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Il dibattito intorno all'omicidio Serantini (5-7 maggio 1972)

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in Storia e Civiltà

IL DIBATTITO INTORNO ALL’OMICIDIO SERANTINI

(5-7 MAGGIO 1972)

Candidata:

Relatore:

Alice Riccobon

Prof. Alberto Mario Banti

Controrelatore:

Dott. Gianluca Fulvetti

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INDICE

1. Introduzione

2. Contesto e morte dell’anarchico

2.1 L’autunno caldo e le sue conseguenze 2.2 L’inizio della strategia della tensione 2.3 Le elezioni del 1972 e il clima politico

2.4 Biografia di Franco Serantini

3. La strategia della tensione e la genesi del terrorismo rosso

3.1 La strategia della tensione dal ‘73 alla strage di Bologna 3.2 La specificità del “caso italiano”

4. Come la stampa quotidiana racconta il 5 maggio

4.1 La stampa locale 4.2 La stampa nazionale

4.3 La narrazione delle indagini e del processo

5. Il caso diventa nazionale con l’uscita del libro di Corrado Stajano

5.1 L’uscita de “Il sovversivo” di Corrado Stajano

5.2 L’incontro con Corrado Stajano e il discorso alla “Normale” di Pisa 5.3 La Biblioteca Franco Serantini e la continuazione della memoria 5.4 Le iniziative e le manifestazioni

6. Conclusioni

7. Bibliografia

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1. INTRODUZIONE

Gli anni della strategia della tensione hanno sicuramente costituito un periodo di estrema difficoltà e complessità per il nostro Paese. Dalla strage di Piazza Fontana, del 12 dicembre 1969, alla strage di Bologna, del 2 agosto 1980, i morti sono stati centinaia e le vicende rimaste irrisolte hanno inciso in modo imprescindibile sulla nostra vita politica e sociale. Non è ancora del tutto chiarita la vera genesi di alcuni eventi che hanno segnato drammaticamente la storia d'Italia, come l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, che vede il coinvolgimento dei capi di Lotta Continua Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, o il sequestro del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse.

In questo clima di gravi turbolenze e di forte esasperazione dei conflitti si inserisce il caso di Franco Serantini, morto in seguito alle percosse ricevute da alcuni poliziotti del reparto Celere di Roma il 5 maggio 1972; il decesso avverrà la mattina di due giorni dopo nel carcere Don Bosco di Pisa.

Senza voler dare un parere personale sulla vicenda e senza, nel contempo, limitarmi solamente ad esporre dei fatti, in questo lavoro mi propongo di analizzare come siano stati presentati all'opinione pubblica gli avvenimenti del 5 maggio e dei giorni seguenti e di come, soprattutto grazie all’opera di Corrado Stajano, il caso sia diventato di portata nazionale. Esaminando gli articoli di stampa, ormai fissati nel tempo, e tenendo in considerazione anche l'orientamento politico dei giornalisti che li hanno scritti, possiamo ricavarne un quadro generale abbastanza esauriente. È fondamentale, infatti, conoscere anche la vita, le opere e, appunto, le passioni politiche di coloro che hanno voluto dissertare sulla vicenda del giovane anarchico, tenendo conto che, naturalmente, i loro testi sono frutto di un percorso di vita che ha forgiato il loro pensiero e il loro ragionamento. È altrettanto importante tenere in considerazione lo schieramento politico dei giornali a cui questi articoli appartengono. Evidentemente, dalle colonne di quotidiani come “Lotta Continua” o “L’Unità” ci verrà restituita una narrazione dai toni più accesi e sicuramente più schierati, mentre, da testate come “La Stampa” o il “Corriere della Sera” trarremo un'interpretazione decisamente più “di centro”, con una descrizione degli eventi

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probabilmente più obiettiva e più neutrale. Una segnalazione particolare va fatta invece per l'organo della Democrazia Cristiana “Il Popolo”, per il quale, riguardo all'omicidio di Franco Serantini, ho trovato solo un trafiletto pubblicato l’8 maggio, in cui non vengono specificate né le cause né, tanto meno, le circostanze del fermo, dell’arresto e della morte. Nei giorni successivi, dal 17 maggio in poi, tutta l'attenzione del giornale sarà riservata all'assassinio del commissario Calabresi. Il mio lavoro, pur proponendosi di prendere in esame un fatto specifico, è diviso in due sezioni. Nella prima, formata da due capitoli, viene tratteggiato il clima socio-politico degli “anni di piombo”, per poter valutare e comprendere quanto i movimenti della contestazione del ‘68 e le lotte operaie e studentesche, con le loro dinamiche di piazza, abbiano influito sugli avvenimenti degli anni successivi. Ho voluto tracciare un quadro di quelli che sono stati i principali episodi della strategia della tensione, in modo da ottenere una visione cronologica degli eventi, delle mosse politiche e dei risvolti storici che ne sono derivati. Analizzando, infine, la specificità del “caso italiano” ho voluto esporre le interpretazioni e le teorie elaborate da importanti studiosi della materia, storici e sociologi, mettendo in luce i lineamenti e le caratteristiche del fenomeno terroristico italiano, rapportato ad altre analoghe realtà di ambito internazionale.

Nella seconda parte viene affrontato il tema del vero e proprio dibattito intorno ai fatti del 5 maggio 1972 e di come, dall’uscita de Il sovversivo di Corrado Stajano nel 1975, il caso sia diventato di dominio pubblico. Il terzo capitolo è incentrato sul modo in cui la stampa locale e quella nazionale hanno raccontato la vicenda dell’anarchico, dalle iniziali lacune informative sul suo arresto alle gravi colpevolezze degli organi istituzionali che lo avevano in custodia. Verranno esposte le conseguenze che ne sono scaturite, evidenziando come un processo alle istituzioni sia quanto mai difficile e complesso, in una situazione in cui lo Stato non può, o non vuole, condannare se stesso. Nel quarto e ultimo capitolo mi propongo di illustrare come Il sovversivo di Corrado Stajano, con le 250.000 copie vendute, abbia portato il terribile omicidio di Franco Serantini a conoscenza di una vastissima platea di lettori, e di come la memoria del giovane anarchico sia stata conservata e promossa dalla fondazione della Biblioteca Serantini ad opera del dottor Franco Bertolucci. Le manifestazioni celebrative hanno seguitato, anno per anno, a ricordare la figura di

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Franco Serantini, non per farne solamente un simbolo, ma perché la sua tragica fine potesse diventare stimolo e determinazione per la lotta contro l'ingiustizia e la sopraffazione.

È in virtù della carta stampata, da quella più radicale a quella più moderata, che ci viene restituito un quadro complessivo, seppur talvolta schierato, di una vicenda che ha segnato profondamente la storia della città di Pisa e dei suoi cittadini.

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2. CONTESTO E MORTE DELL’ANARCHICO

2.1 L’autunno caldo e le sue conseguenze

Per cercare di capire meglio e delineare in maniera corretta quelli che vengono correntemente denominati “anni di piombo”, o più segnatamente “anni della strategia della tensione”, dobbiamo necessariamente prendere in esame il periodo antecedente la Strage di Piazza Fontana1, contestualizzando i profondi

sommovimenti causati, in un paese come l’Italia, dalle prorompenti lotte studentesche del ‘68 ed esaminare, quindi, le dinamiche sociali e politiche sfociate poi nel cosiddetto “autunno caldo”.

Questo periodo di straordinario fermento ideale e di radicali mutamenti investì, specialmente in Italia, dove il movimento fu più profondo e duraturo, tutti i livelli e gli strati di una società in divenire.

Dopo il periodo di boom economico seguito alla fine della guerra, con acme negli anni 1958-63, l’Italia aveva decisamente colmato il divario esistente con gli altri Paesi industrializzati e dato avvio ad un processo di modernizzazione tanto evidente quanto repentino. Questo “miracolo” fu dovuto a vari fattori, primo fra tutti la fine del tradizionale protezionismo, senza il quale il paese fu costretto a diventare più competitivo e ad adottare una politica di libero scambio, espressa anche con l'adesione alla Comunità Economica Europea2. Imprescindibili furono, però, in

questo quadro, il basso costo del lavoro e la forte disoccupazione, con la conseguente compressione salariale, che caratterizzarono l’Italia degli anni ‘50. Possiamo notare che lo sviluppo interessò più delle altre l’industria manifatturiera, lasciando invece indietro il settore dell’agricoltura, che registrò un tasso di modernizzazione relativamente modesto3. La distruzione bellica influì non poco su

questa stagnazione dell'attività agricola4, insieme anche all'importante fattore

1 La strage di Piazza Fontana ha luogo il 12 dicembre 1969 alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano e causa 16 morti e 88 feriti.

2 La Cee ha origine il 25 marzo 1957, quando Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Lussemburgo firmano i trattati di Roma, in vigore, poi, dal 1 gennaio 1958.

3 Giovanni Sabbatucci Vittorio Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 a oggi, Laterza, Bari, 2004, p. 578.

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dell’emigrazione e al sempre più marcato divario economico che si venne a creare tra Nord e Sud.

Le ondate migratorie che avvennero in quegli anni ebbero come effetto un vero e proprio sconvolgimento nella distribuzione della popolazione italiana sul territorio nazionale, dovuto soprattutto al grande esodo dalle campagne verso le aree urbane. Negli anni che seguirono immediatamente la fine della guerra, si verifica, per prima, una emigrazione verso i Paesi di oltre-oceano, che interessa, per lo più, artigiani e piccoli proprietari agricoli, oltreché comuni braccianti. Un altro flusso si rivolge verso l’Europa del Nord, ove il lavoratore si insedia con contratti a breve termine, di sei mesi o al massimo di un anno5. Nel pieno degli anni ‘60, si registra per la prima volta

nel mercato del lavoro dell'Italia settentrionale, un saldo occupazionale positivo, talché la domanda supera di poco l’offerta. L'ondata migratoria interna, così consistente e per certi versi anche inaspettata, sarà determinante nella destabilizzazione dell'equilibrio socio-economico di molta parte del territorio nazionale e influirà decisamente sull'insorgere di un malcontento diffuso, riferito anche a un certo tipo di politica governativa conservatrice. Gli emigrati dal Meridione, giunti al Nord, svolgono perlopiù lavori manuali nel campo dell'edilizia. Molto spesso interi gruppi di persone, specializzate nello stesso lavoro, vengono assunte contemporaneamente6. Le condizioni di lavoro sono, generalmente, molto

dure, con orari prolungati e turni straordinari frequenti; molti disoccupati meridionali cercheranno lavoro principalmente a Torino, ove ha sede la maggiore industria nazionale, la FIAT. L'assunzione avviene talvolta anche attraverso l'intermediazione delle “cooperative”7, gestite da persone, spesso anch'esse di

origine meridionale, alle quali l’operaio versa anticipatamente una sorta di tassa d’iscrizione e inizia poi a lavorare senza un contratto e senza alcuna copertura assicurativa. L’azienda verserà successivamente alla cooperativa una somma per ogni lavoratore, il quale, però, se ne vede accreditata, nel migliore dei casi, non più della metà8.

5 Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino, 2006, p. 285. 6 Ibid., pag 302.

7 Le “cooperative” vennero dichiarate fuori legge nell’ottobre 1960. 8 Ginsborg, Storia d’Italia, cit., p. 302.

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Per quanto riguarda, invece, il settore femminile, la maggior parte delle donne svolge un lavoro a domicilio, spesso come cucitrice, oppure trova collocazione nelle fabbriche, in condizioni al limite della legalità e con scarsissime misure di sicurezza. Il costante accrescimento della popolazione urbana portò le grandi città del Nord-Italia a trovarsi del tutto impreparate a fronteggiare il fenomeno. Le famiglie dei nuovi arrivati erano, spesse volte, costrette ad adattarsi a situazioni di estremo disagio, dovendo abitare in soffitte o scantinati. A Milano sorsero le cosiddette “coree”: gruppi di case edificate dagli stessi immigrati senza alcun tipo di permesso e in totale abuso edilizio. Non era trascurabile, in quegli anni, l’aspetto di discriminazione “razziale” nella questione abitativa; moltissimi proprietari di case rifiutavano di affittare a meridionali, esponendo addirittura degli avvisi con grandi cartelli nei quali veniva esplicitamente dichiarata la negazione dell’alloggio. In un quadro di vera e propria “emergenza casa” il malcontento serpeggiava un po' dovunque, e ogni famiglia doveva arrangiarsi come meglio poteva. La condizione degli immigrati migliorò verso la metà degli anni ‘60, quando imprese private iniziarono a costruire palazzoni nelle zone di periferia, dove, pur in mancanza di negozi e servizi di aggregazione sociale e culturale, la situazione presentò un netto miglioramento rispetto a quella degli anni precedenti9. In questo clima

socio-economico si innestarono le radici dei conflitti che sarebbero sfociati nelle proteste operaie e studentesche del '68.

Nel corso degli anni '60 un altro cambiamento, forse più sottile, ma di grande importanza, fu quello riguardante l'organizzazione del lavoro e la trasformazione stessa della tipologia dell'operaio. Fino ad allora la “forza-lavoro” era costituita prevalentemente da operai specializzati, forse non molto istruiti ma sicuramente più tecnicamente preparati e più consapevoli del loro comune obiettivo, ora, invece, con l'affermarsi del modello “fordista” ci troviamo di fronte al cosiddetto “operaio-massa”, assolutamente ignaro del processo produttivo che lo coinvolge, e sottoposto a ritmi di lavoro decisamente pesanti, che lo espongono al rischio di una alienazione psichica sempre maggiore. Gli operai trovano nell'ambito della fabbrica il luogo privilegiato per l'organizzazione di azioni collettive, non facilmente realizzabili all'esterno. Tendono ad esprimere così anche il risentimento e la frustrazione

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generati dalle loro disagiate condizioni di vita, addossando alle pubbliche amministrazioni la responsabilità di aver fatto poco o nulla per fronteggiare l’emergenza abitativa e per sviluppare la funzionalità dei servizi. Il malcontento nel mondo operaio cresce e si diffonde sempre di più; in questo senso le condizioni di piena occupazione possono essere considerate un fattore determinante: conferisce, infatti, agli operai quella fiducia in se stessi che era andata perduta sin dal lontano 1945; si poteva dunque protestare senza rischiare di perdere il posto di lavoro, e quand'anche lo si fosse perduto, non era poi così difficile trovarne un altro.

Il seme delle agitazioni nelle fabbriche si può collocare già nell'anno 1962, al momento del rinnovo del contratto dei metalmeccanici, allorché i sindacati avanzarono la proposta di diminuire da 44 a 40 le ore lavorative settimanali e di spalmarle su cinque giornate anziché su sei. Torino fu il teatro della protesta e, seppure il 13 giugno 1962 la maggior parte degli operai della Fiat timbrò il cartellino, il 23 giugno, dieci giorni dopo, 60.000 operai restarono fuori dai cancelli.

Si pongono così le basi della più grande ondata di protesta nella storia della Nuova Repubblica, sulla cui scia si vedranno emergere nuove esigenze, in uno straordinario fermento di idee ed azioni. Le riforme scolastiche degli anni ‘60 prevedono l'introduzione della frequenza obbligatoria fino all’età dei 14 anni, creando indubbiamente una possibilità di miglioramento per migliaia di ragazzi della classe media e, soprattutto, per quelli della classe operaia. I potenziali nuovi studenti, proiettati verso le scuole superiori, sarebbero entrati però in un sistema già di per sé antiquato e letargico, considerando che l’ultima riforma dell’Università portava la data del 1923. Si tratta dunque di un sistema malfunzionante, con professori in numero insufficiente, raramente presenti nella Facoltà e non molto interessati a venire incontro alle esigenze degli studenti. Nel 1968, circa la metà di questi era costretta a lavorare per mantenersi agli studi e la probabilità che gli alunni meno abbienti, o addirittura poveri, riuscissero a conseguire il titolo di laurea era davvero minima. Le basi propulsive della protesta si possono ritrovare in tutti questi aspetti, a partire quindi dalla presenza di insegnanti poco efficienti, ad un sistema male organizzato, per coinvolgere infine un'intera società, incapace di offrire adeguati sbocchi di lavoro a quanti fossero riusciti a portare a termine i piani di studio10. Per

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quanto attiene invece i principi ideologici che accompagnarono, o meglio, animarono profondamente la grande spinta al cambiamento, siamo in presenza di un netto distacco dai valori che avevano supportato il cosiddetto ”miracolo economico”, ossia lo spiccato individualismo, il predominio della tecnologia, la celebrazione della famiglia come perno della società e il forte impulso al consumismo. È poi da sottolineare anche un altro aspetto specifico di quegli anni, cioè la riproposizione del pensiero marxista, con la pubblicazione, ad esempio, dei “Quaderni Rossi” dello scrittore e politico socialista Raniero Panzieri. D’altra parte lo stesso pontificato di Giovanni XXIII si richiamava fortemente ai principi di solidarietà umana e di lotta all’ingiustizia sociale. Il 1968 fu dunque un periodo di rivolta etica, tesa a combattere il pensiero dominante11. Questo rivolgimento contro i principi

fondanti della società consumista e capitalista prese spunto e ispirazione anche da avvenimenti lontani dall'Italia e dall'Europa, come la lunga guerra del Vietnam12, la

grande rivoluzione culturale cinese promossa da Mao Zedong13, o anche la morte

del mitico guerrigliero Ernesto Che Guevara in Bolivia14.

Pur anticipata da alcuni episodi precedenti, la vera protesta scoppiò nelle Università italiane tra l’autunno del 1967 e l’autunno del 1968. In questo arco di tempo avviene l’occupazione di diverse sedi, ad iniziare da quella di Trento. A metà novembre ‘67 avviene l’occupazione della “Cattolica” di Milano, un istituto privato, nel quale la miccia si accende a seguito della ventilata proposta di aumento delle tasse a carico degli studenti. Il 27 novembre viene occupato Palazzo Campana, sede delle facoltà umanistiche dell'Università di Torino. Il minimo comune denominatore di tutte le occupazioni rimane sempre il contrasto alla riforma universitaria proposta dal ministro della Pubblica Istruzione Luigi Gui, che prevedeva di ristabilire i limiti di accesso e di istituire tre livelli di lauree.

Dalla fine del ‘67 al febbraio del 1968 il movimento si diffuse in tutta Italia, coinvolgendo anche gli studenti delle scuole superiori. Proprio il 29 febbraio, con l’occupazione dell’Università di Roma, segna la data di un vero e proprio spartiacque

11 Ibid., p.408.

12 La guerra del Vietnam fu un conflitto che durò dal 1955 al 1975 e segnò profondamente la storia globale e provocò proteste di vario tipo già dal 1964.

13 La rivoluzione culturale cinese ad opera di Mao risale al 1966-67, e viene visto in Italia come un movimento assolutamente spontaneo e antiautoritario.

14 Ernesto Che Guevara nacque a Rosario il 14 giugno 1928 e morì in Bolivia, a La Higuera, il 9 ottobre 1967.

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nella storia delle manifestazioni studentesche. L’intervento della polizia, in quell'occasione, riesce in un primo tempo a sgomberare l'edificio e respingere gli occupanti. Il giorno dopo, 1 marzo 1968, i giovani si ritrovano in Piazza di Spagna e cercano di riprendere il controllo della Facoltà di Architettura, situata nel parco di Villa Borghese. Esplode così un violento scontro con la polizia, che lascia sulla strada automobili e autobus dati alle fiamme e comporta il ferimento di 148 agenti e di altre centinaia di studenti. La cosiddetta “battaglia di Valle Giulia” costituisce un reale punto di svolta nella qualità della protesta, poiché sino ad allora il movimento era sempre stato pacifico e non violento. I disordini studenteschi raggiungono la maggiore intensità nella primavera del 1968, registrando in seguito un certo declino, pur se episodi e agitazioni si registreranno anche nel corso degli anni ‘70. Le elezioni del maggio 1968 riuscirono a deviare l'attenzione popolare verso la competizione politica, attenuando la tensione sociale. I movimenti di contestazione si affievolirono e non riuscirono più a raggiungere i livelli di forza e di vitalità che li avevano caratterizzati fino ad allora.

Nella filosofia della protesta è facile riscontrare, fra le idee e i valori di fondo, il prevalere dell’antiautoritarismo, che permeava per intero la contestazione, unito al disprezzo, certamente nuovo, per la sinistra politica tradizionale: il Partito Comunista non era riuscito ad inglobare gli ideali della protesta e veniva visto come un soggetto incapace di combattere il sistema15 se non, addirittura, integrato in

esso. L' ideale perseguito, invece, era quello della democrazia diretta, che prendeva come modello la Comune di Parigi del 1871. Quello del '68 era un movimento spontaneo e libertario, ma, nel contempo, inquinato da valori maschilisti, dai quali potevano nascere nuove forme di oppressione, del tutto inverse alle precedenti, come, ad esempio, l’obbligo a una disordinata libertà sessuale. Il movimento era, infine, di ispirazione marxista anche se le uniche vere basi teoriche erano le storiche ”Tesi della Sapienza” del 1967. Era ben chiaro agli studenti che il vero cambiamento si sarebbe realizzato solamente con un solido appoggio da parte della classe operaia, con la quale si doveva condividere progetti e ambizioni, in un fervore di iniziative comuni sempre più marcato.

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I presupposti e le condizioni che avevano determinato i violenti disordini di Piazza Statuto a Torino nel luglio del 1962 non erano molto cambiati. L'alienazione dell’operaio-massa, la rabbia dei lavoratori meridionali e la rigidità del sistema continuavano a permanere anche nel 1968. Il mercato del lavoro risultava considerevolmente frammentato; vi era una notevole richiesta di manodopera, da parte delle grandi aziende come la Fiat, rivolta a soggetti maschili di età superiore ai 21 anni, muniti di diploma e in possesso di una certa esperienza di vita urbanizzata. Nelle fabbriche, dopo la crisi del 1964-65, vi erano stati grossi mutamenti, che avevano portato ad una automazione sempre maggiore, unita inevitabilmente ad un aumento dei ritmi lavorativi. A tutto ciò bisogna aggiungere un fattore molto importante, ossia la spaccatura e la distanza che si era creata fra i sindacati di base e gli operai, che non sentendosi più rappresentati adeguatamente, minacciavano di agire liberamente in difesa dei propri interessi.

Le prime lotte operaie, si registrano, non nelle grandi città, ma più spesso in aree periferiche, come, ad esempio, a Valdagno, in provincia di Vicenza, ove aveva sede la grande azienda tessile Marzotto. I sindacati si trovano indeboliti, e la protesta scoppia con l’invasione degli uffici e la distruzione completa della documentazione inerente i ritmi di lavoro. Il 19 aprile 1968 circa quattromila dimostranti marciano per le vie della città e, giunti nella piazza principale distruggono, tirandola giù dal piedistallo, la statua di Gaetano Marzotto, fondatore della omonima dinastia imprenditoriale. Ai disordini seguono 42 arresti, e si rimarca il fatto che il Consiglio Comunale prende le parti dei lavoratori e ne richiede l’immediato rilascio.

A far tempo dall’estate 1968, avviene anche un mutamento più generalizzato in seno allo stesso movimento studentesco, che tende a perdere la sua spontaneità di base e si avvia ad una radicale trasformazione. Gli studenti, che fino ad allora si erano limitati ad agire prevalentemente nell’ambito delle Università, iniziano ad organizzare i picchetti ai cancelli delle fabbriche; l'intento è quello di ricercare il consenso della classe operaia nella prospettiva di dare vita ad un nuovo partito rivoluzionario che riesca finalmente a scavalcare il Partito Comunista, ritenuto ormai un solido ingranaggio nel sistema del potere. Nell’autunno dello stesso 1968 nacque la cosiddetta Nuova Sinistra italiana, con la partecipazione di un considerevole numero di gruppi rivoluzionari ed extraparlamentari, facenti tutti riferimento al

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leninismo come base ideologica e organizzativa. Per citare alcuni tra i più importanti, e che più segnarono quel periodo ricco di fermenti ideologici, possiamo ricordare “Avanguardia Operaia”16, con sede a Milano, su posizioni antistaliniste e filomaoiste;

“Movimento Studentesco”17, capeggiato da Mario Capanna e Salvatore Toscano,

sorto sulla scia dei dibattiti all'Università Statale di Milano e teso ad attribuire agli studenti un ruolo di primo piano; “Lotta Continua”18, il gruppo più innovativo e

movimentista; “Potere Operaio”19, il cui bacino di consensi si concentrava per lo più

nell'area torinese e in quella veneziana di Porto Marghera e, infine, “Il Manifesto”20,

gruppo fondato da intellettuali non più giovani, dal quale sarebbe scaturita, al pari di Lotta Continua e Potere Operaio, anche la pubblicazione della testata giornalistica. Questi gruppi vissero il loro momento migliore tra l’autunno del 1968 e la fine del 1969. Essi, però, rimarcavano una connotazione del tutto settaria, riproducendo, in sostanza, i modelli dei partiti storici. Le gerarchie decisionali erano formate in gran parte da personale maschile e, punto da non sottovalutare, mantenevano un atteggiamento alquanto ambiguo nella valutazione della violenza applicata all'azione politica.

In molte occasioni le organizzazioni sindacali furono scavalcate dai cosiddetti “comitati di base”. Il modello di riferimento per le agitazioni di fabbrica diventò quello attuato alla Pirelli di Milano dove, peraltro, era stata appena effettuata l’assunzione di ben duemila operai. Nel giugno del 1969 un gruppo composto da

16 “Avanguardia Operaia (AO)” è un gruppo extraparlamentare di estrema sinistra che nasce a Milano nel 1968 e dura fino al 1978, quando confluisce in “Democrazia Proletaria”.

17 “Movimento Studentesco (MS)” è un gruppo extraparlamentare di estrema sinistra che ha origine all’inizio degli anni ‘60 e si scioglie nel 1976, diventando “Movimento Lavoratori per il Socialismo”. Coinvolge principalmente gli studenti universitari, che dall’inizio degli anni Sessanta erano impegnati a chiedere delle riforme.

18 “Lotta Continua (LC)” è un gruppo extraparlamentare di estrema sinistra fondato nel 1969. Dal 1972 è guidato da Adriano Sofri. Sin dall'inizio si connota per un forte carattere spontaneista e per un’altrettanto forte critica nei confronti del PC. Il movimento si scioglie dopo il Secondo Congresso di Rimini nel novembre del ‘76, tuttavia il quotidiano continua la pubblicazione fino al 13 giugno 1982. Altri riferimenti al movimento si possono ritrovare nell’ultimo paragrafo di questo capitolo, che attiene alla biografia di Franco Serantini.

19 “Potere Operaio (Pot Op)” è un gruppo extraparlamentare di estrema sinistra, attivo dal 1967 al 1973. Nasce dal corpo redazionale della rivista “La classe” e in seguito, nel 1969, vi confluisce il gruppo “Potere Operaio” di Venezia. Per alcuni anni (fino al 1971) pubblica una rivista dal titolo omonimo.

20 “Il Manifesto” si denomina inizialmente come gruppo politico di estrema sinistra che opera fino al 1974, quando confluisce nel “Partito di Unità Proletaria per il Comunismo”. Pubblica una rivista politica mensile, il cui primo numero esce il 23 giugno 1969. Dal 28 aprile 1971 il giornale diventa quotidiano. La chiusura sarà ufficializzata il 11 maggio 2012.

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operai e da impiegati, supportati da “Avanguardia Operaia”, organizzarono un Comitato Unitario di Base (Cub) per poter focalizzare la protesta proprio a livello di fabbrica. Le richieste spaziavano da questioni di carattere generale, come la riconsiderazione del rapporto fra capitale e lavoro, fino a toccare esigenze più specifiche, quali la riduzione delle differenze salariali tra impiegati e operai. Una delle problematiche più dibattute era il passaggio automatico alla categoria superiore per l'operaio che avesse avuto una determinata anzianità lavorativa. Si chiedeva, inoltre, l’abolizione delle cosiddette “gabbie salariali” che, a parere dei Comitati di Base, costituivano un fattore di disuguaglianza tra i lavoratori, e una rottura del rapporto tra aumento del salario e aumento della produttività, sì che il salario stesso potesse essere considerato una “variabile indipendente”21.

Si assiste anche, in quel periodo, a una notevole trasformazione dei metodi di organizzazione della protesta: l’assemblea dei lavoratori rappresenta, sempre più spesso, il contesto nel quale vengono prese le decisioni più significative, e in molti casi gli scioperi possono svolgersi anche senza l'approvazione dei sindacati di base. Le manifestazioni organizzate all'interno della fabbrica sostituiscono man mano quelli che, fino ad allora, erano stati i picchettaggi, realizzati anche con l'aiuto dei giovani studenti. Il nucleo della manifestazione ha dunque origine internamente alla fabbrica. Gli operai lasciano il lavoro e confluiscono in veri e propri cortei. L'esempio più eclatante viene dallo sciopero indetto il giorno 3 luglio 1969 alla Fiat-Mirafiori di Torino. Un corteo composto da migliaia di lavoratori prende avvio dai cancelli di Mirafiori e sfila in diverse zone della città. Per quella stessa giornata i sindacati avevano proclamato uno sciopero generale per sostenere la richiesta del blocco degli affitti, ma lo slogan dei manifestanti era decisamente più perentorio: “Che cosa vogliamo?Tutto”22. La Polizia interviene quasi subito, e inizia così una lunga serie di

scontri che continua per l’intera nottata, anche con la costruzione di barricate in Corso Traiano. L'avvenimento resterà denominato “battaglia di Corso Traiano”, idealmente legato alla rivolta di Piazza Statuto del 7 luglio 1962. E' il preludio di quello che la storia registrerà come “l'autunno caldo” del 1969.

21 Ginsborg, Storia d’Italia, cit. pp. 423-426. 22 Ibid, p.428.

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Lo stesso 1969, a ben vedere, non può essere considerato un periodo di grandi passi in avanti rispetto al 1968, per quanto attiene un decisivo distacco tra masse lavoratrici, da una parte, e partiti e sindacati dall'altra. Nonostante il parere di alcuni esponenti di “Lotta Continua”, convinti che in Italia stesse avvenendo una vera e propria rivoluzione culturale, alla stregua di quella cinese di Mao Zedong, la coscienza anticapitalista non era invece tanto diffusa, e la fedeltà della classe operaia nei riguardi dei sindacati e dei partiti della sinistra storica continuava a persistere in maniera rilevante. Dobbiamo comunque sottolineare il fatto che i sindacati, per parte loro, intrapresero un cammino di vera e propria metamorfosi, distaccandosi, per quanto possibile, dai partiti politici e cercando di venire incontro a quelle che erano le esigenze di una classe operaia ormai in continua agitazione. Emblematica fu la mobilitazione per il rinnovo del contratto di lavoro dei metalmeccanici nel novembre 1969, quando circa mezzo milione di operai incrociarono le braccia e proclamarono lo sciopero nazionale. Le manifestazioni di protesta coinvolsero le maggiori fabbriche italiane dando luogo ad un diffuso e turbolento clima socio-politico che, propriamente, verrà definito “autunno caldo”. Nel dicembre del ‘69 viene firmato il nuovo contratto, che rappresenta indubbiamente una grande vittoria per le sigle sindacali. L’”autunno caldo” segna così la riaffermazione della leadership sindacale all’interno delle fabbriche23. Nel

corso degli anni successivi, 1970 e 1971, le proteste continuano e si allargano toccando anche altri settori produttivi. Le azioni rivendicative sono dunque concentrate in seno alla fabbrica, consentendo agli apparati sindacali di sintonizzarsi meglio con le esigenze degli operai. Ebbe grande impatto l'introduzione di un nuovo sistema organizzativo basato sui “Consigli di Fabbrica”, che si diffusero a macchia d’olio con una rapidità inaspettata, fino a determinare un incremento dei tesseramenti alla Cgil, nel settore pubblico, del 15 per cento. I sindacati non riuscirono, però, nell’impresa più impegnativa, cioè quella di ottenere dal governo importanti ed incisive riforme riguardanti aspetti fondamentali della vita dei lavoratori, come quelli della sanità, della scuola e della casa.

Anche il periodo dal 1970 al 1973 è contrassegnato da rivendicazioni operaie e da lotte sindacali e studentesche, in un clima di permanente conflittualità. Con la crisi

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economica del ‘71, però, il movimento cambia rotta, e dalle richieste di condizioni migliorative, si passa alla difesa dei posti di lavoro e al mantenimento delle conquiste ottenute nel biennio 1968-69. Nel luglio 1972 viene costituita la Federazione tra i sindacati Cgil-Cisl-Uil, con un forte impegno di collaborazione e comuni obiettivi, pur mantenendo, da parte di ogni singolo organismo, una sostanziale autonomia. I lavoratori, forgiati dalle lotte, acquistano maggiore consapevolezza delle proprie possibilità e si sentono ora rappresentati da una struttura sindacale più dinamica e meno distante. Una vittoria in tal senso è la firma del contratto nazionale dei metalmeccanici del 19 aprile 1973 ad opera dei segretari generali Bruno Trentin (Cgil), Pierre Carniti (Cisl) e Giorgio Benvenuto (Uilm), preceduta da una grande ripresa dell’attività sindacale, culminata nel mese di marzo con l'occupazione, per due giorni, della Fiat-Mirafiori di Torino.

Un altro aspetto non trascurabile del fervore rivendicativo di quegli anni riguarda alcuni settori statali molto importanti, quali l'esercito e l'apparato carcerario. “Lotta Continua” si mostra molto attiva anche su questi due fronti pubblicando i periodici “Proletari in divisa” e “I dannati della terra”. Nello stesso tempo si sviluppa nella società civile un forte movimento per il problema della casa, con rivendicazioni di affitti più bassi e abitazioni per tutti. L'azione non ottiene grandi risultati poiché ha il limite di orientarsi prevalentemente al settore pubblico, trascurando invece quello privato cui fa capo gran parte dell'attività edilizia nazionale.

Il '68 non è solamente l’anno delle proteste studentesche, ma è anche quello in cui iniziano delle ripetute crisi di governo, poiché vengono alla luce le profonde lotte interne alla Democrazia Cristiana, evidenziate già al XII Congresso Nazionale del partito nel giugno 1969. Dopo il terzo governo Moro, che guidò il Paese fino al 24 giugno 1968, si avvicendano una serie di governi di breve periodo, retti da coalizioni di centro-sinistra, quello presieduto da Giovanni Leone e i tre successivi presieduti da Mariano Rumor, il quale passerà poi il testimone ad Emilio Colombo, per arrivare infine ai due mandati di Giulio Andreotti, dal 17 febbraio 1972 al 7 luglio 1973. In una situazione di intensa conflittualità sociale sia la Democrazia Cristiana che il Partito Socialista, il quale, peraltro, ottenne solo il 14,5 per cento dei voti alle recenti elezioni politiche24, non potevano rimanere indifferenti alle istanze che provenivano

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da organizzazioni di base cattolica come le “Acli” e la “Cisl”. Nel corso del 1970, quindi, il governo a guida democristiana cerca di mettere in atto una politica riformatrice che, se pur frutto del lavoro svolto anche dai governi di centro-sinistra precedenti, desse comunque un segno di svolta. È questo il caso, ad esempio, dell’istituzione delle Regioni, arrivata ben ventidue anni dopo la disposizione costituzionale, o l’introduzione dei Referendum popolari, anch’essi previsti originariamente dalla Costituzione. Entrambi questi provvedimenti segnano un passo in avanti verso il decentramento amministrativo, rendendo possibili, per il cittadino, una migliore conoscenza, ed anche un maggior controllo, sulle decisioni da prendere. Rimangono tuttavia presenti molte delle annose criticità nel funzionamento della pubblica amministrazione. Il 1970 fu anche l’anno in cui, grazie all'impegno del sindacalista socialista Giacomo Brodolini25, fu approvato lo “Statuto

dei Lavoratori”, con il quale si apportavano notevoli miglioramenti nella condizione dei lavoratori, regolamentando i rapporti di quest'ultimi con i datori di lavoro e con le rappresentanze sindacali. Un principio fondamentale declamava che nessun lavoratore può essere fatto oggetto di licenziamento a causa della sua attività politica o sindacale, e che ciò non deve influire neppure nella fase di assunzione. Il sommovimento socio-politico generato nel biennio 1968-69 darà luogo, per lunghi anni successivi, ad un torbido clima di violenze e di oscuri episodi mai del tutto chiariti, che storicamente sarà ricordato come periodo della “strategia della tensione”.

2.2 L’inizio della strategia della tensione

Con la denominazione “anni della strategia della tensione” si intendono indicare, in Italia, quelli del decennio 1970-80, partendo dalla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 fino ad arrivare alla strage di Bologna del 2 agosto 1980. Prima di tratteggiare ed elencare i numerosi attentati terroristici che segnarono

25 Giacomo Brodolini (19 luglio 1920-11 luglio 1969) nel 1948 aderisce al Partito Socialista, di cui diviene vicesegretario dal 1963 al 1966. Nel dicembre del 1968 viene nominato Ministro del lavoro e della previdenza sociale e in questo ruolo è uno dei principali, se non il massimo sostenitore dello Statuto dei lavoratori, che diverrà legge il 20 marzo 1970.

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profondamente il Paese in quel periodo, sarà utile compiere un passo indietro per cercare di delineare il clima che si era creato a seguito delle proteste studentesche ed operaie. Come abbiamo già evidenziato, il susseguirsi di tumulti e agitazioni aveva caratterizzato fortemente quegli anni, creando profonde trasformazioni sociali e politiche. La fine dell’”autunno caldo” trova l'Italia in un quadro istituzionale decisamente fragile: l'esito fallimentare dell'unificazione socialista Psi-Psdi sfociato nella scissione del luglio 1969 con la fondazione del Psu, la crisi del centro-sinistra e la nascita di un governo monocolore democristiano guidato da Mariano Rumor, con l'assenza dei due partiti socialisti, ormai in disaccordo tra loro. La prospettiva di una futura coalizione quadripartito che ridimensioni la presenza del Partito Socialista è il progetto del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, in un clima già teso e ulteriormente esasperato dalla tragica morte dell’agente di polizia Antonio Annarumma, di Monforte Irpino26. Si osserva, peraltro, da parte degli apparati

statali, un deciso arroccamento su posizioni ideologiche di destra, che accentua ancor di più la distanza dalle posizioni assunte da studenti e operai durante il biennio delle proteste. Ai primi di dicembre, in concomitanza con la firma del contratto nazionale dei metalmeccanici, sembra, per un attimo, esserci una sorta di allentamento della violenza. La “tregua” però dura ben poco, fino al 12 dicembre, quando alle ore 16,37 avviene lo scoppio di una bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano, provocando la morte di sedici persone e il ferimento di altre ottantotto, per lo più agricoltori, che il venerdì pomeriggio si ritrovano in quella sede per operazioni bancarie e contrattazioni. Anche a Roma, nello stesso giorno, scoppiano ordigni esplosivi che comportano il ferimento di sedici persone, alla Banca Nazionale del Lavoro e al monumento del Milite Ignoto. Le indagini vengono immediatamente indirizzate verso gli ambienti anarchici e quelli dell’estrema sinistra, in un clima di nervosismo e di caccia all’uomo. La sera dello stesso 12 dicembre viene effettuato l’arresto del ferroviere quarantunenne Giuseppe Pinelli, detto Pino, il quale rimarrà in stato di fermo fino alla notte del 15

26 Guido Crainz, Il paese mancato. Dal miracolo economico agli anni Ottanta, Donzelli, Roma, 2003 pp. 356-357. Antonio Annarumma (Monforte Irpino 10 gennaio 1947-Milano 19 novembre 1969) è un agente della Polizia di Stato del Terzo Reparto Celere. Il giorno 19 novembre si svolge a Milano uno sciopero generale nazionale, durante il quale vengono viene fatto uso di lacrimogeni e automezzi per disperdere i manifestanti. Questi, durante un fitto lancio di tubi d’acciaio reperiti in un vicino cantiere, colpiscono a morte l’agente di soli 22 anni.

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dicembre, quando precipiterà dalla finestra del quarto piano della questura, dall’ufficio del dottor Luigi Calabresi.

È molto importante tratteggiare la figura e la personalità dell’anarchico Pinelli, visto il peso che essa poi ricoprirà negli ambienti anarchici, ricordando anche la forza con cui segnerà e appassionerà il giovane Franco Serantini. Pinelli nasce a Milano il 21 ottobre 1928 da padre ferroviere, tuttofare, ferito più volte in guerra, ardentemente comunista, e primo ad indirizzare il figlio nell'azione politica. Dopo la fine della scuola elementare lascia gli studi e verso i quindici anni diventa staffetta partigiana nella brigata “Franco”. Si fa convinto anarchico grazie all’esempio e agli insegnamenti di Angelo Rossini, un fruttivendolo, il quale gli parla di Malatesta, Borghi, Pietro Gori. Pinelli vuole e spera in un’anarchia rigeneratrice di giustizia sociale e di libertà27. Descritto da tanti come “anarchico individualista” è, invece, un

uomo sempre disposto a dialogare, ad ascoltare e capire le idee altrui, estremamente attento e devoto all’amicizia, ma parimenti attento a voler ricevere lo stesso rispetto che accorda agli altri. Pinelli è il rivoluzionario dell’immaginazione, il sovversivo delle libere scelte, un uomo di oggi, fedele alle idee umanitarie ottocentesche28. Nel 1955 sposa Licia Rognini, conosciuta a Milano alla scuola

domenicale di esperanto, ex militante nel Partito comunista, uscita dopo qualche tempo dal partito non sopportando una burocrazia troppo opprimente e un opportunismo dilagante. Licia è una donna forte, individualista, di buon senso, e con una grande dignità, che dimostrerà anche quando riceverà la comunicazione della tragica morte del marito; dal matrimonio nascono due figlie, Silvia e Claudia, ancora bambine al momento della scomparsa del padre.

Nel 1954 Giuseppe Pinelli vince un concorso alle ferrovie e diventa operaio alla stazione Milano-Greco, si sente molto soddisfatto di questo lavoro, ritenuto di spicco nell’ambiente della classe operaia.

Nel 1963 partecipa alla fondazione di un Gruppo giovanile libertario e nel 1965 prende vita il gruppo “Sacco e Vanzetti”. Il 1 maggio 1968 viene creato il Circolo “Ponte della Ghisolfa”, con sede in piazza Lugano 31, che raccoglie a sua volta vari gruppi, tra cui “Bandiera Nera”, nel quale Pinelli aveva la funzione di

27 Corrado Stajano, Pinelli, in AA. VV. Le bombe di Milano, Bur, Milano, 2009 p. 146. 28 Ibid., p. 148.

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“anarcosindacalista”. Durante la primavera del 1969 entra a far parte della Crocenera, un’associazione di assistenza internazionale alle vittime politiche. La Crocenera ha come compito principale quello di diffondere notizie sull’attività rivoluzionaria spagnola, nonché di portare aiuti economici e viveri ai compagni incarcerati29. Nel frattempo Pinelli migliora la sua posizione e diviene caposquadra

dei manovratori, addetto alla composizione dei treni merci a Porta Garibaldi; si sente un po' protagonista ed è finalmente in grado di acquistare un motorino, il Benelli 48 cc., mezzo col quale si recherà in Questura la sera del 12 dicembre. Quel fatidico giorno Pino si alza tardi poiché ha effettuato il turno di notte, prepara il pranzo anche per Nino Sottosanti, volontario nella legione straniera, che era giunto a Milano per testimoniare dinnanzi al giudice Amati a favore di Tito Pulsinelli, accusato di aver posizionato un pacco bomba in corso Magenta il 1 aprile 1969. Verso le ore 14.30 i due uomini escono di casa per andare al bar a prendere un caffè, ed è l’ultima volta che Licia vede il marito ancora in vita. Dopo essersi salutati, e dopo che Pinelli ha consegnato un assegno dell’ammontare di 15 mila lire a Sottosanti come rimborso spese, l’anarchico rientra nel bar per fermarvisi fino alle 17.15 circa, ora in cui si dirigerà con il motorino alla stazione Garibaldi per ritirare la tredicesima, che verrà consegnata alla famiglia solo dopo il suo decesso. Si reca poi al circolo “Ponte della Ghisolfa” e successivamente a quello di via Scaldasole 5. Qui il commissario Calabresi e alcuni agenti effettueranno una perquisizione e arresteranno l'anarchico Sergio Ardau. Quando il commissario nota la presenza del ferroviere invita entrambi a seguirlo: mentre Ardau viene trasportato in questura con la Fiat 850 blu della polizia, Pinelli vi si reca guidando il proprio ciclomotore. Sono circa le 20 e l’interrogatorio di Ardau si svolgerà verso mezzanotte, ora in cui Pinelli telefona a casa per tranquillizzare la moglie e i familiari. Vi saranno altre telefonate dalle quali Licia comprende chiaramente che il marito viene zittito dai militari dell’Arma. Lunedì 15 dicembre la signora Rosa, madre di Pino, si reca in Questura per incontrare il figlio, e lo trova molto sereno e tranquillo, nell’anticamera dell’Ufficio Politico. Nella stessa serata, dopo ben tre giorni di fermo, un poliziotto telefona alla famiglia per chiedere di comunicare al capostazione che Giuseppe Pinelli era stato trattenuto dalla polizia. Verso le ore 22 il commissario Calabresi

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chiede alla moglie del ferroviere di consegnare alle forze dell’ordine il libretto chilometrico in cui sono segnati tutti i suoi viaggi e alle 23 un agente si reca a ritirarlo. Sappiamo che fino a quel momento Pinelli era rimasto tranquillo; la fase più oscura si svolge tra le 23.30 e la mezzanotte del 15 dicembre. Giuseppe Pinelli precipita dalla finestra del quarto piano della Questura, ed è questo l’unico fatto certo di questa la vicenda. Resta ignoto il motivo per il quale l’anarchico, a detta del Questore Marcello Guida, ad un certo punto dell'interrogatorio, fosse sbiancato in volto e avesse preso la decisione di suicidarsi. Che cosa gli sia stato detto o che cosa gli sia stato fatto rimane tutt’oggi nell’ombra. Alle 23.30 Pasquale Valitutti, giovane anarchico che si trovava in stato di fermo da sabato mattina, riferisce di aver sentito dei rumori sospetti, come se fosse stata in atto una rissa. Vi sono poi varie incongruenze riguardo agli orari di chiamata dell’ambulanza, per cui sorge il sospetto che sia stata allertata quando Pinelli era ancora in vita, e forse accusava un malore. Sono contrastanti anche le versioni date dai poliziotti in ordine alla fuoriuscita dalla finestra, per cui dichiaravano di non essere riusciti a fermarlo, pur avendo fatto il tentativo di salvarlo, tanto che ad un sottufficiale sarebbe rimasta in mano una scarpa del suicida. Tesi non supportate dai paramedici dell’ambulanza e nemmeno dall’esame autoptico, che evidenzia una lesione bulbare al collo, mentre nota l'assenza di lesioni sui palmi delle mani, come si trattasse di un corpo che cade ormai morto, senza più nessun istinto di difesa.

Le ipotesi sulla morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli sono sostanzialmente tre: quella dell’omicidio, volontario o preterintenzionale. La seconda, sostenuta dagli ambienti della Questura, è quella del suicidio: l'uomo si sarebbe suicidato una volta compreso di aver commesso un tragico errore, ossia di aver consegnato della dinamite destinata ad esplodere nella Grecia dei colonnelli30, che, invece, sarebbe

stata poi utilizzata per la bomba alla banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana; in tal caso egli verrebbe classificato colpevole e stragista. La terza ipotesi è quella della disgrazia: Pinelli, dopo tre notti senza sonno, o con poche ore di riposo disteso su una branda, avrebbe accusato un malore, e avvicinandosi alla finestra nel tentativo

30 La Dittatura dei colonnelli in Grecia (21 aprile 1967-24 luglio 1974) è una dittatura di governi militari anticomunisti, il cui leader principale è Georgios Papadopoulos.

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di prendere un po’ d’aria e respirare meglio, sarebbe svenuto precipitando al suolo31.

L'opinione pubblica, in ordine ai colpevoli della strage, è sempre più convinta della validità della pista anarchica, avvalorata ancora di più dall’arresto di Pietro Valpreda, ballerino di 34 anni, ritenuto un anarchico individualista. Viene fermato la mattina di lunedì 15 dicembre 1969 verso le 9, dopo che si era recato al Palazzo di Giustizia per un colloquio col giudice Amati. L’arresto avviene in seguito alla testimonianza del tassista Cornelio Rolandi, il quale dichiarerà di averlo accompagnato in via Santa Tecla, vicino a piazza Fontana, munito di una borsa e di averlo visto tornare poco dopo a mani vuote. Rolandi nella notte, attorno alle 23, riconoscerà quell’uomo in una foto mostratagli dagli inquirenti, e confermerà il riconoscimento il giorno successivo, quando potrà vedere Valpreda di persona al Palazzo di Giustizia di Roma. La stampa e la televisione italiane lo definiscono sommariamente una “bestia umana”, un mostro32.

Valpreda arriva a Milano, da Roma, verso le 7 del mattino del 12 dicembre, a bordo della sua Fiat 500, e si reca a casa della prozia Rachele Torri, alla quale comunica di non sentirsi bene e di avere la febbre. A mezzogiorno ha un appuntamento con l’avvocato Mariani a causa di una denuncia a suo carico per aver diffuso un ciclostilato contro il Papa e il Vaticano. L’avvocato stesso nota il malessere dell'uomo e gli comunica comunque che l’appuntamento con il giudice Amati si terrà il giorno successivo alle 9. Quindi il sabato 13 Valpreda ritornerà dal suo avvocato, tra l’altro, indossando il cappotto donatogli dal padre per meglio comparire e avere una parvenza di maggior serietà, ma il giudice Amati non è presente, perciò l'incontro è rinviato a lunedì 15 dicembre alle ore 9. Pietro a questo punto non rientra dalla zia Rachele, ma si reca da “nonna” Olimpia, sorella di quest’ultima, in casa della quale passerà due giorni, febbricitante e disteso sul divano. Riceverà le visite della sorella il sabato, e della madre e dell’amica d’infanzia Elena Segre la domenica. Il lunedì mattina alle 9 si presenta al Palazzo di Giustizia, accompagnato da nonna Olimpia, indossando il cappotto color marrone del padre. Appena terminato l’interrogatorio

31 Stajano, Pinelli, cit., pp.156-166.

32 Bruno Vespa comunica l’arresto di Pietro Valpreda durante il telegiornale della sera del 16 dicembre, sposando la tesi della colpevolezza. La stessa viene espressa anche in testate nazionali come “Il Corriere della Sera”, “Il Corriere d’Informazione”, “Il Messaggero”, “La Nazione”, “Il Tempo”. Crainz, Il paese mancato, cit., pp. 365-366.

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dal giudice Amati, durato circa un’ora, Valpreda esce e viene immediatamente prelevato dalla polizia per essere trasferito a Roma. Il 10 marzo successivo la madre, la sorella, la zia e la nonna vengono incriminate per falsa testimonianza, da un magistrato inquirente che vuole vedere un diabolico Valpreda portare le bombe a piazza Fontana in taxi, costruirsi un alibi milanese e presentarsi addirittura al cospetto del giudice Amati33. Nell'intera vicenda più di un particolare non quadra; il

tassista Rolandi afferma di aver visto e di ricordare Valpreda in giacca e cravatta, con addosso un cappotto color grigio, mentre la zia ribadisce che il nipote indossava un giaccone grigio-verde con il cappuccio, e foderato internamente di pelo. Rolandi, alla domanda di un giornalista, se egli possa essersi sbagliato, o che abbia confuso una persona con l’altra, magari con un sosia, o che le foto pubblicate siano quelle di tale Antonio Sottosanti detto Nino il fascista, il tassista risponde che le foto sui giornali sono quelle di Valpreda ritoccate, e che lui comunque è convinto della sua colpevolezza poiché lo ha “fotografato” nella memoria34.

Il totale rifiuto della verità ufficiale viene innanzitutto dai gruppi della sinistra extraparlamentare: Adriano Sofri, sin dal giorno successivo, all'assemblea operai-studenti di Torino, sostiene che la strage è fascista35. Questa cosiddetta

controinformazione prende piede soprattutto nelle fabbriche e nelle Università, dove un numero sempre più grande di persone inizia a diffidare della versione ufficiale e a credere, invece, che dietro alla strage ci sia una forte intromissione fascista, riportata anche nelle vignette satiriche che vedono come protagonista il commissario Calabresi. La casa editrice Samonà e Savelli, il giugno successivo, pubblica un testo dal titolo quantomai esplicito “La strage di stato”, in cui viene denunciato il coinvolgimento, e anzi la matrice fascista della strage, compiuta con l’aiuto e la copertura di apparati statali compiacenti. Pietro Valpreda resterà in carcere a Roma fino al 29 dicembre 1972, per più di tre anni; la sua scarcerazione fu propiziata da una legge ad personam, che rimodulava e limitava i termini di custodia cautelare, anche nei casi di reati gravissimi, come quello di strage. Nel 1972 le indagini su Piazza Fontana, passate nelle mani dei magistrati Giancarlo Stiz, Gerardo D’Ambrosio ed Emilio Alessandrini portano all’incriminazione di Franco Freda e di

33 Marco Nozza, Valpreda, in AA. VV. Le bombe di Milano, Bur, Milano, 2009, pp. 120-125. 34 Marcello Del Bosco, Rolandi, in AA. VV. Le bombe di Milano, Bur, Milano, 2009, p. 139. 35 Crainz, Il paese mancato, cit. p.383.

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Giovanni Ventura, e l’anno dopo la stessa sorte investirà anche Guido Giannettini, giornalista neofascista, agente del Sid. Il processo, però, subisce un forte rallentamento poiché viene spostato nella città di Catanzaro, posto che il Procuratore Generale De Peppo ipotizza possibili intimidazioni nei confronti dei testi e della Corte stessa. Nel 1979 la Corte d’Assise condanna Pietro Valpreda a quattro anni di carcere per associazione sovversiva, mentre gli altri imputati, Franco Freda, Giovanni Ventura e Guido Giannettini, sono condannati all’ergastolo. Nel 1981 le accuse non reggono per insufficienza di prove, sentenza che viene confermata nel 1987, ben diciotto anni dopo la strage. Verrà riconosciuta anche l’innocenza dell’ormai defunto Giuseppe Pinelli.

Quella di piazza Fontana sarà, per lungo tempo, l’unica strage attribuita ad ambienti di estrema sinistra e dalla quale, però, parte un “guidato” inasprimento dello scontro sociale volto a spostare verso destra l’opinione pubblica, ancor prima dell'asse politico, attraverso un forte innalzamento dei toni, un'enfatizzazione degli scioperi e un diffuso timore che la piazza e le violente manifestazioni riescano a sovvertire le istituzioni. All’inizio del 1970 si ha una forte richiesta di rafforzamento dello Stato, in un clima fatto di allarmismo e preoccupazione. Prendono piede, in questo contesto, i movimenti neofascisti, dai militanti del Movimento Sociale Italiano a gruppi clandestini, con il coinvolgimento episodico anche di personaggi dell’Esercito e dei Servizi. È sull’onda di questo nuovo indirizzo che nell’autunno del 1971 le Squadre d’Azione Mussolini (Sam) piazzeranno delle bombe davanti alla casa del Questore generale di Milano Luigi Bianchi d’Espinosa, che aveva indagato e incriminato il segretario del Msi Giorgio Almirante36 e altri suoi dirigenti per il reato

di ricostituzione del partito fascista. Sarà lo stesso Almirante a spingere i propri seguaci allo scontro fisico contro i comunisti, in un esasperato tentativo di sconfiggere il pericolo proveniente da sinistra37.

Nel periodo del “dopo piazza Fontana”, e in questa atmosfera di “ripristino dell'ordine”, avviene un evento molto importante, prolungatosi da luglio 1970 a febbraio 1971, ossia la rivolta di Reggio Calabria, scoppiata in un contesto politico

36 Giorgio Almirante (Salsomaggiore Terme 27 giugno 1914-Roma 22 maggio 1988) è il segretario del Movimento Sociale Italiano e ne è anche uno dei fondatori, assieme ad altri reduci della Repubblica sociale. Nel 1970 inaugurerà la tattica del “doppio binario” per unire l’ala intransigente e l’ala legalitaria del movimento.

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nel quale le forze di sinistra non sembravano occuparsi sufficientemente del Mezzogiorno e delle sue potenzialità. Bisogna peraltro evidenziare il fatto che nel Meridione la protesta studentesca e operaia ha un impatto decisamente minore, poiché la massa operaia, occupata prevalentemente nei settori metallurgico e petrolchimico, costituisce solo una esigua parte della popolazione. Nelle principali aree urbane e nelle città di mare lo sviluppo è quantomai caotico e disordinato, favorendo le infiltrazioni della criminalità organizzata, come la mafia in Sicilia e la camorra a Napoli. La struttura della società meridionale si presenta quindi estremamente frammentata e debole, come già si evince dal verificarsi di una rivolta a Battipaglia il 9 aprile 1969, attuata per protestare contro la chiusura della storica Manifattura Tabacchi e dello zuccherificio. Nel bilancio dei disordini si conteranno due vittime. La rivolta di Reggio Calabria nasce invece, dai contrasti sulla scelta della città che dovrà essere sede del governo regionale, poi decisa a favore di Catanzaro. In quasi un anno di rivolta si registrano numerosi scioperi, durati diciannove giorni, e ben dodici attentati dinamitardi. I partiti di sinistra, ad esclusione del partito socialista, condannano duramente le manifestazioni di violenza, mentre l'estrema destra riesce a cavalcare perfettamente la protesta grazie all'attivismo del neofascista Ciccio Franco che ne diviene il capopopolo. Il Movimento Sociale Italiano ottiene, nelle elezioni del 1972, circa ventunomila preferenze per il candidato Nino Tripodi. Il governo, di rimando, conferma Catanzaro capoluogo della Regione e assegna a Reggio Calabria la sede dell’Assemblea regionale; si intraprende anche la costruzione di un enorme stabilimento siderurgico nell’area di Gioia Tauro, che, a posteriori, si sarebbe rivelato un vero fallimento, a causa del crollo del mercato dell’acciaio alla metà degli anni ‘7038.

In quel periodo, dunque, i neofascisti del Msi iniziano ad avere un certo seguito, nell’ottica di dover fronteggiare l’avanzata del comunismo e di far prevalere, a fronte delle rivolte, la solidità delle istituzioni e dell’apparato statale.

Nello stesso 1970, nel primo anniversario della strage di piazza Fontana, il pomeriggio del 12 dicembre a Milano, dopo la conclusione del corteo e del comizio dell’Anpi, un gruppo di anarchici, seguiti da circa un altro centinaio di persone, percorre via Torino e, su ordine del vicequestore Luigi Vittoria, viene caricato alle

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spalle dalle forze dell'ordine. I carabinieri si lanciano violentemente contro i cordoni del Movimento studentesco, sparando lacrimogeni ad altezza d'uomo e inseguendo il corteo fin quasi davanti alle mura dell'Università Statale. Tra i manifestanti c’è anche Saverio Saltarelli, un ragazzo di ventitré anni, che trova la morte in via Bergamini proprio mentre i gruppi vengono ricacciati verso la Statale. La versione iniziale della Questura e delle forze dell’ordine parla di decesso causato da un malore, probabilmente un arresto cardiocircolatorio. Il 13 dicembre Mauro Capanna, uno dei capi del Movimento Studentesco, smentisce la versione ufficiale, asserendo che gli agenti avevano sparato i candelotti lacrimogeni ad altezza d'uomo. Anche il ministro degli Interni Franco Restivo, pur ribadendo la necessità, date le circostanze, dell'intervento della forza pubblica, dopo aver sposato in un primo tempo l'ipotesi del malore, il 15 dicembre è costretto a tornare su posizioni più prudenti. Durante una seduta a Montecitorio il comunista Alberto Malagugini e il socialista Eugenio Scalfari contestano fortemente la verità ufficiale, affermando invece che Saverio Saltarelli è stato colpito a morte dalla polizia. Poche ore dopo, lo stesso ministro Restivo è costretto a fare una relazione alla Camera, in cui ammette che la morte è sopraggiunta a seguito di un colpo violento con conseguente lesione cardiaca39.

Pochi giorni prima dell’anniversario di Piazza Fontana si verifica un evento che tende ulteriormente ad aumentare la psicosi del complotto e degli intrighi politici, ossia il tentativo, ad opera del neofascista principe Junio Valerio Borghese, di un colpo di Stato, definito dal segretario nazionale della Dc Arnaldo Forlani come “il tentativo più pericoloso della destra reazionaria dalla Liberazione in poi, con solidarietà di ordine internazionale”40. Nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970 Valerio Borghese,

già comandante della X Mas al tempo della Repubblica Sociale Italiana nel 1944-45, si imbarca in un’azione sovversiva che si rivelerà una farsa, al pari del piano “Solo” ideato dal generale De Lorenzo, ex capo del Sifar e Comandante dei Carabinieri. De Lorenzo, nel 1964, aveva progettato un piano col quale intendeva assicurare all’arma dei Carabinieri il controllo dello Stato, prevedendo l’impiego di tre divisioni di

39 Camilla Cederna, Sparare a vista. Come la polizia del regime DC mantiene l’ordine pubblico, Feltrinelli, Milano, 1975, pp. 33-42.

40 Il Giorno, Le denunce di Forlani sulle trame nere, 7 novembre 1972 in Crainz, Il paese mancato, cit., p.386.

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carabinieri; aveva programmato azioni preventive a fronte di eventuali disordini, assoluta segretezza dei disegni, e l'arresto e il confino in Sardegna per un gran numero di uomini “enucleati” dal Sifar e da altri organismi istituzionali. Il piano, naturalmente mai messo in atto, verrà scoperto solamente cinque anni più tardi, grazie all’inchiesta de “L’Espresso”, diretto da Eugenio Scalfari41.

Le truppe di Borghese, invece, erano composte da ex paracadutisti e da un battaglione di guardie forestali, alla cui guida si era posto il deputato del Movimento Sociale Italiano Sandro Saccucci. Borghese riesce ad occupare il Ministero degli Interni nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, ma decide, improvvisamente, per motivi mai chiariti, di desistere e annullare il piano. Il suo tentativo di colpo di Stato sarà divulgato solamente il 17 marzo 1971, quando verrà emesso un mandato di cattura a suo carico. L'avvenimento dimostra ancora una volta come molti apparati dello Stato e dell’Esercito fossero conniventi in simili situazioni. Nel 1974 anche quattro generali verranno accusati di complicità in colpo di Stato, ma nel processo d'appello nel 1984 tutti gli imputati saranno pienamente assolti42.

2.3 Le elezioni del 1972 e il clima politico

2.3.1 Il caso nazionale

Il 1971 si chiude con la fine della presidenza di Giuseppe Saragat, personalità del Partito Socialdemocratico, il quale aveva sempre mantenuto un atteggiamento un po' defilato in ordine agli avvenimenti legati alla strategia della strategia della tensione e ai suoi protagonisti. Nelle elezioni per il rinnovo della carica Saragat ripropone la sua candidatura, ma ottiene solamente l’appoggio del suo partito e di liberali e repubblicani. Dall’altra parte la Democrazia Cristiana sostiene Amintore Fanfani, mente i socialisti e i parlamentari del Partito Comunista candidano il socialista Francesco de Martino. Al ventesimo ballottaggio, e nessun risultato ottenuto, la Dc cambia rotta e decide per una “candidatura di compromesso”

41 Enzo Santarelli, Storia critica della Repubblica. L’Italia dal 1945 al 1994, Feltrinelli, Milano, 1996, p. 136.

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proponendo l’avvocato Giovanni Leone, che sarà eletto Presidente della Repubblica il 24 dicembre 1971, grazie soprattutto all’appoggio del Movimento Sociale Italiano. Leone, in qualità di nuovo presidente, decide, in accordo coi maggiori partiti, di indire le elezioni anticipate per il 7 maggio 1972. È la prima volta nella storia della Repubblica che si verifica uno scioglimento anticipato del Parlamento, cosa che, però, si ripeterà anche nel 1976 e nel 1979.

Le elezioni politiche del ‘72 si svolgono in un clima decisamente più teso che in passato, con scontri di piazza e vera e propria guerriglia urbana, spesso messa in atto da gruppi extraparlamentari di sinistra nel tentativo di impedire i comizi degli esponenti del Msi. Le speranze che le formazioni di sinistra avevano risposto in questa tornata elettorale vanno in fumo, nel constatare che il Pci rimane fermo al 27,2% e il Psiup subisce una pesante perdita, scendendo addirittura all’1,9%. In seguito a questa debacle la maggioranza del partito confluisce nel Pci, mentre il rimanente si avvicina ai gruppi rivoluzionari. Uno di questi, il “Manifesto”, aveva proposto nelle proprie liste anche Pietro Valpreda, all’epoca ancora in carcere, accusato della strage di Piazza Fontana. La Dc, presentatasi con un orientamento di centro-destra, rimane ferma al 38%, ma il vero vincitore è il Msi che riesce ad ottenere tre milioni di voti, ossia circa l’8,7% conquistando 55 deputati e 26 senatori43. Il partito di Almirante è, peraltro, anche uno dei maggiori beneficiari dei

finanziamenti Usa in occasione della campagna elettorale, scaturiti dalla preoccupazione del governo americano per la presenza comunista. Alla luce dei risultati elettorali la Democrazia cristiana forma un governo di centro-destra presieduto da Giulio Andreotti, e composto dalla Dc stessa, dal Pli e dal Psdi. Andreotti siede per la prima volta alla presidenza del Consiglio, e vi sarà richiamato nel 1976-79, ma non è, di fatto, estraneo alla politica e ai suoi meccanismi, eccelle, anzi, in capacità tattica e duttilità. Il nuovo governo si distingue subito per un carattere segnatamente anti-operaio, e il massimo a cui si spinge sono le generose condizioni per il pre-pensionamento dei funzionari statali. Ciononostante, la svolta a destra non si dimostra così marcata e il governo cade nel giugno del 1973. Con la ripresa dell’azione operaia all’inizio del 1973 Andreotti è costretto a tenere una linea difensiva e la Dc, profondamente lacerata e frammentata al suo interno, si allea

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nuovamente con i socialisti. Dopo il governo Andreotti si formerà infatti una coalizione di centro-sinistra presieduta, ancora una volta, da Mariano Rumor. Vi faranno parte la Democrazia Cristiana, il Psi, il Pri e il Psdi44.

Il preannuncio della disastrosa crisi economica del 1973 si può individuare già nell'agosto del 1971, quando il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon decide di sospendere la convertibilità del dollaro. Vengono meno anche gli accordi di Bretton Woods45 e nel 1973 scoppia la crisi petrolifera, connessa all’ultima guerra

arabo-israeliana e dovuta ai contrasti fra i Paesi produttori e quelli consumatori. Il prezzo del petrolio risulta rincarato di ben quattro volte, e le conseguenze sono pesanti soprattutto per l’Europa. In Italia cessa la stabilità dei cambi e nel marzo ‘73 vi è l'uscita dal “serpentone” monetario, e solo nel ‘78 si deciderà la reintegrazione nel Sistema monetario europeo.

In definitiva, nessuna formazione politica è riuscita a prevalere nettamente. La Democrazia Cristiana resta sempre il punto di riferimento al quale si avvicinano di volta in volta gli altri partiti, mentre rimane persistente l'esclusione dal governo del Pci.

L'inquietante comparsa delle “Brigate Rosse” crea, ad una sinistra che tenta di tornare ad una relativa normalità, uno stato di grande disagio e difficoltà. Se ne ha la sensazione anche in occasione del sequestro messo in atto dai brigatisti nei confronti dell'ingegnere Idalgo Macchiarini, alto dirigente della Sit-Siemens di Milano. Gli sarà scattata una foto mentre, con una pistola puntata alla tempia, regge un cartello con i principali slogan del movimento, come : “Colpirne 1 per educarne 100”. Nello stesso 1972, il 15 marzo, il corpo senza vita dell’editore Giangiacomo Feltrinelli viene ritrovato a Segrate, nei pressi di Milano, ucciso da una carica di dinamite che egli stesso cercava di piazzare sotto un traliccio dell'energia elettrica. Il 17 maggio il commissario di polizia Luigi Calabresi, controverso protagonista nel caso dell'anarchico Pinelli, viene ucciso a Milano, vicino alla sua abitazione. Una segnalazione, indirizzata alle alte sfere del Pci nel giugno del '72, avrebbe rivelato che il Commissario aveva il sospetto che esistessero dei rapporti tra apparati dello Stato, ambienti neofascisti e forse, addirittura, la Cia americana. Nel 1988, per

44 Ginsborg, Storia d’Italia, cit., pp. 453-455. 45 Eichengreen, La nascita, cit. pp. 184-186.

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