifteenth District (1976), inaugura il volume The Selected Stories of Mavis Gallant (1996)27 e dà il titolo alla

raccolta pubblicata nel 1994, The Moslem Wife and Other Stories28, che unisce racconti già

pubblicati. Torna infine nella raccolta Montreal Stories/ Varieties of Exile (2004)29. È passato

quindi dal frame circumtestuale delle pagine della rivista statunitense, per arrivare ad un frame circumtestuale che coincide con il massimo di visibilità possibile per un racconto: dare il titolo alla raccolta che lo include. Un altro racconto, “Varieties of Exile”, ha seguito un percorso analogo: pubblicato sul New Yorker del 9 gennaio 1976, incluso nella raccolta Home Truths. Selected Canadian Stories (1981) e successivamente in Selected Stories all’interno della sezione “Linnet Muir”, ha dato il titolo all’edizione statunitense di Montreal Stories, Varieties of Exile, appunto.

Altri racconti hanno seguito un percorso simile30: “The Other Paris”(11 aprile 1953 –

1955), “My Heart Is Broken” (12 agosto 1961 – 1964), “The Pegnitz Junction” (1973), “The End of the World” (10 giugno 1967 – 1974), “From the Fifteenth District” (30 ottobre 1978 – 1979), “Overhead in a Balloon” (2 luglio 1984 – 1985), “In Transit” (14 agosto 1965 – 1988), fino a “Across the Bridge”(18 marzo 1991 – 1993) sono stati pubblicati su riviste, hanno dato il nome alla raccolta che li comprende e sono stati poi ristampati in successivi volumi collettanei. Occorrono due precisazioni. In “My Heart Is Broken”, la protagonista è una giovane donna vittima di stupro; sembra indicativo di una certa scelta morale e di costume che l’edizione inglese di My Heart Is Broken riporti nel titolo il riferimento a un altro racconto,

27 M. Gallant, The Selected Stories of Mavis Gallant, Toronto, McClelland & Stewart, 1996; edizione

statunitense: The Collected Stories of Mavis Gallant, New York, Random House, 1996.

28 M. Gallant, The Moslem Wife and Other Stories, Toronto, McClelland & Stewart, 1994.

29 M. Gallant, Montreal Stories, McClelland and Stewart, 2004; edizione statunitense: Varieties of Exile, New

York, New York Review of Book, 2004.

30 Fra parentesi la data dell’eventuale prima edizione sul New Yorker, cui segue quella relativa alla pubblicazione

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“An Unmarried Man’s Summer” (12 ottobre 1963 – 1965). Si attiva così un frame circumtestuale notevolmente più attenuato dal punto di vista semantico rispetto all’edizione statunitense. Il titolo “My Heart Is Broken” presenta già una connotazione semantica che riguarda la sfera dell’affettività, da cui si può inferire uno stato di affettività negata, di rifiuto o sofferenza. Tuttavia, una volta compreso che il titolo si riferisce direttamente alle conseguenze emotive e psicologiche devastanti derivate dalla violazione subita dalla protagonista, si attiva automaticamente un processo di framing circumtestuale, alla luce del quale viene reinterpretato e rivisto il rapporto tra il titolo della raccolta e l’interpretazione dei racconti che vi compaiono.

Come infatti specifica Reid, le soglie del testo non influenzano soltanto l’attivazione del frame circumtestuale, ma talvolta anche di un frame intratestuale. Un processo di framing intratestuale si verifica quando una o più parti del racconto riflettono su se stesse, oppure se il racconto pone l’attenzione su alcune sue parti attraverso rimandi testuali di vario genere o tramite piccoli episodi intessuti al suo interno. Si ha un frame intertestuale quando il racconto rimanda direttamente o indirettamente attraverso espedienti testuali ad altri testi diversi, esterni al racconto in questione. L’ultimo tipo di frame individuato da Reid, quello extratestuale, si allarga alle conoscenze e aspettative che, grazie all’osservazione dei segnali ricavati dagli altri tre, il lettore acquisisce per interpretare un determinato testo. La raccolta Home Truths, in particolar modo nell’edizione canadese, è forse quella in cui i vari processi di framing appaiono più marcati. Il titolo completo Home Truths: Selected Canadian Stories offre un primo frame circumtestuale che influenza semanticamente l’interpretazione dei racconti inclusi. Il sostantivo home suggerisce un’associazione immediata alla sfera privata, intima, e a immagini negative o positive, a seconda del bagaglio di presupposizioni dell’osservatore, dato che, come suggerisce Reid, «[…] the frame is in the eye of the beholder»31. Accostarvi il termine truths dà precise indicazioni interpretative, che attivano

frame diversi a seconda delle competenze del lettore. Per chi già conosce la narrativa di Mavis Gallant, e qualche elemento della sua biografia, la parola home ha più di una connotazione: può riferirsi al Canada, in quanto home/land dell’autrice; al tempo stesso ad una sfera privata, domestica, suggerendo la possibilità che alcuni racconti siano di impostazione autobiografica; oppure che riguardino personaggi di origine canadese, ritratti in patria o all’estero, di cui il lettore riceve conferma nel sottotitolo. Per chi si accosta per la prima volta all’autrice, il sintagma home truths può avere una connotazione più generica, che tuttavia il sottotitolo dell’edizione canadese specifica. Significativa la scelta dell’editore statunitense di intitolare la raccolta Home Truths: Sixteen Stories, mantenendo l’ambiguità connotativa della parola home, e neutralizzando ogni esplicito riferimento al contesto canadese. Si attiva così un processo di framing circumtestuale, ma anche intratestuale semanticamente più o meno marcato a seconda dell’edizione, dal momento che il lettore è naturalmente portato a fare delle supposizioni sui rapporti che intercorrono fra il titolo della raccolta e il materiale narrativo

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che delimita. Si tratta di elementi riconducibili ancora in parte alle scelte editoriali, o comunque esterne, che influenzano la presentazione della volume, e, inevitabilmente, le aspettative in merito ai testi. Come già ricordato in precedenza, i racconti presenti in Home Truths sono suddivisi in tre sezioni: 'At Home', la prima, 'Canadians Abroad', la seconda, 'Linnet Muir', la sezione conclusiva. Si attiva in questo modo un ulteriore processo di framing circumtestuale, trattandosi di titoli interni, o intertitoli, per usare la terminologia di Genette32,

che coincide tuttavia con un processo di framing intratestuale, poiché gli intertitoli assumono una duplice funzione, iniziale e di ritorno. Da un lato, circoscrivono tematicamente i racconti cui si riferiscono, e concentrano l’attenzione e le aspettative del lettore, rispettivamente, su una probabile condizione di stasi in cui si possono trovare i personaggi, ritratti nel loro milieu canadese; sulla condizione dinamica e/o transitoria di canadesi all’estero; su un personaggio, Linnet Muir appunto. Le aspettative del lettore possono in seguito essere confermate o smentite dai racconti, che quindi instaurano un processo di framing intratestuale con l’intertitolo della sezione cui appartengono.

Per quanto riguarda il frame intertestuale che la lettura di un racconto attiva nei confronti di altri testi esterni alla raccolta che lo contiene, la definizione del processo di attivazione che ne dà Reid si avvicina notevolmente alle conclusioni di Julia Kristeva in materia di intertestualità33, benché Reid non la citi esplicitamente. Egli sostiene che un frame

intertestuale vada al di là della semplice allusione o delle tracce di una qualche influenza esterna, ma che sia determinato dalla percezione da parte del lettore dell’avvenuto passaggio, nel testo, da un sistema di segni ad un altro, da una modalità organizzativa del materiale semantico ad un’altra, che presenta caratteristiche simili a quella impiegata in un altro testo34.

L’ultimo tipo di frame che potenzialmente si attiva durante la fruizione di un testo è quindi quello extratestuale, che Reid descrive come il prodotto dei suggerimenti interpretativi degli altri tre, che si sommano alle conoscenze e alle presupposizioni con cui il lettore si avvicina al testo: «Finally, extratextual frames include the range of knowledge and expectations that, observing the cues provided by the other three sorts of textual frames, a reader brings to the interpretation of a particular text. Among them are generic understandings, pedagogic habits, and notion about literariness»35. Lo studio condotto da Reid

è espressione di una tendenza dell’analisi teorico-critica emersa negli ultimi due decenni, il cui obiettivo è la ricerca di vie alternative per l’indagine sul racconto, estendendosi fino a comprendere gli sviluppi più recenti degli studi sull’analisi pragmatica e linguistico-cognitiva

32 G. Genette, op.cit., p. 290.

33 J. Kristeva, Semeiotikè. Recherches pour une sémanalyse, Paris, Seuil, 1969.

34 «Such considerations are further complicated by the third kind of framing, which is intertextual. This should

be understood as involving more than just passing allusions or traces of ‘influence’; intertextuality comprises devices by which a text signals how its very structure of meanings depends on both its similarity to and its difference from certain other texts or texts types. […]Rather, it is a matter of what a semiotician would call the passage from one sign system to another. A text type, such as a traditional fairy tale, can be thought of as a sign system in the sense that it generates meanings in a particular set of ways – for instance, through highly conventional plot structures». I. Reid, op. cit., p. 304

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del discorso. Interprete di quest’orientamento ideologico è Susan Lohafer, autrice di un recente saggio36. Nell’introduzione al suo studio, Lohafer chiarisce le premesse della sua

metodologia di analisi e della sua evoluzione:

What is a short story? What are its markers? Following in Poe’s footsteps, we thought the imminence of closure was the signature feature of the short story genre. […] In the 1970s […] I was concentrating on the kinship between the lyric poem and the short story, which is closer than the tie between short story and novel. Trained as a New Critic, I inherited a vocabulary from the analysis of poetry. […] In my own work, I turned to the reader response theory, the phenomenology of Roman Ingarden, and the rhetorical and stylistic analysis familiar to the formalist. Soon I was beginning to learn about the Amsterdam school of text processing, and I drew upon Teun van Dijk’s theories of macrostructure to help me describe the experience of entering, moving through, and exiting from story.37

Tali premesse poggiano sulla constatazione che il racconto si distingue dagli altri generi letterari per la consapevolezza dell’imminenza della fine, di cui lo scrittore permea il testo, disseminandolo di segnali che rimandano all’idea di una conclusione vicina, incalzante, impressione che deriva necessariamente dalla brevità del racconto. La stessa Lohafer afferma in un’opera precedente che la conclusione è «[…] a function of converging references. The overall design becomes clear as separate strands of imagery intersect or reveal their parallelism»38.

Punto di partenza inevitabile della riflessione teorica di Lohafer sono le intuizioni di E.A. Poe riportate nella famosa introduzione ai Twice-Told Tales di Nathaniel Hawthorne. Com'è noto, in quella sede, e successivamente nel saggio "The Philosophy of Composition", Poe prende spunto dalla riflessione sui racconti di Hawthorne, e crea la sua poetica del racconto. Poe insiste su tre caratteristiche che questo deve necessariamente presentare, e che lo accomunano al testo poetico: la brevità, per cui la lunghezza di un racconto deve far sì che la sua lettura sia compresa in un lasso di tempo tra la mezz'ora e le due ore, in modo da poterlo leggere nella sua interezza "at one sitting"; la totalità, il privilegio cioè di poter gustare il racconto nella sua interezza, proprio per la sua dimensione limitata; l’unità di effetto o impressione che l’autore deve concepire a monte della stesura stessa e che deve tenere presente per tutto il racconto, per cui: «In the whole composition there should be no word written, of which the tendency, direct or indirect, is not to the one preestablished design»39.

Nel suo saggio, Lohafer applica a racconti di autori diversi la preclosure theory, metodologia d’indagine da lei sperimentata. Mediante il coinvolgimento di gruppi di lettori eterogenei, Lohafer approfondisce i suoi studi sulle qualità e sull’organizzazione dei vari preclosure point, le frasi, cioè, che indicano quei luoghi del racconto in cui i lettori avvertono un’anticipazione della conclusione del testo, una sorta di preparazione alla frase conclusiva.

36 S. Lohafer, Reading for Storyness. Preclosure Theory, Empirical Poetics and Culture in the Short Story,

Baltimore, The Johns Hopkins University Press, 2003.

37 S. Lohafer, op. cit., pp. 1-2.

38 S. Lohafer, Coming to Terms With the Short Story, Baton Rouge, Louisiana State University Press, 1983, p. 94. 39 E. A. Poe, “Hawthorne’s Twice Told Tales”, in W. Martin (a cura di), The Art of the Short Story. Stories and

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Un preclosure point è dunque una frase che fa uso di determinati elementi lessicali associati ad espedienti sintattici che influiscono sulla ricezione del materiale narrativo, suggerendo quindi l’avvicinarsi della conclusione.

Lohafer conduce poi un altro esperimento40. Sceglie quarantacinque racconti di autori

americani, e li suddivide in tre periodi cronologicamente distinti: il primo cui Lohafer si riferisce con il termine Early, coincide con gli anni dal 1820 al 1850; il secondo, Modern, va dal 1920 al 1940; il terzo e ultimo, Contemporary, dal 1960 al 1980. Individua ed esamina quindi i preclosure point, e la loro organizzazione all’interno del testo, e nota come questa si differenzi e alteri la percezione dell’imminenza della conclusione a seconda del periodo storico a cui l’edizione del racconto appartiene, alterando quindi la percezione dell’imminenza della fine. Pur ammirando, nel complesso, le intuizioni di Susan Lohafer, a mio avviso si tratta di un procedimento analitico da perfezionare. Soprattutto per quel che riguarda il racconto, infatti, non è sufficiente conoscerne solo la data della pubblicazione, ma anche la data di probabile composizione per tentare una simile analisi. In particolar modo, questo è vero per i racconti di Mavis Gallant, poiché la scrittrice stessa ammette che, spesso, la pubblicazione sul New Yorker, o su altre riviste, come Esquire o Charm, può seguire anche di qualche anno l’inizio della loro stesura, oltre al fatto che la gestazione dei suoi racconti spesso richiede molto tempo a partire dalla prima ispirazione. Come afferma in un’intervista rilasciata qualche anno fa, in francese: «Il faut parfois des années pour qu’une histoire prenne corps. […] Je ne fais que ré-ecrire»41. Lohafer, inoltre, analizza i racconti in quanto storie

raccontate in forma breve, non preoccupandosi perciò di differenziare originali da testi in traduzione, né, soprattutto, ritenendo la provenienza dei vari autori un fattore in grado di influenzare l’organizzazione delle strategie di preclosure.

La novità delle sue analisi dei preclosure points è la ricerca di un nuova prospettiva attraverso la quale definire il racconto, e superare l’impressione che la maggior parte dei critici stia ancora «circling around what Poe said»42. Lohafer, infatti, non è interessata a

fornire una suddivisione tipologica del racconto in base ai risultati dei suoi studi sulla preclosure; al contrario, quel che cerca di mettere in evidenza è la necessità di spostare l’attenzione dell’analisi teorico-critica dalla shortness alla storyness, ovvero a quegli elementi che fanno riferimento al processo cognitivo, interiore, della costruzione di una storia fittizia, per tentare di definire il racconto non a partire da una caratteristica esteriore, visibile, formale, qual è appunto la brevità. Nelle parole del critico: «I had always believed that ‘storying’, like counting, was one of the elemental cognitive processes that make experience intelligibile. […] All I am asserting is that preclosure study brings assumptions about storyness to light, no matter how relative they may be to their corner of the world»43.

Trattandosi di un metodo sperimentale, potrebbe essere interessante applicarlo anche ad

40 Cfr. S. Lohafer, Reading for Storyness, pp. 55-70, e in particolare pp. 64-70.

41 A. Girard, C. P. Valette, “Mavis Gallant b. 1922”, in Journal of the Short Story in English, Angers, Presse de

l’Université d’Angers, 2003, 41, p. 277.

42 M. Rohrberger, op. cit., p. 45. 43 S. Lohafer, op. cit., p. 3.

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uno o più racconti di Mavis Gallant, e studiare quindi le strategie di preclosure in “1933”, ad esempio, o in “Rue de Lille”, oppure individuare e analizzare i preclosure points all’interno delle varie sequenze di racconti, come in quella di 'Linnet Muir'. Tuttavia, data l'ampiezza e la complessità di un simile esperimento riterrei opportuno demandarlo ad altra sede, soprattutto tenendo presente che il fine ultimo di Lohafer, è dare una definizione di racconto, e si colloca su un altro livello di riflessione teorica rispetto a ciò che si cerca di argomentare in questo studio.

Com’è noto44, le indagini sul racconto rappresentano un ambito della critica letteraria che

ha iniziato a svilupparsi con una certa sistematicità a partire dagli anni Settanta del Novecento, a distanza di più di un secolo dalle riflessioni di Poe e da quelle dei letterati Friedrich e August Wilhelm Schlegel, risalenti agli inizi dell’Ottocento, sul Decameron e sulla sua influenza sulla Novelle tedesca. I primi contributi critici sono stati opera degli autori stessi: Edgar Allan Poe, Frank O’Connor, Elizabeth Bowen, ma anche Anton Cechov, Alberto Moravia, Julio Cortázar, Italo Calvino45, ed hanno origine da riflessioni sul proprio lavoro,

talvolta influenzati da preferenze soggettive dell’autore rispetto a determinate tematiche. Come quelle predilette da Frank O’Connor, che del racconto mette in evidenza, fra gli altri elementi, la mancanza di un eroe, per cui i personaggi che lo popolano appartengono a una gruppo sommerso, quello che l’autore denomina «submerged population group»46.

Caratteristica è anche la tendenza propria del racconto ad esprimere un’intensa consapevolezza della solitudine umana. Tali marche, per O’Connor distintive del racconto, in particolar modo di Gogol, Turgenev, Cechov, Maupassant, descrivono anche molti racconti di Mavis Gallant. In “The Latehomecomer” (The New Yorker, 8 luglio 1964- From the Fifteenth District, 1979), ad esempio, il protagonista è un ex-prigioniero tedesco, che dalla Francia torna a Berlino cinque anni dopo la fine della guerra: il faldone con i suoi documenti e con la registrazione della sua prigionia e della sua presenza in Francia era andato temporaneamente perso, e, senza un’identità burocraticamente riconosciuta, gli è impossibile rientrare. Si adatta quindi ai lavori più umili, e a vivere ai margini della società; con il ritorno alla casa materna spera di riappropriarsi degli anni che la guerra e una svista burocratica gli hanno sottratto. Tuttavia, una volta a Berlino si accorge che l’ipocrisia diffusa nel popolo tedesco cerca di soffocare qualsiasi ricordo del recente passato nazista: il suo ritorno evoca una memoria scomoda. Senza identità in Francia, ridotto al silenzio nella sua stessa casa, è acuta per Thomas la consapevolezza della propria solitudine; il giovane trova conforto nell’indugiare sui ricordi immediatamente precedenti l’incontro con la madre, quando ancora credeva di

44 In particolare, si ricordino i lavori di Charles May, Valerie Shaw, Walter Allen, Thomas O. Beachcroft, elencati

in bibliografia, per citare solo i contributi più autorevoli e gli studi più completi in materia anche di storia dell’evoluzione del racconto.

45 «Many of those who have written about the genre have been storytellers, too, like Edgar Allan Poe, Frank

O’Connor, or Elizabeth Bowen. But they are not alone now. There is an emerging field of short story fiction studies. If it does not quite yet march, it began making strides in the 1970s. For a time, we were concerned with definitions and taxonomies». S. Lohafer, op. cit., p. 1.

46 F. O’Connor, “Introduction”, The Lonely Voice: a Study of the Short Story, London, MacMillan [1962] 1965, p.

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potersi riappropriare della sua vita e di tornare a far parte della società che l’aveva esiliato, mandandolo a combattere, poco più che sedicenne, per la causa nazista.

Nel corso degli anni, l’analisi teorico-critica ha evidenziato altri elementi distintivi del racconto, oltre a brevità, totalità, unità di effetto o impressione, ad essi correlate: i protagonisti, come già ricordato, sono uomini e donne comuni, voci sommerse, isolate; il linguaggio, a causa della necessaria brevità, si trasforma, si addensa; il significato si fa complesso, talvolta oscuro, perché il linguaggio retrocede di fronte ai silenzi, al non detto, in base al “principio dell’iceberg” così enucleato da Ernest Hemingway:

If a writer of prose knows enough about what he is writing about he may omit things that he knows and the reader, if the writer is writing truly enough, will have a feeling of those things as strongly as though the writer had stated them. The dignity of movement of the iceberg is due to only one-eighth of it being above water. The writer who omits things because he does not know them only makes hollow places in his writing.47

Il legame inscindibile dell’arte con la vita reale nel racconto assume una sua peculiarità, nel senso che ciò che viene ammesso, portato in superficie è solo una minima parte del significato complessivo del testo narrativo breve, che deve quindi essere dedotto dal lettore:

All art transubstantiates life, condensing the field of reference, putting its audience through a symbolically mediated but intensified experience. Theorists have long noted the ways in which the short story condenses “much in little” through selectivity, ellipsis, foreshortening, and synecdoche. Hemingway’s famous image of the mostly submerged iceberg, to be inferred from its tip, reminds us that this genre requires a proactive reader. However, his metaphor assumes that the extra or full meaning of the story is amassed below the surface. Finding it requires a calculus of inference.48

La stessa Mavis Gallant, intervistata sul proprio metodo di lavoro, e su come riesca a mantenere uno stretto controllo formale del materiale narrativo e dei contenuti che espone, risponde in questi termini:

[…] arriva sempre, inevitabilmente, il momento in cui decido che quello che ho scritto non vale niente. Allora metto da parte il manoscritto e comincio a lavorare ad altro. Quando lo riprendo in mano, dopo un po’ di tempo, e penso che valga la pena di risparmiarlo, comincio a lavorare sulle singole pagine, una dopo l’altra, riscrivo, correggo, pagina dopo pagina, molte volte, tante quanto basta a ottenere una scrittura dalla superficie dura, impossibile da scalfire. […] Non so spiegarmi meglio, ma improvvisamente la mia scrittura arriva a un punto in cui mi è impossibile aggiungere o togliere qualcosa.49

Prendendo spunto dalle parole dell’autrice sulla scrittura impossibile da modificare oltre un certo livello, può essere interessante trovar loro un riscontro nelle parole di Austin M. Wright. Come indica il critico, alla superficie del racconto emerge la tensione tra due forze

47 E. Hemingway, Death in the Afternoon, London, Johnatan Cape, [1932] 1963, p. 183. 48 S. Lohafer, op. cit., p. 168.

49 M. Caramella, “L’importante è leggere”, intervista con M. Gallant, in AA. VV., Un linguaggio universale,

Milano, Linea d’ombra Edizioni, 1991, p. 132. Il testo, inedito in inglese, è disponibile solo nella versione italiana.

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contrastanti: la forza della forma che plasma il testo, e la resistenza del materiale che vuole modellare. In particolare, a quest’ultima dà il nome di formal recalcitrance50. Si affretta

tuttavia a precisare che ciò che ha appena affermato è valido anche per altri tipi di testo, primo fra tutti il testo poetico. In relazione al racconto, esistono tuttavia due tipi di recalcitrance. Il primo ha a che vedere con l’intensità dei dettagli, per cui in un racconto, a causa della sua brevità, parole, immagini, personaggi ed eventi appaiono con maggiore vividezza: «There is first a general recalcitrante common to all short works, manifest in the intensity of detail that shortness confers. In general, the shorter the work, the more prominent the details. Word and images, as well as characters and events, stand out more vividly than they would in a larger context»51. La resistenza del materiale testuale rispetto alla forma si manifesta quindi nel

provocare l’arresto della lettura di fronte ad ogni punto significativo, o complesso; nelle parole di Wright: «This attention to the parts, found in all short fiction and poetry, implies recalcitrante in the act of attention, the arresting of notice at every significant point»52. Il

secondo tipo di resistenza emerge al momento conclusivo del racconto, accentuata dall’effetto della brevità del testo. Mentre in un romanzo la conclusione tende a ricomporre la tensione tra forma e materiale semantico, nel racconto quest’ultima è esasperata, poiché la conclusione coincide con uno sforzo interpretativo immediato da parte del fruitore del testo e necessario per la sua comprensione53.

Un esempio di final recalcitrance evidente tra i racconti di Mavis Gallant è la conclusione di “Varieties of Exile”, parte della sequenza “Linnet Muir”, la terza sezione di Home Truths. Narrato in prima persona dalla protagonista eponima della sequenza, il racconto si concentra sull’incontro di Linnet con un uomo sposato, Frank Cairns, un remittance man inglese, con cui la giovane donna intreccia una relazione di tipo esclusivamente intellettuale. Quando l’anno successivo apprende della morte dell’uomo per le ferite riportate in Italia – è ambientato durante la seconda guerra mondiale – Linnet è sposata, e anche suo marito è in Europa, arruolato nell’esercito canadese. Per la giovane la notizia è un trauma, di cui vengono accennati gli effetti immediati: la sua percezione della realtà si arresta momentaneamente, è il silenzio del non detto a darle voce. Il racconto termina poco oltre; la protagonista brucia tutti i racconti e il romanzo breve che l’estate prima aveva scritto sugli esuli europei, su Frank Cairns e sul suo amico scozzese e commenta così: «I never felt guilt about forgetting the dead or the living, but I minded about that one manuscript for a time. All this business of putting

50 A. M. Wright, “Recalcitrance in the Short Story”, in S. Lohafer, J. E. Clarey (a cura di), Short Story Theory at

a Crossroads, Baton Rouge and London, Louisiana State University Press, 1989, p. 115. Il termine recalcitrance può essere tradotto come “opposizione ostinata”, “resistenza”.

51 A. M. Wright, op. cit., p. 120. 52 Ibidem.

53 «In the second kind, the effect of shortness is concentrated in the ending. The normal effect of an ending is to

reduce recalcitrance, as in most novels and much traditional short fiction. In many of our most significant twentieth-century short stories, however, the ending (temporarily) aggravates it, presenting a new challenge to the reader that can only be resolved by reflection after the reading. This I call final recalcitrance – meaning that it is instituted by the end of the story, not that it cannot be resolved (that would be permanent recalcitrance)». A. M. Wright, op. cit., p. 121

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life through a sieve and then discarding it was another variety of exile; I knew that even then, but it seemed quite right and perfectly natural»54. Il lettore, arrivato alla conclusione del testo,

viene posto di fronte all’interpretazione di tutto ciò che ha appena letto come una serie di “varietà di esilio”, e inizia ad interrogarsi sulla rete semantica che questo sintagma intesse e dalla quale è condizionata la comprensione dei legami intratestuali fino a quel momento rimasti in penombra; è portato quindi a riesaminare dalla prospettiva di questo suggerimento interpretativo tutto il racconto. In questo caso, è evidente la resistenza finale del materiale semantico alla forma che lo vorrebbe contenere: le ultime righe, citate sopra, invece di aiutare la comprensione del testo, la complicano, attivando un ulteriore frame intratestuale. L’attenzione di Wright sulla conclusione del racconto come momento testuale marcato rimanda a una caratteristica che altri critici, oltre alla già citata Lohafer, ritengono basilare nella definizione del racconto: l’imminenza della fine.

Le metodologie d’indagine di Reid, Lohafer e Wright, cui è stato fatto cenno finora, oltre ad essere tra le più recenti riflessioni sulla teoria del racconto, sono anche quelle più idonee all'analisi testuale delle sequenze di racconti, integrate ai concetti enucleati da Ingram, Luscher e Lynch sui cicli di racconti: insieme hanno fornito le basi teoriche per procedere con lo studio delle strutture tematico-topologiche nelle sequenze di Mavis Gallant.

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