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1.2 Riflessioni sulla nascita di nuove figure di consumatori nel campo dell’alimentazione

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“ […] la natura non volea che sapessimo, e l’uomo primitivo non sa che nessun piacere lo può soddisfare. Quindi e trovando ciascun piacere molto più grande che noi non facciamo, e dandoli coll’immaginazione un’estensione quasi illimitata, e passando di desiderio in desiderio colla speranza di piaceri maggiori e di un’intera soddisfazione, conseguivo il fine voluto dalla natura, che è di vivere, se non paghi intieramente di quella tal vita, almeno contenti della vita in genere. Oltre la detta varietà che li distraeva infinitamente, e li faceva passare rapidamente da una cosa all’altra senza aver tempo di conoscerla a fondo, né di logorare il piacere coll’assuefazione. La speranza è infinita come il desiderio del piacere, ed ha di più la forza, se non di soddisfar l’uomo, almeno di riempirlo di consolazione, e di mantenerlo in piena vita. La speranza propria dell’uomo, degli antichi, fanciulli, ignoranti, è quasi annullata per il moderno sapiente.”

Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri.

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CAPITOLO PRIMO

Un inquadramento sociologico e giuridico al consumo:

dalla figura del consumatore all’homo dieteticus.

Sommario: 1.1 Un protagonista in movimento: il consumatore; 1.2 Riflessioni sulla nascita di nuove figure di consumatori nel campo dell’alimentazione; 1.3 La capacità giuridica del consumatore nel Codice del consumo e in giurisprudenza; 1.3.1 Il dibattito in dottrina sulla nozione di scopi estranei all’attività professionale.; 1.4 Il ruolo della disciplina comunitaria e la definizione di consumatore finale di alimenti.

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“Ero il padrone assoluto della mia vecchia vestaglia.

E ora sono diventato lo schiavo della nuova”.5

D.Diderot

1.1 Un protagonista in movimento: il consumatore

Ciò che contraddistingue di più la vita del consumatore è l’essere in continuo movimento. Occorre sempre eliminare qualcosa e serve farlo rapidamente. La vita fatta di consumi non si riduce all’acquisto e al possesso di qualche cosa, non si riduce nemmeno al fatto che ci liberiamo di ciò che abbiamo acquistato pochi giorni fa, e che ancora ieri esibivamo con convinzione ed orgoglio. La cultura del consumatore prevede che i bisogni di ognuno di noi siano insaziabili, e in perenne ricerca di nuovi prodotti attraverso cui essere soddisfatti.

Gli incubi che perseguitano il consumatore sono i ricordi delle cose o anche solo le loro ombre, che minacciano di trattenersi più a lungo del necessario e di ingombrare le nostre aspettative. La natura paradossale del consumo6 oggi è quanto mai evidente, esprime le nostre capacità creative ma al tempo stesso manifesta la nostra dipendenza dalle merci, che limitano le nostre scelte e la nostra libertà.

La contemporanea presenza del beneficio e di un tasso d’insoddisfazione è dimostrato dal fatto che l’Occidente gode oggi di

5 L’espressione deriva da un saggio di Diderot del 1769 intitolato “Rimpianti sopra la mia vecchia vestaglia” in cui raccontava di averne ricevuto in regalo uno sfarzoso sostituto.

“La mia vecchia vestaglia era in intima corrispondenza con le altre vecchie cose che avevo”, si lamentava Diderot. Ma “adesso tutto appariva stonato”. E nel giro di poco tempo si era sentito obbligato a cambiare anche i mobili e i quadri. Il consumismo sfrutta le nostre debolezze psicologiche per farci comprare quello che non ci serve.

6 G. Lipovetsky, Le bonheur paradoxal. Essai sur la societe d’hyperconsommation.

Editions Gallimard, Paris, 2006. Trad.it.: Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo, Cortina Editore, Milano, 2007

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livelli di benessere senza precedenti, in quanto gli individui possono entrare in possesso di enormi quantità di beni di consumo con relativi benefici funzionali, eppure inspiegabilmente il tasso di soddisfazione psicologica dei suoi abitanti continua ad indirizzarsi verso il fondo.

Georg Simmel formula un’interessante teoria sullo sviluppo della moda. Secondo tale impostazione la moda “appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi”7, il consumo e la moda sono delle forme nelle quali convivono le contraddizioni dell’uomo moderno: identità e appartenenza, secolarizzazione del consumo e desiderio di attribuire significati agli oggetti di usi quotidiano, aspirazione all’autonomia e

bisogno di riconoscimento e legittimazione sociale.

Per Bourdieu il consumo è cultura, ovvero un insieme di pratiche culturali, come ad esempio il consumo di oggetti e prodotti “culturali”, l’arte, la musica, la letteratura, il teatro, e le abitudini di un popolo, i beni di uso quotidiano, l’alimentazione e la moda, lo sport, l’opinione pubblica. La cultura così come il gusto e le preferenze culturali rappresentano una pratica legata alla logica della distinzione, attraverso cui le classi più elevate confermano e riproducono la loro superiorità.

L’influenza dei gruppi di riferimento nei consumi non avviene più, secondo logiche d’imitazione e di ostentazione, per discesa verticale da una classe superiore verso quella inferiore, in un’ottica di gerarchia, ma per contagio sociale, di tipo orizzontale, dagli status symbol si passa agli style symbol, stili appunto che implicano unicità e distinzione.8 La decisione di fare acquisti dipende non soltanto dal bisogno impellente di un particolare bene che spinge il consumatore a

7 G.Simmel, 1998,Philosophische Kultur, Alfred Kröner Verlag, Leipzig,1911; Trad. It.: La moda,Mondadori, Milano

8 P. Bourdieu, Raisons pratiques. Sur la théorie de l'action, Seuil, Paris, 1994; Trad. It.:

Ragioni Pratiche, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 18.

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dedicare tempo, denaro e impegno fisico per recarsi al punto vendita, ma anche da motivazioni di natura ricreativa e ludica e quindi

indipendenti dal vero e proprio atto d’acquisto.9 Questo a riprova che i comportamenti dei consumatori sono

caratterizzati da un forte eclettismo frutto spesso di atteggiamenti incoerenti e contraddittori. Le persone fanno shopping per motivi sia personali che sociali. Tra i primi ci sono: il ruolo sociale, la diversità, l’autogratificazione, la conoscenza delle nuove mode, la tendenze e le innovazioni, l’attività fisica, la stimolazione sensoriale. I motivi sociali che sono alla base delle esperienze di acquisto sono invece: le esperienze sociali al di fuori dell’ambiente domestico, la comunicazione con persone aventi gli stessi interessi, l’attrazione del gruppo di riferimento, lo status e l’autorità. I comportamenti del consumatore sono guidati da obiettivi di definizione dell’identità personale e sociale, in esso sono in azione dunque una serie di fattori di natura contrapposta: un forte individualismo contro il senso di socialità, di tradizione versus l’innovazione, pubblico versus privato, globalizzazione versus localismo, e via dicendo. La cultura consumista racchiude in sé un’inestirpabile pressione a essere qualcun altro a vantaggio di un’epoca in cui abbiamo a portata di mano la possibilità di diventarlo. Applicando una serie di tecniche, abbiamo la possibilità di cambiare la forma del nostro corpo, e di rimodellarlo in funzione di modelli diversi, sostenuti da un mercato che alimenta un sistematico scontento per le identità che già abbiamo. “La soggettività diventa una merce da esporre e da vendere al mercato sotto forma di bellezza, di pulizia e di sincerità.”10 L’apparente facilità di liberarsi delle identità individuali e dei legami sociali nasconde la fragilità e si fa vedere come

9 V. Codeluppi, Manuale di sociologia dei consumi, op. cit., p. 21.

10 Homo consumens. “ Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi” , Edizioni Erickson, 2007

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l’essenza della libertà individuale. L’unica scelta che questa libertà non potrebbe in alcun modo riconoscere è la capacità di conservare l’identità che ci siamo già costruiti: il tipo di attività cioè che presume e necessariamente comporta la protezione e la sicurezza della rete sociale su cui quell’identità si appoggia, nel momento stesso in cui la riproduce attivamente. A sfogliare le riviste, ad ascoltare i media, si ha come l’impressione che ci raccontino sempre la stessa storia: circa i modi in cui è possibile rifarsi una personalità, a partire dalle diete alimentari, dalla propria abitazione, dagli ambienti che si frequentano, fino a rifarsi una struttura fisica diversa da prima, ma spesso con il nome in codice di essere se stessi. La cultura consumista, vieta qualsiasi punto di arrivo, qualsiasi gratificazione perfetta, che non richiederebbe più di migliorare e cambiare alcunché. Anzi, chi crede di poterla raggiungere, viene escluso e considerato come reietto. La minaccia di esclusione, o il timore di essere emarginati incombe anche su chi è soddisfatto dell’identità che possiede. Una delle manifestazioni dell’odierna attrazione per le continue rinascite è la ben nota chirurgia estetica. Il messaggio che proviene dall’industria della trasformazione è che niente ci può impedire di reinventare noi stessi.

1.2 Riflessioni sulla nascita di nuove figure di consumatori nel campo dell’alimentazione.

Il consumatore ha un ruolo che va oltre l’essere attore e spettatore,

ma è tale da coinvolgerlo a trecentosessanta gradi.

E’ un performer attore sulla scena del consumo, è “un consumatore di prodotti culturali, dotato di competenze che gli consentono di diventare produttore egli stesso e, pertanto capace di attivare

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processi di significazione.11 De Certeau vede il consumatore come l’uomo ordinario, l’uomo senza qualità, che attraverso un uso imprevedibile dei prodotti che gli vengono imposti dal sistema economico dominante, gioca con l’ordine sociale che lo sovrasta. Ha in altri termini un potenziale produttivo in grado di sovvertire le regole del “gioco dei potenti”. Ad una definizione generica di consumo

“razionalizzata, espansionistica e al tempo stesso centralizzata”, segue quella di un’attività astuta, dispersa, che però si insinua ovunque, silenziosa e quasi invisibile”. 12 Lo scenario cui stiamo assistendo è quello di una progressiva segmentazione del mercato in cui ogni singolo consumatore ha un suo stile di vita e un diverso modello di domanda. Nel campo dei prodotti alimentari, uno studio commissionato dalla Coop a Sita Ricerca13 su un campione di 1700 persone ha evidenziato sei nuovi profili di consumatori in base alle loro modalità di acquisto14. Esistono i consumatori che si definiscono ethic e green, persone attente, informate, rispettose della natura e dell’ambiente, sensibile all’eticità del lavoro; veggie, coloro che per scelta etica o dietetica consumano solo cibi di origine vegetale,

11 Performance: profondamente infusa nella vita quotidiana che noi stessi ne siamo inconsapevoli, la vita è una performance costante, noi siamo pubblico e performer allo stesso tempo; tutti noi siamo incessantemente pubblico. Anche le attività della vita quotidiana diventano territorio colonizzato dal consumo in nome della logica della performance: integratori alimentari per potenziare l’energia, l’efficienza, la resistenza allo stress, il rendimento nello studio. La risposta al senso di inadeguatezza resta sempre e comunque il consumo (di sostanze, di esperienze, di emozioni acquistabili). Dal saggio

” Nuove frontiere del consumo” di Chiara Giaccardi in E.Di Nallo, R. Paltrinieri, Cum sumo. Prospettive di analisi del consumo nella società globale, Edizioni FrancoAngeli, 2006

12M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano, op. cit., p. 7. Michel de Certeau (Chambéry, 17 maggio 1925 – Parigi, 9 gennaio 1986) è stato un gesuita e storico francese, la cui opera spazia su una molteplicità di ambiti diversi quali la psicoanalisi, la filosofia e le scienze sociali.

13 Sita nasce nel 1983 per iniziativa di un gruppo di ricercatori in joint-venture con Nielsen Italia.

Il primo strumento di lavoro fu il panel tessile, una rilevazione continuativa sui consumi di abbigliamento e settori affini, condotta su un campione rappresentativo della nostra popolazione.

14 Le guide di Repubblica del 6 luglio 2015 Expo, Le italie.

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escludendo le proteine animali; wellness, persona consapevole che abbina un regime alimentare equilibrato e privo di eccessi all’attività fisica per mantenersi in forma; i foodie, coloro che sono legati alle tradizioni e in continua ricerca di nuovi sapori e che danno una grande importanza alla qualità e infine, gli easy che dedicano poco tempo al cibo, scelgono soluzioni semplici, pratiche e veloci senza rinunciare al gusto e alla golosità. L’alimentazione si inserisce, pertanto, senza possibilità di equivoci, tra i presupposti ineludibili della vita di ogni persona, costituendo la condizione base di un diritto che, complessivamente, viene indicato come buona salute, o, meglio, come benessere dell’individuo; diritto che praticamente ogni nazione dichiara di voler assicurare ai propri cittadini.15

1.3 La capacità giuridica del consumatore nel Codice del consumo e in giurisprudenza.

Il dibattito sulla nozione giuridica di consumatore pare non essersi mai spento. D’altra parte, il consumo ci accomuna tutti. Oggi possiamo con certezza affermare l’esistenza di un diritto dei consumatori, diverso dall’ordinamento giuridico privato generale, cioè dalla disciplina ordinaria contenuta nel codice civile, e questo sia per la fonte, che per i contenuti. Il consumatore può essere visto sotto diversi profili ed è per questo che è difficile arrivare a una definizione di carattere generale. Il Codice del consumo, entrato in vigore a tutti gli effetti in Italia il 23 ottobre 2005, ha realizzato l’unificazione della nozione di consumatore.16 Il legislatore ha riorganizzato in modo

15 L’art. 25 della Dichiarazione Universale dei diritti umani riconosce ad ogni individuo il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute ed il benessere proprio e della sua famiglia “con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione…”.

16 Con l’art. 7 della L. 29 Luglio 2003 n. 229, il Parlamento italiano ha delegato il governo ad adottare uno o più decreti legislativi “per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori”. In attuazione alla suddetta delega il Governo ha

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sistematico le leggi di tutela, approvate negli ultimi vent’anni quasi sempre in attuazione di direttive comunitarie, riordinandole semplificandole e coordinandole. Nonostante per alcuni il testo si risolva in una “semplice compilazione piana ed acritica” del diritto previgente”, se ne riconosce il merito di costituire uno strumento di utilità pratica nella misura in consente di reperire all’interno di un unico testo “buona parte delle disposizioni di tutela dei consumatori”.17 L’articolo 3, comma 1, lett. a del codice, 18 , definisce il consumatore o utente, a seconda della natura e dell’oggetto del contratto (contratti negoziati fuori dai locali commerciali, a distanza, di vendita di beni di consumo etc.), come «la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta». Questa disposizione riproduce senza introdurre alcun rilevante elemento di novità il contenuto dell’abrogato art. 1469-bis, comma 2, del codice civile19, recependo la

nozione di consumatore stabilita nella direttiva n. 13 del 1993.20

adottato il d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, recante il “riassetto delle disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori – Codice del Consumo”.

17 DE CRISTOFARO, Il “Codice del consumo”, op. cit., p. 750.

18 così come modificato dal decreto legislativo 23 ottobre 2007 n. 221. La definizione di consumatore sostanzialmente riprende quella già introdotta dalla legge 52 del 1996 all’art. 149-bis c.c., attuativa della direttiva comunitaria 93/13/CEE, che aveva inserito nel Codice Civile il capo XIV-bis volto a tutelare il consumatore dalle clausole abusive inserite nei contratti e così superare l’insufficiente protezione accordata dal legislatore codicistico del ‘42 attraverso gli artt. 1341 e 1342 del c.c.

19 Le parole «commerciale, artigianale» sono state inserite dall'art. 3, d.lg. 23 ottobre 2007, n. 221.

20 V. l'art. 2, lett. b, dir. n. 13 del 1993, ove per consumatore si intende «qualsiasi persona fisica che, nei contratti oggetto della presente direttiva, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività professionale». Nozioni in massima parte identiche a questa si rinvengono anche nelle altre direttive che riguardono la tutela del consumatore, così: nell'art. 2, dir. n. 577 del 1985, per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali; nell'art. 2, n. 2, dir. n. 7 del 1997, relativamente ai contratti a distanza; nell'art. 2, lett. e, dir. n. 6 del 1998, in materia di indicazione dei prezzi dei prodotti offerti ai consumatori; nell'art. 1, comma 2, lett. a, dir. n. 44 del 1999, sulla vendita di beni di consumo; nell'art. 2, lett. e, dir. n. 31 del 2000, concernente il commercio elettronico; nell'art. 2, lett. d, dir. n. 65 del 2002, inerente la contrattazione di servizi finanziari a distanza; l'art. 2, lett. a, dir. n. 29 del 2005, sulle pratiche

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Questa definizione ha generato dubbi interpretativi circa i limiti soggettivi individuati poiché vi è l’espressa attribuzione della qualità di consumatore soltanto alla persona fisica. L’interpretazione ormai emersa sia nella legislazione di attuazione delle direttive comunitarie in materia di consumatore, sia l’orientamento ormai consolidato dalla Corte di Giustizia esclude possa essere considerato consumatore un soggetto diverso dalla persona fisica.21 Tale orientamento era stato peraltro accolto dalla Corte Costituzionale che aveva osservato che le finalità della norma sono quelle di tutelare i soggetti che, secondo “l’id quod plerumque accidit”, sono presumibilmente privi della necessaria competenza per negoziare; onde la logica conseguenza dell’esclusione dalla disciplina in esame di categorie di soggetti – quali quelle dei professionisti, dei piccoli imprenditori, degli artigiani – che proprio per l’attività abitualmente svolta hanno cognizioni idonee per contrattare sul piano di parità”.22 Il consumatore è allora un soggetto connotato da una debolezza di tipo strutturale riguardo la carenza di informazioni e di perizia, che lo caratterizza in quanto persona fisica.

Differentemente se questa volubilità fosse riferita alla sola asimmetria rapporto di consumo, la normativa sarebbe dedicata a tutte le differenti posizioni di debolezza e di inferiorità, che si rinvengono nella contrattazione, in cui possono versare anche gli imprenditori o

commerciali sleali; l'art. 3, lett. a, dir. n. 48 del 2008, in materia di credito al consumo.

Negli stessi termini, poi, si esprimono altri provvedimenti comunitari relativi al diritto processuale: l'art. 15 del Regolamento n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale – c.d. «Bruxelles I»- (in G.U. L 12, del 16 gennaio 2001), e l'art. 6 del Regolamento n. 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali - c.d.

«Roma I» - (in G.U. L 177/6, del 4 luglio 2008), definiscono «contratti conclusi da consumatori» quelli stipulati da «una persona fisica per un uso che possa essere considerato estraneo alla sua attività commerciale o professionale».

21 Corte di Giustizia CE, 22 novembre 2001, cause riunite C-541/99 e C-542/99; Corte di Giustizia CE, 17 luglio 1998, causa C-291/96.

22 Su tutte le pronunce v. C. Cost., 22 novembre 2002, n. 469 .

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le persone giuridiche di fronte a soggetti aventi più potere contrattuale.23 Questa differenza è confermata anche dalla Corte di Giustizia europea che nell’interpretare la nozione di consumatore individua la ratio della normativa in questione qualificando il consumatore come un soggetto non preparato e quindi da proteggere in quanto soggetto intrinsecamente debole in sé, sulla base della presunzione che chi non stipula il contratto nella veste di imprenditore non ha le competenze giuridiche e tecniche per porsi sullo stesso livello di parità della controparte imprenditrice, maggiormente esperta, ma anche in possesso di un bagaglio di informazioni relative al prodotto che non sono spesso comunicate al consumatore.24 Tale delimitazione della nozione del consumatore riservata alla persona fisica non ha però impedito che la qualità di consumatore non fosse riconosciuta in tutti quei casi in cui l’operazione economica, se pur realizzata in via formale da un ente, era nella sostanza riconducibile a persone fisiche, come nel caso di contratti stipulati dall’amministratore di condominio o da soggetti fideiussori persone giuridiche ma garanti di debiti principali di persone fisiche. 25

23 Così LUCCHESI, Art. 3, Commento, in Codice del consumo, op. cit., p. 48.

24 Corte di Giustizia CE, sez. III, 20 Gennaio 2005, causa C-464/2001: punto n. 34, “…il particolare regime …è diretto a garantire un’adeguata protezione al consumatore in quanto parte contrattuale ritenuta più debole e giuridicamente meno esperta della sua controparte professionale …”.

25 Sul punto CHINÈ, Codice del consumo, op. cit., p. 18

Esempio emblematico di soggetto non propriamente identificabile come persona fisica, è il condominio, cui l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione pare riconoscere la qualifica di consumatore (Sent. N°10086 del 24 luglio 2001). Qui la giurisprudenza sembra svolgere un'interpretazione «correttiva» che estende la nozione di consumatore agli enti, ma in realtà in questi casi il condominio viene riconosciuto privo di una soggettività giuridica distinta da quella dei singoli condomini, con la conseguenza che i contratti conclusi da esso risultano direttamente riconducibili ai singoli condomini, rispetto ai quali non vi è dubbio circa la configurabilità di una loro qualificazione come consumatori.

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1.3.1 Il dibattito in dottrina e giurisprudenza sulla nozione di scopo estraneo all’attività professionale.

Lo status giuridico di consumatore sembra quindi riferirsi soltanto alla persona fisica che agisca per far fronte a fabbisogni propri o della propria famiglia. In merito all’individuazione del concetto di “scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta” sono state sollevate dalla dottrina problematiche interpretative di non poco conto. Tale interpretazione è fondamentale giacché attribuisce la qualifica di consumatore ad un contraente dipende dall’inerenza o meno dello scopo, per il quale esso agisce, ad una attività imprenditoriale o professionale. Secondo un filone interpretativo lo scopo professionale o imprenditoriale deve essere ricercato avendo riguardo alle intenzioni del contraente, indipendentemente dalla circostanza oggettiva che il contratto sia funzionale all’esercizio di una data attività imprenditoriale o professionale.26 Questo significa che la qualifica di consumatore potrà essere riconosciuta al contraente che acquista un bene oggettivamente attinente alla sua attività professionale o imprenditoriale ma con l’intenzione di utilizzarlo per scopi privati mentre non potrà essere considerato consumatore chi acquista un bene non oggettivamente attinente alla sua attività professionale o imprenditoriale ma con l’intenzione di utilizzarlo per scopi a quest’ultima attinenti.

26 Sull’argomento: TULLIO, Il contratto di adesione. Tra diritto comune dei contratti e la novella sui contratti con i consumatori, op. cit., p.7. GATT, L’ambito soggettivo di applicazione della normativa sulle clausole vessatorie, op. cit., p.2350 e Sub art. 1469 bis, comma 2, Ambito soggettivo di applicazione della disciplina. Il consumatore e il professionista, in Commentario al capo XIV-bis c.c.: dei contratti del consumatore, a cura di C. M. Bianca –F.D. Busnelli, Padova, 1999. F. ASTONE, sub art. 1469 bis, comma 2 , in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, op. cit., p.108. GABRIELLI, Sulla nozione di consumatore, op. cit., p.1163. ALPA-CHINE', Consumatore (protezione del) nel diritto civile, op. cit., p. 545.

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A questa tesi si è obiettata la difficoltà di indagare la reale volontà ed intenzione di utilizzo del bene da parte del contraente, anche ai fini probatori, da parte del contraente professionista che dovrebbe, attraverso un’indagine approfondita di tipo psicologico stabilire se si trova di fronte ad un consumatore o ad un professionista o imprenditore, con il rischio di una non corretta interpretazione della volontà altrui. La dottrina prevalente allora accoglie un orientamento in base al quale è consumatore colui che stipula il contratto avente ad oggetto un bene o un servizio che non abbia alcun collegamento funzionale con una determinata attività imprenditoriale o professionale: occorre quindi aver riguardo alla destinazione

funzionale del bene secondo il criterio della ragionevolezza.

Pertanto, per “scopo estraneo” si deve intendere quella finalità non riconducibile ad una attività imprenditoriale e il contratto così stipulato non deve avere alcun collegamento con l’attività

eventualmente svolta da colui che negozia con il professionista. 27 La Corte di Giustizia Europea28 nel dirimere la questione inerente

l’acquisto di beni per finalità parzialmente in relazione con quelle professionali o imprenditoriali eventualmente svolte, stabilisce l’esclusione dalla normativa di tutela salvo che tali finalità non siano meramente marginali. La problematica della stipula di contratti posti in essere per scopi “misti”, parte professionali e parte personali, è stata a lungo controversa in dottrina alimentando orientamenti tra di loro contrastanti. 29 Parte della dottrina ha avanzato l’operatività del criterio della prevalenza per consentire di verificare in concreto

27 Così LUCCHESI, Art. 3, Commento, in Codice del consumo, op. cit. , p. 50.

28 Corte di Giustizia CE, sez. III, 20 Gennaio 2005, causa C-464/2001.

29 F. ASTONE, sub art. 1469 bis, comma 2, in Le clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, op. cit.

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quando uno scopo fosse prevalente rispetto all’altro 30, in virtù del quale a fronte di un atto misto spetterebbe al giudice qualificarlo nell’uno o nell’altro senso per cui solo nel caso in cui l’uso domestico sia predominante rispetto a quello professionale, potrebbe applicarsi la disciplina degli atti di consumo. Il diritto dei consumatori sarebbe allora anche il diritto degli atti compiuti per scopi professionali purché quelli privati siano rispetto a questi prevalenti, orientamento questo che appare mediano rispetto invece a quello che privilegia la negazione della qualifica di consumatore al soggetto che contrae per scopi promiscui (come la persona fisica che acquisti un automobile per usarla sia come taxi sia come mezzo di trasporto della propria famiglia), proprio in quanto questi non potrebbero qualificarsi come

“estranei” all’attività esercitata, e quello che invece considera comunque e sempre consumatore chi contrae per scopi misti. Un diverso criterio interpretativo viene utilizzato da parte degli interpreti distinguendo tra atti “della professione” e atti “relativi alla professione” . I primi sono gli atti attraverso i quali un soggetto esercita la propria professione e di cui oggettivamente non si può attribuire la qualifica di atti del consumatore; i secondi sono quelli che pur essendo realizzati nell’ambito dell’esercizio della professione vengono considerati atti del consumatore in quanto l’oggetto non è

“espressione della professione”.31 La Corte di giustizia 32 nell’affrontare l’argomento ha precisato che il soggetto che contrae per scopi misti si troverebbe comunque ad agire in una posizione di parità con la controparte, di modo che vengono meno quelle esigenze di tutela che trovano fondamento nella presumibile posizione di intrinseca debolezza in cui si trova il consumatore, esigenze che si

30 MINERVINI, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, op. cit., p. 42

31 In particolare E. GABRIELLI, I contratti dei consumatori, op. cit., p. 20 e ss.

32 Corte di Giustizia CE, sez. III, 20 Gennaio 2005, causa C-464/2001.

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materializzano solamente qualora sia meramente marginale la destinazione del bene per un uso connesso ad una attività imprenditoriale o professionale. Una tale interpretazione trova il fondamento nella ratio della normativa di tutela che deve garantire il soggetto debole per cui ogni qual volta un soggetto che, anche solo parzialmente, contrae per perseguire finalità imprenditoriale o professionale, non può riconoscersi in una posizione di debolezza ma deve essere considerato soggetto che agisce su di un piano di parità la quale non può venir meno solo per il fatto che il contratto sia stato concluso anche per scopi privati. Infatti, la Corte di Giustizia chiarisce che deve essere considerato consumatore “la persona fisica che, anche se svolge attività imprenditoriale o professionale, conclude un qualche contratto per la soddisfazione di esigenze di vita quotidiana estranee all’esercizio di tale attività”.

1.4 La disciplina comunitaria e la definizione di consumatore finale di alimenti.

Non si può negare la peculiarità del prodotto “alimento” e delle esigenze che ruotano attorno ad esso. Gli accresciuti timori riguardanti i cibi, i rischi di responsabilità di varia natura per gli operatori, le paure dei consumatori, hanno attribuito al prodotto alimento le caratteristiche di delineare un particolare status giuridico di chi vi ha a che fare. Con la modernità il cibo è stato trasformato in un terreno di battaglia in cui si scontrano il bene e il male, l’idea della la privazione è stata sganciata dalla religione per lasciare il campo alla medicina, alla politica, all’estetica e alla dietetica, che fa dell’astinenza un cammino di salvezza terrena, una forma di ascetismo

secolarizzato.33

33 M.Niola, Homo Dieteticus. Viaggio nelle tribù alimentari, Il Mulino, 2015

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Le ragioni di questo potere sono, inoltre, di diversa natura nel senso che ad esempio, chi produce alimenti o le materie prime alimentari, è sovente un agricoltore, e se non lo è, trasforma il prodotto dell’agricoltura incidendo sul mercato dei prodotti agricoli. Le crisi del settore agricolo sono temute non solo per i risvolti economici e sociali sulla categoria direttamente interessata, ma anche per l’effetto diretto sulla vita quotidiana di tutti i cittadini inevitabilmente consumatori, dal momento che gli squilibri del mercato non sono mai un problema

soltanto locale, ma possono indurre conseguenze planetarie.

Questo scenario ha portato a tipizzare contratti di natura collettiva nell’intento di regolare i rapporti tra le categorie produttive e tra i soggetti della filiera); contratti particolari perché regolati da norme che negli altri settori dell’economia non operano e nati appositamente allo scopo di proteggere quel fragile “ambiente economico” che ruota attorno alla produzione alimentare, evitando quegli squilibri di mercato (e quei prezzi fuori controllo) che si tradurrebbero in difficoltà insormontabili tanto per le imprese quanto per i consumatori.

Il legislatore comunitario si preoccupa di prevedere per l’oggetto cibo, una serie stringente di regole, mirate a conciliare l’esigenza della sicurezza alimentare con la circolazione di merci, preoccupazione appunto che si fonda sulla specificità dell’oggetto, il cibo, che autorizza e giustifica un interventismo che per certi aspetti può sembrare addirittura eccessivo.34 La nozione di consumatore di alimenti è introdotta dal regolamento CE 178/2002 che disciplina i principi della legislazione alimentare. In ossequio all’art. 3 comma 1 n. 18 del regolamento suddetto, per consumatore si intende il “consumatore finale”, ossia il soggetto che consuma un prodotto alimentare e che

34 L. Costato, Rook Basile Eva, A. Germanò, Trattato di Diritto Agrario., Vol. Terzo Diritto Agro alimentare, UTET GIURIDICA ,Anno 2011

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non lo utilizzi nell’ambito di un’ operazione o attività di un’impresa del settore alimentare. In base a tale definizione parte della dottrina ha qualificato il consumatore finale come l’ultimo destinatario del prodotto, ossia il soggetto che “ingerisce l’alimento”. 35

Accanto ad esso si pongono le “imprese alimentari”, individuate nell’art. 3, comma 1 ,n. 2 come i soggetti obbligati ad attuare la normativa di tutela del consumatore al fine di garantire la sua protezione e la sicurezza e ovviamente sono responsabili dell’elevato livello di tutela che la Comunità vuole perseguire.36 La nozione di

“consumatore” finale allora è importante per riuscire a distinguere tra chi eroga alimenti e deve rispettare la normativa sulla sicurezza, e chi invece non è soggetto a questa in quanto consumatore, tant’è che non rileva, per il regolamento 178 del 2002, che il fornitore di alimenti svolga una attività con scopo di lucro “interessando solo la salubrità dell’alimento, sicchè la responsabilità dell’erogatore di cibi non è condizionata dalla veste nella quale somministra il cibo, importando solo che esso sia edibile senza rischi ulteriori rispetto a quelli normali o a intolleranze e simili”. 37 Da questo si evince che il regolamento CE 178/2002 non attribuisce rilievo, nel rapporto tra consumatore e produttore (o anche commerciante o somministratore di alimenti), alla competenza professionale di quest’ultimo (a differenza della

35 COSTATO, Compendio di diritto alimentare, ed. III, op. cit., p. 66.

36 GERMANÒ, Il sistema della sicurezza alimentare, in Riv. dir. agr., I, 2006, 66. Altresì per l’autore sono estranei alla categoria dei consumatori i soggetti che partecipano alle fasi di produzione dell’alimento intermedie del circuito distributivo. Pur essendo operatori di imprese alimentari e come tali soggetti agli obblighi di tutela della salute del consumatore finale non possono essere qualificati consumatori finali. Infatti come spesso accade nel diritto comunitario, la locuzione consumatore è utilizzata per quei soggetti giustapposti tanto al produttore quanto all’utente intermedio, pertanto, l’autore conclude che non può essere considerato consumatore il soggetto che si serve del prodotto per la sua attività professionale ovvero è consumatore alimentare colui che si serve del prodotto non utilizzandolo nell’ambito di una operazione o attività di un impresa del settore alimentare.

37 COSTATO, Compendio di diritto alimentare, ed. III, op. cit., p. 66.

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nozione classica di consumatore ex. Art. 3 c.cons) , tant’è che poco rileva se il fornitore di alimenti svolga l’attività a scopo di lucro o gratuitamente, poiché la sicurezza degli alimenti “non è condizionata dalla veste nella quale questi somministra il cibo”. 38 La posizione di debolezza del consumatore di alimentati sta tutta nella peculiarità del bene di consumo ossia l’alimento, in quanto la sua assunzione attraverso l’ingestione può implicare conseguenze sulla salute e sul benessere qualora l’alimento sia nocivo. Il problema non è allora tutelare il consumatore di alimenti dalla competenza professionale dell’imprenditore ma quello di tutelarlo nella sua sicurezza e salute

imponendo a quest’ultimo il rispetto di norme di garanzia.

Per i beni alimentari, lo scopo a cui li destina la persona che li ingerisce è sempre uno “scopo privato”, in quanto l’ingestione degli stessi non può che avere lo stesso risultato per qualsiasi persona39 , per cui non avrebbe molto significato distinguere tra persona che ingerisce l’alimento come “per scopi privati” e persona che ingerisce l’alimento “per scopi connessi all’attività professionale o imprenditoriale”, per lo meno nel senso in cui li intende il Codice del consumo, per cui è l’ingestione del bene a rendere inapplicabile la distinzione tra consumatore ed imprenditore. 40 L’alimento ha una

38 COSTATO, Principi fondanti del diritto alimentare, in Riv. dir. agr. I, 2005, p. 210.

39 COSTATO, Compendio di diritto alimentare, ed. III, op. cit., 210: “emerge la peculiarità dell’aspetto oggettivo che caratterizza questo diritto; esso regola produzione e commercio di beni che non restano esterni al consumatore, ma che sono destinati ad essere introdotti all’interno del suo organismo, dando origine ad un rapporto fisico del tutto specifico, che non si manifesta in nessun altro prodotto, neppure nel medicinale, che ha lo stesso destino ma che viene assunto solo quale rimedio “eccezionale” e non da tutti ogni giorno, come avviene per il cibo.

40 Tale distinzione permane invece al momento dell’acquisto, o comunque in tutti i momenti precedenti l’ingestione che allora si pone come atto che separa due distinti piani di tutela giuridica rispondenti a interessi meritevoli di tutela diversi. Così, anche il cuoco che assaggia un alimento da destinare alla preparazione dei pasti per i clienti, assume un alimento durante l’esercizio della sua attività professionale e per l’esercizio della stessa, egli ai sensi del Codice del consumo non meriterebbe la qualifica di consumatore proprio in connessione con la sua attività professionale, mentre ai sensi

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forza conformatrice e giustificatrice di una normativa ad hoc, senza però escludere l’operatività delle norme in materia di tutela del consumatore “generali”.41 Il “cibo” è un elemento capace di individuare oggettivamente il diritto alimentare, nel quale comunque non si può non rilevare la presenza del valore della persona come ratio giustificatrice di una normativa, così attenta alla salute e alla sicurezza, a tal punto da creare degli strumenti di tutela, pur se essenzialmente pubblicistici, tanto peculiari da non essere riscontrati in nessun altro settore dell’ordinamento.

dell’art. 3 comma 1 n. 18 del regolamento CE 178/2002, egli è beneficiario della tutela della salute garantita a tutti i “consumatori finali” anche se, contemporaneamente, in quanto erogatore di pasti a terzi, è trattato come impresa alimentare: al momento dell’ingestione dell’alimento, infatti, egli si pone anche come “consumatore finale” e necessita di usufruire delle tutele e delle garanzie come qualsiasi altra persona e come tale ha diritto ad ingerire alimenti sicuri. MAZZO, Il codice del consumo e le definizioni di produttore, in Riv. dir. agr. I, 2007, p.69.

41 COSTATO, I principi del diritto alimentare, in Studium iuris, 2003, p. 1051. Secondo il quale l’approccio globale del regolamento nonché le normative in materia di alimentare si configurano come un complesso di regole giuridiche informate alla finalità di proteggere il consumatore di alimenti che può assurgere ad autonomo diritto alimentare. Questo non implicherebbe però che le disposizioni dettate a tutela del consumatore non siano applicabili anche a favore del consumatore di alimenti, ma piuttosto che in questi casi la nozione di consumatore e quella di produttore acquisiscono significati particolari, e comunque che le dette norme “hanno una valenza orizzontale che va ben al di là delle regole che riguardano la produzione di alimenti che se destinate a questa finalità assumono forme e valenze proprie”.

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