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La Construction of the Heavens: Herschel alla ricerca di una filosofia naturale dell’universo.

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Capitolo 4

La Construction of the Heavens:

Herschel alla ricerca di una

filosofia naturale dell’universo.

Nel linguaggio comune sembra esserci la tendenza a inserire nel termine “storia” un riferimento più o meno velato al cambiamento, e quindi parlando di storia naturale molte persone pensano spesso che si intenda descrivere le alterazioni che le specie animali e vegetali hanno subito nel corso del tempo. In realtà ciò non è necessariamente vero. Certamente in molti casi questa disciplina ha contribuito a rivelare come i fenomeni naturali si siano evoluti, ma per molto tempo è stata, al contrario, espressione della più ferma convinzione nella fissità delle specie. La scala, la mappa, e le diverse rappresentazioni che si davano del mondo naturale generalmente raffiguravano esclusivamente la gerarchia degli esseri, dai più imperfetti ai più perfetti, e non permettevano ai singoli esemplari di percorrere in un verso o nell’altro quella scala. Le singole specie erano considerate immutabili, e nel loro insieme avrebbero dovuto garantire della pienezza e della complessità della natura. L’impossibilità di trovare dei vuoti nell’organizzazione della natura si inseriva nel dibattito sull’accettabilità della storia sacra e sulle ipotesi alternative riguardanti l’età del mondo e la possibilità che sulla sua scena fossero avvenute estinzioni o comparse di nuove specie. In entrambi i casi si sarebbe determinato un sovvertimento nell’ordine naturale. La scomparsa di una specie avrebbe distrutto la continuità della natura, mentre l’ammissibilità dell’avvento di nuove specie avrebbe implicato la presenza di un vuoto che la comparsa dei nuovi esemplari era andata a colmare. In ogni caso il risultato sarebbe stato il mettere in discussione la perfezione dell’ordine imposto da Dio alla natura. D’altronde che si credesse letteralmente alla creazione così come era stata raccontata dalla Bibbia, oppure che si ammettesse che il racconto sacro rappresentava una metafora di come il mondo si era formato e popolato, o infine che si pensasse che i processi naturali fossero stati

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determinati da una serie di leggi naturali, molti autori si dicevano convinti che nel mondo naturale fosse perfettamente riconoscibile la mano di Dio.

Nel corso dei capitoli precedenti, e soprattutto del terzo, si è voluto illustrare come Herschel avesse sviluppato la propria storia naturale dell’universo attraverso la descrizione degli esemplari e la loro classificazione in raggruppamenti adeguati, ovvero come egli abbia fatto “storia” nel senso letterale del termine. Probabilmente sarebbe corretto distinguere fra una storia naturale dell’universo, in cui Herschel ha usato le proprie osservazioni per operare una tassonomia degli esemplari, ed una filosofia naturale dell’universo, in cui egli si interrogò sulle cause che hanno determinato la formazione dei fenomeni osservati313. Nel capitolo precedente abbiamo tentato di dimostrare l’esistenza di una connessione fra la parte osservativa dell’astronomia herscheliana, e la classificazione degli esemplari; in queste pagine cercheremo di illustrare come questi due aspetti si siano rivelati accessori alla formulazione di teorie cosmologiche in cui veniva illustrato il processo di formazione dei corpi celesti. La pratica osservativa ha permesso di individuare somiglianze fra i diversi esemplari raccolti. Prima di questo le riflessioni sulla strumentazione, sulle qualità dell’occhio umano e sui fattori di disturbo che possono impedire il buon esito dell’osservazione avevano spinto Herschel a migliorarsi sia come osservatore sia come costruttore di strumenti. Questi aspetti dell’osservazione hanno, nel complesso, permesso di

313 Questa differenza è ben espresso da Rudwick nelle pagine di Bursting the limits of time in cui

commenta la mappa della conoscenza umana proposta da Diderot nel 1749:

Natural history” dealt with the description and classification of natural phenomena and natural objects of all kinds. “Natural philosophy”- or what Diderot called “the science of nature”- included the causal and mathematical relations between natural phenomena, as well as mathematics itself.

M. J. S. Rudwick, Bursting the limits of time, The University of Chicago Press, Chicago & London (2005), p. 52

Qualche pagina dopo, commentando la nozione di storia naturale, Rudwick cita anche il caso del nostro Herschel:

Natural history embrace the description and classification of all kinds of natural entity, including even the celestial: Herschel treated the diversity of the puzzling objects that he called “nebulae” as a form of cosmological natural history.

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raccogliere un numero impressionante di esemplari, e di fornire una descrizione e una categorizzazione per ciascuno di essi consentendo la stesura dei cataloghi. Infine, le riflessioni alla base di quest’attività resero necessario quel passo che portò il nostro astronomo ad interressarsi della natura di questi oggetti, o come si espresse lui stesso della “Construction of the Heavens”.

In queste pagine mi propongo di dimostrare il modo in cui le diverse categorizzazioni furono utilizzate per la formulazione di teorie cosmologiche che prevedevano la nascita e lo sviluppo dei diversi corpi celesti. Per far ciò sarà necessario dimostrare che un’idea di progresso era presente nelle intenzioni di Herschel già dai primi anni. Si mostrerà, infatti, come essa fosse già alla base della memoria del 1785, e come in questa idea si possa riconoscere un filo conduttore per tutte le ipotesi cosmologiche presentate dal nostro autore nel corso degli anni. Nella parte conclusiva di questo quarto capitolo, invece, mi concentrerò sui due protagonisti dell’astronomia herscheliana ovvero la forza di gravità (riprendendo anche il discorso relativo alle forze centrali) e il tempo (nell’accezione sia di durata, sia in quella di dimensione). Infine, nel prossimo capitolo cercherò di dimostrare, attraverso l’analisi di alcuni esempi presenti negli articoli pubblicati, che questi passaggi indicano una stretta connessione fra gli aspetti della pratica classificatoria e della cosmologia dello sviluppo.

In queste pagine introduttive ho preferito evitare ogni riferimento alla biologia sapendo che altrimenti avrei rischiato di incorrere in un anacronismo, poiché questo termine comparve soltanto alcuni anni dopo la morte di Herschel. Vedremo, comunque, che l’idea di confrontare i corpi celesti con gli esseri vitali che sottoposti a leggi naturali si formino, si sviluppino e infine terminino la loro esistenza, è stata centrale nell’astronomia herscheliana, e che lo stesso autore abbia spesso fatto ricorso a

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immagini che parlano del ciclo vitale degli organismi314 per far capire al lettore le interazioni e i cambiamenti nei corpi celesti. Il nostro riferimento ai cicli vitali degli organismi, potrebbe lasciare intendere che la cosmologia herscheliana fosse permeata da un’idea vitalistica dei fenomeni astronomici. Tuttavia, questa conclusione sarebbe del tutto inappropriata poiché le analogie prese dal mondo organico dovevano servire solamente a rendere comprensibile quanto egli aveva osservato, illustrando, attraverso quegli esempi, alterazioni di natura puramente meccanica per effetto dell’azione prolungata nel tempo della forza di gravità. Ciò è comprensibile se pensiamo che la filosofia naturale alla base dell’astronomia di Herschel riguardava le trasformazioni dei singoli corpi celesti, e probabilmente per questo motivo veniva sottolineata la somiglianza di questo approccio con la biologia dei corpi organici. La presenza di riferimenti alla storia naturale nell’astronomia herscheliana è ciò che la tesi si propone di illustrare e rimando alle conclusioni per le riflessioni riguardanti questi influssi reciproci.

I primi riferimenti allo sviluppo dei corpi celesti.

Nel capitolo precedente abbiamo visto come già negli appunti del 1784 Herschel avesse usato termini come “forming” o “gathering” per indicare insiemi di stelle al cui interno si poteva intuire che un processo si stava attuando, ovvero che si stava assistendo al progredire dell’aggregazione, non ancora completata, delle stelle. Vale la pena di rimarcare l’uso di questi due termini perché al momento della loro comparsa negli

314 Questa caratteristica di Herschel è ben espressa da Hoskin:

In place of a clockwork universe, therefore, William substituted one whose components underwent changes over time analogous to the life- cycles of living creatures. He classified a scattered cluster as young, a more compressed one as a middle- aged, a tightly compressed one as nearing the end of its life cycle. He redirected astronomy towards the world- picture that astronomers know today, in which there is development over time for everything from an individual star to the universe of a whole. William not only built the greatest telescopes of his day, and used them in observational campaigns the equal of any in the history of astronomy, but he deployed the data that resulted to reorientate the entire science.

M. Hoskin, The Herschel partnership as viewed by Caroline, Science History Publications, Cambridge, 2003, pp. 3-4.

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appunti Herschel non aveva ancora parlato espressamente di processi di formazione. L’importanza di essi sta proprio nella forma verbale usata, il present continuous, che indica un processo, lo ripeto, in corso, e suggerisce anche che quegli aggregati che hanno conseguito la perfetta forma globulare abbiano in precedenza dovuto percorrere le stesse fasi di raggruppamento delle stelle che possiamo osservare in quegli esemplari. Lo scritto del 1784 introduceva il lettore al nuovo tema proposto da Herschel, ovvero la “Construction of the Heavens”; e consisteva in un resoconto delle osservazioni, accompagnate da alcune riflessioni che egli considerava utili a quello scopo. In esso erano contenuti degli accenni alla presenza di materia nebulosa e di formazioni stellari, mentre i riferimenti alla storia naturale riguardavano l’uso di termini presi da quel vocabolario; su tutti “Stratum”. L’anno successivo Herschel escluse la presenza di una materia nebulosa nell’universo e preferì interpretare tutti gli esemplari osservati come aggregazioni di stelle. Alla luce degli sviluppi successivi questo ripensamento non è affatto da biasimare anzi diventa perfettamente comprensibile. L’esistenza della vera nebulosità non era ammessa da tutti, mentre erano universalmente riconosciuti gli effetti della forza di gravità sui corpi. Quindi, anche se non era ancora stato dimostrato che quella forza potesse estendere la propria azione al di fuori dei confini del nostro sistema solare, si poteva congetturare che ciò potesse avvenire, e lo stesso Herschel, tacitamente, aveva più volte fatto ricorso a questa premessa. Al momento di spiegare le anomalie rappresentate dalla M17 e dalla M27, egli si rifugiò nei noti effetti della forza e reimpostò tutta la “Construction of the Heavens” sull’azione della forza di gravità e sulla disposizione delle stelle ad essa sottoposte. Lo scritto del 1785 delineava una serie di figure in cui le stelle potevano disporsi una volta sottoposte al processo di aggregazione. Resta da vedere se queste forme rappresentassero soltanto dei modelli o se, invece non formassero una serie al cui interno avvenisse una qualche filiazione fra gli elementi. Rispetto alla semplicità dei processi messi in atto, “On the Construction of the Heavens” del 1785 presenta delle notevoli complessità per chi volesse comprendere l’opera di Herschel. Le cinque figure rappresentano casi in cui la forza di gravità agendo sulle stelle imprima loro conformazioni più o meno regolari. Non si riconosce in queste situazioni nessuna filiazione, semplicemente si tratta di possibili interazioni guidate

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dall’azione di una forza conosciuta e determinate dalle condizioni iniziali, o meglio di modelli di configurazioni verosimili date le diverse condizioni di partenza. Solamente la quinta figura, il vuoto in prossimità di aggregati, sembra essere la conseguenza finale dell’azione della forza che ha raggruppato le stelle in formazioni globulari lasciando sguarnite le zone circostanti. Nelle sue Outlines of Astronomy John Herschel indicando la differenza fra gli ipotetici processi in atto fra la parte nebulosa e quella stellare dell’universo, qualificò i primi come misteriosi mentre la spiegazione della formazione delle aggregazioni stellari era affidata ai ben noti principi della meccanica315. Lo stesso avvenne per l’ipotesi paterna del 1785, le prime due figure riguardavano aggregazioni in cui una stella più grande delle altre attraesse le stelle più vicine, oppure in cui una coppia di stelle separate da una minore distanza reciproca esercitassero insieme un’attrazione sulle stelle circostanti. Come si vede queste due situazioni non rappresentano altro che casi particolari in cui conoscendo le condizioni di partenza si delinei il modo in cui una forza agisce. Il problema è, semmai, rappresentato dal fatto che considerando i principi teorici adottati da Herschel queste due situazioni non dovrebbero esistere, o perlomeno dovrebbero essere straordinariamente rare316. Abbiamo visto nei capitoli precedenti che erano ammesse, ovviamente, delle variazioni sugli standard specifici, ovvero che non tutti gli esemplari di una stessa specie, soddisfano perfettamente le caratteristiche comuni, e che più volte Herschel ebbe modo di precisare che con i termini di dimensione e distribuzione indicava dei valori medi. Personalmente, però, ritengo che negli intervalli consentiti quelle variazioni non avrebbero permesso la rottura di quello che sembra essere un vero e proprio equilibrio, e la conseguente aggregazione delle stelle. Il mio dubbio riguarda la coerenza di questa situazione con i principi adottati da Herschel. Ciò

315

The “nebular hypothesis”, as it has been termed, and the theory of sidereal aggregation stand, in fact, quite independent of each other, the one as a physical conception of process which may yet, for ought we know, have formed part of that mysterious chain of causes and effects antecedents to the existence of separate self luminous solid bodies; the other, as an application of dynamical principles to causes of a very complicated nature no doubt, but in which the possibility or impossibility, at least, of certain general results may be determined on perfectly legitimate principles. (...) Whatever we may think of such collisions as events, there is nothing in this conception contrary to sound mechanical principles.

J. Herschel, Outlines of astronomy, Longman Brown Green and Longmans, London 1849, p. 599.

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che mi chiedo è come sia possibile che quella stessa uniformità dei caratteri fisici che gli aveva permesso di stimare la distanza di stelle e cluster, ammetta così tanti casi in cui uno o più esemplari superino quelli circostanti per dimensioni e finiscano per attrarli. Si badi bene che l’omogeneità delle dimensioni, e l’uniformità della distribuzione erano legate strettamente l’una all’altra, e in un certo senso si potrebbe dire che l’una fosse dimostrata sulla base dell’altra. Partendo dalle dimensioni e dalle differenze in esse osservabili, si possono organizzare gli oggetti in diversi ordini di distanza, mentre l’ipotesi che ogni stella sia separata dalle altre da una distanza standard, permetterà di fare supposizioni sulla loro lontananza dall’osservatore partendo dalle diverse luminosità percepite. A questo punto ciò che mi chiedo è come sia possibile che da un lato queste caratteristiche siano così generali da permettere le teorizzazioni relative a dimensioni e distanza, e la costruzione di teorie basate strettamente su di esse, mentre dall’altro si ammettano variazioni tali da far sì che una o due stelle vincano l’attrazione esercitata su di loro da tutte le altre e le avvicinino a sé. Si può senza alcun dubbio diminuire la portata di questa difficoltà considerando i lunghissimi tempi che questi processi hanno a disposizione per attuarsi, forse possiamo pensare che le prime fasi siano state trascurabili ma sufficienti ad innescare con il tempo un fenomeno a catena dovuto al fatto che la forza di gravità ha effetti direttamente proporzionali alla durata della propria azione. Resta, a mio avviso, il problema della portata e della frequenza di queste alterazioni, e non mi sembra che il nostro autore abbia fatto molto di più che indebolire, all’occorrenza, i principi formulati, oppure, forse, non si è seriamente, posto il problema. Un altro punto che rende questi primi scritti interessanti riguarda il quesito se Herschel ammettesse o meno il cambiamento fisico all’interno dei corpi celesti. Anche in questo caso mi sembra che egli abbia finito con l’adottare un atteggiamento non del tutto chiaro. Nelle pagine precedenti abbiamo rilevato l’interesse con cui furono osservate alcune differenze nell’aspetto di M42 rispetto a quanto osservato da Smith, e l’uso di termini che indicavano lo svolgimento di un processo aggregativo all’interno dei cluster di stelle. A sminuire l’importanza di questi episodi troviamo le tante volte in cui Herschel mancò di attribuire trasformazioni fisiche alle singole stelle. Come abbiamo già avuto modo di dire, fenomeni come le alterazioni di magnitudini e la comparsa o la

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sparizione di stelle erano stati generalmente spiegati ricorrendo a moti di rotazione o di traslazione delle stesse, oppure a un effetto parallattico causato da uno spostamento dell’osservatore. La variabilità delle stelle era interpretata come effetto della rotazione del corpo celeste intorno al proprio asse, in modo che fosse mostrata all’osservatore alternatamente una parte più luminosa, e successivamente una parte meno adatta ad emettere luminosità. I cambiamenti di magnitudine rispetto ai cataloghi degli autori precedenti, erano invece spiegati come effetti dell’avvicinamento, in caso la stella fosse apparsa più luminosa, o dell’allontanamento, in caso di diminuzione, rispetto all’osservatore, restava da spiegare se a muoversi fosse stata la stella oppure il sistema di riferimento dell’osservatore. Non erano quindi contemplati, almeno nel primo periodo, cambiamenti fisici dei corpi celesti; nessuna trasformazione era in atto nelle stelle. Come abbiamo già detto, la materia nebulosa negli anni che precedono l’avvistamento di NGC 1514 non sembra essere soggetta a nessuna mutazione. Come avveniva nel brano di John Herschel che abbiamo citato è esclusivamente la parte stellare a mutare, sulla base dell’azione di forze centrali che potessero spiegare il fenomeno dell’aggregazione; in particolare erano descritti i possibili effetti della forza di gravità. Grazie ad essa le stelle si muovono all’interno dei sistemi siderali cui appartengono, interagiscono con altri esemplari per formare aggregati, oppure scompongono questi ultimi formandone di nuovi. A questo punto dovremmo soffermarci sul genere di storia naturale e di cambiamento che possiamo rintracciare all’interno degli scritti precedenti il 1791. Negli anni della sua collaborazione con la Society di Bath, Herschel si era dedicato a un insieme molto vasto di argomenti, compreso un tema proprio del dibattito in atto fra i naturalisti del periodo. Questo scritto, che fu il primo presentato a quella Society, riguardava i coralli, e nello specifico la questione della generazione dei polipi che in essi trovavano un’abitazione. Per un breve periodo egli misurò le dimensioni di questi organismi, e del resto questo genere di esperienza non rappresentava una novità. I polipi nel corso del XVIII secolo erano stati studiati più volte, e lo stupore dei naturalisti riguardava proprio il fatto che essi potessero sopravvivere ai sezionamenti e rigenerare le parti di cui erano stati privati. Sulla base di ciò i filosofi naturali presero ad interrogarsi sul fatto che questi organismi fossero inscrivibili nel regno vegetale oppure

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in quello animale. In seguito furono considerati un anello di congiunzione fra i due e vennero denominati zoofiti, visto che la loro generazione non sembrava avvenire secondo i metodi seguiti dal mondo animale. Come abbiamo notato in precedenza, Herschel mancò di occuparsi della questione, e l’unico commento a chiosa del resoconto delle sue misurazioni riguardava la filosofia leibniziana, e l’armonia individuabile nel mondo. In realtà egli si era concesso un riferimento al problema, che forse considerava risolto, parlando di vegetazione attuata nei coralli e aggiungendo che non era osservabile nessun segno di vita in essi, ma in quelle annotazioni non possiamo rintracciare nessun cenno al dibattito relativo alla classificazione di questi organismi. Proseguendo a parlare degli scritti successivi, troviamo, oltre alla lettera a Maskelyne del 1782, alcuni riferimenti alla storia naturale consistenti nell’adattamento dei suoi termini alle questioni astronomiche, o di esempi relativi alle situazioni in cui si svolgeva il lavoro di un naturalista. Ne sono esempio l’uso del termine strato all’interno degli scritti del 1784 e del 1785, l’ipotesi di poter, in futuro, osservare la Via Lattea come si osserva una montagna, ed i riferimenti all’idea di specie. A mio avviso, in questo atteggiamento Herschel sembra attenersi al significato letterario del fare storia, ovvero fornisce una descrizione di ciò che ha davanti agli occhi. Le cinque forme cui abbiamo accennato rappresentano è vero un cambiamento, ma sembrano soprattutto elencare le modalità di azione delle forze in atto, e, se come è vero, prevedono un’interazione fra gli esemplari, la loro enunciazione si limita a elencare dei modelli cui l’aggregazione delle stelle avrebbe dovuto conformarsi. Le serie di esemplari in cui si organizzano i tre cataloghi rappresentano come determinati caratteri si manifestano nei diversi raggruppamenti, ma non indicano nessuna derivazione fra le classi considerate se non un graduale aumento della condensazione delle stelle all’interno dei cluster. Un altro concetto che dobbiamo esaminare per chiarire se in quei primi anni fosse individuabile un processo di cambiamento nei corpi celesti osservati è quello di “Step”. In molte delle osservazioni del 1783 e del 1784 (ed in quelle successive), Herschel confrontò gli esemplari che stava vedendo con altri esaminati in precedenza. Generalmente egli si era limitato a registrarne le somiglianze, in altre circostanze annotava che l’esemplare considerato poteva essere una miniatura di un altro (ovvero che i due erano molto simili ma uno aveva dimensioni

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molto più piccole dell’altro), infine in alcune situazioni egli aveva creato una catena di somiglianze e individuato in una nebulosa il passaggio di congiunzione (lo step appunto) con altre. Il tenore di questi brani può essere rappresentato da questo appunto del 22 maggio 1784:

A cluster of stars in respect to size to the whole distance and magnitude of the stars a good migniature [sic] of Mess. 19. The colour of the stars still preserve a faint red about ! degree or 2’ diameter. It may be called the next step to an easily resolvable Nebula.317

In altre occasioni era stato usato il termine “Link” al posto di “Step”, ad esempio in un’annotazione del 31 luglio 1783 l’astronomo descrive la nebulosa M17:

A singular nebula. Seems to be the link to join the Neb. In Orion to others for this is not without a possibility of beg stars (….). I think a great deal more light & a much higher power would be of service.318

Il problema che si pone a questo proposito è come interpretare i riferimenti ai passaggi che collegano una nebulosa all’altra. Dobbiamo ipotizzare che si tratti di due momenti successivi e che la nebulosa M17 sia un passo intermedio di una successione di istanti che porta dalla nebulosità lattea della M42 a nebulosità risolvibili? Oppure dobbiamo considerarla una progressione di ordine spaziale in cui la nebulosa M17 è posta a una distanza intermedia fra quella della nebulosa in Orione e quelle di nebulose risolvibili? Nei due esempi citati credo che la serie di esemplari segua un ordine puramente spaziale. Il brano che ho omesso nella seconda citazione riguarda gli ingrandimenti usati con il telescopio 20 piedi, ma credo che basti il richiamo alla necessità di avere più luce perché la difficoltà di osservare torni a riguardare la distanza degli esemplari. Potremmo anche domandarci come si concilino questi due brani con i riferimenti a nebulose che si stanno formando, e con la cosmologia del 1785 in cui le interazioni erano descritte attraverso un elenco di cinque modelli. Credo che in quel primo periodo convivessero le due tipologie

317 RAS MS Herschel W. 2/1.9 p. 11 318 RAS MS Herschel W. 2/1.6 p. 28

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di successioni, da un lato quella di ordine spaziale esemplificata dai brani che abbiamo citato poco fa, dall’altro quella dei possibili cambiamenti a cui la disposizione di stelle poteva essere sottoposta durante l’aggregazione. Questo secondo aspetto può essere illustrato da questo brano del 17 luglio 1784:

A cluster of not very compressed stars; closet in the middle. It may be compared to a cluster which is forming or gathering & not yet arrived to the state of those that are more advanced or contain more stars.319

Il richiamo ai cluster che sono in via di formazione è espresso attraverso l’uso dei già citati termini “Forming” e “Gathering,” e degli elementi di disturbo che possono aver rallentato il processo aggregante, e dimostra che si intende una successione di momenti attraverso cui si realizza un determinato sviluppo. Tanto più che la stessa serie di modelli fornita nel 1785, e basata sulla precedente osservazione di esemplari, prevede il fatto che il raggruppamento delle stelle si attui gradualmente e progressivamente.

Quindi dire che in quei primi anni Herschel non era interessato a rintracciare un cambiamento all’interno dei corpi celesti è un’affermazione destinata a rivelarsi una grossa semplificazione. Oltre alle osservazioni e agli scritti riguardanti le nebulose e gli aggregati di stelle, alcuni esempi presi dai testi pubblicati a proposito di altri argomenti potranno aiutarci a chiarire in che modo il concetto di sviluppo graduale dei corpi celesti sia sempre stato contemplato all’interno della cosmologia herscheliana. Abbiamo già detto che l’occasione per indagare il moto del Sole fu data dalla consapevolezza che alcune stelle avevano cambiato di magnitudine nel corso del tempo. Invece che indicare la causa in un cambiamento fisico del corpo celeste, Herschel attribuì il cambiamento a uno spostamento della stella rispetto all’osservatore, mentre le variabilità di altre stelle era vista come un effetto della rotazione dell’astro intorno al proprio asse. Soltanto in un secondo momento egli accennò ad alterazioni fisiche delle stelle. Inizialmente, l’osservazione della nebulous

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star lo spinse a riammettere nella propria cosmologia la vera nebulosità. Questo passo a sua volta lo convinse a interrogarsi su cosa avvenisse di questa materia, ovvero su quale fosse la sua relazione con le stelle. Forse incoraggiato da quella scoperta dette vita ad uno sviluppo cosmologico in cui le particelle della luce proveniente dalle stelle fossero anche esse sottoposte all’azione della gravità e venissero in un primo momento deviate dal loro moto, e successivamente raggruppate insieme fino a formare un fluido. Quest’ultimo a sua volta sotto gli effetti di quella forza, si coagulerà fino a formare le stelle che successivamente si aggregheranno in clusters, ed emetteranno luce le cui particelle torneranno a formare il fluido nebuloso. In altre occasioni Herschel descrisse le stelle come se fossero sottoposte a veri e propri processi vitali. Ad esempio la superficie solare mostrava delle turbolenze in cui il nostro astronomo riconobbe i segni di una maggiore o minore attività di emissione della luce. Dopo aver stabilito che le manifestazioni di una grande attività fossero nel tempo più frequenti rispetto alle indicazioni di una scarsa dinamicità, Herschel paragonò queste ultime a una vera e propria indisposizione del nostro astro, mentre il ritorno ad una maggiore attività fu assimilato a una vera e propria guarigione 320. In un altro scritto il confronto del Sole con le tante stelle variabili lo aveva convinto dell’opportunità di narrare la biografia di questi corpi celesti in modo di poter prevedere i futuri cambiamenti del nostro Sole321. Questa biografia fu, finalmente, realizzata attraverso una serie di esemplari che unì la parte nebulosa e la parte stellare dell’universo (1811- 1814). Alla luce di questo riepilogo possiamo, forse, riconoscere di aver frettolosamente affermato che la materia nebulosa e le singole stelle non erano sottoposte a cambiamenti. Se ciò è vero negli scritti dei primi anni, a partire dal 1791 entrambe iniziarono a mutare significativamente. La stessa sopravvivenza di questi oggetti era garantita dall’approvvigionamento di nuova materia, grazie alle comete

320 W. Herschel (1801) in HSP (2003), vol. 2, p.175. 321 W. Herschel (1796d) in HSP (2003), vol. 1, p.562

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(per impatto o spostamento di materia nebulosa322), all’avvicinamento a nebulosità323, oppure a collassi di aggregati di stelle dovuti al protrarsi dell’azione della forza di gravità324. Nel susseguirsi delle varie teorie furono molte le specie di corpi celesti che ricoprirono più o meno esplicitamente la funzione di “laboratori” dell’universo. Possiamo rintracciare l’idea di sviluppo piuttosto precocemente già nei primi scritti collegati alla cosmologia, ma se i riferimenti riguardanti la parte stellare dell’universo erano chiari e evidenti, per quanto riguarda la parte nebulosa i cambiamenti erano taciuti o semplicemente abbozzati attraverso richiami ai laboratori dell’universo o ad argomentazioni che rimanevano comunque isolate. Probabilmente l’ammissione esplicita di cambiamenti e processi di sviluppo della materia nebulosa e delle singole stelle avrebbe fornito a Herschel più problemi da risolvere che soluzioni. La scomparsa della parte nebulosa a partire dalla Construction of the Heavens pubblicata nel 1785 fu determinata dal fatto che molte nebulose finivano per mostrare segni di una composizione stellare man mano che aumentavano le potenzialità degli strumenti usati. Il dato di fatto che con l’aumentare dei poteri di ingrandimento e di risoluzione usati le nebulose mostrassero pressoché immancabilmente la presenza di stelle contribuiva a far diminuire la convinzione che le nebulose non risolte fossero composte da un altro tipo di materia, e creò la persuasione che esse non fossero altro che ammassi di stelle posti a una maggiore distanza rispetto alle nebulose risolvibili. Allo stesso modo l’idea che le stelle potessero subire dei cambiamenti fisici avrebbe potuto minare le fondamenta stesse del castello teorico sviluppato da Herschel nel corso degli anni rendendo impossibili teorie come quelle relative al moto del sole, alla parallasse, alla sezione della Via Lattea. Nelle pagine precedenti abbiamo parlato della fiducia riposta nel principio teorico relativo all’omogeneità delle dimensioni delle stelle. In realtà abbiamo omesso un primo passaggio che a questo punto ci sarà utile a descrivere l’atteggiamento del nostro astronomo verso l’idea di sviluppo dei

322 W. Herschel (1795) in HSP (2003), vol. 1, p. 478.

W. Herschel (1812) in HSP (2003), vol. 2, p. 513.

323 W. Herschel (1814) in HSP (2003), vol. 2, p. 526. 324 W. Herschel (1785b) in HSP (2003), vol. 1, p. 259.

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corpi celesti. Un’annotazione del 1775 riporta il tentativo di assegnare una misura ad alcune delle maggiori stelle fisse, e dobbiamo precisare che non si trattava di una comparazione della loro luminosità, né di un confronto fra i loro diametri apparenti. Leggendo quell’appunto sembra proprio che Herschel stesse cercando di stimare le loro dimensioni ammettendo così che esse non avessero tutte caratteristiche simili l’una con l’altra ma che anzi alcuni esemplari superassero largamente gli altri per grandezza. Gli appunti si trovano nelle prime pagine delle annotazioni sulle stelle fisse, in particolare in quelle che risalgono al 1775. In quelle righe sono assegnati dei valori numerici a ciascuna stella a cui segue un breve commento riguardante la loro grandezza e la loro luminosità. Troviamo, quindi, una lista di stelle per ciascuna delle quali egli avanzò una stima delle possibili dimensioni, spesso servendosi del confronto con altri esemplari. Per fare alcuni esempi:

Capella is the largest star and is far from us Arcturus is like our sun or a little larger Aldebaran is a little star, and near us Syrius is a small star, and very near us325

Al 1 ottobre 1779 risale, invece, la formulazione esplicita del noto principio teorico ovvero:

let the stars be supposed to be about the same distance of the Sun

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let the difference in their apparent magnitudes be owing to their different distances. So that a star of the 2nd, 3rd, 4th, &c; magnitude is two, three, four &c times as far off as one

of the first326.

Figura 13 la prima riflessione sulla relazione fra magnitudine apparente e distanza delle stelle327

326Questa esposizione si trova in RAS MS Herschel W. 4/1 p. 14 (annotazione del 1 ottobre 1779) con una

formulazione identica a quella pubblicata nelle Transactions del 1782: W. Herschel (1782) in HSP (2003), vol. 1, p. 52. Lo stesso principio compare anche in RAS MS Herschel W. 2/1 p. 49 (annotazione che presumibilmente risale al gennaio del 1778) e in Anche il grafico che illustra il modo in cui l’osservazione di stelle doppie possa rivelarsi utile al calcolo della parallasse subisce poche variazioni nelle annotazioni rispetto a quanto pubblicato nelle Transactions (si confronti RAS MS Herschel W. 2/1 p. 50; RAS MS Herschel W. 4/1 p. 14; e W. Herschel (1782) in HSP (2003), vol. 1, p. 53). Possiamo quindi azzardare che la prima formulazione del 1778 abbia rappresentato la forma ipotetica di quanto dimostrato successivamente, e che l’annotazione dell’ottobre 1779 sia stata la preparazione definitiva del brano contenuto in “On the Parallax of the fixed Stars”.

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La domanda che possiamo porci a proposito di queste affermazioni è se siamo davvero sicuri che nelle annotazioni del 1775 non siano contenute stime relative a una grandezza assoluta, oppure se non si tratti di un confronto fra l’apparenza delle diverse stelle.

Figura14 l’appunto del 1778328

Possiamo dimostrare la bontà della nostra affermazione che nel 1775 Herschel volesse intendere le grandezze fisiche e non apparenti delle stelle, notando per prima cosa che il Sole rientra nell’elenco, e che se si fosse trattato di un’approssimazione basata sulla distanza avrebbe dovuto essere considerata la stella maggiore e non una stella della stessa grandezza di Arcturus se non più piccola. Lo stesso discorso può essere fatto per quanto riguarda Sirio, generalmente considerata la stella più luminosa, mentre in queste righe è descritta come una stella piccola ma molto vicina a noi. Infine, Capella è considerata la stella più grande malgrado la sua lontananza da noi. Da questi elementi emerge come fra distanza e magnitudine non fosse possibile stabilire una relazione tale da fondare su di essa quei ragionamenti che abbiamo visto caratterizzare il resto dell’opera astronomica di Herschel. L’interpretazione che possiamo darne è che il prosieguo delle osservazioni, insieme, forse, alle esigenze del momento abbiano spinto Herschel a limitare le differenze fisiche fra una stella e l’altra e restringerle all’ambito delle variazioni specifiche. Anche se un quadro come quello descritto dall’appunto avrebbe spiegato le variazioni rispetto alla media delle dimensioni delle stelle richieste dalla cosmologia del 1785. Le affermazioni contenute negli appunti del 1775 non furono più riprese, nemmeno in quelle occasioni in cui si assisteva ad un ripensamento a

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proposito del principio dell’uniformità delle dimensioni. Che si sia trattato di una scelta di ordine pratico, oppure se in ciò Herschel si sia sentito autorizzato da quanto osservava resta il fatto che almeno in un primo momento le stelle hanno potuto variare notevolmente per dimensioni, forse molto più di quanto un naturalista avrebbe potuto ammettere osservando il mondo organico sul nostro pianeta. D’altra parte ammettere che una stella possa svilupparsi in qualche modo renderebbe impossibile l’utilizzo di quel principio teorico: come si potrebbe infatti distinguere fra una stella in via di formazione, ed una stella la cui lumonosità sia diminuita dalla distanza? Forse non è un caso che soltanto negli ultimi anni egli abbia sviluppato una serie che raccontasse la nascita, la vita e la morte dei corpi celesti, e diminuito la portata del principio di uniformità ammettendo variazioni, parlando di grandezze medie, e infine fornendo un metodo osservativo per misurare quanto l’uso di strumenti diversi possa incidere sull’aspetto dei corpi celesti, in modo di limitare le ambiguità a cui l’osservazione astronomica sembra essere immancabilmente soggetta. Negli scritti del 1817 e del 1818 le diverse grandezze delle stelle vengono tacitamente ammesse ed un nuovo metodo osservativo aiutò Herschel a interpretare quanto aveva visto ed a stabilire la distanza di quegli oggetti. Tornando al problema dei cambiamenti riscontrabili nei corpi celesti, o meglio la loro formazione e degenerazione, possiamo vedere come, prima della serie del 1811, Herschel abbia avuto un atteggiamento piuttosto cauto limitandosi a pochi accenni. Lasciando da parte gli scritti sulla natura del Sole e sulle variazioni nella posizione dei componenti di stelle doppie, le occorrenza di alterazioni nella materia nebulosa sono presenti nella memoria del 1791 sulle nebulous stars, che come abbiamo detto corrispose a un momento di grande slancio, mentre questa possibilità è taciuta nello scritto del 1784, anche se in quel periodo la materia nebulosa era ancora presente nell’universo e disposta, come le stelle, in strati. I richiami alla degenerazione degli aggregati sono più frequenti. La ragione di ciò è probabilmente dovuta al fatto che le interazioni fra le stelle erano state largamente ammesse e che, quindi, il fatto che il proseguimento dell’azione della forza di gravità portasse alla distruzione degli aggregati non soltanto era largamente plausibile, ma questa possibilità fu valutata da Herschel anche negli scritti

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sulle forze centrali329. Semmai ciò che dobbiamo considerare è che ad essere prossime alla dissoluzione fossero le nebulose planetarie, e che soltanto il cambiamento teorico del 1791 permise loro di cambiare posto all’interno del processo cosmologico e di diventare uno dei passi immediatamente precedenti la formazione delle stelle.

La forza di gravità.

Grazie ai richiami ed alle analogie con l’ambito della storia naturale, Herschel poté introdurre nuovi concetti la cui descrizione lo avrebbe altrimenti impegnato in una lunga parafrasi; è il caso del termine “stratum”, dell’uso dell’idea di specie, e dei tanti esempi che riguardavano l’attività di un naturalista. Il ponte gettato fra il mondo vivente delle piante e degli animali e quello apparentemente immutabile dei corpi celesti gli permise di spiegare come questi ultimi potessero essere soggetti a processi che contemplavano vere e proprie alterazioni e che per questo motivo diventavano confrontabili con i cambiamenti osservabili nella vita degli organismi, anche se nel caso dei fenomeni astronomici si trattava esclusivamente di trasformazioni meccaniche dovute all’azione della gravità nel tempo. Come sulla Terra gli esseri viventi nascono, e attraverso varie fasi intermedie crescono, interagiscono con altri, e infine periscono, nello stesso modo l’astronomo potrebbe assistere a comparse e scomparse degli oggetti osservati, ed alle loro interazioni con gli individui vicini. Soltanto la durata di quei processi gli impedisce di essere testimone dello svolgersi di queste. Per superare questa difficoltà, sconosciuta al botanico, Herschel introdusse il lettore ad un nuovo modo di comparazione degli esemplari, spiegato dal ben noto esempio del giardino. In questo modo, attraverso la raccolta di specimen di diversi momenti dello sviluppo il tempo biologico delle piante, e il tempo astronomico divennero finalmente confrontabili. L’adozione di una prospettiva sincronica fece in modo che le trasformazioni di un corpo celeste potessero essere narrate attraverso la descrizione di un numero di classi di esemplari corrispondente alle singole fasi di sviluppo individuabili. Analogamente la vita di una pianta poteva essere indagata osservando ed ordinando appropriatamente dei campioni rappresentanti i

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diversi momenti del suo processo vitale, in alternativa la successione di quegli stessi momenti poteva essere osservata nel corso del suo attuarsi. Questa scelta spettava, come abbiamo già detto, al botanico e non all’astronomo che al contrario non sarebbe vissuto sufficientemente per esserne testimone diretto. La prospettiva sincronica permise, dunque, di superare le difficoltà relative alla durata temporale. Un altro problema che sorgeva dal considerare i corpi celesti simili a quelli organici riguardava la forza che avrebbe dovuto determinare lo sviluppo di quegli oggetti. In altre parole, perché l’analogia funzionasse, doveva essere scoperto quale agente fosse in grado di guidare le trasformazioni cui i corpi celesti sono sottoposti. Questo agente fu, pressoché da subito, rintracciato in una qualche forza centrale, che a sua volta fu presto riconosciuta nella forza di gravità. Come abbiamo visto nel secondo capitolo la fiducia riposta da Herschel nel sistema del mondo newtoniano era tale che lui stesso la definì venerazione. Sin dalla presentazione dei suoi primi lavori alla Society di Bath, egli affrontò il problema delle forze centrali e degli effetti della loro azione. Anche se è perfettamente riconoscibile che fosse la forza di gravità a determinare i processi descritti negli scritti cosmologici, questa dimostrazione non si sviluppò linearmente, ma presentò alcuni ripensamenti. Herschel talvolta affermava in maniera esplicita che fosse la forza di gravità a guidare le trasformazioni dei corpi celesti, mentre talaltra la nascondeva dietro denominazioni ben più generiche. Un rapido excursus dei brani in questione ci aiuterà a vedere come venga dimostrato che è una forza centrale a trasformare la materia nebulosa e ad aggregare le stelle, e che questa forza è la forza di gravità.

In “On the Construction of the Heavens” del 1785, Herschel non sembrò avere dei dubbi riguardo la natura della forza aggregante che determina la formazione dei cinque modelli di aggregazione. Egli dovette anche considerare le possibili obiezioni alla propria teoria ed i possibili effetti distruttivi della prosecuzione dell’esercizio di questa forza su un aggregato di stelle330. Nell’affermare che era la forza di gravità a essere il motore di quelle operazioni egli aveva significativamente aggiunto che quella forza

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senza dubbio estendeva la propria azione al di là dei confini del nostro sistema solare 331. Quest’affermazione diventa degna di nota se ricordiamo che una tale estensione della gravità all’epoca era senza dubbio accettata pur non essendo ancora stata dimostrata. L’elenco delle cinque forme presentato in questa memoria mostra altrettanti modi in cui la forza di attrazione avrebbe potuto modellare gli aggregati di stelle. Nel 1789, nei Remarks teorici che precedevano il secondo catalogo di nebulose, Herschel usò più nomi per indicare quella forza che guidava la formazione degli aggregati. In un primo momento egli adottò il termine “constructing cause”332 a cui seguì quello di “central power”333 responsabile della figura sferica dei cluster. Allo stesso tempo indicò la nota forza di gravità come responsabile dell’aggregazione di stelle insieme ad altre forze centrali che ad essa avrebbero potuto aggiungersi nella formazione di quei clusters che avessero mostrato una maggiore concentrazione di stelle nel centro.

Were we not already acquainted with attraction, this gradual condensation would point out a central power, by the remarkable disposition of the stars tending towards a center. In consequence of this visible visible accumulation, whether it may be owing to attraction only, or whether other powers may assist in the formation, we ought not to hesitate to ascribe the effect to such as are central; no phaenomena being more decisive in that particular, than those of which I am treating.334

Questa citazione dimostra che una formazione casuale di quei cluster sarebbe stata altamente improbabile soprattutto considerando caratteristiche quali la maggiore

331

The laws of attraction, which no doubt extend to the remotest regions of the fixed stars will operate in such a manner as most probably to produce the following remarkable effects.

W. Herschel (1785b) in HSP (2003), vol. 1, p. 224

332 W. Herschel (1789b) in HSP (2003), vol. 1, p. 335. 333

Now, as it has been shewn that the spherical figure of a cluster of stars is owing to central powers…

W. Herschel (1789b) in HSP (2003), vol. 1, p. 336.

Un altro riferimento alle forze centrali è in W. Herschel (1789b) in HSP (2003), vol. 1, p. 333.

334In corsivo nel testo

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concentrazione delle stelle in prossimità del centro. D’altro canto Herschel fece presente che non soltanto una tale caratteristica dimostrava che le aggregazioni sono state determinate dall’azione di una forza centrale ma che dato che conosciamo la forza di gravità, i suoi effetti, ed il modo in cui agisce possiamo ammettere che sia quella stessa forza a guidare quel processo, eventualmente aiutata da altre forze centrali. Vedremo fra poco che questo tipo di ragionamento tornerà a essere presentato anche in comunicazioni successive. Nell’articolo sulle nebulous stars, due anni più tardi Herschel tentò di dimostrare che la coagulazione della materia nebulosa porta alla formazione di stelle, e che, in particolare quegli esemplari da lui definiti stelle nebulose in cui un corpo centrale luminoso era circondato da un’aureola nebulosa più o meno estesa erano da considerarsi un passo precedente il compimento del processo di condensazione. Anche in questo caso vennero fatte delle riflessioni sulla forza che indirizza queste trasformazioni. L’argomentazione si articola attraverso una descrizione degli esemplari osservati nel corso degli anni e alla dimostrazione del fatto che in essi troviamo una connessione fra la loro parte nebulosa e quella stellare. La forza di gravità venne nominata quando Herschel avanzò l’ipotesi relativa la formazione della materia nebulosa. Egli propose che le particelle che compongono la luce potessero essere deviate nel loro percorso da alcune forze. Nella formulazione di quell’ipotesi tornarono ad essere nominate, oltre all’attrazione, anche le altre quattro forze che egli aveva esaminato durante gli anni trascorsi a Bath:

But such a cause cannot be difficult to guess at, when we know that light is so easily reflected, refracted, inflected and deflected; and that in the immense range of its course, it must pass thro’ innumerable systems where it cannot but frequently meet with many obstacles to its rectilinear progression. Not to mention the great counteraction of the united attractive force of the whole sidereal systems, which must be continually exerting their power upon the particles while they are endeavouring to fly off.335

Si trattava solamente di una supposizione, e lo stesso autore dichiarò di non avere ancora i mezzi per dimostrarne la validità. È però interessante notare che all’interno di quella

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comunicazione così importante la forza di gravità venne menzionata per spiegare la formazione della materia nebulosa, ruolo che avrebbe esercitato insieme ad altre forze centrali. Lo sviluppo delle stelle è ovviamente trattato, come viene nominata la condensazione della materia nebulosa, ma non viene detto quale forza sia alla base di quei processi. La forza di gravità entrò, dunque, in scena soltanto nella congettura riguardante le trasformazioni cui potrebbe essere sottoposta la luce e che avrebbero portato alla formazione della materia nebulosa. Probabilmente la finalità di questa comunicazione giustifica il non aver definito maggiormente la forza che determina il passaggio da uno stato puramente nebuloso alla formazione delle stelle. Abbiamo già detto che a questo scritto corrispose un grave cambiamento nella teoria seguita da Herschel che fu costretto ad ammettere di nuovo l’esistenza di una materia nebulosa, quindi, possiamo supporre che in quelle pagine egli non fosse interessato a spiegare nel dettaglio i momenti della trasformazione di quest’ultima. Ciò che lo preoccupava era, piuttosto, la giustificazione del ritorno sui suoi passi, e la dimostrazione di un’effettiva esistenza di una vera nebulosità nell’universo. Le forze considerate rientrano nella spiegazione della sua formazione e non nelle sue successive alterazioni, forse semplicemente perché lo aveva ritenuto un passo affrettato. Nel terzo ed ultimo catalogo di nebulose del 1802, Herschel accompagnò la collezione di cinquecento nebulose in esso contenute con una serie di riflessioni teoriche riguardanti diverse tipologie di oggetti, alcune di natura stellare336 ed altre di natura nebulosa337. In quelle pagine venne tentata una descrizione delle interazioni fra i diversi tipi di esemplari, e la forza di gravità assunse un ruolo attivo nella formazione e nelle interazioni degli oggetti; le stelle doppie furono spiegate come sistemi fisici di stelle, e le diverse aggregazioni furono a loro volta presentate come un effetto di quella forza su più stelle. Principalmente mi sembra rilevante la serie di ipotesi riguardanti la natura del centro attrattivo attorno a cui si organizzano i sistemi stellari, più o meno complicati. L’argomentazione herscheliana è

336Stelle singole, stelle doppie, sistemi di stelle più complicati, clustering stars, gruppo di stelle, cluster,

nebulose,stellar nebulae sulla natura stellare di queste ultime Herschel mostrava alcuni dubbi.

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impostata sul confronto dei sistemi planetari con le possibili orbite di componenti di coppie di stelle, a questo proposito Herschel scrisse:

In each solar system, we have a very ponderous attractive centre, by which all the planets, satellites, and comets are governed, and kept in their orbits. Sidereal systems take a greater scope; the stars of which they are composed move round an empty centre, to which they are nevertheless as firmly bound as the planets to their massy one (…). I shall only add, that in the subordinate bodies of the solar system itself, we have already instances, in miniature, as it may be called, of the principle whereby the laws of attraction are applicable to the solution of the most complicated phenomena of the heavens, by means of revolutions round empty centres. For, although both the earth and its moon are retained in their orbits by the sun, yet their mutual subordinate system is such, that they perform secondary monthly revolutions round a centre without a body placed in it.338

In questo brano, dunque Herschel si interrogò sulla natura dei centri attrattivi dei sistemi stellari, poco oltre ricorse alla forza di gravità per spiegare la natura delle stelle doppie, anche ricorrendo alla motivazione che una disposizione casuale non avrebbe potuto spiegare tutti gli esemplari osservati e che quindi occorreva l’azione di una qualche legge naturale. Poiché è nota la legge di gravità che vincola i corpi l’uno all’altro, sarà possibile spiegare le diverse coppie di stelle con l’azione di questa forza. Allo stesso modo sarà possibile interpretare il moto del Sole come un effetto dell’attrazione esercitata dalle stelle o da loro sistemi339. Infine la forza di gravità, e la presenza di un centro di attrazione, sono esplicitamente chiamati in causa nei paragrafi che trattavano dei cluster di stelle340 mentre a proposito di oggetti di natura nebulosa come le planetary- nebulae, le planetary nebulae con centro e le nebulous stars, Herschel parlò di una

338 W. Herschel (1802) in HSP (2003), vol. 2, p. 202.

La spiegazione dei moti delle stelle doppie è contenuta in W. Herschel (1803b) in HSP (2003), vol. 2, pp. 250- 276 ed in W. Herschel (1804) in HSP (2003), vol. 2, pp. 277- 296.

339Entrambe queste argomentazioni si trovano in

W. Herschel (1802b) in HSP (2003), vol. 2, p. 204.

340 Nel commentare i gruppi di stelle invece egli rilevò, invece che mancavano i segni dell’azione di una

ipotetica forza centrale.

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progressiva condensazione della materia nebulosa graduale ma non nominò espressamente la nota forza di gravità. Negli articoli del 1811 e del 1814 la dimostrazione trovò finalmente il proprio compimento. Nel corso di quelle pagine, infatti, non soltanto si dimostrò la connessione fra gli oggetti di natura nebulosa e quelli di natura stellare, ma venne provato anche che è la stessa forza a determinare le trasformazioni di quegli oggetti. Nel primo di questi due articoli si descrive, l’attuazione di un processo di coagulazione della materia nebulosa attraverso una serie di classi di esemplari. Nello spiegare come esso possa svolgersi, Herschel non nominava esclusivamente la forza di gravità. Inizialmente venne nominato un generico “condensing power”, subito dopo si aggiunse che questo principio potrebbe non essere altro che la forza di gravità. Il ragionamento può essere espresso da questa citazione:

Instead of inquiring after the nature of the cause of the condensation of nebulous matter, it would indeed be sufficient for the present purpose to call it merely a condensing principle; but since we are already acquainted with the centripetal force of attraction which gives a globular figure to planets, keeps them from flying out in their orbits in tangents, and makes one star revolve around another, why should we not look up to universal gravitation of matter as the cause of every condensation, accumulation, compression, and concentration of the nebulous matter?341

Prima di questo momento erano stati fatti altri riferimenti alla forza di gravità, ma mai era stato così esplicito il ragionamento che spiegava come la forza che guidava i processi di coagulazione e condensazione che animavano la cosmologia herscheliana fosse la medesima che aveva guidato la formazione dei pianeti, tutti i loro moti e quelli delle stelle. Non si trattava in questo caso del solito principio di economia che vietasse di adottare cause diverse per fenomeni simili, cui tante volte Herschel aveva fatto appello nel corso degli anni342. Senza dubbio l’essere riuscito a dimostrare attraverso l’osservazione di stelle doppie che quella forza estendeva i suoi effetti al di là dei confini del sistema solare aveva contribuito a sciogliere le ultime riserve in merito. I moti di

341 W. Herschel (1811) in HSP (2003), vol. 2, p. 468. 342 Una prima espressione di quel principio è in

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alcune stelle doppie avevano dimostrato la validità dell’ipotesi di Michell, ovvero che le stelle doppie osservate erano coppie fisiche di stelle e non semplici illusioni ottiche. Da quel momento trovò conferma il sospetto che i moti osservati all’interno del sistema solare erano soltanto uno dei tanti esempi di come la gravità possa agire. Non è un caso che Herschel poggiasse la propria affermazione che fosse quella forza a guidare la coagulazione della materia nebulosa sul fatto che l’osservazione ha documentato che l’attrazione ha effetti simili in circostanze note: la forma dei pianeti, il loro moto e quello delle componenti delle stelle doppie. In un certo senso potremmo azzardarci a dire che i moti dei pianeti attorno a un centro attrattivo abbiano fornito un modello che a sua volta ha reso concepibile quello delle stelle doppie, e che allo stesso modo la forma globulare dei primi abbia permesso di spiegare come la materia nebulosa possa acquisire quella stessa forma durante il processo di coagulazione. Se è così possiamo dire che ancora una volta una serie di somiglianze ha fornito le basi per estendere la portata dell’azione di una forza conosciuta, non solo perché una stessa causa debba avere effetti simili, perché per dimostrarlo sarebbe bastata l’analogia pianeti- nebulose globulari, ma anche perché l’analogia fra moti dei pianeti e moti delle stelle doppie, che qui viene sottaciuta, avrebbe giustificato l’esistenza di nebulose doppie che in quelle pagine stava commentando. In questo caso Herschel si limitò a elencare alcuni fenomeni e forse snaturiamo il suo operato con questa spiegazione, resta però il fatto che questi fenomeni non sembrano essere stati scelti casualmente. Possiamo anche limitarci a vedere nella serie dei tre fenomeni citati una dimensione spaziale, la forma dei pianeti, e il loro moto, infine la considerazione di oggetti più lontani, ovvero le coppie di stelle doppie. Purtroppo non sono citati in questa serie i moti propri delle stelle, la loro aggregazione all’interno dei cluster, e infine la tendenza di questi ultimi ad acquisire una forma globulare. Questa mancanza può, però, essere spiegata pensando che quei fenomeni rientravano nella parte stellare dell’universo e che in un certo senso mancavano al momento di una conferma osservativa universalmente accettata. Dobbiamo comunque ricordare che l’osservazione di moti all’interno delle stelle doppie aveva finalmente dimostrato che la forza di gravità estendeva la propria azione al di là dei confini del nostro sistema planetario, e quindi potremmo anche osare affermare che l’analogia fra i

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moti dei pianeti e i moti delle stelle permetteva di estendere l’argomentazione basata sulla forma globulare a oggetti ben più lontani dei pianeti che orbitano intorno al nostro Sole. Le somiglianze fra diverse tipologie di oggetti, come abbiamo visto, hanno più volte soccorso Herschel permettendogli, attraverso ragionamenti analogici, di estendere caratteri conosciuti e spiegazioni accettate a oggetti più remoti. L’acquisizione della forma globulare, in particolare, fu uno dei caratteri in cui egli riconobbe maggiormente il progredire del processo descritto. Nello stesso modo in cui la presenza di determinate caratteristiche svelano il crescere e l’invecchiare di una persona343, possiamo dire che la globularità dimostrava meglio di qualunque altra qualità lo stato dello sviluppo degli oggetti osservati, fossero essi comete, nebulose, stelle, o loro aggregati. Altri effetti del modo di agire della forza di gravità interessarono il nostro astronomo sin dai primi anni, e nelle prossime pagine riprenderemo la questione di come l’effetto distruttivo del progredire dell’azione dell’attrazione potesse inserirsi nella cosmologia, o meglio di come l’universo possa sopravvivere all’azione di quella stessa forza che guida tutti i processi osservabili al suo interno. Per adesso limitiamoci a esaminare gli ultimi passi della dimostrazione del fatto che sia una stessa forza, la gravità, a guidare le trasformazioni di stelle e nebulose. Nel corso dell’organizzazione di nebulose proposta nello scritto del 1811 il termine “condensing power” tornò ad essere usato anche nel paragrafo dedicato a quegli esemplari di nebulose che iniziano a mostrare una maggiore luminosità nel centro e ancora una volta a questa dizione seguì l’affermazione che è la forza di gravità a determinare quello sviluppo344. In quel caso anzi Herschel era interessato ad esaminare il motivo per cui quelle nebulose potessero continuare a mostrare una forma indefinita indicando fra i possibili motivi la disposizione della

343 Il riferimento è all’analogia proposta nel 1811 fra la serie di specie e una successione di ritratti di una

stessa persona dipinti a distanza di un anno l’uno dall’altro che commenteremo nel corso del quinto capitolo

W. Herschel (1811) in HSP (2003), vol. 2, p. 460.

344 In quelle pagine comparve anche il termine “forming cause che venne riferito alle figure globulari dei

pianeti e dei satelliti:

W. Herschel (1811) in HSP (2003), vol. 2, p. 476. si veda anche

W. Herschel (1811) in HSP (2003), vol. 2, p. 479,

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materia nebulosa, la scarsa intensità del centro attrattivo o, infine, la brevità del tempo trascorso dall’inizio della condensazione345. Il progredire della classificazione degli esemplari rende la stesura di queste pagine qualcosa di diverso da una semplice descrizione di esemplari accomunati da caratteristiche specifiche; in quelle pagine la continuità delle diverse tipologie di specimen descrive non soltanto il succedersi delle tipologie di oggetti specie ma anche l’incremento degli effetti della condensazione; le nebulose progressivamente mostravano nuclei sempre più visibili e una sempre più marcata somiglianza con le stelle. In quei paragrafi l’attenzione di Herschel era focalizzata nel mostrare la somiglianza fra gli esemplari di classi contigue e l’avanzamento del processo di condensazione, ma non sembra esserci altrettanta attenzione sulla denominazione della forza. La gravità ed il principio di condensazione continuarono a coesistere nella dimostrazione, come possiamo vedere da questo brano riguardante quelle nebulose che presentano un nucleo:

The nuclei of these nebulae, after what has been proved, of the existence of a condensing power, I need not hesitate to ascribe to the longer continuance of its action, which appears to bring on a consolidation; and that this may be the consequence we may conclude, not only from the power of condensing, which argues a sufficient quantity of matter, but also from the quality of shining; for this proves that the substance which throws out the nebulous light is endowed with some other of the general qualities of matter besides that of gravitation.346

Dunque ciò che viene dimostrato nella comunicazione del 1811 è l’esistenza di una materia nebulosa che nel corso del tempo subisce delle alterazioni che determinano una sua coagulazione, mentre gli esemplari considerati sono inizialmente nebulosità estese che successivamente, attraverso diversi passaggi, si avvicinano all’aspetto delle stelle. Questa graduale condensazione è determinata da una forza centrale che ha effetti proporzionali al tempo di azione e che Herschel identificava con la gravità. Tre anni più

345 W. Herschel (1811) in HSP (2003), vol. 2, p. 478.

346 W. Herschel (1811) in HSP (2003), vol. 2, pp. 482- 483. Poche pagine prima aveva imputato alla

gravità la progressiva formazione di un nucleo all’interno di una nebulosa, W. Herschel (1811) in HSP (2003), vol. 2, p. 480.

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tardi l’identificazione fra forza di attrazione e “condensing principle” venne nuovamente affermata e aiutò il nostro astronomo a motivare la propria convinzione che si possa stabilire una connessione fra la parte nebulosa e la parte stellare dell’universo. Anche nella comunicazione del 1814 la forza di gravità venne nominata insieme a terminologie più generiche, ad esempio Herschel farà in quelle pagine un largo uso del termine “clustering power”347, ma ciò che a noi interessa è che egli affermò, finalmente, che il progredire del processo di condensazione porta alla formazione delle stelle, e che una volta che si sono formate queste ultime la forza continuerà ad agire su di loro portando alla formazione di aggregati. In quelle stesse pagine queste trasformazioni saranno, come vedremo a breve, più volte paragonate alle diverse età degli individui. Il nostro excursus trova il proprio coronamento in questo brano in cui viene sostenuta la vicinanza fra gli oggetti trattati nei due articoli, e soprattutto l’identità delle forze che ne determinano la formazione, e che a guidare questo processo è la forza di gravità:

I have hitherto only considered the arrangement of stars in clusters with a view to point out that they are drawn together by a clustering power, in the same manner as the nebulous matter has, in my former paper, been proved to be condensed by the gravitating principle; but in the 41 clusters of the following two collections we shall see that it is one and the same power uniformly exerted which first condensed nebulous matter into stars, and afterwards draws them together into clusters, and which by continuance of its action gradually increases the compression of the stars that form the clusters.348

Con questa citazione possiamo concludere il nostro excursus: è la forza di gravità ad alterare gli oggetti osservati e a guidarli attraverso l’aggregazione nelle loro trasformazioni. A questo punto possiamo considerare il modo in cui il tempo di azione di questa forza ne influenzi gli esiti. In precedenza ci siamo imbattuti nelle riflessioni sugli effetti del progredire dell’azione delle forze centrali, e sul fatto che il tempo avrebbe, nel caso di una forza centripeta, finito per incrementarne gli effetti. La costante azione della forza di gravità avrebbe, dunque, con il tempo manifestato i

347 Il termine clustering power venne usato in W. Herschel (1814) in HSP (2003), vol. 2, pp. 531; 534;

537; 540; 541.

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propri esiti fino a tre possibili conseguenze. In un primo caso avrebbe formato, nella immediata vicinanza dell’aggregato di stelle un vuoto dovuto alla loro concentrazione presenti nella zona verso il comune centro attrattivo. L’osservazione aveva, infatti, fornito alcuni esempi di zone in cui la presenza di stelle era limitata se non nulla. Già dal 1784 quando durante i suoi gages vedeva molti campi di visione succedersi senza che in essi fossero osservabili stelle, Herschel si preparava a osservare nelle immediate vicinanze una concentrazione di nebulose, se non un vero e proprio Stratum o Ground. Un episodio piuttosto noto riguarda il buco osservabile nella costellazione dello Scorpione che egli osservò il 21 marzo 1784. Questa circostanza è diventata popolare sia per il ricordo di Caroline Herschel tramandatoci attraverso una sua lettera al nipote prima della sua partenza per il Capo di Buona Speranza349, sia per il resoconto che ne fece William nello scritto del 1785 dove accennò ad alcuni danni che la continua azione della forza di gravità potrebbe avere sugli aggregati di stelle. All’osservazione dello strano fenomeno fu dedicato un paragrafo di quella comunicazione a cui venne dato il titolo “An opening in the Heaven” in cui si legge:

Some parts of our System indeed seem already to have sustained greater ravages than others; if this way of expressing my self may be allowed; for instance, in the body of the Scorpion is an opening, or hole, which is probably owing to this cause. (….) It is remarkable that the 80 Nebuleuse sas étoiles of the connoissance des temps, which is one of the richest and most compressed clusters of small stars I remember to have seen is situated just on the western border of it; and would almost authorize a suspicion that the stars, of which it is composed, were collected from that place and had left the vacancy.350 La formazione di un vuoto in prossimità di aggregati molto compressi di stelle è un’ovvia conseguenza della modalità di azione della forza di gravità, se infatti il centro

349 Prima della partenza per il Capo di Buona Speranza Caroline Herschel aveva pregato il nipote di

osservare con particolare attenzione la zona dello Scorpione perché aveva catturato l’attenzione del fratello e disse a John:

I want you to discover in the body of Scorpion (or thereabouts) for that does not answer in my expectation, remembering having once heard your father, after a long awful silence, exclaim, ‘Hier ist wahrhaftig ein loch im Himmel!

Citato in Lubbock (1933) p. 373.

Figura

Figura 13 la prima riflessione sulla relazione fra magnitudine apparente e distanza delle stelle 327

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