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1.1) Introduzione e scopo del lavoro 1) Caratteristiche e disponibilità di biomasse di seconda generazione

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Caratteristiche e disponibilità di biomasse di seconda generazione 1.1) Introduzione e scopo del lavoro

Le biomasse e i loro derivati rappresentano ad oggi una risorsa energetica alternativa ai combustibili fossili di uso comune, interessante sia per soddisfare la richiesta energetica del mercato, sia in linea con le attuali normative europee volte ad incentivare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (FER), secondo la Direttiva 2009/28/CE, attuata nel successivo Decreto Legislativo 3 marzo 2011, n.28. Le biomasse possono essere sottoposte al processo termo-chimico di gassificazione, che consente di ottenere syngas, ossia gas di sintesi prevalentemente composto da CO, H2, CH4, CO2, N2, in percentuale variabile, utilizzabile a seguito di opportuni

trattamenti per la produzione di energia elettrica, calore, vapore.

Per il processo di gassificazione occorre una temperatura superiore ai 600°C e la presenza di un agente gassificante, quale aria, ossigeno o vapore; la parte inorganica della biomassa viene intrappolata, insieme al carbonio residuo, nella frazione solida come cenere inerte. La varietà di materia prima utilizzabile, prodotto finito e tecnologie convalidate rendono la gassificazione versatile ed economica.

Il syngas può anche essere convertito in un synfuel simile al gasolio (processo Fischer-Tropsch, con uso di catalizzatore), oppure può subire una reazione di metanazione (reazione di Sabatier).

Negli ultimi anni, la tecnologia per l'utilizzo delle biomasse ha interessato anche il campo dello smaltimento dei rifiuti, col fine di produrre energia da una materia prima destinata alla discarica (Dlgs 387/2003 e Dlgs 28/2011).

L'attenzione alle problematiche ambientali e all'impatto della produzione di biomassa sul settore agricolo ha anche portato all'utilizzazione di biomasse di seconda generazione, così denominate poiché non si ottengono più dall'impiego di prodotti commestibili (come cereali o colture zuccherine per la produzione di etanolo, oli vegetali per il biodiesel), ma da materie prime la cui coltivazione non richieda l'uso esclusivo di terreni fertili, quali materiali ligneo-cellulosici da Short Rotation Forests, rifiuti agro-forestali, sottoprodotti della lavorazione del legno, deiezioni animali e colture speciali adatte a terreni marginali, in seguito a quanto riconosciuto formalmente alla Conferenza di Cork (1996) e previsto da Agenda 2000 (1999).

L'uso della biomassa consente una riduzione dell'emissione di gas serra, in quanto il bilancio dell'anidride carbonica prodotta in questi processi di conversione energetica cogenerativa risulta inferiore a quello ottenuto per tecnologie tradizionali separate. L'impiego a scopo energetico della biomassa deve avvenire in prossimità della zona di produzione (filiera corta), in quanto la materia prima ha un valore inferiore rispetto ai costi di trasporto. Inoltre, le biomasse di seconda generazione rispondono ad istanze di natura socio-economica, oltre che ambientale, rappresentando una fonte di reddito aggiuntiva per il comparto agro-forestale, rendendo di conseguenza possibile una sua ripresa, in particolare nelle zone meno competitive, per qualità del terreno ed area disponibile alla coltivazione, ad oggi caratterizzate da processi di abbandono.

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La diffusione di colture di biomassa no-food sta consentendo anche una più razionale gestione dello spazio rurale disponibile, permettendo l'utilizzo di pratiche colturali meno invasive, e fornendo un ulteriore incentivo all'evoluzione tecnologica.

Il grafico seguente mostra una delle principali criticità per l'Unione Europea, ossia l'elevato ricorso dei Paesi all'approvvigionamento energetico fuori confine; a questo si aggiunge un secondo aspetto di criticità, il fatto che le importazioni di fonti fossili, in particolare gas naturale e petrolio, provengono da un numero limitato di stati fornitori, caratterizzati da scarsa stabilità geo-politica, aspetto che rischia di compromettere la qualità del sistema energetico europeo ed in particolare italiano in termini di sicurezza, competitività e sostenibilità ambientale.

Per questo, occorre sia disporre di infrastrutture adeguate che rendano affidabile, rapido e diversificato l'approvvigionamento, sia diversificare il mix energetico, mediante politiche di supporto alle fonti rinnovabili, quali ad esempio le biomasse.

La produzione di energia a partire da biomasse di seconda generazione è attualmente incentivata in funzione della dimensione dell'impianto:

• Per impianti inferiori ad 1MW, viene adottato un meccanismo di sostegno con

tariffa fissa omnicomprensiva, meccanismo opzionale che prevede sia un

incentivo, che la possibilità di ottenere un ricavo dalla vendita di energia, sbloccato a conguaglio dal D.M. 18/12/08 e dalla Del. AEEG 01/09;

• Per impianti superiori ad 1MW, è attivo un sistema incentivante con certificati verdi (CV) rivisto, il cui numero è stabilito dal prodotto tra l'energia netta ed un coefficiente, funzione del tipo di fonte; questi impianti prevedono un obbligo di incremento pari allo 0,75% annuo, secondo il D.Lgs 79/99.

Tassi di dipendenza energetica Paesi EU 27, percentuale importazioni nette su consumo interno lordo o buncheraggi, basata su Tep; fonte Eurostat (2011) [W.13]

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Entrambi questi metodi prevedono un periodo di incentivazione di 15 anni, dal 2009 non sono cumulabili con altri incentivi pubblici, ma consentono un meccanismo di sostegno differenziato in funzione del tipo di fonte rinnovabile ed, in particolare, incentivi speciali per biomasse a filiera corta, definite come biomasse prodotte entro un raggio di 70 chilometri dall'impianto che le utilizza per la conversione energetica. L' entità della tariffa omnicomprensiva per biomasse e biogas, prodotti da attività agricola, di allevamento o manutenzione forestale in ottica di filiera corta è di

0,30 €/kWh; invece, il coefficiente, relativo allo stesso tipo di fonte, è pari a 1,80. Per impianti di dimensioni maggiori, occorre notare che la taglia dei certificati verdi è stata ridotta ad 1MWh ed il valore di un CVGSE corrisponde a:

CVGSE = (180 – Prezzo medio cessione energia) [€/MWh]

Per quanto riguarda, invece, il ritiro dei CV scaduti da parte del Gestore del Sistema Elettrico occorre fare riferimento al prezzo borsa dell'anno precedente.

La situazione energetica in Italia, dal punto di vista della produzione energetica da biomasse di seconda generazione, appare fortemente sotto-dimensionata, rispetto alla sua disponibilità complessiva di biomasse residuali, pari a circa 27 Mtep/anno, che consentirebbero di coprire una quota pari a circa il 14% della domanda interna.

Infatti, la produzione di biomasse come residui forestali è pari solo ad un terzo della naturale produttività, nonostante le leggi comunitarie, italiane e regionali in merito alla manutenzione boschiva; il ricorso a colture agrarie ad uso prettamente energetico è altrettanto limitato, anche se auspicabile, specie in aree agricole centro-meridionali, in terreni marginali e in superfici a seminativo lasciate incolte, secondo le normative comunitarie in merito ai terreni lasciati a riposo (set-aside).

La programmazione in campo agricolo è stata decentrata a livello regionale, aspetto che ha portato a far prevalere le priorità del singolo territorio, ma ha anche provocato sia un processo di differenziazione delle politiche, che ha comportato una diversa diffusione sul territorio nazionale delle produzioni dedicate e delle rispettive filiere, sia il parallelo instaurarsi di programmi nazionali, volti ad incentivare le biomasse ed in generale a raggiungere uno sfruttamento ottimale delle diverse FER disponibili, mediante progetti cofinanziati con le Regioni o progetti con Fondi Europei.

Il legame tra territorio e filiera produttiva, per le biomasse di seconda generazione, in particolare se a filiera corta, si basa sulla circolarità del processo produttivo, andando a restituire al territorio buona parte degli output ottenuti, sia di energia, sia per quanto riguarda i sotto-prodotti di processo utili per il sistema agricolo, oltre che ricadute positive su occupazione, tutela del territorio e sviluppo del comparto agro-forestale. La biomassa consente, in genere, una sufficiente flessibilità nell'approvvigionamento. Le colture energetiche, come quelle da biomassa ligneo-cellulosica (Short Rotation Forestry o colture erbacee poliennali o annuali, quali miscanto, triticale, canna comune, o sorgo da fibra), richiedono pratiche colturali poco intensive, favorendo il mantenimento di alti contenuti di sostanza organica nei suoli e consentendo,

comunque, un'elevata produzione di sostanza secca. Per quanto riguarda, invece, le biomasse residuali, sono di uso comune residui agricoli di coltivazioni dedicate e non, forestali, scarti dell'industria del legno, da potature o interventi selvicolturali.

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1.2) Classificazione delle biomasse di seconda generazione

Si presenta una tabella riassuntiva delle biomasse di origine vegetale diffuse nel territorio toscano, sia di prima che di seconda generazione, in ordine di disponibilità; di seguito, viene strutturato lo schema di classificazione dei biocombustibili proposto dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, [W-11]).

Biomasse arboree e scarti agricoli potenziali per il territorio toscano

SPECIE ARBOREE DEDICATE SCARTI AGRICOLI SPECIE ERBACEE ANNUALI SPECIE POLIENNALI Pioppo (Populus spp.)

Sarmenti delle viti Kenaf (Hibiscus cannabinus)

Miscanto (Miscanthus sinensis x giganteus) Salice (Salix alba) Potature d'olivo Sorgo da fibra

(sorgum bicolor)

Canna comune (Arundo donax) Robinia (Robinia

pseudoacacia) Potature di alberi dafrutto (Cannabis sativa)Canapa (Panicum virgatum)Panico verga Eucalipto

(Eucalyptus spp.) Paglie e stocchi Phalaris arundinacea(Saggina spagnola) Ginestra

(Spartium junceum) Lolla di riso (Cynara cardunculus)Cardo Ailanto

(Ailanthus altissimus)

Gusci Festuca arundinacea

Paulownia

(Paulownia spp.) Panello proteico digirasole (Phragmites australis)Cannuccia di palude

Sanse vergini Coda di volpe

(Alopecurus pratensis)

Nocciolino d'oliva Pennisetum Purpureum

Anche le biomasse di origine animale possono essere utilizzate ai fini della produzione cogenerativa di energia elettrica e termica, con opportune configurazioni d'impianto, oltre al possibile utilizzo dei reflui zootecnici per la concimazione organica, frazionata per consentire l'aumento dell'efficienza azotata.

E' pertanto possibile utilizzare i reflui zootecnici al fine di facilitare le coltivazioni agricole, sia di tipo tradizionale che su terreni marginali, anche con colture di tipo dedicato. Di conseguenza, può essere stabilita una co-operazione proficua tra aziende zootecniche ed agricole, volta ad aumentare lo sviluppo e la produttività del territorio. Lo stesso Bio-char ottenuto da gassificazione può essere utilizzato come ammendante agricolo, contribuendo a diminuire il volume dei rifiuti non smaltiti, ad aumentare la produttività agricola e a consentire la riduzione delle emissioni di anidride carbonica.

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GRUPPI PRINCIPALI [W-11] ASPETTI PRODUZIONE/OFFERTA ASPETTI UTILIZZAZIONE/DOMANDA Biocombustibili forestali Legnosi diretti

Legnosi indiretti Legnosi di recupero Altri derivati del legno

Solidi: legna (legna da ardere, cippato, segatura, pellets), carbone di legna; Liquidi:“black liquor”, metanolo, olio da pirolisi;

Gassosi: prodotti di gassificazione e gas da pirolisi

Biocombustibili agricoli Colture da energia Sottoprodotti agricoli

Sottoprodotti da allevamento Sottoprodotti agro-industriali

Solidi: paglie, stocchi, gusci, bagasse, carbone da biocombustibili agricoli; Liquidi: etanolo, metanolo, oli vegetali, biodiesel, olio da pirolisi da

biocombustibili agricoli;

Gassosi: biogas, gas da pirolisi da biocombustibili agricoli

Rifiuti urbani Frazione organica dei rifiuti urbani

Solidi: rifiuti solidi urbani; Liquidi: olio da pirolisi da RSU; Gassosi: biogas da discarica

E' necessario valutare anche l'impatto ambientale della valorizzazione energetica di sottoprodotti e residui agricoli e forestali, in quanto eccessive asportazioni potrebbero indurre l'impoverimento di sostanza organica nei suoli, in particolare nel caso di residui di coltivazioni erbacee, in quanto l'interramento, tecnica al momento più diffusa, può costituire fonte di fertilità chimica e biologica per il terreno agricolo. Questo aspetto può essere compensato da un'opportuna programmazione delle asportazioni e dall'utilizzo sia di Bio-char come ammendante agricolo, che consente un aumento della fertilità dei suoli ed una riduzione delle emissioni di anidride carbonica, sia di reflui zootecnici, per compensare l'apporto di humus al terreno. Per una programmazione efficace della produzione di biomassa residuale agricola, occorre considerare che essa è legata alla produzione agricola nazionale, influenzata dalla Politica Agricola Comunitaria; nell'ambito della regione Toscana, è opportuno anche prendere in esame le filiere di produzione alimentari, di notevole interesse per la quantità dei residui annualmente prodotti, quali sanse esauste e vinacce.

Una caratteristica fondamentale per la programmazione dell'utilizzo di biomasse residuali a scopo energetico è la loro stagionalità; occorre di conseguenza considerare nella stessa filiera un mix di prodotti di scarto (quali ad esempio residui agricoli e vinacce),pergarantirelacontinuitàdellafonteagliimpiantidiconversioneenergetica. In tal senso, è auspicabile costruire filiere di biomasse di seconda generazione in ottica di filiera corta, programmando su base annua la fornitura di un mix di biomasse residuali prodotto entro 70Km dall'impianto di conversione energetica; per questo, è interessante l'utilizzo dei terreni marginali e dei terreni a maggese vestito o a foraggere avvicendate, con attenzione alla normativa vigente

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Attuale destinazione dei residui delle principali colture arboree ed erbacee[W-11]

COLTURA RESIDUO UTILIZZO PERCENTUALE DI

UTILIZZO/INUTILIZZO Frumento tenero e duro Paglia Lettiera per ricovero animali

Alimentazione animale Industria cartaria e varie Bruciata in campo

40-50% 5-10% 5-10% 30-50%

Orzo Paglia Lettiera per ricovero animali

Bruciata in campo

40-50% 50-60%

Avena Paglia Alimentazione animale

Bruciata in campo

40-60% 40-60%

Riso Paglia Lettiera per ricovero animali

Bruciata in campo

20-30% 70-80% Mais da granella Stocchi (steli);

Tutoli

(assi delle spighe)

Lettiera per ricovero animali (stocchi) Alimentazione animale (stocchi) Interramento (tutoli) 40-50% 10-20% 70-80% Barbabietola da

zucchero Foglie Alimentazione animaleInterramento 10-20%90-80%

Tabacco Steli Interramento 100%

Girasole Steli Interramento 100%

Vite da vino e da tavola Sarmenti (rami) Interramento

Bruciati a bordo campo Fascine da ardere

30-40% 30-40% 20-40%

Olivo Legna, rami,

frasche

Energia (legna)

Bruciati in campo (rami)

90-100% 90-100%

Fruttiferi Rami Interrati (solo in pianura)

Bruciati in campo

10-20% 80-90%

Agrumi Rami Bruciati in campo 90-100%

Fruttiferi a guscio Rami Bruciati in campo 90-100%

Conferire i residui agro-alimentari ad impianti di conversione energetica risulta conveniente, paragonato agli attuali utilizzi; tuttavia è necessario valutare preventivamente, per il singolo caso in studio, la convenienza della costruzione di una filiera sul territorio, valutando costi energetici ed economici delle fasi di raccolta, essiccamento, pre-trattamento di tipo meccanico, stoccaggio e trasporto su gomma. Al momento non viene considerato conveniente utilizzare per fini energetici residui non recuperabili per motivi tecnici, quali radici, materiale fine o foglie, o per motivi chimico-fisici, in quanto ritenuti non idonei al processo di conversione energetica, oppure per motivi economici. La quantità di materiale residuale agricolo recuperabile annualmente è funzione di vari fattori, tra i quali la superficie coltivata, la produttività delle diverse tipologie di colture, le modalità di raccolta e le condizioni di operatività.

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1.3) Filiere disponibili sul territorio toscano

Nella Regione Toscana sono al momento già presenti alcuni impianti di piccola e media taglia che utilizzano biomasse di seconda generazione, il cui numero è in aumento grazie a piani energetici portati avanti a livello locale; in merito, oltre allo sviluppo di nuovi impianti a gassificazione o combustione esterna, vanno considerati i vari riconoscimenti ottenuti, quali il premio Fiera Klimaenergy di Bolzano dell'anno 2013 da parte dell'Unione di Comuni Valdarno e Valdisieve, per la valorizzazione della biomassa residuale locale di origine forestale, con

realizzazione di impianti di teleriscaldamento a cippato. In Toscana è disponibile una grande quantità di biomassa di seconda generazione, di diversa provenienza:

• residui di attività agricole o potature;

• residui di origine forestale ed impianti forestali specializzati per la produzione di biomassa a fini energetici (power crops);

• colture erbacee annuali dedicate; • scarti dell'industria del legno;

• residui da interventi manutentivi delle infrastrutture presenti sul territorio (come la ripulitura di alvei dei torrenti, di linee elettriche o scarpate stradali). La Toscana è la regione italiana con la più ampia

superficie boscata, pari a 1 milione e 110mila ettari di territorio a bosco, di cui i due terzi sono di proprietà privata.

Cantiere di cippatura, [W-8] Possibili filiere delle biomasse sul territorio italiano(fonte C.Saccani, A.Bianchini, M.Pellegrini [W-14])

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Per quanto riguarda l'utilizzo delle biomasse, occorre considerare sia gli aspetti positivi, che negativi: i principali benefici consistono nel bilancio nullo per la CO2 su

una scala temporale molto più breve rispetto a quella dei combustibili fossili, in effetti positivi a livello ambientale locale e sociale occupazionale, oltre che nella riduzione della dipendenza energetica da Paesi extra-europei.

Per quanto riguarda la tutela del territorio locale si assiste alla creazione e allo sviluppo di aree agricole destinate a colture energetiche, che contribuiscono alla riduzione dei terreni abbandonati o incolti e al controllo dell'erosione e del dissesto idrogeologico nelle zone collinari o montane, aspetto critico per l'area in studio. Il ciclo produttivo delle biomasse consente, di conseguenza, la diminuzione dei fenomeni di abbandono per i territori rurali ad oggi meno competitivi, in quanto crea nuovi posti di lavoro, favorendo la ripresa del settore agro-forestale.

In merito all'utilizzo delle biomasse occorre considerare anche effetti negativi, quali l'emissione di sostanze inquinanti nelle operazioni di approvvigionamento, nei processi di pre-trattamento ed emissioni in sede d'impianto, che devono essere trattati in ottica complessiva di filiera. Le emissioni inquinanti durante l'approvvigionamento sono proporzionali alle dimensioni del bacino di provenienza della biomassa, quindi per ridurne l'impatto negativo occorre preferire la “filiera corta”.

Per impiegare un meccanismo di approvvigionamento del combustibile biomassa a “filiera corta” occorre anche limitare la taglia dell'impianto utilizzatore, poiché il bacino di approvvigionamento di un impianto di conversione energetica è proporzionale alla potenza installata; tuttavia, per impianti inferiori a 1 MWth si

presenta una criticità in merito alle emissioni specifiche dell'impianto, in quanto l'investimento per l'installazione di efficienti sistemi di abbattimento degli inquinanti ha un costo rilevante, maggiormente sostenibile per impianti di taglia medio-grande. Gli attuali incentivi si basano sulla necessità di rendere tracciabile l'intera filiera di provenienza della biomassa, andando a privilegiare la produzione da “filiera corta”, sia nel caso di micro-filiere di autoconsumo, che per impianti di micro-generazione. Questa tipologia di filiera è ben adattabile in aziende agrarie, zootecniche o a vocazione serricola, in quanto consente di sfruttare il cascame termico prodotto negli impianti e di valorizzare le potenzialità energetiche delle biomasse, rafforzando anche il legame tra territorio ed utenza finale; esistono, tuttavia, alcune criticità, quali aspetti di fattibilità economica dell'investimento, consenso sociale e disponibilità effettiva del quantitativo di biomassa necessaria per la produzione o l'autoconsumo. Nel 2007 l'Unione Europea ha deliberato il Piano “Una politica energetica per l'Europa”, detto anche “Piano 2020”, che prevede il raggiungimento entro l'anno 2020 di tre obiettivi principali a livello comunitario: miglioramento del 20% nel campo dell'efficienza energetica, incremento del 20% nella produzione di energia da FER e riduzione pari al 20% delle emissioni di gas serra.

Per suddividere questi obiettivi tra gli stati membri dell'Unione Europea, è stato attuato il meccanismo del Burden Sharing; mediante la Direttiva 2009/28/CE, infatti, è fissato come obiettivo entro l'anno 2020 per ogni stato membro il raggiungimento di una quota di produzione energetica da FER sul consumo finale lordo di energia.

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Il D.Lgs. 28/2011 prevede che in Italia le singole Regioni concorrano al raggiungimento dell'obiettivo nazionale (produzione da FER pari al 17% del consumo finale lordo di energia), mediante l'individuazione di obiettivi regionali. A seguito delle elaborazioni effettuate nel Piano di Azione Nazionale, con il D.M. 15/03/2012 è stato assegnato ad ogni regione un diverso obiettivo, in funzione delle sue potenzialità, suddiviso in step di controllo biennali; per la Regione Toscana tale decreto prevede un obiettivo pari al 16,5% del consumo finale lordo di energia al 2020, secondo modalità indicative, ma non obbligatorie, descritte per singola fonte. In particolare, per quanto riguarda la produzione di energia da biomasse, gli obiettivi fissati al 2020 sono due: 79 ktep di energia elettrica e 446,6 ktep di energia termica, tra teleriscaldamento, uso diretto in caldaia della biomassa, usi agricoli e industriali. La Regione Toscana ha deciso di superare gli obiettivi per lei previsti dal decreto ministeriale, con il “Piano ambientale energetico regionale 2012-2015” (PAER), che prevede una produzione da FER pari al 20% del consumo finale lordo di energia e pari al 50% di consumo di energia elettrica, entro l'anno 2020, ed inoltre prescrive quali siano le zone non idonee all'installazione di impianti a biomasse sul territorio. Nella seguente tabella sono riportati gli obiettivi della Regione Toscana dall'anno iniziale di riferimento al 2020, secondo il D.M. 15/03/2012 :

Regioni Anno iniziale di

riferimento (%) 2012 (%) 2014 (%) 2016 (%) 2018 (%) 2020 (%) Abruzzo 5,8 10,1 11,7 13,6 15,9 19,1 Basilicata 7,9 15,1 19,6 23,4 27,8 33,1 Calabria 8,7 14,7 17,1 19,7 22,9 27,1 Campania 4,2 8,3 9,8 11,6 13,8 16,7 Emilia Romagna 2,0 4,2 5,1 6,0 7,3 8,9 Friuli V. Giulia 5,2 7,6 8,5 9,6 10,9 12,7 Lazio 4,0 5,6 7,4 8,5 9,9 11,9 Liguria 3,4 5,8 8,0 9,5 11,4 14,1 Lombardia 4,9 7,0 7,7 8,5 9,7 11,3 Marche 2,6 5,7 8,3 10,1 12,4 15,4 Molise 10,8 18,7 21,9 25,5 29,7 35,0 Piemonte 9,2 11,1 11,5 12,2 13,4 15,1 Puglia 3,0 5,7 8,3 10,0 11,9 14,2 Sardegna 3,8 0,4 10,4 12,5 14,9 17,8 Sicilia 2,7 7,0 8,8 10,8 13,1 15,9 TAA-Bolzano 32,4 33,8 33,9 34,3 35,0 36,5 TAA-Trento 28,6 30,9 31,4 32,1 33,4 35,5 TOSCANA 6,2 9,6 10,9 12,3 14,1 16,5 Umbria 6,2 8,7 9,5 10,6 11,9 13,7 Valle d'Aosta 51,6 51,6 51,0 50,7 51,0 52,1 Veneto 3,4 5,6 6,5 7,4 8,7 10,3 Totale 5,3 8,2 9,3 10,6 12,2 14,3

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Inoltre, il PAER prevede la creazione e il consolidamento in Toscana di una filiera produttiva del legno, che parta dalla produzione dedicata o dalla raccolta fino ad ottenere, in particolare, cippato per gassificazione.

Nella regione, la biomassa di origine agricola è ottenibile sia da residui di colture erbacee (4% del totale nazionale) che di colture arboree (7% del totale nazionale); tuttavia, le barriere logistiche ed economiche presenti sul territorio fanno diminuire i quantitativi di biomasse residuali effettivamente accessibili a circa il 40% per le colture erbacee e il 45-50% per le colture arboree. La disponibilità di biomassa di origine forestale è pari al 12% del totale nazionale, mentre l'Inventario Forestale regionale riporta che più della metà del territorio toscano è boscato.

Le biomasse agro-forestali potrebbero apportare al bilancio energetico regionale circa 39 milioni GJ/anno, dei quali il 40% proverrebbe da biomasse di origine forestale. Per quanto riguarda l'utente finale, possono esserci due filiere, spesso entrambe in ottica di “filiera corta”: il mercato dei combustibili legnosi oppure l'autoconsumo. Il mercato dei combustibili legnosi prevede una vasta offerta sul territorio, da parte di industrie del legno, aziende agricole, forestali, boschive e conto-terziste.

Gli utenti finali più diffusi sono centrali elettriche a biomassa, caldaie per il riscaldamento domestico, sistemi di riscaldamento o teleriscaldamento per uso collettivo (edifici pubblici, centri industriali o commerciali, settore turistico).

Le associazioni di proprietari forestali assumono un ruolo centrale nella filiera, in quanto possono aggregare l'offerta, organizzando gli aspetti logistici e amministrativi. I commercianti di legname hanno il ruolo di aggregazione dell'offerta, messa in contatto con le aziende produttrici e consegna del prodotto all'impianto.

Nel corso della progettazione di un impianto a biomassa ligneo-cellulosica occorre sviluppare in modo efficace la filiera legno-energia, dimensionando l'impianto stesso in funzione della biomassa realmente disponibile, organizzando l'incontro tra domanda e offerta, facendo anche ricorso alle associazioni di proprietari forestali, ed informando il territorio, in particolare per impianti di medie dimensioni, riguardo ai vantaggi ambientali ed economici legati a tale fonte energetica.

Anche le biomasse da colture dedicate stagionali, siano esse di tipo erbaceo o ligneo, presentano un potenziale in regione Toscana, dal punto di vista della sostenibilità sia ambientale, che economica, contribuendo a diversificare le scelte degli agricoltori, consentendo di utilizzare terreni finora ritenuti marginali e incrementando la biodiversità funzionale degli ecosistemi agricoli.

In Toscana le colture dedicate preferibili, per adattabilità, produttività e facilità di gestione, sono pioppo, sorgo, canna comune e cardo; robinia, eucalipto, miscanto e triticale possono essere, invece, considerati di interesse secondario per il territorio. Per incrementare la sostenibilità della biomassa da colture dedicate occorre esaltare le diverse vocazionalità delle singole aree agricole, andando a predisporre colture dedicate solo nei territori più vocati, valorizzando tali produzioni in loco, oppure destinandole alla co-alimentazione di impianti già esistenti.

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Occorre anche costruire filiere diverse, sia per tipologia di biomassa residuale da campo agricolo o forestale, che per provenienza, andando a costruire sul territorio più distretti agro-energetici volti alla produzione ed utilizzazione delle biomasse, capaci di creare un rapporto di sostenibilità tra produttori e consumatori di energia.

A tal proposito, in letteratura sono presenti studi del contesto toscano, sviluppati su scala comunale, che prevedono la definizione di un set di indicatori, quali domanda/offerta potenziale di agro-energie, fattori socio-economici e ambientali, come strumento per la valutazione della vocazione agro-energetica territoriale e di regole di contiguità, che ottimizzano una specifica funzione obiettivo.

L'indicatore domanda potenziale di agro-energie fa riferimento alla morfologia della struttura abitativa presente a livello comunale; secondo la classificazione ISTAT, le strutture abitative più idonee come utilizzatori finali di biomasse sono gli edificati sparsi e gli insediamenti rurali, anche se per un'analisi più realistica occorre fare anche riferimento ai centri abitati. Calcolato il volume dell'edificato, si può procedere alla valutazione del fabbisogno energetico annuo (FABE):

FABE = [Cg * V * (D + n*G)*λ*86.4] / η [kJ]

Cg: coefficiente volumico globale [W°C/ m2], con: Cg = (Cd + Cv), dove:

• Cd = potenza termica necessaria per compensare le dispersioni per trasmissione attraverso le pareti opache e trasparenti di una struttura edilizia [W°C/ m2]; • Cv = potenza termica necessaria per riscaldare l'aria di rinnovo [W°C/ m2]; V: volume riscaldato [m3]; η :rendimento medio dell'impianto a biomassa;

D:gradi giorno [°C]; n:coefficiente di variazione rispetto ai 20°C convenzionali [°C]; G:numero giorni di riscaldamento; λ:coefficiente durata giornaliera di riscaldamento. Viene anche definito il coefficiente relativo ai consumi di gas metano (Cm), in

funzione dell'area di riferimento e della morfologia abitativa, e tre coefficienti di probabilità legati al fatto che gli edifici siano serviti da gas metano o meno, nel caso ci si riferisca a centri urbani, nuclei rurali o case sparse.

In definitiva, si ottiene la domanda agro-energetica potenziale; per ottenere indici statistici con elevato grado di sensitività, occorre calcolare gli indicatori implementati nell'analisi come percentuale di fabbisogno energetico per ciascuna morfologia abitativa, rispetto al fabbisogno agro-energetico totale.

Per quanto riguarda l'indicatore offerta potenziale di biomasse agro-forestali di un comune, occorre definire due indici: la percentuale di superficie agro-forestale comunale e l'offerta potenziale sia di biomasse ligneo-cellulosiche che di altre biomasse, stimando i residui agrari e forestali impiegabili a scopo energetico attualmente prodotti e considerando la disponibilità di una parte di superficie agricola potenzialmente idonea all'introduzione di colture dedicate, sia erbacee che da SRF, ma per il momento ricadente in terreni marginali o seminativi non irrigui.

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Oltre alla possibile creazione, col metodo descritto, di mappe regionali delle filiere di biomasse di seconda generazione esistenti sul territorio, è possibile modellizzare filiere di più piccole dimensioni, in prossimità del sito scelto per l'impianto.

A questo riguardo, scelto un opportuno sito d'impianto in area non urbana, con posizione centrale e buona viabilità, si prenderanno in esame le filiere nel bacino previsto dalla definizione di “filiera corta”, in funzione di diverse tipologie di utilizzazione, in modo da confrontare il rendimento di filiera per le diverse biomasse e programmare in termini medi il funzionamento annuo degli impianti.

Tale finalità mostra come occorra studiare le filiere a monte della progettazione d'impianto, sia per determinare la taglia dello stesso, sia per predisporre un opportuno stoccaggio, che per effettuare una programmazione in funzione della stagionalità.

(13)

1.4) Quadro normativo sulle biomasse

La definizione di biomassa assume significati diversi in funzione dell'ambito di impiego; per quanto riguarda la biomassa di seconda generazione con lo scopo di produzione di energia elettrica e termica è opportuno fare riferimento al

Dlgs 152/2006 (allegato X parte V), al Dlgs 387/2003 e al Dlgs 28/2011.

Il Testo Unico Ambientale (Dlgs 152/2006) rivisita la definizione di biomassa prevista dal precedente Dlgs 387/2003 e prevede che le biomasse consentite per la produzione di energia elettrica e termica possano classificarsi come:

• Biodiesel (parte II, sezione 1, paragrafo 3); • Legna da ardere (parte II, sezione 4); • Carbone di legna;

• Biomasse combustibili (parte II, sezione 4); • Biogas (parte II, sezione 6).

Le biomasse combustibili vengono a loro volta classificate in funzione della tipologia, della provenienza e delle condizioni di utilizzo, come:

• Materiale vegetale da coltivazioni dedicate;

• Materiale vegetale da trattamento esclusivamente meccanico, lavaggio con acqua o essiccamento di coltivazioni agricole non dedicate;

• Materiale vegetale prodotto da interventi selvicolturali, da manutenzione forestale e da operazioni di potatura;

• Materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica e dal trattamento con aria, vapore o acqua anche surriscaldata di legno vergine, costituito da cortecce, segatura, trucioli, chips, refili e tondelli di legno vergine, granulati e cascami di legno vergine, granulati e cascami di sughero vergine, tondelli, non contaminati da inquinanti;

• Materiale vegetale prodotto da trattamento esclusivamente meccanico, lavaggio con acqua o essiccamento di prodotti agricoli;

• Sansa di oliva disolcata;

• Liquor nero ottenuto nelle cartiere dalle operazioni di lisciviazione del legno e sottoposto ad evaporazione al fine di incrementarne il residuo solido.

Le condizioni di utilizzo prevedono che la conversione energetica della biomassa possa avvenire mediante combustione diretta, oppure previa pirolisi o gassificazione. Il biogas classificabile come biomassa deve provenire dalla fermentazione anaerobica metanogenica di sostanze organiche, quali effluenti di allevamento, prodotti agricoli o borlande di distillazione, purché tali sostanze non costituiscano rifiuti a matrice organica, in quanto il biogas derivante da rifiuti deve essere utilizzato con le modalità previste dalla normativa sui rifiuti.

La definizione delle biomasse nel Dlgs 152/2006 comporta una possibilità di impiego delle stesse inferiore alla disponibilità, in quanto le biomasse non rientranti nella definizione del decreto devono rispettare la classificazione autorizzativa dei rifiuti. Il Dlgs 28/2011 introduce una novità rispetto al Dlgs 152/2006, in quanto definisce

(14)

come energia da fonti rinnovabili non soltanto l'energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, la biomassa, ma anche il gas di discarica ed i gas residuati da processi di depurazione e biogas; con questa definizione il presente decreto riprende l'interpretazione data dal Dlgs 387/2003 in merito alla parte biodegradabile dei rifiuti solidi urbani e introduce una nuova interpretazione del gas di discarica.

In particolare, il Dlgs 28/2011 definisce come biomassa:

• la frazione biodegradabile di prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall'agricoltura (sia sostanze vegetali che animali);

• la frazione biodegradabile di prodotti, rifiuti e residui ottenuti da silvicoltura ed industrie connesse, comprese la pesca e l'acquacoltura;

• gli sfalci e le potature provenienti dal verde pubblico e privato; • la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani.

Il Dlgs 28/2011 distingue i combustibili liquidi o gassosi prodotti dalla biomassa come biocarburanti se finalizzati al trasporto, bioliquidi se in fase liquida e finalizzati a scopi diversi dal trasporto, quali l'elettricità, il riscaldamento e il raffreddamento. I decreti 152/2006 e 28/2011 comportano di conseguenza una diversa interpretazione in merito al gas di discarica; per quanto riguarda i regimi di incentivazione occorre fare riferimento al Dlgs 28/2011, mentre per gli aspetti relativi agli impatti ambientali, quali vincoli sulle emissioni, al Dlgs 152/2006.

La Direttiva 2009/28/CE definisce la biomassa con interpretazione simile al Dlgs 28/2011, considerando anche la parte biodegradabile dei rifiuti urbani e industriali. I riferimenti normativi per gli impianti termici alimentati a biomassa sono:

• D.M. 10/09/2010;

• L.R. 39/2005 e L.R. 11/2011 della Regione Toscana; • D.M. 06/07/2012, in merito alle incentivazioni.

Ai fini del progetto di un impianto termico a biomassa occorre prendere in esame: • tecnologie di conversione energetica, pre-trattamenti integrati nello stesso

impianto o eseguiti separatamente, con attenzione alla taglia dell'impianto; • disponibilità della materia prima, in merito ad approvvigionamento, trasporto,

stoccaggio e costruzione di una filiera;

• impatto ambientale complessivo della filiera, dalla produzione

agricola-forestale, alle operazioni di raccolta, trasporto, pre-trattamento e stoccaggio, alla conversione energetica, fino allo smaltimento dei residui; • impatto sociale in termini di occupazione e rivalutazione di settori produttivi o

di servizio potenzialmente coinvolti.

Per il progetto di un impianto con cogenerazione, occorre fare riferimento a:

• Direttiva 2004/8/CE e conseguenti Dlgs 20/2007, D.M. 04/08/2011 e 05/09/2011, concernenti la Cogenerazione ad Alto Rendimento (C.A.R.);

• Deliberazioni AEEG (n°42/02 per la definizione di cogenerazione, • aggiornata con la delibera ARG/elt 181/1);

• Linee Guida per l'applicazione del Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 5/9/2011-CAR (gennaio 2012-marzo 2012).

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In occasione del Protocollo di Kyoto del 1997 è stato definito il Global Warming Potential ed è stato istituito il meccanismo “Emission Trading”, con l'obiettivo di ridurre del 5% il GWP rispetto a quanto stimato nel 1990; per questo, ogni Paese si è dato un obiettivo di riduzione, in particolare l'Italia si è impegnata a ridurre del 6,5% le proprie emissioni rispetto alla baseline del 1990.

La successiva 2001/77/CE ha fissato gli obiettivi nazionali da raggiungere entro il 2010, in particolare l'Italia ha fissato un proprio obiettivo di consumo pari al 25% di energia da FER per gli utilizzatori finali, rispetto ad un obiettivo medio del 12%. La 2004/8/CE ha incentivato la Cogenerazione ad Alto Rendimento (C.A.R.) ed il successivo COM 628/2005 (Piano d'azione per le Biomasse) l'impiego delle biomasse nei vari settori di consumo (riscaldamento, richiesta di energia elettrica, trasporti). Il COM 34/2006 (Eurostrategy for biofuels) promuove l'uso di biocarburanti e la costruzione di opportune filiere, con criteri di valutazione dell'impatto ambientale. La 2008/98/CE definisce il concetto di rifiuto e la sua differenza rispetto ai sottoprodotti di processo, questa separazione nelle definizioni è presente in Italia nel D.Lgs.152/2006 (“Testo Unico Ambientale”), che norma in modo separato i rifiuti. La 28/2009/CE, noto anche come “Pacchetto 20-20-20”, stabilisce gli obiettivi che i vari Paesi membri dovranno raggiungere entro il 2020; in particolare, per quanto riguarda il tema trattato, l'Italia ha un obiettivo del 17% di energie rinnovabili sul totale dei consumi, la riduzione delle emissioni di GHG del 20% rispetto alla quota emessa nel 1990, un miglioramento dell'efficienza energetica del 20%, una revisione del sistema “Emission Trading” e la riduzione dei gas ad effetto serra derivanti dal life cycle dei combustibili, incentivando lo sviluppo delle biomasse residuali.

Il Piano di Azione Nazionale (luglio 2010) recepisce questi incentivi per l'Italia, ponendosi come scopo da raggiungere entro il 2020 la riduzione delle emissioni di GHG del 13% rispetto al 2005, la riduzione dei consumi di energia del 20% rispetto al 2005 e una quota del 17% di consumo da rinnovabili sui consumi totali,

con quote di consumo variabili in funzione del settore.

La normativa italiana recepisce gli obiettivi e le metodologie di quella europea.

La prima delibera italiana a riguardo è stata la Delibera CIPE 137 (19/12/2008) “Linee guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissioni dei gas serra”, volta a recepire gli obiettivi posti dal Protocollo di Kyoto.

La successiva Delibera CIPE 218 (21/12/1999) ha costituito un programma nazionale volto alla valorizzazione delle biomasse agricole e forestali, seguito da un “Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell'effetto serra”, previsto dalla delibera CIPE 123 (19/12/2002).

La Delibera CIPE 27 (15/2/2000) stabilisce il decreto Probio, che definisce come biocombustibili le “biomasse o prodotti derivanti dalle biomasse che hanno caratteristiche fisico-chimiche tali da renderli utilizzabili in processi di combustione ad alta trasformazione termochimica”, possono essere di diverse fasi ed impiegare come materie prime prodotti, sottoprodotti e rifiuti.

Il recente PAN previsto dalla direttiva 2009/28/CE focalizza la propria attenzione sulle biomasse, oltre che sul solare, ritenute fonti con interessanti margini di sviluppo.

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Il Decreto Ministeriale 20/7/2004 ha introdotto il meccanismo dei Certificati Bianchi, anche noti come “Titoli di Efficienza Energetica” (T.E.E.), forma di incentivazione che certifica il conseguimento degli effettivi risparmi negli usi finali dell'energia. Il D.Lgs 222 (29/12/2007) prevede un piano di incentivi per la produzione elettrica da biomasse, mentre il D.Lgs. 99/2009 prevede variazioni nelle quote d'obbligo e nelle accise dei biocombustibili, oltre che modifiche alla tariffa omnicomprensiva, che rendono ad oggi la tariffa per biogas e biomasse, esclusi i biocombustibili liquidi ad eccezione degli oli vegetali puri tracciabili attraverso il sistema integrato di gestione e controllo previsto dal regolamento (CE) n.73/2009 pari a 28 €cent/kWh, rispetto ad una tariffa di 30 €cent/kWh per impianti eolici di taglia inferiore a 200 kW e ad una tariffa di 18 €cent/kWh per il gas di discarica.

Il D.M. MIPAAF (2/3/2010) prevede l'esigenza della “tracciabilità delle biomasse per la produzione di energia elettrica”, in modo da rendere più trasparente il mercato e favorire le biomasse coltivate in loco.

Quote di consumo da rinnovabili rispetto ai consumi totali Obiettivi PAN (2010) per l'anno 2020 Quote raggiunte nel 2010

Consumo di energia elettrica 26% 24,4% (27% nel 2012)

Richiesta di energia termica 17% 9,5%

Settore dei trasporti 10% 4,8%

Obiettivi previsti dal PAN per il 2020 2005 2020 Differenza

assoluta

Differenza %

2005 2020

Mtep Mtep Mtep (+/- %) MW GWh MW GWh

Consumi totali di energia 141,2 131,2 -10,0 -7,1% Biomassa 937 4675 3820 18780 Consumi da FER 6,9 22,3 15,4 221,4% Biomassa solida 653 3477 1640 7900 Consumi da biomasse 2,2 9,8 7,6 336,6% Biogas 284 1198 1200 6020 % FER su consumi totali 4,9% 17,0% Bioliquidi 0 0 980 4860 % Biomasse su consumi totali 1,6% 7,5%

I D.Lgs. 28 (3/3/2011) e 55 (31/3/2011) prevedono le attuazioni delle direttive 2009/28/CE e 2009/30/CE previste dal Pacchetto Clima-Energia, mentre il D.M. (3/3/2012) stabilisce la ripartizione regionale della quota minima di energia da FER. Il D.M. (6/7/2012) stabilisce l'attuazione del D.Lgs (3/3/2011) n.28, articolo 24, ossia prevede l'incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico, che prevede forme differenti di incentivazione. Il successivo D.M. (28/12/2012), cosiddetto “Conto Termico”, prevede incentivazioni per interventi di incremento dell'efficienza energetica, a seguito di installazioni di

(17)

impianti di piccole dimensioni per la produzione di energia termica da FER, quali installazioni di impianti a biomassa da parte di aziende agricole di piccole e medie dimensioni, e di installazioni di sistemi ad alta efficienza.

Per quanto riguarda la normativa riguardante l'immissione di energia elettrica prodotta in rete, occorre considerare tre tipologie di incentivazione:

• per quanto concerne l'immissione in rete, viene incentivata l'immissione netta di energia da FER, ossia la produzione lorda detratta l'energia per i servizi ausiliari della produzione, quantificata secondo quanto stabilito dall'AEEG, in funzione della taglia d'impianto, secondo il D.M. (6/7/2012);

• incentivazione alla produzione in filiera corta, in un'ottica di valorizzazione della biomassa locale e di generazione distribuita;

• incentivazione alla cogenerazione ad alto rendimento (C.A.R.) con biomassa, soggetta al D.M. (6/7/2012), che prevede una tariffa diversificata per taglia e fonte rinnovabile di partenza, destinata agli impianti che si affacciano su un meccanismo di aste al ribasso per la vendita dell'energia prodotta; cumulabile ad altri meccanismi purchè in totale inferiore al 40% del costo di investimento.

FER (*) TIPOLOGIA POTENZA VITA UTILE degli

IMPIANTI Tariffa IncentivanteBase Biomasse a) Prodotti di origine biologica 1 < P ≤ 300

300 < P ≤ 1000 1000 < P ≤ 5000 P > 5000 20 20 20 20 229 180 133 122 b) Sottoprodotti di origine

biologica di cui alla Tabella 1-A; d) Rifiuti non provenienti da raccolta differenziata diversi da quelli alla lettera c)

1 < P ≤ 300 300 < P ≤ 1000 1000 < P ≤ 5000 P > 5000 20 20 20 20 257 209 161 145 c) Rifiuti per i quali la frazione

biodegradabile è determinata forfettariamente con le modalità di cui all'Allegato 2 1 < P ≤ 5000 P > 5000 20 20 174 125 (*) = fonte DM (6/7/2012)

L'incentivo è calcolato come differenza tra la tariffa incentivante base e il prezzo zonale orario dell'energia; per impianti di taglia inferiore ad 1 MW, il produttore può richiedere il ritiro dell'energia prodotta da parte del GSE col riconoscimento della tariffa omnicomprensiva (meccanismo di incentivazione in fase di revisione), pari a 280 €/MWh per impianti a biomasse e biogas, esclusi i biocombustibili liquidi ad eccezione degli oli vegetali puri, tracciabili attraverso il sistema integrato di gestione e controllo previsto dal regolamento (CE 73/2009).

Le modalità di accesso a questa incentivazione variano, per le biomasse, in funzione della taglia dell'impianto, in modo da incentivare la generazione distribuita:

• incentivazione con accesso diretto per impianti a biomasse di taglia < 200kW; • iscrizione al registro di accesso per impianti di taglia < 5MW;

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1.5) Gassificazione di biomasse di seconda generazione

1.5.1) Chimica della gassificazione

La gassificazione è un processo chimico che permette di convertire, mediante ossidazione incompleta, un combustibile solido, sia esso fossile o rinnovabile, in presenza di uno o più agenti ossidanti, quali aria, ossigeno o vapore, in syngas.

Il processo avviene a temperature elevate, comprese tra 800 e 1100°C;

nella fase iniziale esso comporta forti reazioni esotermiche, che forniscono energia sufficiente alle successive reazioni endotermiche, consentendo al processo di auto-sostenersi nelle fasi successive all'ignizione.

La biomassa di seconda generazione subisce dei pre-trattamenti di vario tipo, quali trattamenti meccanici, termici con vapore o acqua calda e trattamenti acidificanti, alcalinizzanti o enzimatici, volti ad una migliore resa del processo di gassificazione e, per quanto riguarda la biomassa ligneo-cellulosica, per migliorare la fase di idrolisi. La biomassa viene in seguito caricata nel gassificatore, dove viene sottoposta ad una prima fase di essiccamento (temperature di 100-150°C), per eliminare l'umidità residua, ed in seguito ad una fase di devolatilizzazione (temperature di 250-550°C). La devolatilizzazione della biomassa alimentata provoca una sua decomposizione termochimica, che porta alla formazione di tre macro-prodotti:

• Char, residuo solido costituito dalla frazione inerte della biomassa; • Tar, gruppo di composti organici condensabili a temperatura ambiente;

• Gas, con cui si indica una miscela di CO, CO2, H2, CH4, H2O e idrocarburi

leggeri, con potere calorifico medio basso (4-15 MJ/Nm3).

La fase successiva consiste nel miscelamento e contatto dell'agente gassificante con i volatili prodotti dalla precedente pirolisi e col carbonio presente nella biomassa, in modo da ottenere una loro ossidazione parziale, a temperature di 700-1200°C.

L'ossidazione omogenea ha come prodotti finali acqua e monossido di carbonio, mentre la reazione in fase eterogenea comporta la formazione di CO o CO2 in

funzione della temperatura, del contenuto di ceneri e della quantità di agente gassificante presente. Queste reazioni sviluppano il calore necessario per mantenere il processo di conversione, innalzando la temperatura e consentendo la decomposizione del tar, con formazione di CO, CO2, H2, CH4.

A seguito della trasmissione del calore, si ha che la temperatura della biomassa alimentata aumenta prima di incontrare l'agente gassificante, così che vengono a formarsi zone ben delineate in cui avvengono i singoli processi;

l'energia consumata dall'intero processo di gassificazione corrisponde ad una frazione del 20-30% circa dell'energia chimica della biomassa alimentata al reattore.

In seguito si hanno le reazioni di gassificazione del Char con CO, H2 e vapore e la

reazione di shift dell'acqua, regolata dalla temperatura del sistema e dalle concentrazioni di CO, CO2, H2O e H2 .

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Fasi del processo di gassificazione [31]:

Reazioni coinvolte nel processo di gassificazione:

Rp1 Biomassa → Char + Volatili Devolatilizzazione

Rc Rg1 Rg2 Rg3 C + nO2(g) → 2(1 - n)CO + (2n – 1)CO2 C + CO2(g) → 2CO C + H20(g) → CO + H2 C + 2H2(g) → CH4 Reazioni Eterogenee Rc1 Rc2 Rc3 Rc4 Rtc Rwg TAR + O2 → CO + H2O CH4 + 1.5O2 → CO + 2H2O CO + 0.5O2 → CO2 H2 + 0.5O2 → H2O TAR → CO + CO2 + CH4 + H2 CO + H2O(g) ↔ CO2 + H2 Reazioni Omogenee

Nella fotografia a lato è possibile visualizzare una torcia per la combustione del gas di sintesi. Tali torce sono automatizzate, fornite di quadro di controllo, rampa gas, rompifiamma e dispositivi di sicurezza; possono essere di tipo a fiamma visibile o a fiamma contenuta, di solito vengono installate come unità pre-assemblate. Torcia per la combustione del syngas [31]

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1.6) Reattoristica

Le tipologie principali di reattori per la gassificazione sono tre: gassificatori a letto fisso, a letto fluido o a letto trascinato.

1.6.1) Gassificatori a letto fisso

Questi reattori rappresentano la tecnologia più collaudata per eseguire il processo di gassificazione; operano in genere a pressione atmosferica, così da facilitare l'alimentazione della biomassa, ma limitandone l'utilizzo ad impianti di piccola e media scala. La biomassa viene di solito caricata in alto e sostenuta da una griglia, posta nella parte inferiore del reattore, che consente il contemporaneo passaggio di aria e lo scarico delle ceneri, garantendo il tempo di permanenza necessario al solido. Questi reattori sono caratterizzati da temperature di esercizio tra 800 e 1400°C, velocità di reazione basse e taglie inferiori ai 10 MW; può essere utilizzata anche biomassa di pezzatura abbastanza grossolana (pellet o residui delle operazioni di potatura di viti e olivi), ma con granulometria uniforme e in modo da garantire lo spazio vuoto necessario per il passaggio del gas attraverso la griglia.

La progettazione è semplice; in funzione della geometria scelta, quindi della direzione del flusso d'aria all'interno del reattore, questi gassificatori vengono a loro volta classificati come reattori updraft, downdraft o crossdraft.

Reattori Updraft, costituiti da un cilindro d'acciaio rivestito internamente con materiale refrattario, in cui l'agente ossidante sale, mentre il combustibile scende verso il basso.

La configurazione fa sì che il tar contenuto nei vapori di pirolisi venga condensato quando entra in contatto con il combustibile solido discendente a bassa temperatura, oppure venga trascinato in alto dal gas di sintesi ad alta temperatura, che è raffreddato fino a 200-300°C prima di uscire dalla parte alta del reattore.

Nelle zone di reazione, la frazione di gas condensata subisce il processo di cracking,

originando gas combustibile e char; infine, nella zona di gassificazione, il char solido ed i prodotti del cracking subiscono un processo di ossidazione parziale, caratterizzato da temperature superiori a 1000°C.

Di conseguenza, il gas di sintesi prodotto da questi reattori è caratterizzato da un elevato potere calorifico, per la presenza in frazione abbastanza alta di tars e idrocarburi; per questo stesso motivo, tuttavia, il gas di sintesi deve essere sottoposto ad un adeguato processo di pulizia, a causa dell'alto contenuto di ceneri sinterizzate e catrame, nel caso si desideri utilizzarlo in motori a combustione interna o turbine. Il reattore è caratterizzato da semplicità di costruzione e funzionamento, oltre che da elevata efficienza termica.

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Reattori Downdraft, nei quali la corrente del combustibile solido e quella dell'agente gassificante scendono in modo concorde verso la base del reattore, attraverso un letto impaccato, mediante una sezione di gola, zona compatta, turbolenta e ad elevata temperatura, dove viene fatto passare il gas di pirolisi e si realizza la fase di ossidazione, con cracking del tar. L'aria è immessa in corrispondenza della gola, mediante ugelli dove avviene una parziale combustione esotermica, con temperatura compresa tra 1000 e 1300°C, provocando la formazione di uno strato di carbone sotto l'entrata

dell'aria. Nella zona posta tra la gola e la griglia di sostegno della biomassa avvengono le reazioni di riduzione, con formazione del gas di sintesi, caratterizzato da un ridotto contenuto di catrami, corrispondente a circa un terzo del valore presente nel syngas derivante da reattori Updraft, in quanto, a causa della circolazione turbolenta instauratasi per la presenza della gola, i gas di pirolisi vengono a mescolarsi con i gas caldi della zona di ossidazione, portando al cracking anche dei gas umidi della pirolisi.

Il contenuto di particolato prodotto in questi reattori è invece più elevato rispetto a quello formatosi nei reattori Updraft, in quanto il gas di sintesi passa attraverso la griglia di sostegno, come ceneri e polveri.

La presenza della gola provoca anche una più elevata probabilità di intasamenti, che richiedono di conseguenza requisiti più severi per quanto riguarda la granulometria della biomassa (compresa tra 1 e 30 cm).

La biomassa deve essere alimentata in continuo dalla sommità, così da mantenere il livello del letto entro valori prestabiliti; il gas prodotto viene estratto sotto una griglia nella parte inferiore, mediante un estrattore.

L'efficienza della fase di essiccazione è inferiore rispetto ai reattori Updraft; il reattore si adatta bene a biomasse con umidità inferiore al 20%, in quanto all'aumentare dell'umidità del combustibile si incrementano le perdite di calore, di conseguenza si ottiene un gas con minore contenuto energetico.

Questo fenomeno si verifica dal momento che il calore prodotto nella zona di combustione viene utilizzato sia per essiccare la biomassa nella zona posta sopra all'alimentazione dell'aria, che per far avvenire le reazioni endotermiche del processo di gassificazione. La temperatura del gas in uscita è abbastanza alta, compresa tra 900 e 1000°C; quindi, anche l'efficienza termica è inferiore rispetto al caso di un reattore tipo Updraft.

Il contenuto di tar nel syngas è basso, di conseguenza questi reattori possono avere come utilizzatori finali sia turbine a gas che motori a combustione interna, per la produzione di energia elettrica su piccola scala.

(22)

Reattori Crossdraft, nei quali l'aria viene introdotta in modo trasversale rispetto alla direzione assunta dalla biomassa,

che scende dall'alto verso il basso.

In corrispondenza del punto di immissione dell'agente ossidante si forma una zona ad alta temperatura, dove si realizzano reazioni di ossidazione e riduzione della sostanza organica; il calore che si sviluppa favorisce l'attivazione di processi di pirolisi ed essiccazione nella parte superiore del reattore.

Nella parte inferiore della colonna, invece, si accumulano le ceneri; sul lato opposto a quello d'ingresso dell'aria si ha, allo stesso livello,

l'estrazione del gas di sintesi prodotto, con temperature tra 800 e 900°C.

Questo tipo di reattori viene scarsamente utilizzato, sia a causa del basso rendimento energetico globale di conversione, paragonabile a quello di un reattore di tipo Downdraft, sia a causa della difficoltà di convertire gli idrocarburi complessi, che tendono a permanere nel gas sotto forma di tar.

Di seguito è riportato lo schema riassuntivo delle tre tipologie di reattori a letto fisso; viene evidenziata per ciascuna configurazione la direzione del flusso d'aria, mentre il moto della biomassa caricata avviene sempre dall'alto verso il basso.

Reattore Crossdraft [31]

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1.6.2) Gassificatori a letto fluido

Questi gassificatori sono dotati di una colonna di aria ascendente, nella quale le particelle solide della biomassa, di opportune dimensioni, si miscelano con un elemento inerte e raggiungono una velocità tale per cui il letto viene a comportarsi come un sistema dinamico simile ad un fluido.

E' presente anche materiale inerte, quale ad esempio sabbia silicea, allumina o ossidi refrattari, così da migliorare la trasmissione del calore e la fluidizzazione del letto.

Alle alte temperature la sabbia silicea tende a sinterizzare e quindi a reagire con i metalli alcalini (tipicamente sodio e potassio)

presenti nelle ceneri; nelle biomasse ad elevato contenuto di ceneri è di conseguenza preferibile utilizzare come agente fluidificante allumina, sabbia cromitica o altri composti metallici. La tecnologia di gassificazione a letto fluido consente di ottenere una miscelazione ottimale tra biomassa e agente gassificante ed una velocità di reazione elevata; per ottenere questo scopo, la biomassa, alimentata dall'alto, deve avere una pezzatura solitamente inferiore ai 20 mm.

Il calore necessario per le reazioni endotermiche può essere fornito in modo diretto, tramite le reazioni di combustione tra biomassa e agente gassificante, oppure in modo indiretto, mediante scambiatori di calore interni.

Questi gassificatori presentano taglie non inferiori a 1 MWe e temperature di esercizio, uniformi in ogni zona del reattore, pari in media a 800-900°C.

Rispetto ad altre tipologie, si ha una maggiore resa complessiva in gas di sintesi, che tuttavia deve essere sottoposto ad operazioni di pulizia, dal momento che contiene un quantitativo di tar e particelle solide superiore rispetto a reattori a letto fisso.

Sono ancora in fase di sviluppo dispositivi per la pulizia a caldo del syngas.

I gassificatori a letto fluido presentano costi di installazione e gestione superiori rispetto a quelli a letto fisso, oltre che procedure impiantistiche ed operative più complesse, ma sono caratterizzati da una versatilità superiore per quanto riguarda la qualità della biomassa alimentata, anche se la pezzatura deve restare nel range prestabilito, e da rendimenti più elevati rispetto ai gassificatori atmosferici.

I gassificatori a letto fluido possono venire accoppiati con turbine a gas e prevedono applicazioni in impianti di medie e grandi dimensioni, in quanto la convenienza economica per la loro installazione si ha per potenze superiori a 30-50MWe.

Al contrario, i reattori a letto fisso, che presentano costi minori di esercizio ed investimento, possono essere utilizzati solo in impianti di piccola taglia;

infatti i reattori Downdraft si prestano solo per installazioni inferiori ad 1MWth, mentre quelli Updraft per installazioni non superiori a 10MWth.

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I gassificatori fluidizzati presentano due configurazioni principali:

– Bubbling Fluidized Bed (BFB); – Circulating Fluid Bed (CFB).

I gassificatori a letto bollente (BFB) sono caratterizzati da un letto, di altezza pari a 1-2 m, che presenta due zone con contenuto solido diverso: nella parte superiore la sospensione è molto diluita, mentre in quella inferiore appare più densa. L'agente gassificante entra alla base del reattore, a velocità inferiore ai 2 m/s, mentre la biomassa viene introdotta lateralmente, subisce un processo di pirolisi e forma componenti gassose e solide, a loro volta convertite in gas di sintesi mediante processi di cracking. Nella parte inferiore del letto si formano, quindi, bolle di gas, che salgono verso la parte superiore del reattore e vi si accumulano, andando a costituire una zona unicamente in fase gassosa. Le bolle, salendo ed esplodendo, generano turbolenza, che favorisce sia la trasmissione del calore, che il miscelamento tra le fasi, riducendo i tempi di permanenza della biomassa nel reattore.

A causa delle alte temperature (700-900°C) e dell'alto contenuto di ceneri presenti, occorre evitare materiali che potrebbero causare problemi di sinterizzazione, quali le piante erbacee; il contenuto di catrami è, invece, in genere inferiore a 3g/Nm3.

I gassificatori a letto circolante (CFB) prevedono un reattore a sviluppo lineare costituito da materiale refrattario e alimentato da biomassa di fine granulometria, un filtro a ciclone per separare il syngas dal materiale inerte circolante ed un dispositivo di reimmissione dell'inerte.

La biomassa è caricata poco sopra la griglia di distribuzione dell'agente ossidante; i gas prodotti salgono verso la parte superiore del reattore, mentre parte del char resta nel letto fluido e parte viene trascinato con l'inerte verso il ciclone. Come agente ossidante è impiegato di solito ossigeno puro, vapore acqueo surriscaldato oppure, in alcuni casi, aria. Le temperature operative sono molto alte, con picchi superiori a 1200°C, quindi il contenuto di tar nel syngas è abbastanza basso. Grazie a questa configurazione è possibile

anche rimuovere con facilità le ceneri, dal momento che esse tendono a liquefare. I vantaggi principali di questi reattori sono legati alle elevate temperature operative e alla flessibilità del processo, di conseguenza i gassificatori CFB sono indicati per il trattamento delle biomasse, ma la loro installazione è giustificata solo in impianti di grandi dimensioni, a causa dei sofisticati e costosi dispositivi di controllo necessari.

Gassificatore a letto bollente [40]

Gassificatore a letto circolante [40]

(25)

1.6.3) Gassificatori a letto trascinato Questi gassificatori lavorano in condizioni

sotto-stechiometriche e possono essere alimentati con combustibili sia allo stato solido (biomasse), che liquido (slurry), purchè finemente polverizzati.

Le cinetiche di reazione sono veloci, quindi i tempi di residenza della biomassa nel reattore sono bassi (pochi secondi) e le temperature di esercizio elevate (1200-1600°C). Di conseguenza, il recupero termico, prima della sezione di pulizia del gas, diventa problematico, così che lo stesso smaltimento del calore del syngas comporta complicazioni strutturali, a cui spesso si preferisce una diminuzione delle prestazioni ottenuta disperdendo il calore residuo nell'ambiente. Le temperature elevate comportano anche problemi di isolamento, oltre a provocare il deterioramento precoce dei materiali refrattari che rivestono l'interno del reattore. La biomassa alimenta il reattore dall'alto verso il basso, in equicorrente con l'agente gassificante, che esercita un azione di

trascinamento. Nel caso il reattore sia alimentato con slurry, l'acqua in esso contenuta, vaporizzando, fornisce parte dell'agente gassificante necessario al processo; d'altro canto, in questo caso sono necessarie portate ingenti di ossidante.

Le ceneri vengono espulse nella parte inferiore del reattore e, se raffreddate in acqua, danno luogo ad un materiale vetroso che può essere riciclato o smaltito in discarica. Il gas di sintesi prodotto è caratterizzato da un potere calorifico elevato, in quanto è composto prevalentemente da idrogeno e monossido di carbonio.

Le pressioni di lavoro all'interno del reattore sono comprese nel range (30 - 80 bar). Tabella fonte ENEA

report RSE/2009/25 Letto fisso Letto fluido Letto trascinato

Temperatura [°C] 370-600 800-1000 1200-1600

Pressione [bar] 20-25 20-30 30-80

Ossidante ossigeno/aria ossigeno/aria ossigeno

Consumo ossidante Basso Medio Alto

Granulometria combustibile [mm]

5-10 1-4 0.05-0.1

Tempo di residenza combustibile

20-30 min 5-50 sec 1-10 sec

Composizione syngas Alta concentaz. CH4 Bassa concentaz. CH4 Alta concentraz. H2 e CO

Potere calorifico syngas Alto Medio/Alto Alto

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1.7) Caratteristiche del gas di sintesi

Il syngas ha una composizione variabile in funzione di alcuni fattori, tra i quali il tipo di agente gassificante utilizzato (aria, ossigeno o vapore):

Componenti del gas di sintesi

Aria (%) Ossigeno (%) Vapore (%)

CO 12 − 15 30 − 37 32 − 41 H2 9 − 10 30 − 34 24 − 26 CH4 2 − 4 4 − 6 12,4 C2H4 0,2 − 1 0,7 2,5 CO2 14 − 17 25 − 29 17 − 19 N2 56 − 59 2 − 5 2,5 P.C.I. (MJ/Nm3) (*) 4 − 5 10 12 − 13 Resa di gas (Nm3/kgs.s. legno) 2 − 3 1,3 − 1,5 −

(*) Per opportuni confronti, il gas naturale ha P.C.I. di circa 35 MJ/Nm3 .

La gassificazione con aria è una tecnologia semplice, ma permette di ottenere un syngas con basso potere calorifico, contenente una grande quantità di azoto.

Se come agente gassificante viene utilizzato ossigeno, l'assenza di azoto consente di ottenere un vettore a medio potere calorifico, ma caratterizzato da una resa inferiore. L'utilizzo di vapore come agente gassificante è più economico ed il syngas ottenuto presenta un contenuto di idrogeno superiore, quindi un potere calorifico più elevato; tuttavia, in questo caso il processo è endotermico e non è in grado di auto-sostenersi, aspetto che impone la necessità di utilizzare miscele di vapore con aria e ossigeno. La composizione del syngas varia anche in funzione del tipo di reattore impiegato:

Componenti del gas

di sintesi Gassificatore Updraft (%) Gassificatore Downdraft (%)

CO 20 20

H2 4 15

CH4 5 3

CO2 16 10 − 15

N2 52 50

Altri gas inerti 3 −

La composizione del syngas dipende anche dal tipo di biomassa alimentata e dalle condizioni operative, in funzione degli indici rapporto di equivalenza e temperatura.

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Il tipo di utilizzatore finale influenza le caratteristiche che deve presentare il gas di sintesi, quindi anche il tipo di reattore e le successive sezioni di pulizia da utilizzare:

Utilizzatore finale Caratteristiche del gas di sintesi Co-firing in centrali a carbone

Cicli a vapore

Potere calorifico > 2.5 MJ/Nm3

Turbogas Motori per CHP

Potere calorifico > 2.5 MJ/Nm3

Basso livello di tar Basso livello di particolato Sintesi di combustibili liquidi

Produzione di idrogeno

Potere calorifico > 10 MJ/Nm3

Basso livello di tar Basso livello di particolato Prodotti concentrati (assenza N2)

1.8) Effetti della composizione della biomassa

La biomassa è essenzialmente costituita da tre componenti, char, umidità e volatili, presenti in percentuali variabili, tali da comportare caratteristiche diverse per il syngas ottenuto. Al crescere del contenuto di umidità nella biomassa diminuisce il contenuto energetico del gas di sintesi, in quanto evaporando sottrae energia al sistema. L'umidità ha anche la funzione di inerte nelle reazioni di ossidazione e consente di abbassare il livello di tars, promuovendo le reazioni di steam-reforming. Il processo comporta ceneri residue, che provocano problemi ambientali e di manutenzione dell'impianto, in quanto fondendo a temperature minori formano uno slag, che a seguito di condensazione darebbe origine a incrostazioni e ostruzioni. Una biomassa ad alto fusto è composta in media da una percentuale pari a 25-30% circa di lignina e dal restante 75% di carboidrati, quali cellulosa ed emicellulosa, ossia di molecole di zucchero unite a formare lunghe catene polimeriche.

Le fibre di cellulosa hanno la funzione di dare alle piante resistenza, mentre la lignina è il collante che mantiene unite queste fibre. L'emicellulosa ha, infine, la funzione di tenere associate cellulosa e lignina. Nelle biomasse sono presenti anche estratti, ossia composti a basso peso molecolare che possono essere separati mediante solventi organici (grassi, cere, terpeni o fenoli) o acqua calda (tannini e sali inorganici).

(28)

Il materiale inorganico è distribuito nel combustibile e comprende sali di Si, K, Na, S, Cl, P, Ca, Mg e Fe, che danno luogo alla formazione delle ceneri.

Le sostanze minerali interne alla biomassa sono presenti come ioni o microparticelle, e durante la combustione vengono convertiti in cenere.

A temperature elevate, in funzione della temperatura di fusione delle ceneri, possono formarsi cenosfere, ossia strutture vuote, sferiche e vetrose; invece, a temperature inferiori, la cenere resta separata ed influenza la capacità di trasmissione del calore. Viene riportata l'analisi strutturale di alcune biomasse, in percentuale rispetto al peso:

Biomassa Emicellulosa (%) Cellulosa (%) Lignina (%) Estratti (%)

Gusci di nocciola 30.4 26.8 42.9 3.3 Paglia 39.4 28.8 18.6 -Residui oliva 23.6 24 48.4 9.4 Legno di betulla 31.2 45.3 21.9 1.6 Legno di abete 20.7 49.8 27.0 2.5 Tutulo 31.0 50.5 15.0 3.5 Scarti del tè 19.9 30.2 40.0 9.9 Gusci di noce 22.7 25.6 52.3 2.8 Gusci di mandorla 28.9 50.7 20.4 2.5 Girasoli 34.6 48.4 17.0 2.7

La cellulosa è un polisaccaride naturale insolubile in acqua, con formula generale (C6H10O5)n, peso molecolare medio di 300-500 u.m.a. e grado di polimerizzazione

variabile tra 3000 e 10000. Essa costituisce il sostegno della biomassa e rappresenta circa il 50% del materiale della parete cellulare. Le molecole di cellulosa sono costituite da anelli di β-D-glucopiranosio, dei quali ognuno è ruotato di 180° rispetto al successivo e va a costituire un'unità ripetitiva, formata da due anelli contigui, uniti mediante legami 1.4-β-glicosidici. La struttura della cellulosa è molto stabile, a causa della presenza di anelli a sei atormi di carbonio, di un sistema di ponti a idrogeno interpolimerici e per l'assenza di doppi legami. I ponti ad idrogeno caratteristici della cellulosa sono costituiti da un atomo di idrogeno di un gruppo alcolico, parzialmente legato ad un secondo atomo di ossigeno di un polimero di una fibra parallela.

Questa configurazione rende il polimero resistente ad attacchi chimici e termici e gli permette di svilupparsi in modo più lineare, rendendo la cellulosa resistente e filabile.

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