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4.1 – L’evoluzione della disciplina dell’ascolto del minore

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123 CAPITOLO IV

L’AUDIZIONE DEL MINORE ED IL RICORSO ALLA MEDIAZIONE FAMILIARE

4.1 – L’evoluzione della disciplina dell’ascolto del minore

L’art. 337-octies, sostitutivo dell’ormai abrogato art. 155-sexies, disciplina i poteri del giudice e l’ascolto del minore.

Il minore è ormai ritenuto, dalla quasi totalità della cultura giuridica italiana, parte sostanziale, anche se non processuale, delle decisioni che lo riguardano in ambito di separazione o divorzio dei genitori

1

.

Muovendo da tale presupposto, la recente giurisprudenza ha avuto, in varie occasioni, modo di affermare la nullità di pronunce emesse senza il preventivo ascolto del minore da parte del giudice, in particolar modo nei casi in cui uno o entrambi i genitori ne avessero fatto richiesta

2

.

1

In tal senso A. Figone, La riforma della filiazione e della responsabilità genitoriale, Torino 2014, p. 119.

2

Nota è la sentenza della Corte di Cassazione del 21 ottobre 2009, n. 22238. In essa viene infatti

stabilito che : « Il quinto e sesto motivo di ricorso sono da ritenere invece fondati nei limiti che

seguono, in rapporto alla mancata audizione dei figli nel presente procedimento, destinato a regolare

in via

(2)

124 A questa nuova considerazione data alla figura del minore si è negli anni accompagnata una rinnovata attenzione con riguardo all’opportunità del suo ascolto; ciò non soltanto con riferimento alle situazioni di crisi della coppia genitoriale, ma rispetto a tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

esclusiva o prevalente interessi primari degli stessi minori, anche se M. ha compiuto dodici anni nel periodo tra la riserva della decisione e la pubblicazione del decreto impugnato (marzo 2008), mancando in questo atto ogni pronuncia motivata, anche di rigetto, sulla richiesta del P.G. del luglio 2007 di audizione dei due adolescenti e di ulteriore istruzione della causa, prima di decidere sulla modifica dello affidamento esclusivo alla madre concordato a giugno del 2006, riconoscendolo in favore del solo padre nel luglio 2008 dopo soli due anni dalla precedente soluzione (sull’obbligo di motivazione in ordine alla richiesta di audizione dei minori e al rigetto di essa, cfr. Cass. 23 luglio 2007 n. 6899). Invero i minori che, ad avviso di questa Corte non possono considerarsi parti del procedimento (in tal senso sembra, sia pure con aperture, Cass. 10 ottobre 2003 n. 15145), sono stati esattamente ritenuti portatori di interessi contrapposti o diversi da quelli dei genitori, in sede di affidamento o di disciplina del diritto di visita del genitore non affidatario e, per tale profilo, qualificati parti in senso sostanziale (così C. Cost. 30 gennaio 2002 n. 1). Costituisce quindi violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto dei minori oggetto di causa, censurato in questa sede, nella quale emergono chiari gli interessi rilevanti dei minori che sono in gioco nella vertenza e avrebbero resa necessaria la loro audizione (sul rilievo di tali interessi per la denuncia del vizio processuale del mancato ascolto dei minori cfr. Cass. 12 giugno 2007 n. 13761 e 18 giugno 2005 n. 13173, non rilevando i principi di insindacabilità della decisione di non procedere all’ascolto dei minori, in caso di potenziale dannosità di essa per i soggetti non sentiti, di cui a Cass. 27 luglio 2007 n. 16753, in difetto di qualsiasi pronuncia dei giudici di merito in tal senso). [...] Tale audizione era prevista dall’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 1991 che ritiene sussistere, in caso di riconoscimento della capacità di discernimento del minore, il diritto di questo “di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa”, dandogli la possibilità “di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo riguarda”. In base a tale norma sovranazionale l’ascolto dei minori oggetto del procedimento nelle opposizioni allo stato di adottabilità si è ritenuto di regola necessario (Cass. 9 giugno 2005 n. 12168, 26 novembre 2004 n. 22235, 21 marzo 2003 n. 4124, 16 luglio 2000 n. 9802, tutte al seguito di Cass. 13 luglio 1997 n. 9802). L’audizione dei minori nelle procedure giudiziarie che li riguardano e in ordine al loro affidamento ai genitori è divenuta comunque obbligatoria con l’art. 6 della Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti del fanciullo del 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003 (Cass. 16 aprile 2007 n. 9094 e 18 marzo 2006 n. 6081), per cui ad essa deve procedersi, salvo che possa arrecare danno al minore stesso, come risulta dal testo della norma sovranazionale e dalla giurisprudenza di questa Corte (la citata Cass. n. 16753 del 2007). La citata Convenzione di Strasburgo prevede che ogni decisione relativa ai minori indichi le fonti di informazioni da cui ha tratto le conclusioni che giustificano il provvedimento adottato anche in forma di decreto, nel quale deve tenersi conto della opinione espressa dai minori, previa informazione a costoro delle istanze dei genitori nei loro riguardi e consultandoli personalmente sulle eventuali statuizioni da emettere, salvo che l’ascolto o l’audizione siano dannosi per gli interessi superiori dei minori stessi (in tal senso Cass. ord. 26 aprile 2007 n.

9094 e la giurisprudenza sopra richiamata) ». In Fam. e dir., 2010, 12, 1110.

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125 Come infatti vedremo meglio in seguito, l’art. 315-bis c.c., che prevede espressamente il diritto del minore di essere ascoltato, ha una formulazione di carattere generale, non riferita esclusivamente ai procedimenti di separazione e divorzio.

Lo strumento dell’audizione del minore trae origine dai principi costituzionali espressi dagli artt. 2 (che sancisce il primato della dignità della persona), 29 (riguardante i diritti della famiglia) e 30 (sui diritti e doveri dei genitori verso i figli) della Costituzione.

L’ascolto del minore, anteriormente all’entrata in vigore della legge sull’affidamento condiviso, era considerato come mera facoltà del giudice ed era nei fatti raramente realizzato

3

.

Il fondamento del diritto dei minori ad essere sentiti nei procedimenti che li riguardavano era individuabile in poche e disparate norme.

Per ricordarne alcuni, l’art. 145 c.c. prevedeva ad esempio, che, in caso di disaccordo dei genitori sull’indirizzo da dare alla vita familiare, il giudice potesse sentire le opinioni della prole ultrasedicenne. L’art. 147 c.c., indicando i doveri dei genitori verso la prole, stabiliva inoltre che dovessero essere tenute in considerazione «le inclinazione naturali e le aspirazioni dei figli», sottolineando in questo modo l’importanza di rispettare i convincimenti e i desideri di questi. Infine, l’art. 316 c.c., al quinto comma, contemplava l’ascolto del minore

3

Sempre A. Figone, op. cit., p. 120; ma anche L. Balestra, Commentario del codice civile (a cura di

E. Gabrielli), Milano 2010, p. 756.

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126 ultraquattordicenne nei casi di contrasto tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà.

Con specifico riferimento ai casi di crisi del rapporto coniugale, però, l’ascolto del minore non era regolato. Numerose erano infatti le riserve circa l’opportunità di sentire la prole nei procedimenti relativi alla disgregazione dell’unità familiare.

Veniva innanzi tutto rilevata la mancanza di competenze specifiche di chi doveva procedere all’audizione. Poteva pertanto risultare difficile al giudice, privo di una formazione psicopedagogica, stabilire un autentico canale di comunicazione con il minore.

Inoltre era rilevata la possibilità che i figli, già provati da una situazione di crisi familiare, potessero ricevere un ulteriore trauma derivante dal trovarsi a parlare di fatti personali, certamente dolorosi, di fronte a degli estranei

4

.

Il vecchio articolo 155 c.c., sorto dopo la l. 151/1975, ignorava quindi completamente l’ascolto del minore nei procedimenti di separazione; esso era invece contemplato dalla legge sul divorzio, solo a seguito della modifica ex l.

74/1987, ma in funzione del tutto residuale, cioè nei soli casi in cui fosse stato ritenuto strettamente necessario da parte del presidente, in vista dell’adozione dei provvedimenti provvisori ed urgenti

5

.

4

L. Napolitano, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e divorzio, Torino 2006, p. 159;

ma anche B. De Filippis, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, 2007, p.

202.

5

L’art. 4, ottavo comma, della l. 898/1970, così come modificata dalla l. 74/1987, stabiliva infatti che:

«Se la conciliazione non riesce, il presidente, sentiti i coniugi e i rispettivi difensori nonché, qualora

lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, i figli minori, dà, anche

d'ufficio, con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei

coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione e trattazione

dinanzi a questo».

(5)

127 Come detto però, negli anni, tale materia è stata sempre più considerata e disciplinata; ciò anche grazie all’impulso derivante dal diritto internazionale.

La Convenzione di New York sui diritti del fanciullo

6

ha stabilito infatti che:

«Gli stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità».

La Convenzione quindi, nel generale intento di promuovere e agevolare l’esercizio dei diritti del minore, ha riconosciuto al minore stesso la facoltà di esprimere liberamente la propria opinione su questioni che lo riguardano.

In tema di convenzioni internazionali è necessario inoltre citare la Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, la quale ha individuato i diritti del minore nei procedimenti che lo riguardano, ossia: ricevere ogni informazione pertinente; essere consultato ed esprimere la propria opinione ed essere informato sulle eventuali conseguenze di ogni decisione.

L’art. 6 della Convenzione ha poi previsto un vero e proprio «ascolto informato»

del minore, indicando dettagliati criteri guida riguardo allo svolgimento dell’ascolto. È stato infatti previsto che il giudice debba preventivamente informare i figli delle istanze dei genitori nei loro riguardi e, dopo averli consultati personalmente sui vari provvedimenti da emettere, deve indicare nella propria decisione le fonti delle informazioni sulla base delle quali è pervenuto alle

Sul punto anche G. Autorino Stanzione, La separazione. Il divorzio. L’affido condiviso., Torino 2011, p. 495.

6

20 novembre 1989, ma resa esecutiva in Italia con la legge n. 176 del 27 maggio 1991.

(6)

128 conclusioni che hanno giustificato il provvedimento adottato, tenendo conto dell’opinione espressa dai minori.

Sì è così, anche nell’ordinamento italiano, fatto strada un nuovo modo di considerare l’ascolto della prole, non più soltanto mero strumento d’informazione per meglio comprendere le dinamiche familiari particolarmente conflittuali, ma anche come mezzo indispensabile per soddisfare un bisogno primario del minore:

quello di far sentire la sua voce

7

.

Tale nuovo modo di considerare l’istituto dell’audizione ha trovato un primo riconoscimento nel testo dell’art. 155-sexies, emanato con la l. 53/2006; la norma ha, per la prima volta in Italia, elevato a regola l’audizione del minore nei procedimenti di separazione.

La disposizione, pur non spingendosi a disciplinare specificamente le modalità di ascolto, ha dato riconoscimento all’utilità di tale mezzo, garantendo la possibilità al giudice di ricorrervi ogni volta che lo ritenesse opportuno (e non più soltanto

«strettamente necessario», come previsto dalla legge sul divorzio).

Scopo di tale incontro con il minore è stato individuato nel «conoscere il bambino quale persona, per poterne cogliere le emozioni»

8

. È stato preso atto del fatto che il minore ha pieno diritto di partecipare alle decisioni che lo coinvolgono, e che, pur non essendo le sue dichiarazioni vincolanti, esse non possono nemmeno essere completamente disattese dal giudice.

7

L. Napolitano, op. cit., p. 243.

8

Così si esprime P. Pazè, in L’ascolto del minore, relazione all’incontro di studio del CSM tenutosi a

Roma dal 17 al 19 novembre 2003 dal titolo «I provvedimenti giurisdizionali per il minore nella

crisi della famiglia e nella crisi del rapporto genitori/prole».

(7)

129 Si è così voluto sviluppare un procedimento nel quale il minore avesse la possibilità di far sentire la sua voce, prevenendo così decisioni in contrasto con le sue aspirazioni.

Per quanto riguarda lo specifico contenuto dell’art. 155-sexies, esso stabiliva, al primo comma, che il giudice, prima dell’adozione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti riguardo ai figli, potesse assumere, d’ufficio o ad istanza di parte, mezzi di prova.

Ad esempio il giudice poteva, e può ancora oggi, ricorrere ai servizi sociali per conoscere meglio la situazione familiare, disporre consulenze tecniche, testimonianze, nonché accertamenti della polizia tributaria per valutare la situazione patrimoniale dei genitori

9

.

Era inoltre prevista, sempre al primo comma, la possibilità di disporre l’audizione del figlio minore che avesse compiuto almeno dodici anni, o anche di età inferiore, qualora capace di discernimento.

L’audizione dei figli non costituiva, né lo fa oggi, mezzo di prova, ma, grazie al disposto della norma in questione, era finalmente considerata necessaria per acquisire elementi utili al fine di mettere in luce le esigenze del minore per poter così meglio tutelare i suoi interessi.

Con la recente riforma della filiazione naturale operata dal d.lgs. 154/2013, il testo dell’art. 155-sexies è stato trasfuso nell’art. 337-octies, di contenuto quasi identico al primo.

9

L Balestra, Commentario del codice civile (Diretto da E. Gabrielli), Milano 2010, p. 755.

(8)

130 Base di tale previsione è il terzo comma dell’art. 315-bis c.c., il quale, nell’individuare i diritti e doveri del figlio, stabilisce il principio generale secondo cui il minore ha diritto di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano.

Tale articolo, come visto in precedenza, ha riconosciuto centralità alla figura del minore, sia a livello processuale, aumentando appunto la possibilità di essere ascoltato nell’ambito dei procedimenti che lo riguardano, sia nei rapporti con i genitori, introducendo il concetto di «responsabilità genitoriale».

Proprio in virtù di tale riconoscimento dottrina e giurisprudenza hanno da tempo riconosciuto che l’ascolto del minore non può considerarsi soltanto una facoltà per il giudice, ma un vero e proprio obbligo

10

.

La norma sembrerebbe infatti ricoprire carattere impositivo nel punto in cui stabilisce che il giudice debba disporre l’ascolto, e non soltanto abbia facoltà farlo.

La previsione normativa invero, fa riferimento ad una semplice possibilità per quanto riguarda l’assunzione dei mezzi di prova, ma sembra esprimere un vero e proprio obbligo per il giudice in merito all’ascolto del minore

11

.

Proprio in virtù di questa interpretazione del disposto normativo, la giurisprudenza e le corti sovranazionali, si sono trovate ad affermare la nullità di pronunce emesse senza il preventivo ascolto del minore da parte del giudice, in

10

In tal senso De Filippis, L’affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova 2006, p. 134; L. Napolitano, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e di divorzio, Torino 2006, p. 244; da ultimo A. Figone, op. cit., p. 122.

In tal senso anche Cass. 12 maggio 2012, n. 7773, in Foro.it, 2013, 6, 1839.

11

L’art. 337-octies prevede infatti: «Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei

provvedimenti i cui all’art. 337-ter, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di

prova. Il giudice dispone, inoltre, l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e

anche di età inferiore ove capace di discernimento».

(9)

131 particolar modo quando almeno uno dei due genitori ne avesse fatto richiesta

12

. Il minore è stato quindi individuato come parte sostanziale del procedimento e il suo ascolto è stato considerato come momento essenziale per la formazione del convincimento del giudice

13

.

Ad oggi però l’obbligatorietà dell’ascolto del minore sembra trovare una deroga nel secondo periodo inserito all’interno del primo comma dell’art. 337-octies. Esso infatti stabilisce che: «Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il minore è ascoltato solo se il giudice lo ritiene necessario».

La previsione stabilisce quindi chiaramente che il giudice può esimersi dall’ascolto del minore, anche se con solo riferimento alle procedure che si definiscano con l’accordo tra i genitori. L’accordo dovrebbe infatti essere preso in virtù dell’interesse dei figli.

È necessario tuttavia segnalare che, ove lo ritenga opportuno e non superfluo, niente sembra impedire al giudice di procedere all’audizione del minore anche in questi casi.

Per quanto riguarda invece le procedure contenziose, in base al dettato dell’articolo in esame, il giudice dovrà di regola procedere all’ascolto del minore, a meno che questi non risulti, in virtù della tenera età, privo della facoltà di discernimento. In questo caso, le ragioni del mancato ascolto, dovranno essere

12

Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 22 ottobre 2010, n. 491/10, in Riv. Dir. Int. Priv. Proc., 2011, 527.

13

F. Tommaseo, Le nuove norme sull’affido condiviso, in Fam. dir., 2006, p. 397.

(10)

132 illustrate in un provvedimento motivato, così come disposto dall’art. 336-bis, il quale riguarda, come vedremo meglio in seguito, le modalità dell’audizione

14

.

È necessario tuttavia sottolineare che parte della dottrina si discosta da questa interpretazione, proponendo una lettura della norma secondo la quale detta audizione dovrebbe essere disposta solo in caso di evidente necessità, nel caso cioè in cui il giudice avesse bisogno di acquisire elementi utili per la decisione. Egli potrebbe quindi escludere del tutto l’ascolto del minore in caso non ritenesse tale attività conforme al suo interesse, anche al fine di evitare il rischio che i genitori strumentalizzino i figli in vista di ottenere l’affidamento in proprio favore

15

.

È comunque innegabile che ad oggi l’ordinamento italiano guardi con favore l’ascolto del minore, considerato utile strumento, in caso di crisi del rapporto di coppia tra i genitori, per ricercare una soluzione appropriata per la vita del minore

16

.

4.2 – Le modalità di svolgimento dell’ascolto

Abbiamo già avuto modo di rilevare quanto fosse scarna, prima della riforma del 2013, la regolamentazione delle modalità di svolgimento dell’audizione del minore.

Lo stesso art. 155-sexies, dopo aver previsto la possibilità per il giudice di ricorrere a tale strumento, nulla prevedeva circa le modalità di conduzione dell’ascolto

17

.

14

A. Figone, op. cit., p. 122.

15

In tal senso M. Sesta, Le nuove norme sull’affidamento condiviso, in Famiglia e dir., 2006, p. 378;

L. Napolitano, op. cit., p. 246.

16

A. Arceri, L’affidamento condiviso, Milano 2007, p. 200.

17

In tale senso G. Autorino Stanzione, op. cit., p. 496.

(11)

133 La mancanza, per molto tempo, di una disciplina legislativa circa le modalità di svolgimento dell’audizione è stata colmata negli anni dal diffondersi di una prassi generalmente consolidata, ispirata soprattutto dai dettami delle già citate convenzioni internazionali in materia, che risulterà interessante delineare.

Primo quesito che il giudice doveva porsi di fronte a situazioni che potenzialmente avrebbero potuto necessitare di un ascolto della prole era se questa fosse capace di discernimento.

Con tale termine solitamente dottrina e giurisprudenza tendevano, e tendono ancora oggi, ad indicare «l’attitudine del minore ad avere sensazione di ciò che gli sta accadendo e correlativamente di esprimere le proprie sensazioni ed emozioni nella vicenda dell’affidamento»

18

.

La capacità di discernimento del minore doveva quindi essere valutata non solo in relazione alla generale personalità del minore, ma anche in relazione alla maturità dimostrata nel riuscire a relazionarsi con l’evento della separazione dei genitori.

Con riferimento alle modalità di ascolto vari autori tendevano poi ad individuarne due tipologie

19

:

˗ l’ascolto diretto, svolto quindi in prima persona dal giudice;

˗ l’ascolto indiretto, delegato da parte del giudice ad un ausiliare (un professionista dotato di specifiche competenze tecnico-professionali che in altri giudizi può anche essere investito del ruolo di consulente tecnico d’ufficio) oppure ad operatori dei servizi socio-assistenziali.

18

Con tali parole si è espresso il Tribunale di Genova in un’ordinanza del 23 marzo 2007, in Foro It., 2007, 5, 1606.

19

L. Napolitano, op. cit., p.161.

(12)

134 A prescindere dalle sue modalità di svolgimento, si era comunque andata instaurando la tendenza a rendere quanto più possibile trasparente alle parti del processo l’ascolto del minore, a garanzia non solo delle esigenze del minore stesso, ma anche del principio del contraddittorio e del diritto di difesa.

Ad oggi le modalità di audizione del minore sono invece espressamente disciplinate dall’art. 336-bis c.c.

Nell’analizzare il contenuto di tale articolo può essere utile riportare l’esperienza diretta che in questi mesi ho avuto la possibilità di avere svolgendo un periodo di tirocinio presso il Tribunale di Lucca.

Durante il tirocinio, svoltosi tra l’altro in concomitanza con l’emanazione del d.lgs. 154/2013, ed effettuato presso l’ufficio famiglia della cancelleria civile del Tribunale, ho potuto infatti, tra le altre cose, assistere ad alcuni ascolti di minore, svoltisi durante la fase presidenziale dei procedimenti di separazione e divorzio. Ciò mi ha permesso di individuare un modus operandi costante, conforme al contenuto dell’articolo in questione.

Innanzi tutto, l’incontro con i minori viene di norma svolto senza la presenza nella stanza degli avvocati e soprattutto dei genitori, potendo essi interferire con le finalità dell’ascolto, impedendo, in particolar modo al minore, di esprimere liberamente il proprio pensiero

20

.

I genitori e gli avvocati vengono solitamente incontrati prima del colloquio con i figli, per informarli in via generali delle questioni che verranno affrontate con i minori.

20

Lo stesso art. 336-bis, al secondo comma, prevede infatti che: «I genitori, i difensori delle parti ed

il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale

possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento».

(13)

135 Essi saranno messi successivamente a conoscenza del contenuto di tale colloquio tramite la lettura del verbale dello stesso.

Tale procedura è atta a garantire da un lato la genuinità dell’incontro con i minori, dall’altro vuole salvaguardare l’effettiva tutela del contraddittorio. Infatti, è proprio durante questo incontro preliminare che le parti possono sottoporre al giudice gli argomenti che vorrebbero veder trattati durante l’audizione.

È inoltre necessario precisare che anche nel caso in cui il giudice autorizzi la presenza dei genitori, dei loro difensori o di altri soggetti legittimati, ciò non deve alterare la genuinità delle dichiarazioni rese dal minore. È escluso quindi che essi possano intervenire durante l’ascolto, avanzando domande o richieste.

Per quanto riguarda le modalità di svolgimento di tale incontro, ho potuto osservare che, conformemente a quanto ad oggi previsto dal terzo comma dell’art.

336-bis, il giudice, prima di procedere, informa il minore, tenendo ovviamente contro dell’età dello stesso, del ruolo che il giudice riveste, del motivo per cui ha voluto incontrarlo e lo mette inoltre al corrente che ai genitori sarà data successivamente notizia di ciò che è stato detto durante l’incontro.

Queste informazioni preliminari, di cui varie convenzioni internazionali hanno per altro da tempo sottolineato l’importanza

21

, sono necessarie per rendere il minore consapevole di ciò che sta succedendo e sono volte ad evitare che egli si senta successivamente responsabile delle conseguenze di quanto dirà.

Le tecniche di comunicazione adottate sono adeguate all’età del fanciullo: se egli è molto piccolo, verrà utilizzato un linguaggio semplice e per lui immediatamente

21

Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, resa esecutiva in Italia il 27 maggio 1991 e

Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996.

(14)

136 comprensibile e verranno inoltre poste domande piuttosto generiche e indirette. Se invece il minore è più grande, le domande poste potranno essere più puntuali e dirette, sempre tenendo conto della delicatezza della situazione

22

.

Non può essere infine dimenticato che l’ascolto del minore non corrisponde ad una testimonianza, ma rappresenta uno strumento di maggiore acquisizione di elementi valutativi da parte del giudice

23

. Egli quindi non sarà vincolato alle dichiarazioni rese dal minore, che ben potrebbe essere stato spinto ad esprimere una preferenza verso un genitore piuttosto che verso l’altro con vari mezzi, ma non potrà nemmeno disattendere completamente le sue affermazioni

24

.

Alla luce di quanto detto, appare quindi chiaro che l’audizione è uno strumento spesso necessario per far acquisire al giudice elementi utili riguardo alle esigenze del minore, al fine di una maggior tutela del suo interesse. Essa infatti, alla luce dell’introduzione dell’affidamento condiviso come regola generale in caso di crisi della coppia genitoriale, può consentire la costruzione di un adeguato programma di condivisione dell’affidamento dei figli o, in caso contrario, può essere utile per stabilire quale genitore sia più idoneo all’affidamento esclusivo.

4.3 – La mediazione familiare

È innegabile che lo scopo perseguito dalla legge sull’affidamento condiviso prima (l. 54/2006) e adesso dalla recente riforma sulla filiazione naturale (d.lgs.

154/2013) sia quello di garantire, per quanto possibile, l’apporto educativo ed affettivo di entrambi i genitori anche a seguito della crisi del rapporto di coppia.

22

In tal senso anche B. De Filippis, op. cit., p. 203.

23

C. Padalino, L’affidamento condiviso dei figli, Torino 2006, p. 208.

24

Sul punto si veda L’. Napolitano, op. cit., p.167.

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137 La maggiore flessibilità delle soluzioni abitative, il minor rigore nella fissazione dei tempi di permanenza presso ciascun genitore e l’elaborazione di un progetto educativo condiviso richiedono però un’intesa che spesso, a causa della conflittualità insorta nella coppia, rende problematico il dialogo tra i genitori e il raggiungimento di un accordo per regolare le questioni riguardanti i figli.

Uno strumento che indubbiamente può agevolare il dialogo tra i coniugi è la mediazione familiare.

Il testo originario della legge sull’affidamento condiviso prevedeva l’inserimento nel codice di procedura civile dell'articolo 709-bis, esplicitamente dedicato a tale istituto. L’articolo avrebbe così recitato:

«In tutti i casi di disaccordo, nella fase di elaborazione del progetto condiviso, le parti hanno l'obbligo, prima di adire il giudice e salvo i casi di assoluta urgenza o di grave ed imminente pregiudizio per i minori, di rivolgersi a un centro di mediazione pubblico o privato accreditato.

Ove l'intervento, che può essere interrotto in qualsiasi momento, si concluda positivamente, le parti presenteranno al Presidente del tribunale il testo dell'accordo raggiunto. Gli aspetti economici della separazione possono far parte dell'accordo finale, anche se concordati al di fuori del centro. In caso d’insuccesso le parti possono rivolgersi al giudice, come previsto dal successivo articolo 709-ter.

In ogni caso i coniugi devono allegare alla domanda di separazione la certificazione del passaggio presso il centro o rendere concorde dichiarazione circa l'avvenuto passaggio.

In caso di contrasti insorti successivamente, in ogni stato e grado del giudizio di

separazione o anche dopo la sua conclusione, il giudice segnala alle parti la

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138 opportunità di rivolgersi ad un centro di mediazione familiare di cui al primo comma. Se la segnalazione trova il consenso delle parti, il giudice rinvia la causa ad altra data, in attesa dell'espletamento dell'attività di mediazione».

La legge non richiedeva quindi che la mediazione determinasse obbligatoriamente accordi, né prevedeva alcuna relazione del mediatore al giudice.

La fase della mediazione sarebbe infatti rimasta preliminare, fuori dal processo, ma avrebbe avuto lo scopo di preparare le coppie ad esso, agevolando la loro comprensione dello spirito dell’affidamento condiviso e dell’opportunità di autodeterminazione

25

.

Tale norma fu però eliminata dal testo di sintesi e un riferimento alla mediazione, nel testo definitivo della riforma, fu collocato all’art. 155-sexies, secondo comma, diventando semplicemente uno strumento di cui il giudice avrebbe potuto discrezionalmente decidere di avvalersi.

Ad oggi è l’art. 337-octies, al terzo ed ultimo comma, ad occuparsi dell’istituto.

Il contenuto di tale comma è però identico a quello dell’ormai abrogato art. 155- sexies.

La mediazione può essere definita un «percorso introspettivo, svolto sotto la guida di un soggetto specializzato, teso ad aiutare i genitori a riorganizzare le relazioni familiari e ad instaurare un proficuo rapporto di collaborazione in funzione della crescita e dell’educazione del minore»

26

.

L’art. 337-octies stabilisce che il giudice, qualora ne ravvisi l’opportunità, può rinviare l’adozione dei provvedimenti relativi all’affidamento dei figli per far sì che

25

De Filippis, op. cit., p. 93.

26

L. Balestra, Commentario del codice civile, (Diretto da E. Gabrielli), Milano, 2010, p. 760.

(17)

139 i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo.

Il percorso di mediazione familiare può essere tuttavia intrapreso solo a patto che le parti vi prestino il loro consenso e deve essere finalizzato al raggiungimento di un accordo in riferimento alle disposizioni riguardanti l’affidamento dei figli.

La mediazione è quindi uno strumento alternativo al processo ed è finalizzata a favorire tra i coniugi una volontà collaborativa nella condivisione delle responsabilità genitoriali.

Certo è che a tale istituto non sono state, negli anni, risparmiate critiche, causate anche dalla evidenti lacune presenti nella sua disciplina.

Innanzi tutto la norma non chiarisce su quali basi il giudice debba compiere detta valutazione di opportunità

27

. Abbandonata dal legislatore l’idea di rendere obbligatoria la mediazione, sul presupposto che la volontà di dialogo non può essere imposta, il contenuto della norma risulta ad oggi scarno riguardo all’individuazione dei presupposti per poter optare per la via della mediazione.

Niente è stabilito inoltre circa i tempi e i contenuti di questo percorso. Alcuni interpreti si sono trovati a discutere su quale sia il giudice competente a fare questa scelta e in quale fase del giudizio la mediazione possa essere disposta

28

. Se da un lato infatti sono chiari i benefici che si possono ottenere favorendo il raggiungimento di un accordo tra i genitori già dalla fase presidenziale, dall’altro non è indifferente il rischio di una dilatazione eccessiva dei tempi del procedimento.

27

Sempre L. Balestra, op. cit., p. 760; ma anche A. Figone, Affidamento condiviso e diritti dei minori. Profili processuali, Torino, 2008, p. 207.

28

G. Salito, L’affidamento condiviso dei figli nella crisi della famiglia, Torino 2007, p. 268.

(18)

140 La soluzione, per alcuni autori, sarebbe allora quella di poter disporre il ricorso alla mediazione già nella fase presidenziale, svolgendola però solo nella successiva fase istruttoria, evitando così che il presidente sia bloccato nell’adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti

29

.

Oggetto di discussione sono state inoltre le modalità di svolgimento della mediazione e il ruolo attribuito al mediatore. In particolare, alcuni autori hanno rilevato come spesso la mediazione possa finire con l’interferire con questioni di natura economica, causando ulteriori conflitti tra le parti

30

.

Per un utile svolgimento della mediazione l’operatore dovrebbe infatti intervenire in posizione neutrale ed imparziale rispetto alle parti, senza che agli incontri partecipino i difensori costituiti. Nel caso invece che il mediatore affronti anche gli aspetti economici del contendere, vi è il rischio di una sua sovrapposizione rispetto al ruolo dei difensori, i quali avrebbero così motivo di lamentarsi della mancata osservanza del contraddittorio durante la fase della mediazione

31

.

È necessario inoltre rilevare che, pur essendo la mediazione un percorso espressamente finalizzato al raggiungimento di un accordo circa i provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, il legislatore nulla ha previsto con riguardo all’opportunità di coinvolgerli o meno nel percorso di mediazione

32

.

Al di là delle obiezioni sollevate dalla dottrina riguardo alle modalità di svolgimento della mediazione, deve osservarsi che, nel caso in cui le parti, concluso

29

In tal senso C. Padalino, op. cit., p. 220.

30

L. Napolitano, L’affidamento dei minori nei giudizi di separazione e divorzio, Torino 2006, p. 248.

31

A. Arceri, L’affidamento condiviso, Milano 2007, p. 219.

32

Salito, op. cit., p. 268.

(19)

141 in maniera positiva il percorso, abbiano raggiunto un’intesa sul piano della condivisione delle responsabilità genitoriali, al giudice dovrà essere data la possibilità di acquisire una relazione esplicativa del lavoro effettuato e delle intese raggiunte.

Benché infatti il mediatore sia generalmente ritenuto vincolato al segreto riguardo a quanto emerso nel corso degli incontri tra le parti, egli dovrà riferire al giudice i risultati del suo lavoro, con particolare riferimento ai contenuti dell’accordo raggiunto. Tali contenuti saranno comunque sottoposti alla valutazione del giudice, che potrà quindi anche ritenerli non rispondenti all’interesse del minore, adottando di conseguenza soluzioni diverse.

È infine necessario fare alcune considerazioni circa i rapporti intercorrenti tra la mediazione familiare e la consulenza tecnica d’ufficio e, in particolare, sull’utilizzo che il giudice può fare di tali diverse fonti di informazione volte a sondare e tutelare gli specifici interessi del minore.

Rispetto alla mediazione familiare, il ruolo del consulente tecnico d’ufficio, nominato quale ausiliario del giudice, è essenzialmente valutativo. La sua attività è volta in particolare ad acquisire elementi utili che troveranno poi espressione in un provvedimento di natura autoritativa del giudice.

Il mediatore opera invece in posizione paritetica rispetto alle parti ed ha un ruolo

essenzialmente propositivo ai fini della soluzione del conflitto. Non si tratta quindi

di un ausiliario del giudice, ma di un professionista indipendente al servizio delle

(20)

142 parti, dalle quali riceve uno specifico incarico: favorire il raggiungimento di un accordo sul modo in cui disciplinare la loro relazione con i figli

33

.

È tuttavia innegabile che se nel corso dell’istruttoria fosse disposta una consulenza tecnica, al fine di approfondire le problematiche relative al nucleo familiare in oggetto e il consulente fosse dotato di specifiche competenze da mediatore, egli ben potrebbe utilizzare tale competenza con finalità conciliative prima dell’espletamento dell’incarico. Il consulente tecnico potrebbe così operare per favorire un’intesa tra le parti con riguardo all’affidamento dei figli

34

.

È chiaro quindi che un’utilizzazione sinergica delle diverse competenze professionali può essere utile per indirizzare le parti verso una gestione non conflittuale della crisi familiare e per fornire al giudice un quadro informativo adeguato in vista dell’emanazione di provvedimenti conformi all’interesse della prole.

Rispetto all’originaria previsione del ruolo riservato alla mediazione dall’art.

709-bis che, come specificato, non è mai venuto alla luce, l’attuale formula di legge dà comunque poco spazio a tale istituto.

Nessun riferimento è infatti individuabile nel testo della norma con riguardo all’importanza per la coppia di comprendere la necessità di ricercare un dialogo e poter concordare così un accordo non imposto. Tale possibilità è ad oggi delineata come marginale e nei fatti troppo poche volte se ne fa ricorso.

D’altra parte non si può fare a meno di notare che, essendo la mediazione finalizzata al superamento della conflittualità di coppia e al raggiungimento di

33

A. Arceri, op. cit., p. 219.

34

L. Napolitano, op. cit., p. 251.

(21)

143 soluzioni familiari concordi, essa non può che essere prevista dal legislatore su base consensuale e volontaria. Tale scelta, hanno notato alcuni autori, altro non è che la manifestazione della progressiva tendenza alla «privatizzazione» del diritto di famiglia che sta caratterizzando la gran parte degli ordinamenti europei

35

.

35

In tal senso G. Perlingieri, Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Napoli,

2010, p. 694.

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