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Il minore fonte di prova dichiarativa nel processo penale ordinario. La stratificazione della disciplina tra istanze sovranazionali e incertezze del legislatore italiano

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

Il minore fonte di prova dichiarativa nel processo penale ordinario.

La stratificazione della disciplina tra istanze sovranazionali e incertezze del

legislatore italiano

Il Candidato

Il Relatore

Maria Vittoria Bachi Prof.ssa Benedetta Galgani

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INDICE SOMMARIO

INTRODUZIONE………...7

CAPITOLO I. Le esigenze di attendibilità e protezione dell’ambito della testimonianza del minore 1. Esigenze di attendibilità: psicologia della testimonianza……….…10

1.1 Profili generali………...10

1.2 Questioni specifiche della testimonianza del minore………..16

2. Le esigenze di protezione del teste fragile……….24

2.1 L’evoluzione giuridica dei diritti del minore………...24

2.2 Il fenomeno della vittimizzazione secondaria e la protezione del minore nel processo penale………..28

3. Accertamento della capacità a testimoniare del minore e valutazione di attendibilità delle sue dichiarazioni………..31

4. Best practices: il modello ideale di audizione del minore………….37

5. Le esigenze di protezione dell’imputato: il rispetto dei principi del giusto processo……….45

5.1 La giurisprudenza della Corte EDU intorno ai principi del giusto processo………45

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CAPITOLO II. Le scelte del codice di rito: le concrete modalità di ascolto del minore vittima e del minore testimone nel

procedimento penale italiano

1. Premessa………...57

2. Le indagini preliminari……….59

2.1 Le problematiche della fase investigativa...59

2.2 I propositi della Convenzione di Lanzarote e la sua esecuzione in Italia………...63

2.3 Il ruolo dell’esperto nello svolgimento dell’intervista...66

2.4 Segue. La presenza obbligatoria dell’esperto in psicologia o psichiatria infantile…….…...………..69

2.5 Segue. La qualifica processuale dell’esperto……….……….72

2.6 Le lacune della l.172/2012………..76

3. L’incidente probatorio………..79

3.1 Una disciplina riservata al minore: l’incidente probatorio “speciale”………79

3.2 Ambito applicativo dell’incidente probatorio “speciale”: presupposto soggettivo e presupposto oggettivo………...80

3.3 Segue. Presupposto oggettivo e profili di costituzionalità………...83

3.4 La discovery integrale degli atti di indagine………...87

3.5 Le modalità di ascolto del minore nell’udienza per l’incidente probatorio………89

3.6 L’obbligo di documentazione aggravata e il divieto di reiterazione delle audizioni………..92

3.7 L’incidente probatorio “speciale” come strumento esclusivo di assunzione della testimonianza del minore: prospettive………...96

4. Il dibattimento………..……...100

4.1 Cross-examination e ruolo del giudice……….……100

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4.3 Gli ulteriori strumenti di audizione mediata utilizzabili in dibattimento e il rapporto con la disciplina dell’incidente

probatorio………...106

4.4 Divieto di rivolgere domande suggestive………..…………109

CAPITOLO III. La direttiva 2012/29/UE e gli effetti del d.lgs. 212/2015 sulla disciplina dell’ascolto del minore vittima e del

minore testimone

1. Premessa……….114 2. La direttiva 2012/29/UE……….116

2.1 Politica comunitaria in materia di protezione della vittima…….116 2.2 La struttura della direttiva 2012/29/UE e la definizione di “vittima”…………..………..121 2.3 I diritti minimi della vittima nella direttiva 2012/29/UE…..…….124 2.4 Il nuovo concetto di vulnerabilità: l’individual assessment…..…127 2.5 Segue. La vulnerabilità del minore………..……….131 2.6 Segue. Le misure protettive: l’audizione della vittima particolarmente vulnerabile secondo la direttiva 2012/29/UE…..….134

3. L’attuazione in Italia: il d.lgs.212/2015………..………137

3.1 L’individual assessment e la particolare vulnerabilità del minore nell’ordinamento italiano………...137 3.2 Segue. Rilievi pratici dell’individual assessment………..………141 3.3 Le modifiche allo statuto del dichiarante debole: l’ascolto della vittima particolarmente vulnerabile………..……….144

4. Considerazioni conclusive in merito alla disciplina dell’ascolto del minore dopo l’attuazione della direttiva 2012/29/UE…..…………...151

4.1 La posizione del minore: convivenza di vulnerabilità presunta e aspecifica………..……..151 4.2 Il d.lgs. 212/2015: un’occasione mancata………154

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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE……….158 BIBLIOGRAFIA………..161

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INTRODUZIONE

La testimonianza del minore rappresenta un argomento di straordinario interesse, poiché in essa si coniuga l’aspetto squisitamente tecnico dell’ambito processualpenalistico, con l’elemento psicologico, e talvolta emotivo, connesso alla fragilità umana.

Questa duplicità, tuttavia, determina, per sua natura, una materia estremamente difficile da disciplinare, per la necessità di mantenere in equilibrio i diversi interessi che entrano in gioco: la protezione del minore, la tutela dell’imputato e la completa ricostruzione del fatto. L’interesse primario del presente studio è stato quello di analizzare le modalità con cui il legislatore italiano ha scelto di risolvere tali problematiche, anche in risposta ai molteplici impulsi provenienti dalla legislazione sovranazionale, che più volte ha posto l’accento sulla tematica in questione.

È risultato evidente che la disciplina italiana in materia è il frutto di interventi copiosi ma occasionali, posti in essere nell’ambito di altre azioni legislative. Si pensi, ad esempio, alla legge 15 febbraio 1996, n.66, contenente “Norme contro la violenza sessuale”, che ha introdotto l’istituto dell’incidente probatorio “speciale”, riservato ai testimoni minorenni. Lo scopo preminente di tale legge era quello di revisionare la materia della violenza sessuale all’interno del codice penale, mentre ha inciso sulla disciplina processuale dedicata all’ascolto del minore in maniera meramente collaterale. Ciò dimostra la costante mancanza di un progetto organico di riforma, volto a disciplinare una volta per tutte la posizione del minore fonte di prova dichiarativa nel processo. Ne consegue una normativa “stratificata” che richiede di essere analizzata con metodo filologico, al fine di ricostruire il tortuoso percorso che l’ha determinata.

In apertura è stato necessario fissare alcune premesse, legate alla duplicità cui abbiamo già fatto riferimento. Innanzitutto sono stati messi

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in evidenza gli aspetti psicologici che caratterizzano la testimonianza, con specifico riferimento alle problematiche connesse alla minore età del soggetto. Di seguito, si è posto l’accento sulla sua vulnerabilità e sull’esigenza di proteggere lo sviluppo di una personalità “in costruzione”. Infatti, nella storia degli ordinamenti, oggetto di dibattito giusfilosofico è sempre stata la valutazione aprioristica della capacità a testimoniare del minore. A partire dal secolo scorso, invece, questo è diventato un soggetto meritevole di tutela nel processo penale, in connessione con la rinnovata sensibilità manifestata per i diritti dell’infanzia. Al fine di presentare un quadro di insieme delle esigenze emergenti in tale contesto, è stata analizzata infine la posizione dell’imputato, il cui diritto di difesa deve essere rispettato e bilanciato con le garanzie assicurate al teste fragile.

La seconda sezione dello studio analizza in modo più tecnico e, come si è già detto, filologico, i congegni posti a tutela del minore e a salvaguardia dell’attendibilità delle sue dichiarazioni. Si è scelto di ricostruire la disciplina in base al susseguirsi delle fasi processuali, ossia conformemente all’ordine logico: indagini - incidente probatorio - dibattimento. Ciò permette di osservare le “vicende” del minore sin dall’iscrizione della notizia di reato, fino all’eventuale udienza dibattimentale. Questa scansione, però, non coincide con l’ordine cronologico in cui sono state introdotte le varie tutele.

A conclusione del percorso, si è presa in considerazione la direttiva 2012/29/UE ed il decreto legislativo di attuazione 212/2015, che completano lo studio del processo di stratificazione oggetto di questo lavoro. La direttiva è il primo intervento comunitario vincolante che regola la posizione delle vittime vulnerabili nel processo penale, con specifico riferimento alle modalità di audizione riservate alla persona offesa. Interessa la materia dell’ascolto del soggetto minorenne sia in maniera diretta che indiretta. Il minore, infatti, può rivestire anche la qualifica di vittima, rientrando così nel novero di soggetti cui il

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legislatore europeo si rivolge direttamente. Inoltre, il testo sovranazionale impone al legislatore italiano di prendere atto del diverso approccio che l’Unione Europea sta manifestando in materia di protezione dei soggetti deboli. Infatti, essa ridefinisce il concetto di “vulnerabilità”, svincolandolo da presunzioni aprioristiche, da sempre utilizzate in Italia come presupposto di accesso allo statuto del dichiarante fragile. In questo modo l’ordinamento comunitario offre l’occasione di valutare le scelte del nostro codice di rito circa l’assunzione di dichiarazioni da parte del minore, indipendentemente dal ruolo che egli riveste di volta in volta all’interno del processo.

A chiusura dello studio, si è ritenuto interessante analizzare l’attuazione della direttiva, al fine di mostrare l’odierno stato dell’arte.

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CAPITOLO I

Le esigenze di attendibilità e protezione nell’ambito della

testimonianza del minore

1. Esigenze di attendibilità: psicologia della

testimonianza

1.1 Profili generali

Lo studio della testimonianza del minore nel processo penale impone una preventiva analisi delle principali problematiche che emergono in sede di assunzione della testimonianza tout court. È necessario porre una serie di premesse di natura psicologica, circa le modalità di funzionamento della memoria e dei suoi ingranaggi.

Questo mezzo di prova è un «actus humanus»1, profondamente legato

alla psicologia dell’uomo, poiché ne riflette tutte le particolarità e le contraddizioni. Per questo motivo presenta dei forti elementi di fallibilità, al pari dell’essere umano, tanto che alcuni se ne sono augurati il definitivo abbandono da parte della prassi processuale, in favore di altre tecniche ad alta connotazione scientifica e difficilmente inquinabili da fattori soggettivi2. Tuttavia, spesso il contributo dichiarativo di un testimone può rivelarsi fondamentale per la corretta ricostruzione del fatto, e quindi la sua audizione diventa imprescindibile ed insostituibile da altri elementi di prova. Si ritiene preferibile conoscere il narratore e comprenderne i meccanismi di funzionamento, senza limitarsi

1 Così L.De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza e prova testimoniale, Giuffrè, Milano, 1988, p.40, la quale utilizza questa formula in contrapposizione con l’espressione actus homini. V. anche E.Dosi, La prova testimoniale, Giuffrè, Milano, 1974, passim.

2 Così G.Galuppi, Testimoni e testimonianze nei procedimenti giudiziari: una

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all’ascolto passivo dei suoi racconti3, piuttosto che eliminare in toto la

possibilità di ascoltarlo.

La testimonianza non è un fatto “puntuale” che si si realizza e si consuma nell’istante della deposizione in tribunale. Al contrario, si tratta di un processo complesso che ha inizio con la percezione degli stimoli derivanti dall’aver presenziato al fatto, e si conclude con la narrazione dello stesso4. In corrispondenza di ognuna delle fasi che progressivamente formano la testimonianza, possono presentarsi vizi tali da allontanare l’evento vissuto da quello narrato.

Il primo contatto tra lo spettatore e l’evento è costituito dalla percezione5, ossia un «momento cognitivo soggetto a molte variazioni ed interruzioni, dovute sia alla quantità e complessità degli stimoli percettivi, che ai limiti delle capacità percettive»6 del soggetto. In altri

termini, l’essere umano è in grado di percepire simultaneamente un numero limitato di informazioni, a causa dei vincoli naturalmente posti dalla capacità degli organi di senso. Si tratta di una limitazione fisiologica, nel senso che è legata alle normali caratteristiche fisiche,

3 Per questo motivo L.Kalb, Ruolo delle parti e poteri del giudice nello svolgimento

dell'esame testimoniale, in Diritto penale e processo, 2004, 12 afferma che «al di là

della mera rappresentazione del factum probandum, va esaminato anche il comportamento connesso all'esposizione, vale a dire i profili materiali, ambientali e psicologici del suo manifestarsi, la sua spontaneità, univocità, ambiguità e contraddittorietà» cit. p.1524. Inoltre, si veda F.Cordero, Procedura penale, VIII Edizione, Giuffrè, Milano, 2006, p.670, il quale sostiene che «i racconti diventano testimonianza quando l’autore afferma che le cose narrate siano accadute, avendole lui percepite», dimostrando così che la testimonianza è un racconto a cui sono stati applicati i “filtri” percettivi e psicologici del suo autore.

4 F.Cordero, Procedura penale, p. 670 afferma che, a decomporla, resta poco o niente d’ “obiettivo”. Per un’approfondita analisi dei momenti della testimonianza, si rimanda a P.Tonini, Manuale di procedura penale, XIV edizione, Giuffrè, Milano, 2015, p.1093 e ss.. l’autore individua sei fasi: sensazione, percezione, rielaborazione, memoria, rievocazione ed espressione. Si veda a proposito anche A. Malinverni, Vero

e falso nella testimonianza, in AA.VV., La testimonianza nel processo penale. Atti del convegno, Giuffrè, Milano, 1974, p. 186 e ss.

5 La percezione è stata distinta in altri due fasi: la sensazione e la percezione in senso stretto. La prima è l’acquisizione degli stimoli esterni che vengono tradotti in una sequenza di impulsi nervosi inviati alla corteccia celebrale; la seconda, è il processo che ci consente di registra e codificare gli stimoli, attribuendo a questi un significato. Così A.Miconi, La testimonianza nel procedimento penale. Profili giuridici,

psicologici e operativi, Giappichelli, Torino, 2009, p.216.

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neurologiche ed intellettive dell’essere umano. Accanto ad esse, tuttavia, è possibile che si manifestino altre condizioni, in grado di affievolire ulteriormente la capacità di percepire in modo limpido quanto osservato. Queste possono essere legate a cause sia fisiche7 che ambientali8, e devono essere considerate in aggiunta alle caratteristiche più prettamente psicologiche dell’osservatore, come, ad esempio, le aspettative, i pregiudizi e gli stati emotivi9. Sin dal momento della percezione, di conseguenza, lo spettatore pone in essere un filtro soggettivo a quanto sperimentato.

Il prodotto di questo primo intervento alterativo viene immediatamente immagazzinato nella memoria del soggetto. Questa può essere considerata «una funzione generale della mente, che fa riemergere l’esperienza passata ed è alla base di tutti i processi cognitivi»10.

Tuttavia, una definizione troppo rigida di “memoria” rischia di non esprimere la totalità di operazioni complesse che avvengono a livello neurologico in seguito alla percezione di uno stimolo11, per questo è

7 Si pensi, ad esempio, al soggetto affetto da miopia che non indossi lenti correttive. Egli non potrà essere considerato attendibile per il riconoscimento di un individuo visto da lontano. È evidente come possa essere causa di limitazioni sensoriale, di natura squisitamente neurologica, l’impiego di sostanze psicotrope, come droghe o psicofarmaci.

8 Si intende far riferimento alle variazioni di percezione che si possono manifestare in base alla frequenza di esposizione, alla durata e alla posizione seriale dello stimolo percepito (la percezione risulta più chiara e completa nel caso in cui lo stimolo sia ripetuto più volte e l’esposizione ad esso sia maggiore. A proposito si veda L.De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza, p.63.

9 Come esempi, possiamo ipotizzare, nel primo caso, che il soggetto abbia delle convinzioni politico-sociali talmente forti da portarlo a credere che l’autore del reato osservato appartenga ad una specifica etnia, cultura o religione. Nel secondo, si pensi al caso di quel testimone che durante la consumazione del fatto è talmente spaventato da non essere in grado di percepire lucidamente gli accadimenti.

10 Cit. A.Miconi, La testimonianza, p. 217. La memoria è stata definita anche «la capacità di accumulare informazioni e di recuperarle nel corso del tempo» da G. Mazzoni, Si può credere a un testimone? La testimonianza e le trappole della

memoria, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 122.

11 Una distinzione fondamentale al riguardo, è quella tra memoria a breve termine e memoria a lungo termine. La prima ha la funzione di ritenere le informazioni in maniera il più possibile fedele allo stimolo, ma per un tempo molto breve e per un numero di informazioni molto ridotto. Le informazioni così immagazzinate possono essere eliminate, sostituite, oppure “trasferite” nella memoria a lungo termine, al fine dunque di essere conservate. Si ritiene che questo secondo tipo di memoria abbia una capacità indefinita e possa contenere ogni tipo di stimolo (acustico, visivo, olfattivo,

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preferibile considerarla come un insieme di sistemi ed attività correlati, piuttosto che un archivio statico di ricordi12. Ciò che in ogni caso risulta evidente da un punto di vista empirico, è l’inevitabile esposizione della memoria a fattori di distorsione e deterioramento13, anche se lo stimolo percepito è stato validamente metabolizzato. In effetti, nel contesto di queste riflessioni, interessa maggiormente considerare la memoria sotto il profilo delle sue imperfezioni, in modo da individuare con più precisione le caratteristiche e i difetti della testimonianza. Infatti, è possibile affermare che la memoria è anche quel procedimento dell’inconscio di continua elaborazione del vissuto, che opera attraverso meccanismi di distorsione, integrazione e rimozione.

Il fattore più comune di allontanamento della raffigurazione di un’esperienza dal suo aspetto originario, è il “deterioramento della traccia mnestica”, anche chiamato “fenomeno dell’oblio”14. Si tratta di

emotivo ecc.). Nel passaggio tra i due tipi di memoria, è fisiologico che vengano persi dei bit di informazione, con inevitabile deterioramento, seppur parziale, del ricordo. 12 Si veda F.C. Bartlett, Remembering. A Study in Experimental and Social Psychology, London, Cambridge University Press, 1932, p.13, il quale sottolinea come la memoria non sia una funzione totalmente indipendente della mente, poiché i suoi meccanismi sono intimamente legati alla percezione, all’immaginazione e al “pensiero costruttivo”. Studiare la memoria significa proprio studiarne le relazioni.

13 Cfr. L.De Cataldo Neuburger, Aspetti psicologici nella formazione della prova:

dall’ordalia alle neuroscienze, in Diritto penale e processo, 2010, p.605 cit.: «In

nessun altro caso come in quello della memoria è evidente il divario che esiste tra uno stimolo - o un'esperienza - e la sua rielaborazione: il rapporto tra l'informazione e la rielaborazione mentale è totalmente sbilanciato a favore della seconda, il ruolo dell'informazione sensoriale è spesso secondario e la memoria può essere una pallida ombra dell'esperienza originaria». Si veda anche C.Barbieri, Considerazioni critiche

su alcuni aspetti peritali psichiatrico-forensi connessi a situazioni di vittimizzazione infantile, in Rivista italiana di medicina legale (dal 2012 Riv. it. medicina legale e dir. sanitario), fasc.2, 2008, pag. 481, secondo il quale «ogni testimonianza si configura

sempre come una ricostruzione "a posteriori" di un quid che si è verificato "a priori", nel contesto di una relazione nella quale le fonti di distorsione sono tutt'altro che trascurabili». Le “fonti di distorsione” interne al soggetto, costituiscono proprio la memoria.

14 L’oblio è una conseguenza naturale ed inevitabile che coinvolge tutti i ricordi degli esseri umani. Da questo fenomeno bisogna tenere distinti i casi di amnesia, che è un disturbo patologico della memoria. Si distinguono diversi tipi di amnesia, a seconda del tipo di difficoltà che affligge il soggetto (l’amnesia può essere anterograda se il soggetto non riesce a memorizzare informazioni dopo il trauma; retrograda se, invece, non riesce a ricordare le informazioni precedenti il trauma). Le cause possono essere sia fisiche che esclusivamente psicologiche. Per un approfondimento si veda De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza, p.127 e ss.

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un processo fisiologico che avviene nel lasso di tempo che intercorre tra la percezione dell’evento e la sua rievocazione: la quantità di bit di informazioni persi è proporzionale alla lunghezza di questo periodo15. Non è chiaro il motivo per cui la mente umana sia soggetta a questa continua “erosione” mnestica16 , tuttavia è stato evidenziato come le

informazioni legate a fatti realmente vissuti e particolarmente significativi possano essere ritenute per un periodo di tempo anche molto lungo17.

Alla perfetta conservazione degli stimoli percepiti e delle esperienze vissute, non si oppone soltanto il deterioramento passivo della traccia mnestica, ma anche una vera e propria attività ricostruttiva della psiche. Può accadere, infatti, che la descrizione che il testimone dà di una situazione risulti paradossalmente più particolareggiata con il passare del tempo. È stata più volte rilevata la fisiologica predisposizione dell’essere umano a colmare, anche in maniera inconsapevole, le lacune

15 Il filosofo e psicologo Hermann Ebbinghaus alla fine dell’800 condusse una serie di esperimenti che gli permisero di teorizzare la “curva dell’oblio”. La sua ricerca mostrò come la mente umana tenda a dimenticare molti elementi nel periodo iniziale e sempre meno durante lo scorrere del tempo. A proposito si veda anche C.L.Musatti, Elementi

di psicologia della testimonianza, II Edizione, Padova, 1989, il quale ha sottolineato

come «il materiale mnestico, è, anzitutto, soggetto ad una lenta opera distruttiva; noi siamo soggetti all’oblio: a mano a mano che ci allontaniamo nel tempo, dal momento in cui abbiamo vissuto una data situazione, un dato fatto, che abbiamo appreso un oggetto qualsiasi, noi siamo sempre meno in grado di ricordare, nei suoi elementi, quella situazione, quel fatto, quell’oggetto; e ciò a meno che non intervengano fattori particolari a inibire questo processo di oblio» cit. p. 132.

16 Cfr. L.De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza, p. 108, la quale illustra due diverse teorie con cui si è cercato spiegare il fenomeno dell’oblio. La prima è la c.d. teoria del decadimento, che vede la diminuzione di informazioni come una conseguenza inevitabile dello scorrere del tempo, a causa di fattori non identificati che determinano la perdita del ricordo. Una seconda teoria, invece, quella di interferenza, sostiene che l’informazione venga persa per il sopraggiungere di informazioni successive. In questo senso, la forza

di un’associazione tra due elementi non si affievolisce semplicemente per il passare del tempo, ma la sua conservazione viene ostacolata dal sopraggiungere di nuovi dati che si pongono in associazione con gli elementi originari.

17 Ancora C.L.Musatti, Elementi di psicologia, p. 145, afferma che gli eventi significativi della vita vengono ricordati per lungo tempo, anche in relazione allo stato emotivo del soggetto al momento dell’esperienza.

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che rendono il ricordo incoerente, nel perpetuo sforzo di attribuire significato alle informazioni ricevute18.

Nell’ambito di questo fenomeno, è stata eseguita una ricerca incentrata specificamente sulle misleading information. Secondo questo studio19, il soggetto trasferirebbe all’interno del ricordo principale tutte le successive informazioni ricevute in merito. Si tratta di un meccanismo particolarmente deleterio in ambito giudiziario, poiché, al fine ricostruire le vicende per come si sono realmente svolte, sarebbe auspicabile evitare che il ricordo del testimone sia condizionato da successive notizie. Tuttavia, è proprio durante il procedimento che il soggetto è esposto ad un numero enorme di informazioni riguardanti il caso ed il fatto da narrare.

Il materiale mnestico così elaborato può discostarsi ulteriormente da quanto percepito in origine per un altro ordine di fattori, legati alle pressioni sociali cui il testimone è sottoposto. Le pressioni sociali in grado di alterare il ricordo non sono vere e proprie costrizioni poste in essere dall’esterno: più correttamente, infatti, è il caso di parlare di “fenomeno del conformismo”20. Il soggetto è portato ad uniformare il

proprio racconto e le proprie risposte a quelle della maggioranza. Tale tendenza si acuisce in situazioni difficili e complesse, in cui è frequente seguire l’esempio di individui ritenuti più esperti. La pressione a conformarsi, inoltre, si impone con più forza in base alla grandezza del gruppo sociale di influenza.

La comprensione dei meccanismi generali della memoria, tuttavia, non è sufficiente a spiegare la totalità di complicazioni che possono

18 Una seconda tendenza è quello di modificare i dettagli di un elemento sconosciuto o incompreso, in modo da poterlo far rientrare in schemi precostituiti e noti al soggetto. 19 L’autrice dello studio è la psicologa statunitense Elizabeth Loftus. In particolare si veda E.F. Loftus, Come si creano i falsi ricordi, in Le Scienze, n.351, 1997, p.76. 20 Come sottolinea L.De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza, p.116 e s., «sebbene il termine abbia assunto una connotazione negativa, è un fatto che la maggior parte della gente tende a “conformarsi”, cioè a seguire quella tendenza che viene acquisita in tenera età quando apprendiamo che l’adesione a certe regole di comportamento accettate, viene ricompensata».

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affliggere il racconto testimoniale. A tal fine, è necessario prendere in considerazione tutti gli altri fattori psicologici, che sono legati alla consapevolezza del testimone di dover deporre in udienza. Si intende far riferimento alla fase squisitamente processuale, in cui il testimone è chiamato a rievocare il fatto vissuto e ad esprimerlo a parole. La rievocazione consiste in un «lavorio mentale di “ripasso”»21 che il soggetto informato compie in vista della sua testimonianza. Egli riflette sull’esperienza che ha vissuto, ed elabora una narrazione che sia più coerente e più convincente possibile. Per questo motivo deve operare una “traduzione” delle sensazioni in linguaggio, cui inevitabilmente consegue la generalizzazione e semplificazione dei fatti22.

Vi è da evidenziare, infine, che il fatto non viene narrato tramite un racconto libero privo di interruzioni, ma la dichiarazione è resa nell’ambito dell’esame incrociato, in una dinamica in cui l’interrogante risulta coinvolto nell’assunzione della dichiarazione quanto l’interrogato. Perciò è evidente la necessità di evitare il più possibile contaminazioni della fonte dichiarativa, attraverso l’utilizzo di misure di conduzione dell’interrogatorio idonee a non “inquinare” ulteriormente il contributo dichiarativo.

1.2 Questioni specifiche della testimonianza del minore

L’ordinamento italiano non individua nessuna categoria di persone da ritenere a priori “incapaci”23 di rendere testimonianza. L’art. 196 c.p.p.,

21 Così P.Tonini, Manuale di procedura penale, p. 1097; F.Cordero, Procedura penale, p. 671 la descrive come un’operazione in cui il ricordo, dopo essere rimasto “fermo” per qualche tempo, viene “rianimato” in vista della deposizione in tribunale.

22 L.De Cataldo Neuburger, Psicologia della testimonianza, descrivere questa fase come un abbandono del “linguaggio per sé”, in favore di un “linguaggio per gli altri”. L’autrice ritiene che «in questo inevitabile passaggio dall’interno all’esterno, molto può essere rimesso in discussione (…). Il testimone si sforza di essere creduto, e per essere creduto deve sforzarsi di essere preciso; per essere preciso, deve enunciare con sicurezza i suoi ricordi, rinunciare alle sue incertezze e presentare all’inquisitore un quadro il cui aspetto logico spesso dipenda da una previa “ruminazione” con la quale si è cercato di mettere tutto al posto giusto».

23 Attualmente il nostro ordinamento contempla esclusivamente casi di “incompatibilità” a testimoniare, cioè quelle circostanze in cui il soggetto informato riveste qualità tali da far temere un coinvolgimento personale nel processo e

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infatti, sancisce che «ogni persona ha la capacità di testimoniare», non rilevando affatto l’età di chi è chiamato a deporre in giudizio24. Anche

un soggetto minorenne, dunque, può rendere le proprie dichiarazioni in ambito giudiziale, sia come persona offesa, che come mero testimone del fatto25. Se la testimonianza pone tutta una serie di problemi sotto il profilo psicologico, circa l’effettiva attinenza alla realtà del suo contenuto, la situazione appare ben più complessa nel caso in cui si abbia a che fare con una fonte di prova particolarmente giovane26. «È ben noto, infatti, come i meccanismi di memorizzazione degli eventi e

l’alterazione cosciente dei fatti con le proprie dichiarazioni. La disposizione di riferimento è l’art. 197 c.p.p.

24 L’assenza di limitazioni circa i soggetti ritenuti capaci di testimoniare rappresenta una tendenza recente. Il minore, infatti, è stato considerato di per sé inattendibile in alcuni ordinamenti, a causa delle sue limitate capacità cognitive e alla tendenza di confondere ciò che è reale con elementi di fantasia; in altri, invece, è stato considerato attendibile sempre e comunque, poiché reputato innocente ed incapace di dire menzogne. Per una ricognizione storico giuridica di come è stato considerato il minore testimone nelle varie fasi storiche della società occidentale, si veda C.Pansini, Le

dichiarazioni del minore nel processo penale, Padova, 2001, p.5 e ss. L’autrice illustra

come in tempi storici diversi sia stato risolto il dilemma tra la necessità di assumere informazioni necessarie alla ricostruzione dei fatti oggetto di imputazione, e i rischi dovuti al fatto che il minore è un soggetto in pieno sviluppo fisico e psichico, che presenta delle fisiologiche deficienze psichiche tali da renderlo meno affidabile dell’adulto cosciente e consapevole. L’analisi di Pansini percorre i diversi tipi di approccio alla questione, dal diritto romano fino al codice di procedura penale italiano del 1988, mostrando le tappe intermedie tra la presunzione assoluta di incapacità a testimoniare del minorenne, che caratterizzava l’ordinamento romano classico, fino ad una totale assenza di presunzioni dei nostri tempi.

25 Prima dell’entrata in vigore del codice del 1988, nemmeno il codice Rocco poneva limitazione alla possibilità di testimoniare. Tuttavia, i testimoni minori degli anni 14 non prestavano giuramento prima di rendere la dichiarazione. Il giuramento era invece obbligatorio per gli altri soggetti. Questa limitazione in capo agli infraquattoridicenni dimostrava che all’epoca questi non si ritenessero in grado di comprendere la solennità dell’atto. A livello di contenuto delle sue dichiarazioni, tuttavia, la giurisprudenza era già propensa a riconoscere la prerogativa del giudice a saggiarne l’attendibilità. A proposito Cfr. Cass.pen., sez III, 8/04/1958, in Giustizia penale, 1959, II, 53, in cui si è affermato che l’imputato può essere dichiarato responsabile sulla base di una dichiarazione resa dal minore, che si avvalorata da elementi tali da farne presumere la fede.

26 Per questo si ritiene che, per facilitare l’assunzione di una testimonianza il più possibile genuina, si debba conoscere i limiti del soggetto fonte di prova. Così anche L. De Cataldo Neuburger, La testimonianza del minore tra “scienza del culto del

cargo” e fictio juris, Cedam, Padova, 2005, la quale afferma che «Lo studio

psicologico e psicopatologico del processo testimoniale è rivolto alla conoscenza delle fonti d’interferenza e delle deformazioni più frequenti, che possono portare a discrepanze o inquinamenti della realtà obiettiva dei fatti nella loro rievocazione da parte del testimone», in modo, appunto, da “depurare” le dichiarazioni testimoniali cit. p.6.

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di riemersione dei ricordi si atteggino in termini peculiari nel soggetto minore, il quale può non avere maturato una adeguata capacità di elaborazione di operazioni cognitive e non possedere quegli "script" che consentono di codificare la realtà e dare un preciso significato ad ogni accadimento»27.

La capacità del minore di raccontare esattamente i fatti che si ricorda è fortemente limitata dalla sua intrinseca suggestionabilità: egli, infatti, non è inattendibile di per sé, ma è il soggetto più idoneo ad essere manipolato, influenzato e condizionato28. La suggestionabilità può essere definita come la tendenza del minore a «compiere rivelazioni e descrivere fatti vissuti sotto l’influenza di una serie di fattori sociali e psicologici»29. Questo meccanismo di distorsione del ricordo ha origini

interne ed esterne, potendo dipendere da elementi di ordine sia cognitivo che ambientale30.

27 Così, espressamente E.Aprile, L'acquisizione e la valutazione della testimonianza

del minore nel processo penale: un ennesimo "banco di prova" nel dialogo tra il giurista e l'esperto di scienze ausiliarie, in Rivista italiana di medicina legale (dal 2012 Riv. it. medicina legale e dir. Sanitario), fasc.6, 2011, pag. 1597; l’autore

aggiunge inoltre che il minore può essere persona fortemente suggestionabile, con una tendenziale propensione a colmare eventuali vuoti di memoria con elementi frutto di immaginazione. G.L.Duprat, Le mensonge, Alcan, Paris, 1903, passim sostiene che il bambino sia immaturo psicologicamente, manca di capacità di sintesi e di analisi. Inoltre è forte in lui il potere immaginativo, che lo porta a confondere i ricordi delle esperienze effettivamente vissuto con quelli frutto delle sue fantasie.

28 Così Cass.pen., Sez. IV, 1/12/2011, n.44644, in Mass. Uff., n. 251661, si afferma che «il bambino è soggetto suggestionabile e, se escusso con metodiche non corrette e con domande suggestive, tende ad “adeguarsi alle aspettative” dell'interlocutore ed a riferire quello che l'adulto si aspetta; inoltre, i bambini piccoli hanno una memoria malleabile e possono incorporare nel proprio patrimonio mnestico le informazioni ricevute dagli intervistatori sino a crearsi falsi ricordi autobiografici». Si veda L.De Cataldo Neuburger, La testimonianza del minore, p.7, la quale sostiene che il bambino, nei limiti delle sue competenze, è capace di rendere testimonianze attendibili se è interrogato in modo corretto.

29 Cit. G.Gulotta, L. De Cataldo, S.Pino, P.Magri, Il bambino come prova negli abusi

sessuali, in C.Cabra (a cura di), Psicologia della prova, Giuffrè, Milano, 1996, p.164.

30 Cfr. L. De Cataldo Neuburger, La testimonianza del minore, p.283, la quale elenca i fattori da cui dipende la maggiore suggestionabilità di un soggetto, cioè l’età, il tempo intercorso tra evento e rievocazione, lo stress emozionale scaturito dalla situazione sconosciuta e l’atteggiamento dell’interrogante. Ancora G.Galuppi, Testimoni e

testimonianze, §3, individua, tra i fattori esterni, il tempo trascorso tra fatti e

rievocazione, le influenze esercitate dai soggetti che gravitano intorno al minore e il metodo con cui viene svolto l’interrogatorio. Tra i fattori interni, invece, l’Autore menziona il meccanismo di autoprotezione, in base al quale il testimone valuta il

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Tra i fattori cognitivi è il caso di menzionare la memoria, la capacità di distinguere realtà e fantasia, ed il livello di abilità linguistiche del testimone31. Sono tutte caratteristiche che si sviluppano con l’età, e, infatti, è stato dimostrato come il soggetto è tanto suggestionabile quanto più è giovane32: da questo punto di vista è evidente anche ad un profano il divario che intercorre tra un bambino in età prescolare e un adolescente, sebbene sotto il profilo giuridico rilevi esclusivamente il compimento della maggiore età33.

proprio interesse derivante dalla deposizione e la salute dello stesso, cioè «l’organizzazione fisio-neuro-psichica del testimone».

31 Così G.Gulotta, L. De Cataldo, S.Pino, P.Magri, Il bambino come prova, p.165. 32 Nella presente materia si deve un contributo fondamentale alla psicologia dello sviluppo e più specificamente alla psicologia dell’età evolutiva, che ne rappresenta un settore. Il primo studioso dello sviluppo e dell’apprendimento dei bambini è Jean Piaget, il quale ha preso in considerazione i fattori biologici e ambientali che incidono sull’evoluzione delle capacità cognitive e sulle caratteristiche peculiari dei soggetti in base al loro livello di sviluppo. Secondo questa disciplina, ogni “bambino” attraversa quattro stadi di sviluppo cognitivo. Il primo riguarda i bambini fino ai due anni, ed è il momento in cui il soggetto entra in contatto con gli oggetti ed inizia a stabilire nessi di causa-effetto: è lo stadio “sensomotorio”. Tra i due e i sette anni è in grado di riconoscere gli oggetti e di chiamarli per nome, con un progressivo miglioramento della discriminazione dei dettagli. In questa fase, detta “preoperatoria” il bambino è convinto che il mondo sia esattamente come lui lo vede, e che tutti, a prescindere dall’età, lo percepiscano nello stesso modo. Durante il terzo stadio, quello “operatorio concreto”, si inizia a capire la mutevolezza degli stati fisici degli oggetti, e si passa dall’intuizione all’operazione. Tuttavia continua a mancare la capacità di astrazione, con la conseguente convinzione che la realtà delle cose coincida con la loro apparenza; ciò riguarda sia le cose fisiche che i sentimenti delle persone. L’ultimo stadio, infine, concerne i bambini dagli undici ai quattordici anni, i quali hanno sviluppato, almeno a livello embrionale, tutte le capacità cognitive dell’adulto e di conseguenza possono essere interrogati nello stesso modo. Questo stadio è chiamato “operatorio formale” e coincide con l’inizio dell’adolescenza. A proposito cfr. J.Piaget, Lo sviluppo mentale

del bambino, Einaudi, Torino, 1967, passim; J.Piaget, The Psychology of Intelligence.

Routledge & Kegan, Londra, 1950, passim. Per una breve riflessione sull’attendibilità del bambino si veda anche D.Carponi-Schittar G.Bellusi, L’esame orale del bambino

nel processo, Giuffrè, Milano, 2000, p. 3 e ss.

33 Come sarà analizzato nei prossimi capitoli, le specifiche misure di tutela che il legislatore italiano ha predisposto in sede di audizione del minore possono essere applicate in favore di soggetti minorenni, che non abbiano cioè compiuto 18 anni. A tal proposito si veda S.Buzzelli, La fragilità probatoria del dichiarante minorenne e

la giustizia penale in Europa, in C.Cesari (a cura di), Il minorenne fonte di prova nel processo penale, Giuffrè, Milano, 2008, p.4 e ss. la quale sottolinea come il trattamento

del minore è assolutamente disomogeneo nei vari Paesi europei, «essendo altalenante anche la soglia di punibilità». L’autrice cita il caso della Scozia in cui il minore è ritenuto penalmente responsabile dall’età di otto anni. L’Autrice afferma che l’unica certezza che pare mettere d’accordo tutti gli ordinamenti europei, è il limite massimo di non punibilità, cioè il raggiungimento della maggiore età al compimento dei diciotto anni.

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Durante la crescita, l’individuo sviluppa progressivamente le proprie capacità mnemoniche34 ed è maggiormente in grado di interpretare correttamente gli eventi, riuscendo così a immagazzinare più efficacemente ricordi aderenti alla realtà, e limitando al minimo la sostituzione degli stessi con elementi fantastici e immaginari35. Le competenze linguistiche del bambino, benché costituiscano una limitazione di tipo cognitivo, quindi “interno”, rappresentano un fattore di maggiore esposizione alle suggestioni “esterne”. Qualora non abbiano una sufficiente capacità sintattica o semantica, infatti, i bambini sono più soggetti ad allacciarsi a ciò che viene suggerito, anche involontariamente, dal loro interlocutore36.

34 È interessante annotare che nella prima fase di vita dell’individuo si registra un fenomeno che prende il nome di “amnesia infantile”, a causa del quale è impossibile rievocare ricordi riferiti all’età che va, orientativamente, dalla nascita del soggetto fino al compimento dei tre, quattro anni. Le cause possono essere di varia natura, da una parte legate all’imperfetta maturità delle strutture cerebrali necessarie all’immagazzinamento di ricordi, dall’altra alle limitate capacità verbali. Successivamente a questo periodo, tuttavia, il bambino è in grado di immagazzinare ricordi e di rievocarli. La differenza con l’adulto risiede nella quantità e nel tipo di dettagli che il minore riesce a ritenere. Non riuscendo a dominare un numero eccessivo di informazioni contemporaneamente, l’attenzione del bambino si concentra sui particolari per lui salienti, e non su quelli posti “a margine” della scena. L’importanza del dettaglio ricordato, però, deve essere valutata in base agli interessi del minore, il quale può notare elementi totalmente insignificanti per l’adulto, perché particolarmente interessanti per il suo modo di vedere il mondo. Per un’analisi approfondita delle cause che possono spiegare il fenomeno dell’amnesia infantile, si veda L. De Cataldo Neuburger, La testimonianza del minore, p.108 e ss. L’Autrice illustra le varie ricerche che hanno indagato sull’argomento: secondo un’ipotesi psicoanalitica, si tratterebbe di una rimozione legata alla sessualità, che si estende a tutta l’infanzia, risolvendosi solo con il declino del complesso edipico; a riguardo si veda S.Freud, L’istruzione sessuale dei fanciulli, 1907, passim. Le ricerche non psicoanalitiche, invece, spiegano il fenomeno in base, da una parte, alla differenza di linguaggio dell’adulto rispetto al bambino, per cui da adulti non si comprenderebbero i propri ricordi risalenti all’infanzia, dall’altra allo scarso sviluppo del linguaggio, fondamentale nel processo di memorizzazione.

35 A tal proposito L.Camaldo, La testimonianza dei minori nel processo penale: nuove

modalità di assunzione e criteri giurisprudenziali di valutazione, in Indice penale,

2000, p.177, afferma che «I minori in tenera età, soprattutto fino agli otto anni, tendono con maggiore facilità rispetto agli adulti a dimenticare i fatti con il passare del tempo, e soprattutto sono altamente suggestionabili e tendono a confondere i loro ricordi con informazioni acquisite dopo il fatto o addirittura a modificare il ricordo di fatti realmente accaduti con eventi immaginari». Così anche A.Mestitz, La tutela del

minore tra norme, psicologia ed etica, Giuffrè, Milano, 1997, passim.

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Gli elementi di disturbo esterni sono legati alle modalità con cui viene svolto l’interrogatorio e al momento in cui quest’ultimo ha luogo, poiché più passa il tempo, più i ricordi diventano malleabili e sostituibili da informazioni successivamente apprese37. A seconda dell’età, soprattutto entro gli otto anni, i bambini hanno il desiderio di accontentare le aspettative degli adulti. Se al giovane testimone viene rivolta una domanda, l’ostacolo derivante dalla mancanza di un ricordo utile a dare la risposta può essere facilmente superato dalla volontà di rispondere ugualmente38. Ciò significa che il bambino è disposto a modificare la versione dei fatti ricordata, a costo di dare una risposta che soddisfi l’interlocutore39. Tale rischio, di per sé molto alto, aumenta quando la

domanda viene posta più volte dall’adulto, fatto che può avere luogo

37 Cfr. L.Camaldo, La testimonianza dei minori, p.177. L’Autore sottolinea come con il passare del tempo è possibile che il minore faccia maggiore confusione tra eventi reali ed elementi frutto della fantasia. Se si tratta di un periodo abbastanza lungo, inoltre, l’intervento di manipolazioni o suggestioni esterne può determinare dimenticanze circa il preciso svolgimento del fatto. Si veda inoltre la già citata sentenza di Cass.pen., Sez. IV, 1/12/2011, n.44644, in Mass. Uff., n. 251661, secondo la quale i bambini piccoli hanno una memoria malleabile e possono incorporare nel proprio patrimonio mnestico le informazioni ricevute dagli intervistatori sino a crearsi falsi ricordi autobiografici. Contra si veda, invece, P.Capri, La valutazione della capacità

a testimoniare del minore nei processi penali in materia di abuso sessuale, in Rivista italiana di medicina legale, fasc.6, 2011, §9, il quale afferma come gli studi più recenti

abbiano dimostrato la capacità dei bambini, anche molto piccoli, di fornire racconti molto dettagliati, senza la tendenza di introdurre spontaneamente elementi di fantasia nei loro resoconti. La ricerca in questione è stata pubblicata da A.M.Giannini e F.Giusberti, La testimonianza del minore, in www.aipass.org.

38 Questo fenomeno in psicologia prende il nome di compliance, cioè compiacenza. Si tratta di una forma di collaborazione estrema, poiché il soggetto non ha alcun desiderio di danneggiare l’altro, ma tenta di dire ciò che crede che l’altro voglia sentire; si veda da G. Mazzoni, Si può credere a un testimone?, passim. È il caso di rilevare, inoltre, che fino ai sette anni il bambino ha una visione estremamente egocentrica del mondo. Ciò significa che è portato a credere che l’adulto sia già a conoscenza dei fatti narrati, e quindi ometterà parti fondamentali del racconto. Cfr. A.Lisi I.Grattagliano, Ipotesi

di abusi sui minori e valutazione dell’attendibilità testimoniale: tra verità, menzogne e false credenze, in Rivista italiana di medicina legale, fasc.1, 2008, §3.

39 Così Cass. pen., Sez. III, 18.9.2007 n. 37147, in Cassazione penale, fasc.1, 2009, p.0246B, con nota di S.Recchione, Le indagini nei casi di sospetti abusi su minori. La

prova dichiarativa debole e la fruibilità degli atti di indagine. Nel caso di specie, i

Giudici di legittimità hanno ritenuto necessario contemperare l'assunto secondo il quale i bambini piccoli non mentono consapevolmente e la loro fantasia attinge pur sempre ad un patrimonio conoscitivo, con la consapevolezza che gli stessi possono essere dichiarati attendibili se lasciati liberi di raccontare, ma diventano altamente malleabili in caso di suggestioni etero indotte, in presenza delle quali, se interrogati con domande inducenti, i piccoli tendono a conformarsi alle aspettative del loro interlocutore.

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quando la prima risposta data dal minore non rispecchia la tesi dell’accusa. È un’eventualità che si verifica spesso all’interno del procedimento penale, in cui le deposizioni sono assunte da diversi operatori a distanza di tempo40.

Soprattutto nel caso in cui si proceda per un reato di natura sessuale, di cui il minore è il presunto soggetto offeso, negli adulti si scatenano reazioni di sconcerto e dolore, venendo questi investiti dalla volontà di proteggere il bambino e di punire il “colpevole” di tale atrocità41. Si

tratta di un atteggiamento che, nonostante la buona fede degli organi di giustizia, è estremamente “inquinante” nei confronti delle dichiarazioni del soggetto, poiché porta con sé il tentativo di far dire al minore ciò di cui ci si è preventivamente convinti42. Non è affatto raro che queste

pratiche giungano fino alla creazione di falsi ricordi, chiamati anche “indotti”, nella memoria dell’interrogato: il soggetto registra il ricordo di un evento mai verificatosi, talvolta addirittura legato a situazioni che è oggettivamente impossibile ricordare43.

40 Così anche L.Camaldo, La testimonianza dei minori, p.177, il quale sostiene che «i reiterati interrogatori dei minori comportano un elevato rischio di inquinamento della prova, in quando il minore tende a modificare la sua versione dei fatti se gli vengono poste domande suggestive o non correttamente formulate».

41 Così S.Recchione, Le indagini nei casi di sospetti abusi su minori, §1; C.Barbieri,

Considerazioni critiche su alcuni aspetti peritali psichiatrico-forensi connessi a situazioni di vittimizzazione infantile, in Rivista italiana di medicina legale (dal 2012 Riv. it. medicina legale e dir. sanitario), fasc.2, 2008, pag. 481 il quale afferma che

«quando un minore si dichiara vittima di una o più azioni di abuso, insorgono spontaneamente nell'osservatore moti di accettazione e/o rifiuto, di natura sostanzialmente emotivo-affettiva, non sempre riconosciuti a livello cognitivo e controllati sul piano razionale, al punto da poter far commettere agli osservatori stessi veri e propri errori di valutazione».

42 Si veda L.Scomparin, La tutela del testimone nel processo penale, Cedam, Padova, 2000, p.333, la quale denuncia il rischio che venga creata una “deposizione preconfezionata” a causa dell’eccessivo coinvolgimento degli ausiliari giudiziari: l’adozione di strumenti di sostegno psicologico precedenti, rischiano perciò di essere contaminanti, nel caso in cui gli operatori non siano formati adeguatamente. Si è tuttavia anche sostenuto che, in tema di criteri di valutazione probatoria, la suggestionabilità del minore è rilevante ai fini del giudizio di attendibilità della sua deposizione solo quando il grado di influenzabilità individuale assume forme patologiche, come nelle personalità isteriche od immature, così Cass.pen., sez. III,

04/10/2007, n. 42984, in CED Cassazione penale 2008.

43 Più la narrazione “falsa” è ripetuta, maggiore è la possibilità che il bambino descriva eventi mai accaduti e consolidi così ricordi non autentici. Qualora l’interrogatorio venga svolto dagli operatori con l’idea che il reato sia stato consumato, è probabile

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L’atteggiamento di chi interroga incide sensibilmente sulle risposte del minore, per questo motivo è stato anche affermato che «il termine “suggestivo” fa riferimento non solo al contenuto inducente delle domande, ma anche (…) alla creazione di un’atmosfera d’accusa attraverso il ricorso a frasi che inducono il bambino a pensare che verrà interrogato su un evento importante o grave»44.

che, da adulto, il minore ricorderà di avere effettivamente subito l’abuso denunciato Questo fenomeno risulta particolarmente deleterio nei casi in cui il minore sia presunta vittima di abuso sessuale. La creazione di un falso ricordo di abuso danneggerà gravemente lo sviluppo psicologico del minore, verificandosi il paradosso per cui il reato sarà ricordato a causa dell’intervento operato, in buona fede, dal magistrato e dai suoi ausiliari. A tal proposito è molto interessante la teoria di L. De Cataldo Neuburger,

La testimonianza del minore, p.167 e ss., la quale afferma che si tratta di un fenomeno

per cui gli interlocutori del bambino, in seguito ad una serie di interrogatori, ritrovano nelle sue dichiarazioni gli indicatori dell’abuso sessuale subito, quando, al contrario, tali indicatori non sono che la traccia che hanno lasciato gli interlocutori stessi, mediante domande suggestive e presunzioni di avvenuto abuso. L’Autrice chiama curiosamente questo meccanismo “effetto Winnie the Pooh”, rifacendosi ad un episodio del cartone animato, in cui l’orsetto segue spaventato le orme che un animale ha lasciato nella neve e che portano dritto a casa sua. Il protagonista capirà finalmente che sono le sue stesse tracce, da lui impresse sul camminamento durante una passeggiata.

44 Cit. L.De Cataldo Neuburger, La testimonianza del minore, p. 280. L’autrice fa riferimento a quelle espressioni come “il giudice serve per punire quelli che fanno brutte cose ai bambini”, che valgono ad indurre lo stereotipo per cui il soggetto di cui si sta parlando è effettivamente “cattivo” e va punito.

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2. Le esigenze di protezione del teste fragile

2.1 L’evoluzione giuridica dei diritti del minore

Il percorso di “riscoperta psicologica” del minore, è andato di pari passo con l’affermazione dei suoi diritti. Se fino al codice del 1930 oggetto di regolamentazione è stata esclusivamente la sua capacità (o incapacità) a testimoniare, in epoca moderna si è prestata sempre maggiore attenzione verso la protezione della sua “serenità”. Da una parte, sia a livello nazionale che internazionale, si è assistito ad un’evoluzione della concezione del minore come essere umano, con l’affermazione di diritti e facoltà a lui “riservati”; dall’altra, e come conseguenza, è stata presa in considerazione la sua posizione all’interno del procedimento penale. In ambito interno, è stata l’adozione della Costituzione a sancire il mutamento di posizione del minore nell’ordinamento italiano. La Carta costituzionale ha manifestato l’inversione culturale rispetto alla concezione ottocentesca che vedeva lo Stato primeggiare sui diritti della persona. Non a caso l’art. 2 Cost. pone al vertice dei valori riconosciuti dalla Carta fondamentale la persona umana, tanto nella sua dimensione individuale quanto in quella sociale. In questa nuova atmosfera, anche il minore è stato consacrato uomo, titolare di tutti i diritti dell’essere umano. L’articolo 30 Cost. afferma il diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli. L’articolo 31, 2°Cost. sancisce l’obbligo, in capo alla Repubblica, di proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù. Infine l’articolo 37 Cost. tratta il rapporto di lavoro in capo al minore, demandando alla legge di individuare il minimo di età per il lavoro salariato.

In principio i primi segni di sensibilizzazione nei confronti dei soggetti minorenni si sono manifestati in ambito sovranazionale: il primo atto ufficiale che parla dei “diritti del bambino”, infatti, è la “Dichiarazione

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di Ginevra”, redatta nel 1924 dalla Società delle Nazioni45. Pur non

rappresentando un documento vincolante per gli Stati aderenti, la “Dichiarazione dei diritti del fanciullo” rappresenta la prima effettiva presa d’atto dell’esistenza di particolari esigenze di tutela del bambino. Il minore viene riconosciuto un soggetto debole, in favore del quale devono essere predisposti strumenti tali da assicurargli eguaglianza sostanziale rispetto all’individuo adulto, all’interno di tutti gli ordinamenti.

A tale documento è seguita l’approvazione, nel 1959, della “Dichiarazione sui diritti del bambino” da parte delle Nazioni Unite46:

gli intenti espressi richiamano quelli della Dichiarazione di Ginevra, tuttavia si fanno più insistenti le richieste di intervento pragmatico da parte degli Stati aderenti. Per la prima volta, inoltre, viene preso in considerazione il concetto di “titolarità di diritti” con riguardo al minore. Da ultimo si ritiene di dover menzionare la “Convenzione sui diritti del fanciullo”, adottata il 20 novembre 1989 a New York. In questo documento non appare il termine “minore”47: gli interessi e i diritti del

bambino vengono anteposti a quelli dell’adulto e il fanciullo risulta un

45 Si vedano C.Pansini, Le dichiarazioni del minore, p. 26, la quale illustra i tre diritti fondamentali espressi dal documento, ossia autonomia, tutela ed educazione. Per la prima volta al bambino viene riconosciuto il diritto all’integrità fisica e ad un processo formativo normale; R. Gentile, La condizione del minore nell’ordinamento

internazionale, in Diritto e giustizia minorile, 2012, n. 2-3, p. 28 e ss. mostra come la

Convenzione di Ginevra abbia rappresentato un’importante svolta per la posizione dei minori, considerati sia come autori che come vittime di reati: «Fu tra l’altro affermato che il minore deviato deve essere recuperato e che il fanciullo deve essere protetto da ogni forma di sfruttamento. Da queste due idee centrali, nella seconda metà di questo secolo, si è andata dipanando, al livello internazionale, una articolata elaborazione di linee guida che hanno messo in moto, negli ordinamenti giuridici dei singoli Paesi, la produzione di normative interne, le quali, quantunque diverse, denotano tuttavia la comune ispirazione».

46 Tale documento è stato approvato dall’Assemblea Generale ONU, con Risoluzione 1386 (XIV) del 20 novembre 1959.

47 Si tratta di una scelta lessicale quantomeno simbolica., poiché sottolinea il fatto di non voler definire il bambino in funzione dei suoi deficit rispetto alla persona adulta, sia di tipo cognitivo che da un punto di vista di titolarità dei diritti.

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soggetto bisognoso di cure e protezioni, che ha il diritto di crescere in un ambiente sano e sereno48.

È sempre a livello internazionale che originariamente è stata manifestata l’intenzione di proteggere il minore all’interno del processo penale. L’attenzione del legislatore sovranazionale, in un primo momento, si è invero concentrata sulla figura dell’imputato minorenne49, attraverso l’istituzione di un vero processo penale minorile50. È il caso di

menzionare il “Patto internazionale sui diritti civili e politici”, concluso a New York il 16 dicembre 1966 e recepito in Italia mediante legge 25 ottobre 1977, n. 88151 e le Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile (c.d. Regole di Pechino)52 del 1985. Sebbene con riferimento all’imputato, si inizia a far strada l’idea secondo cui è necessario adottare procedure e metodi particolari di escussione, differenziati in base all’età ed alle caratteristiche psichiche del soggetto. Tali indicazioni sono state recepite dal legislatore italiano, che, nell’ottica della centralità dello stato psicologico e di maturazione del

48 L’art. 12 della Convenzione stabilisce espressamente la necessità di fornire al fanciullo «la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale».

49 Così C.Pansini, Le dichiarazioni del minore, p.27; L.Scomparin, Il testimone

minorenne nel procedimento penale: l’esigenza di tutela della personalità tra disciplina codicistica ed interventi normativi recenti, in Legislazione penale, 1996,

p.694.

50 Nel 1899 a Chicago viene istituita la Juvenile Court, primo organismo incaricato di giudicare esclusivamente i minorenni, secondo regole ispirate alle loro specifiche esigenze. Dopo l’Inghilterra, la Francia, il Belgio, l’Olanda e la Germania, è stato il turno dell’Italia di dotarsi di un tribunale minorile. In sede internazionale nel 1985 sono state emanate le cosiddette Regole di Pechino, ovvero le “Regole minime per l’amministrazione della giustizia dei minori”; e, in seguito, le “Reazioni sociali alla delinquenza minorile”, raccomandazione del Consiglio d’Europa del 1987. Nell’ottica della centralità dello stato psicologico e di maturazione del soggetto, e del fine rieducativo del processo minorile, è stata emanata la legge delega 16 febbraio 1987. La delega è stata attuata dal d.P.R. 22 settembre 1988, n.488.

51 Si tratta della legge di “ratifica ed esecuzione del patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali, nonché del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, con protocollo facoltativo, adottati e aperti alla firma a New York rispettivamente il 16 e il 19 dicembre 1966”, pubblicata in GU 7 dicembre 1977. 52 Adottate a New York dall’Assemblea generale del settimo congresso dell’O.N.U., il 29 novembre 1985.

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soggetto, e del fine rieducativo del processo minorile, ha emanato la legge delega 16 febbraio 1987. La delega è stata attuata dal d.P.R. 22 settembre 1988, n.48853, in cui, tra l’altro, si afferma che il minorenne, nel proprio processo, ha diritto all’assistenza affettiva e psicologica, compreso il sostegno morale dei servizi minorili, che sono attivamente coinvolti per tutta la durata della vicenda giudiziaria.

Attraverso il riconoscimento di tali diritti in capo del minore imputato, la figura stessa di soggetto minorenne tout court ha guadagnato maggiore dignità in ambito processualpenalistico54. Gli interventi degli ultimi anni, infatti, hanno inciso sulla disciplina del procedimento ordinario, a protezione del minore considerato soggetto fragile e in pieno sviluppo psicologico e cognitivo. Con specifico riferimento al minore vittima di reato, l’ordinamento comunitario ha avuto un ruolo centrale nell’emanazione della nuova normativa, così come il Consiglio d’Europa. Tra gli interventi più significativi, si sceglie qui di menzionare la direttiva 2011/36/UE, con cui l’Unione Europea ha voluto perseguire il fine di prevenire e combattere la tratta di esseri umani e di proteggere i diritti delle vittime55 e la direttiva 2011/93/UE, relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, attuata in Italia tramite il d.lgs. 4 marzo 2014 n. 39. L’ordinamento italiano, inoltre, ha emanato la legge 172/2012 al fine di dare esecuzione alla c.d. “Convenzione di Lanzarote” del 2007, per

53 L’intera disciplina del processo minorile è ispirata dalla finalità rieducativa del soggetto, in maniera amplificata rispetto all’imputato adulto. Per questo motivo sono predisposti organi di giustizia specifici, i cui operatori dovrebbero possedere una formazione adeguata al ruolo svolto. La struttura del procedimento è inoltre organizzata in modo tale da evitare l’inutile prosecuzione del processo, secondo il principio della minima offensività.

54 Lo stesso percorso è stato seguito dalla Corte costituzionale, che ha voluto manifestare la preminente esigenza di protezione del minore nel processo facendo emergere la specialità della condizione del minore e la necessità di tutela dello stesso, anche a costo di sacrificare altri interessi tipicamente garantiti nel nostro ordinamento. Tra le pronunce più significative è il caso di menzionare Corte costituzionale,

19/07/1983, n.222, in Giur. Cost. 1983, p. 1319; Corte costituzionale, 10/02/1981, n. 16, in Giur. Cost. 1981, I, p.83; Corte costituzionale 10/02/1981, n.17, in Giur. Cost.

1981, I, p.87.

55 Così il considerando n.4 della direttiva 2011/36/UE, sostitutiva della decisione quadro 2002/629/GAI.

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la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. Da ultimo, si segnala la direttiva 2012/29 /UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza, protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI56.

2.2 Il fenomeno della vittimizzazione secondaria e la protezione del minore nel processo penale

«Se, da un canto, si è rivendicato il diritto del minore ad un proprio processo, dall’altro lato si è evidenziata la necessità di eliminare o ridurre al minimo ogni stimolazione inutilmente negativa che possa derivargli dal suo contatto con l’apparato giudiziari»57. Da una

situazione in cui gli ordinamenti si pongono come unico problema quello di garantire l’attendibilità delle dichiarazioni, arrivando fino ad escludere la possibilità stessa che il minore rivesta la qualifica di testimone, si è passati ad una riorganizzazione delle “priorità” del processo, tale da evitare una sconsiderata presunzione della prevalenza assoluta degli interessi propri del processo penale su quelli dell'esaminando58. Assume sempre maggiore importanza il concetto di “vulnerabilità” del minore, il quale necessita di essere protetto nel processo e dal processo, proprio perché non possiede capacità di comprensione e autodifesa tali da permettergli di superare più o meno incolume l’esperienza giudiziaria. Quando il minore entra a far parte degli ingranaggi della giustizia, in qualità di vittima o esclusivamente di persona informata sui fatti, l’impatto con gli operatori e la sottoposizione a ripetuti interrogatori possono essere estremamente traumatici. In linea generale, il minore, specie se particolarmente

56 Si veda infra ai capitoli 2 e 3 l’analisi approfondita, rispettivamente, della “Convenzione di Lanzarote” e della direttiva 2012/29/UE, e della loro esecuzione ed attuazione da parte dell’ordinamento italiano.

57 Così, espressamente, C.Pansini, Le dichiarazioni del minore, p.33. Si veda anche D.Carponi-Schittar G.Bellusi, L’esame orale del bambino, p.37, i quali definiscono la nuova tendenza a predisporre misure di protezione per il minore «lo sbandieramento tutto mediterraneo dell’amore per l’infanzia».

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piccolo, è maggiormente esposto a fattori di perturbazione della sua serenità59, quali il fatto di avere contatti con soggetti sconosciuti, in luoghi non familiari, e al fine di compiere attività di cui egli non è in grado di capire il significato. Il bambino, inoltre, è particolarmente sensibile ai disagi fisici, quali la fame, la sete e la stanchezza. Si tratta di situazioni che creano stress psicologico o emotivo anche nel testimone adulto60, e che, a fortiori, per il minore possono rivelarsi addirittura traumatiche. Le circostanze sgradevoli che la persona informata si trova a fronteggiare si rivelano ancor più dolorose qualora il soggetto ricopra altresì la qualifica di persona offesa. Infatti, è purtroppo il caso di rilevare come non sia affatto raro che il minore sia chiamato a deporre in qualità di vittima di abuso sessuale. La violenza sessuale subita non spiega i suoi effetti solo nell’ambito del singolo episodio, ma riverbera sul successivo sviluppo psicologico ed emotivo del minore, coinvolgendo i suoi rapporto affettivi e familiari61. Lo stress

dovuto alla partecipazione al processo si somma così al trauma derivante dall’aver subito il delitto e a quello di doverne rievocare il ricordo e le sensazioni.

Proprio l’insieme di esperienze negative che potrebbero portare il soggetto a vivere nuovamente ricordi traumatici, dal punto di vista emotivo e relazionale, prende comunemente il nome di “vittimizzazione secondaria”62. Tale formula può essere utilizzata in senso proprio,

59 Il termine “serenità” deve essere inteso non in senso proprio, ma nella sua accezione di “situazione psicologica opposta allo stress”. In effetti, risulta difficile immaginare che per il minore il processo sia fonte di effettiva tranquillità, o che venga da lui vissuto come un’avventura divertente, potendo la serenità costituire esclusivamente un’aspirazione programmatica. Si veda D.Carponi-Schittar G.Bellusi, L’esame orale

del bambino, p.39 e ss. per un’illustrazione di come la serenità sia concetto dinamico

e relativo in base alle caratteristiche della persona presa in considerazione e del momento in cui tale soggetto è considerato.

60 E.Aprile, L'acquisizione e la valutazione della testimonianza, §5, definisce il fenomeno di sottoposizione del testimone ad uno stress eccessivo come “usura del testimone”.

61 Così G.Sergio, Protezione ed assistenza in giudizio del minorenne vittima di violenza

sessuale, in L.De Cataldo Neuburger (a cura di), Abuso sessuale di minore e processo penale: ruoli e responsabilità, Cedam, Padova, 1997, p.245.

62 Così F.Delvecchio, La nuova fisionomia della vittima del reato dopo l’adeguamento

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