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Lo sviluppo della maggior parte degli organismi viventi prevede il susseguirsi di una serie complessa di modifiche anatomico-fisiologiche e rimaneggiamenti cellulari che daranno luogo alle strutture definitive dell’individuo adulto.

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Lo sviluppo della maggior parte degli organismi viventi prevede il susseguirsi di una serie complessa di modifiche anatomico-fisiologiche e rimaneggiamenti cellulari che daranno luogo alle strutture definitive dell’individuo adulto.

Nei Mammiferi una parte dello sviluppo si completa in epoca postnatale e, nel caso specifico del sistema nervoso, si possono osservare, in questa fase, modifiche della circuiteria dovute sia a fenomeni di espansione e rinforzo di connessioni sinaptiche che a fenomeni di retrazione. ` E stato dimostrato che la maturazione dei circuiti nervosi

`e fortemente influenzata dall’esperienza ed esistono finestre temporali, chiamate pe- riodi critici, all’interno delle quali i circuiti cerebrali deputati a determinate funzioni sono particolarmente sensibili ad acquisire alcuni tipi di informazioni o, addirittura, hanno bisogno di segnali istruttivi che guidino il loro normale sviluppo. La capacit`a dei circuiti nervosi di modificarsi in seguito ad esperienza, prende il nome di plasticit`a neurale.

Per molte funzioni nervose `e stata dimostrata la presenza di un periodo critico durante le ultime fasi dello sviluppo; esempi sono il canto degli uccelli ed il linguaggio umano, la visione, la percezione uditiva e quella somatosensoriale. Sono stati trovati periodi critici nello sviluppo di tutte le specie animali, dalla Drosophila all’Uomo (Be- rardi et al., 2000).

Lo studio di questo argomento si `e concentrato negli anni soprattutto sui sistemi

sensoriali e nonostante il grado di approfondimento variabile con cui esso `e stato trat-

tato, sono emerse caratteristiche comuni nei periodi critici presenti nello sviluppo delle

diverse funzioni (Hensch, 2004). Primo fra tutti `e stato evidenziato un meccanismo di

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competizione funzionale tra input. Esso pu`o essere interpretato considerando il fatto che le informazioni contenute nel patrimonio genetico di un organismo determinano in maniera molto precisa la struttura di base ed alcuni aspetti funzionali del sistema ner- voso; tuttavia, l’ambiente e le caratteristiche fisiche dell’individuo all’interno del quale un cervello si sviluppa, non possono essere codificate dal genoma. La competizione tra i segnali in arrivo permette ai neuroni di selezionare il loro repertorio permanente di input entro una pi` u ampia serie di possibilit`a. Il principale scopo del periodo critico `e, infatti, quello di realizzare circuiti neuronali perfettamente regolati sulle caratteristiche dell’individuo che li ospita e dell’ambiente in cui vive. In tutto ci`o riveste un ruolo par- ticolare l’attivit`a elettrica. Infatti, i vari input tra cui il sistema nervoso pu`o scegliere durante il periodo critico sono codificati dalla scarica di potenziali d’azione. La mag- gior parte dei modelli cellulari di plasticit`a sono, oggi, basati sull’abilit`a di potenziare o deprimere la trasmissione di singole sinapsi a seconda del pattern di scarica.

L’esperienza precoce, quindi, indirizza i neuroni verso uno dei possibili schemi di connessione. Dopo una certa et`a, le modifiche strutturali diventano sostanzialmente irreversibili.

Altro elemento comune che si riconosce nello studio del periodo critico in sistemi

differenti `e la regolazione del suo inizio e della sua fine da parte dell’esperienza. Se

non `e presente un’appropriata attivazione neuronale i circuiti in sviluppo rimangono in

uno stato di attesa fino a che tale stimolazione non viene assicurata. Studi classici sul

sistema visivo, per esempio, dimostrano che l’allevamento al buio determina un prol-

ungamento del periodo critico e ritarda lo sviluppo della funzione sensoriale (Mower,

1991; Fagiolini et al, 1994). In alternativa, gli ambienti arricchiti possono provocare

un’apertura ed una chiusura precoce del periodo critico (Sale et al.2004; Cancedda et

al., 2004). Ricordiamo a questo punto che, nonostante le somiglianze sopra elencate tra

i diversi sistemi studiati, ciascuno di essi mantiene una propria identit`a sia dal punto

di vista dell’espressione temporale sia per quanto riguarda gli aspetti molecolari.

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I.1 Sistema visivo e plasticit` a

Studi importanti che hanno dato un forte contributo alla comprensione dei fenomeni di plasticit`a presenti all’interno del periodo critico, sono stati effettuati usan- do come modello il sistema visivo ed, in particolare, la segregazione degli input prove- nienti dai due occhi lungo le vie visive. La corretta visione binoculare, infatti, dipende in maniera cruciale da come le attivit`a delle vie neurali guidate da ciascun occhio si bilanciano sin dalle prime fasi dello sviluppo.

I processi che conducono alla percezione visiva si svolgono in due stadi. La luce che penetra attraverso la cornea viene proiettata sul fondo dell’occhio, dove viene trasformata in segnali elettrici dalla retina; tali segnali vengono poi convogliati, at- traverso il nervo ottico (costituito dagli assoni delle cellule gangliari retiniche), verso centri cerebrali superiori, dove vengono ulteriormente elaborati. Delle tre stazioni sot- tocorticali che ricevono afferenze dirette dalla retina, soltanto una, il corpo genicolato laterale del talamo, `e deputata all’elaborazione dell’afferenza visiva per fini percettivi;

l’area pretettale mesencefalica usa le afferenze retiniche per produrre riflessi pupillari, mentre il collicolo superiore `e responsabile dei movimenti saccadici dell’occhio.

Gli assoni delle cellule gangliari terminano ordinatamente in punti diversi del corpo genicolato laterale in modo che al suo interno venga a costituirsi una rappresen- tazione visuotopica del campo visivo. Tuttavia, la superficie della retina non `e rap- presentata in modo spazialmente uniforme: la fovea, che `e l’area retinica dove l’acuit`a visiva `e maggiore, possiede la maggior densit`a di cellule gangliari ed ha, perci`o, una rappresentazione proporzionalmente molto maggiore di quella della periferia della reti- na. Oltre a questo tipo di organizzazione, nel nucleo genicolato laterale, `e presente anche una stratificazione per cui esiste una segregazione in domini specifici degli input provenienti dai due occhi.

Dal talamo le informazioni visive vengono convogliate verso la corteccia visiva

primaria (V1). Questa ha un’organizzazione molto pi` u complessa di quella del genico-

lato ed `e la prima stazione di ritrasmissione nella quale le propriet`a dei campi recettivi

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cambiano in maniera significativa. La descrizione delle propriet`a funzionali dei neu- roni di V1 esula dallo scopo di questa trattazione; tuttavia, `e nostro interesse notare l’esistenza di colonne di dominanza oculare ovvero zone alternate in cui i neuroni sono guidati da un occhio piuttosto che dall’altro. ` E necessario sottolineare che nei roditori, in cui si ha un quasi completo incrocio di fibre a livello del chiasma ottico (la regola generale prevede un incrocio tanto maggiore quanto minore `e la compenetrazione dei campi visivi controllati dai due occhi), non si formano colonne di dominanza oculare ma in V1 `e presente una larga zona monoculare in cui i neuroni rispondono soltanto all’occhio controlaterale ed una piccola zona binoculare in cui si osserva risposta ad entrambi gli occhi, anche se il controlaterale continua a guidare le risposte elettriche neuronali in maniera pi` u sostanziale (Tagawa et al., 2005).

Gran parte dell’organizzazione descritta si stabilisce in fasi molto precoci dello sviluppo e, almeno per quanto riguarda la disposizione grossolana dei diversi sottodo- mini presenti sia nel genicolato che in corteccia (per esempio le aree di diversa domi- nanza oculare), sembra essere fortemente guidata da propriet`a intrinseche delle cellule nervose, a loro volta dovute all’espressione di specifici geni (Sur and Leamey, 2001).

Tuttavia, `e stato anche dimostrato che la segregazione degli input dall’occhio destro e sinistro `e influenzata dall’attivit`a elettrica. Questa `e presente come scarica spon- tanea delle cellule gangliari prima dell’apertura degli occhi e il blocco di tale attivit`a, inizialmente guidata da cellule amacrine colinergiche (Rossi et al., 2001), previene la formazione degli strati nel genicolato (Penn et al., 1998). Inoltre, la segregazione `e di tipo competitivo; infatti, aumentando la frequenza di scarica spontanea in un occhio, tramite incremento di AMPc, si provoca espansione dell’area del genicolato deputata a quell’occhio (Stellwagen and Shatz, 2002).

Il controllo operato dall’attivit`a delle fibre afferenti non si limita al talamo ma

influenza anche l’organizzazione corticale. Alterazioni nell’esperienza visiva precoce, in-

fatti, hanno grosse ripercussioni sulla disposizione delle colonne di dominanza oculare in

corteccia e questi effetti sono stati sfruttati per lo studio della plasticit`a sia nel periodo

critico che nell’et`a adulta. Infatti, la chiusura di un occhio (deprivazione monoculare)

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per pochi giorni durante il periodo critico provoca un aumento della risposta dei neu- roni di V1 all’occhio non deprivato ed una riduzione dell’acuit`a visiva dell’occhio chiuso.

Anatomicamente, si nota un’espansione dell’input proveniente dall’occhio non depri- vato che invade il territorio corticale normalmente occupato dall’altro occhio (Hubel et al., 1977) e, nei neuroni che proiettano dal talamo alla corteccia e che ricevono input dall’occhio deprivato, una riduzione del corpo cellulare e dei terminali assonici (Domenici et al., 1993; Antonini et al., 1999).

La deprivazione monoculare `e inefficace nel determinare i suddetti effetti fun- zionali ed anatomici se operata in et`a adulta; ma non solo, essa risulta inutile anche quando viene effettuata prima del periodo critico. In questo senso, tale semplice proce- dura sperimentale si dimostra essere uno buon marcatore per l’identificazione dell’inizio e della fine del periodo critico e della plasticit`a ad esso collegata.

Il grosso interesse suscitato da tali fenomeni, per`o, non `e dovuto solo alla ricerca dei meccanismi alla base dello sviluppo e della plasticit`a del sistema visivo; esso trova applicazione anche nella pratica clinica laddove la deprivazione monoculare si `e rivelata un ottimo modello per lo studio dei meccanismi che portano ad ambliopia nell’Uomo.

Con questo termine si intende una diminuzione dell’acuit`a visiva in un occhio che non presenta alcuna modificazione strutturale clinicamente evidenziabile in grado di spie- gare tale perdita di funzione. La parola ambliopia significa letteralmente visione ottusa e deriva dal greco ambly` os che vuol dire debole, pigro, e dalla radice ops che significa visione; comunemente viene utilizzato il sinonimo occhio pigro.

La prevalenza dell’ambliopia `e quantificabile mediamente intorno al 2% della popolazione mondiale (decine di milioni di casi nel mondo); sicuramente rappresenta una delle principali cause di deficit visivo nell’infanzia e nei giovani al di sotto dei 20 anni.

I meccanismi fondamentali che operano nelle varie forme di ambliopia sono simili

e possono essere identificati come interazioni binoculari anomale e forme di deprivazione

visiva o una combinazione di entrambi i fattori. Tale patologia si pu`o instaurare solo

durante il periodo dello sviluppo dell apparato visivo. Infatti, l’et`a in cui i bambini sono

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pi` u suscettibili all’ambliopia coincide con i primi 2 o 3 anni di vita, indipendentemente dalle cause che ne sono alla base. Questa vulnerabilit`a diminuisce gradualmente sino ai 6-7 anni, fase in cui la maturit`a visiva `e completata ed il bambino diventa immune a fattori ambliopigenici. Infatti, sebbene forme pi` u lievi di ambliopia possano verificarsi dopo questo periodo per deprivazione visiva esse sono di solito rapidamente reversibili con una terapia adeguata.

Dal punto di vista eziologico si possono individuare tre principali cause della patologia che determinano una classificazione della stessa in:

• Ambliopia da strabismo: questa forma ` e sempre unilaterale ed `e causata da un’inibizione attiva nelle vie retinocorticali dell’impulso visivo che origina nella fovea dell’occhio deviato. Tale inibizione `e la conseguenza dello strabismo e non la causa, ed `e determinata dalla sovrapposizione di immagini foveali diverse trasmesse ai centri visivi dalle retine dell’occhio fissante e dell’occhio deviato;

• Ambliopia anisometropica: si verifica un’inibizione attiva della fovea per eli- minare l’interferenza sensoriale causata dalla sovrapposizione di un’immagine a fuoco e di una sfocata, originanti dal punto di fissazione. Lo strabismo `e fre- quentemente associato con l’anisometropia, di conseguenza `e difficile determinare se l’ambliopia in un paziente strabico e anisometropico `e causata dallo strabismo, dall’anisometropia, o da entrambi;

• Ambliopia da deprivazione visiva: questo termine deve essere riservato a

quelle condizioni in cui la riduzione dell’input retinico `e la causa primaria del

deficit visivo, come avviene negli occhi con opacit`a dei mezzi oculari: cataratte

congenite o traumatiche, opacit`a corneali, ptosi, chiusura chirurgica delle palpe-

bre oppure occlusione prolungata ed indiscriminata (ambliopia da occlusione). In

pazienti affetti unilateralmente da cataratta o da una chiusura chirurgica della

palpebra, sia la deprivazione della visione delle forme che un’interazione bino-

culare anormale sono fattori ambliopigenici attivi. In aggiunta alla diminuita

qualit`a ottica dell’immagine ricevuta dalla fovea dell’occhio deprivato, esiste una

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competizione tra quest’immagine sfocata e l’immagine ben a fuoco ricevuta dalla fovea dell’occhio sano.

Gli studi sulla deprivazione monoculare in modelli animali hanno mostrato forti somiglianze con quanto accade nell’Uomo, in particolare per quanto riguarda le con- seguenze anatomico-fisiologiche riscontrate in corteccia visiva e l’esistenza di un perio- do critico sia per l’induzione di ambliopia che per il suo trattamento. Queste evidenze sperimentali hanno, quindi, sottolineato l’importanza di un intervento precoce nel caso in cui venga diagnosticato uno dei difetti oculistici sopra citati. ` E stato dimostrato, infatti, che quanto pi` u precoce `e l’intervento chirurgico o la correzione dei deficit, tan- to migliore sar`a l’acuit`a visiva dell’occhio adulto (Mitchell and McKinnon, 2002). I miglioramenti sembrano iniziare a partire dalla prima ora di normale percezione visiva e continuano fino a che le vie nervose non raggiungono la maturit`a dello sviluppo (in- torno ai cinque anni di vita).

Con queste prospettive cliniche e nella speranza di poter generalizzare anche ad altri sistemi i risultati ottenuti, sono stati effettuati numerosi studi volti all’identifi- cazione delle molecole e dei meccanismi fisiologici che stanno alla base di tali fenomeni plastici.

Caratteristiche fondamentali perch´e un elemento venga considerato determi- nante in questo contesto, sono un suo andamento temporale corrispondente a quello del periodo critico e la sua regolazione da parte dell attivit`a sensoriale.

Fino ad oggi, sono stati individuati diversi fattori che rispondono a tali requisiti.

Uno di questi sembra essere la presenza e composizione dei recettori al glutammato

di tipo NMDA. Infatti, il blocco selettivo di tali recettori tramite infusione in V1

di acido aminofosfonovalerico (APV) o MK-801 previene gli effetti della deprivazione

monoculare (Bear et al., 1990; Daw et al., 1999). Inoltre, le caratteristiche stesse della

trasmissione sinaptica operata da tali recettori sono regolate dallo sviluppo e dall’es-

perienza e questo `e dovuto ad un cambiamento in subunit`a. All’inizio dello sviluppo i

recettori sono quasi esclusivamente costituiti dalla subunit`a principale NR1 e da quella

modulatoria NR2B; in seguito ad esperienza visiva si osserva una sostituzione della

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subunit`a NR2B con la NR2A e ci`o contribuisce alla riduzione della corrente mediata da tali recettori (Flint et al., 1997; Roberts and Ramoa, 1999). L’allevamento al buio ritarda le suddette modifiche molecolari cos`ı come influenza il corso del periodo critico (Carmignoto and Vicini, 1992); questo ha suggerito che il cambio in subunit`a sia cor- relato allo sviluppo del sistema visivo e, forse, alla chiusura del periodo critico stesso.

Sebbene studi recenti suggeriscano che la regolazione in subunit`a dei recettori NMDA non sia essenziale per la chiusura del periodo critico nella corteccia somatosen- soriale di topi (Lu et al., 2001), bisogna tener presente che lo sviluppo del sistema testato si completa durante la prima settimana di vita quando ancora l’espressione di NR2A `e molto modesta. Allo stesso modo, anche la segregazione degli input dall’oc- chio destro e sinistro nel talamo o nel tetto sembra essere indipendente dallo sviluppo dei recettori NMDA. Potrebbe trattarsi, quindi, di uno di quei fenomeni che riflettono meccanismi di formazione di mappe per le vie afferenti, piuttosto che perfezionamento dipendente da esperienza di circuiti gi`a stabiliti. Tra l’altro, un interessante studio condotto su topi knock-out per la subunit`a NR2A dimostra che lo sviluppo delle cor- renti NMDA ha un’influenza complessa sulla maturazione delle propriet`a funzionali dei neuroni di V1. Negli animali interessati da tale modifica genica si osserva anche in et`a adulta una prolungata risposta delle correnti NMDA; ci`o ha come conseguenza una diminuita sensibilit`a alla deprivazione monoculare sebbene questa si mostri nor- malmente limitata al tipico periodo critico e ritardata dall’allevamento al buio. Al contrario, la preferenza all’orientamento sembra non maturare affatto e non mostra alcuna risposta all’allevamento al buio. ` E interessante notare che, mentre la completa risposta a deprivazione monoculare pu`o essere ripristinata da un innalzamento del- l’inibizione ottenuto con benzodiazepine (suggerendo che la debole risposta sia dovuta a mancato bilancio tra eccitazione ed inibizione in assenza di NR2A), la selettivit`a all’orientamento non trae beneficio da tale trattamento (Fagiolini et al., 2003).

Le componenti della cascata di eventi intracellulari che porterebbe dall’atti-

vazione del recettore NMDA all’espressione della plasticit`a visiva non sono ancora

chiari. Tuttavia, alcuni studi mostrano l’importanza di chinasi come PKA (Beaver et

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al., 2001), ERK (Di Cristo et al., 2001) e αCaMKII (Taha et al., 2002), cos`ı come quella di fosfatasi quali la calcineurina (Yang et al., 2005). Queste molecole potreb- bero esercitare un controllo su fattori di trascrizione come CREB. Esso, infatti, sembra importante per lo sviluppo delle connessioni retino-talamiche ed `e stato proposto che la sua funzione sia quella di rimodellare la circuiteria in sviluppo. In particolare, `e noto che, durante la maturazione delle connessioni talamiche, solo il 70% delle fibre di proiezione dalla retina al corpo genicolato laterale sopravvive; deve essere presente, quindi, un meccanismo che permetta di scegliere quali neuroni vadano eliminati. Un criterio probabile per operare questa scelta potrebbe essere quello di rimuovere i com- ponenti minori del circuito, vale a dire, quelli che non hanno stabilito forti connessioni sinaptiche. CREB sembra essere un buon candidato per mediare questi processi poich´e esso si `e dimostrato un fattore critico per la sopravvivenza neuronale in vitro. In questo modello di sviluppo, i neuroni che stabiliscono connessioni afferenti efficienti mostrereb- bero una scarica pi` u robusta, attivando in misura maggiore la trascrizione mediata da CREB ed in questo modo faciliterebbero la propria sopravvivenza (Pham et al., 2001).

CREB ha un’influenza anche sulla plasticit`a di V1. Infatti, `e stato dimostrato che la trasfezione neuronale di una forma dominante negativa di CREB previene gli ef- fetti della deprivazione monoculare e che tale trattamento `e reversibile se l’espressione della forma mutata di CREB viene bloccata (Mower et al., 2002). Inoltre, sembra probabile anche un legame tra CREB e periodo critico poich´e la trascrizione di pro- teine CRE-dipendenti `e attivata in corteccia visiva quando un animale allevato al buio viene trasferito in un ambiente luminoso (Cancedda et al., dati non pubblicati); tale induzione `e fortemente ridotta dopo la fine del periodo critico.

Altre molecole importanti nella plasticit`a visiva sono le neurotrofine. La loro espressione, infatti, `e regolata dallo sviluppo e dall’attivit`a elettrica (Berardi and Maf- fei, 1999). L’infusione di neurotrofine in animali allevati al buio determina un normale sviluppo delle propriet`a funzionali dei neuroni corticali di V1 (Pizzorusso et al., 2000);

invece, il blocco di neurotrofine endogene attraverso l’uso di anticorpi, impedisce lo

sviluppo e prolunga la durata del periodo critico ottenendo un effetto analogo a quello

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dell’allevamento al buio (Domenici et al., 1994). La reciproca regolazione tra neu- rotrofine ed attivit`a elettrica potrebbe essere un mezzo attarverso cui connessioni neu- rali particolarmente attive possono essere rafforzate. Infatti, sembrerebbe che i fattori neurotrofici, per esercitare i loro effetti, abbiano bisogno della presenza di attivit`a elet- trica. Le maggiori evidenze a questo riguardo sono state ottenute in uno studio che dimostra come la via di signalling dell’NGF, accoppiata alla fosforilazione del recettore TrkA, debba essere associata ad attivit`a elettrica afferente per esercitare i suoi effetti sulla deprivazione monoculare (Caleo et al., 1999).

Nei paragrafi successivi ci occuperemo di analizzare altri due fattori importanti nella plasticit`a visiva: il sistema inibitorio e la matrice extracellulare. L’analisi pi` u approfondita dedicata a questi due elementi `e funzionale al loro ruolo centrale nello svolgimento di questa tesi.

I.2 Sistema inibitorio

Recentemente, `e stata proposta una partecipazione dell’inibizione GABAergica nella plasticit`a visiva. Lo sviluppo della circuiteria inibitoria `e decisamente postnatale e procede lentamente rispetto a quello dell’eccitazione (Guo et al., 1997). In particolare, i livelli di espressione dell’enzima sintetizzante GABA (Glutamic Acid Decarboxylase, GAD), la sua localizzazione sinaptica, il numero di sinapsi GABAergiche e l’espres- sione di proteine leganti calcio negli interneuroni della corteccia visiva, cresce e matura significativamente durante le prime settimane di vita (Wolff et al., 1984; Miller, 1986).

Cos`ı, la maturazione della circuiteria inibitoria intracorticale continua durante tutto il periodo critico per essere completata alla sua fine. Inoltre, essa `e influenzata dall’es- perienza essendo ritardata da allevamento al buio (Benevento et al., 1995). Esistono, quindi, i due presupposti perch´e si possa pensare ad un coinvolgimento del sistema inibitorio nello sviluppo della plasticit`a visiva durante il periodo critico.

Per comprendere meglio gli studi volti alla dimostrazione del ruolo fondamentale

che gli interneuroni inibitori avrebbero nella regolazione del periodo critico `e necessario

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analizzare brevemente le caratteristiche molecolari, morfologiche e fisiologiche di questi neuroni.

Il GABA (acido γ-aminobutirrico) `e il pi` u importante neurotrasmettitore inibi- torio nel sistema nervoso centrale. Esso `e sintetizzato dal glutammato in una reazione a passo singolo catalizzata dall’enzima glutammato decarbossilasi (GAD) di cui sono state caratterizzate due isoforme: una con peso molecolare di 67 kD (GAD67) e una con peso molecolare di 65 kD (GAD65). La prima ha una localizzazione diffusa nel corpo cellulare, mentre la seconda `e localizzata principalmente nei terminali sinaptici (Martin and Rimvall, 1993). Topi knock-out per l’isoforma da 67 kD non sopravvivono, mentre la delezione dell’isoforma pi` u leggera non provoca apparenti problemi di svilup- po. Nondimeno, gli animali che portano tale delezione mostrano una marcata riduzione sia della quantit`a di GABA totale che di quella rilasciata dopo stimolazione elettrica.

Sebbene la corteccia non sia epilettica, come accade quando l’inibizione viene total- mente eliminata, i neuroni mostrano risposte prolungate a stimoli visivi, suggerendo che, in qualche modo, la circuiteria inibitoria sia meno efficace (Hensch et al., 1998).

E ormai opinione comune che la GAD65 sia responsabile del rilascio veloce di GABA ` alle terminazioni nervose in seguito a ripetute stimolazioni elettriche.

Il GABA viene rilasciato nello spazio postsinaptico tramite esocitosi vescicolare.

Una volta fuori, esso interagisce con recettori di membrana di cui i due tipi pi` u dif- fusi sono il GABA

A

ed il GABA

B

. Il primo `e un recettore-canale permeabile al cloro.

Poich´e il potenziale di Nernst di questo ione `e vicino al potenziale di membrana a riposo, l’apertura del canale, con la conseguente entrata di Cl

, determina un effetto di cortocircuirto rendendo pi` u difficile alla cellula il raggiungimento della soglia per la scarica del potenziale d’azione e, in pratica, contrastando le afferenze eccitatorie al neurone. In aggiunta a ci`o, questo tipo di inibizione pu`o esercitare un forte controllo sulla scarica spontanea del neurone stesso modulandone il pattern di attivit`a.

I recettori GABA

B

, invece, sono metabotropici essendo accoppiati a proteine

G. Essi esercitano un controllo, grazie all’interposizione di secondi messaggeri, sia su

canali per il potassio (aumento conduttanza) che su canali per il calcio (diminuzione

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conduttanza). Sono presenti, oltre che nella membrana postsinaptica, anche in quella presinaptica dove fungono da autocettori per il controllo del rilascio neurotrasmettito- riale.

Nella corteccia gli interneuroni inibitori costituiscono circa il 20-25% dei neuroni totali e sono localizzati in tutti gli strati. Diversi tipi di interneuroni GABAergici sono stati individuati sulla base del loro pattern di connessioni, della loro morfologia e dei marcatori peptidici che essi contengono. Per esempio, alcuni di essi hanno assoni che terminano sui corpi cellulari di neuroni target ed hanno assunto il nome di cellule a canestro; altri, formano esclusivamente contatti asso-assonici e, poich´e le terminazioni sinaptiche formate da tali neuroni assomigliano a un lampadario essi sono stati chia- mati “cellule chandelier”.

Le cellule a canestro ricevono innervazione diretta dagli assoni talamocorticali.

Per questo motivo esse sono considerate implicate nella modulazione delle propriet`a dei campi recettivi di neuroni direttamente contattati dal talamo. Altre cellule chiamate

“a doppio bouquet” o le stesse cellule chandelier sono principalmente situate fuori dal- lo strato IV e non sembrano ricevere innervazione talamica. Esse, quindi, potrebbero partecipare alla modulazione del flusso di informazioni tra diversi strati o al processa- mento che porta dalla ricezione alla trasmissione di informazioni (Jones, 1993).

I neuroni GABAergici, inoltre, possono essere classificati a seconda del loro pat-

tern di scarica in risposta ad impulsi di corrente depolarizzante. Si distinguono con

questo criterio cellule a scarica rapida e cellule a scarica ritardata. Le prime mostra-

no bruschi episodi di scariche di potenziali d’azione di breve durata, ripetitive e non

adattanti, ed esprimono parvalbumina, una proteina legante calcio. Queste cellule

potrebbero sentire la forza dell’eccitazione di un circuito locale ed impedire l’instaurar-

si di un loop eccitatorio garantendo, in questo modo, una depolarizzazione transiente

delle cellule piramidali (Kawaguchi, 2001). I neuroni a rapida scarica sono stati identi-

ficati con le cellule a canestro e possiedono una particolare subunit`a del canale potassio,

chiamata Kv3.1b, che conferisce loro le caratteristiche elettriche suddette (Hartig et

al., 1999).

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I neuroni a scarica ritardata, invece, mostrano una depolarizzazione lenta prima della scarica di potenziali d’azione. Tra queste cellule si pu`o operare un’ulteriore clas- sificazione sulla base del contenuto in neuropeptidi (somatostatina, peptide vasoattivo intestinale o colecistochinina) e calretinina, un’altra proteina legante calcio.

Molti studi suggeriscono che l’inibizione GABAergica intracorticale giochi un ruolo fondamentale nello stabilire le propriet`a di risposta delle cellule nella corteccia striata. Infatti, l’applicazione iontoforetica del GABA-antagonista bicucullina, riduce fortemente la caratteristica selettivit`a delle cellule corticali ed aumenta l’attivit`a spon- tanea. In particolare `e stato mostrato per singole cellule che l’effetto della bicucullina determina una perdita della divisione dei campi recettivi in zone on e zone off, una riduzione nella selettivit`a all’orientamento e una riduzione o eliminazione della selet- tivit`a direzionale.

Inoltre, un numero ampio di studi, suggerisce che la scarica sincrona di cellule pre- e postsinaptiche sia necessaria per lo sviluppo e la plasticit`a di connessioni corticali.

Nel caso della deprivazione monoculare, sebbene le afferenze dall’occhio chiuso possano mostrare attivit`a spontanea o attivit`a dovuta alla luce diffusa che filtra attraverso le palpebre, esse scaricano in maniera asincrona rispetto alla cellula postsinaptica guidata dall’occhio non deprivato e questo porta ad un indebolimento della connessione. Simi- li considerazioni possono essere fatte in altri casi che impediscono la normale visione binoculare, come lo strabismo o l’occlusione monoculare alternata. Tali osservazioni suggeriscono che la corretta trasmissione dell’informazione binoculare alla corteccia striata richieda un’attivit`a correlata delle afferenze provenienti da entrambi gli occhi e ci`o sembra dipendere fortemente dalla modulazione, sopra descritta, della scarica corticale da parte degli interneuroni GABAergici. Infatti, la deprivazione monoculare accoppiata con l’infusione di bicucullina mostra una notevole diminuzione del tipico spostamento di dominanza oculare. Questo effetto pu`o essere collegato alla ridotta se- lettivit`a delle cellule durante il trattamento con il suddetto antagonista GABAergico:

esso aumenterebbe la probabilit`a che l’attivit`a elettrica spontanea proveniente dall’oc-

chio chiuso sia correlata all’attivit`a corticale evocata dagli input provenienti dall’altro

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occhio.

A questo punto, possiamo riflettere sul fatto che prima del periodo critico, quan- do la circuiteria inibitoria non `e ancora sviluppata, le cellule corticali non sono in grado di codificare correttamente la struttura temporale dei loro input per cui `e difficile, se non impossibile, indurre plasticit`a in seguito a deprivazione monoculare. Quando lo sviluppo dei neuroni GABAergici raggiunge un certo livello, diventa pi` u marcata la distinzione tra input sincroni ed input asincroni poich´e la scarica corticale risulta pi` u circoscritta temporalmente; si ha, allora, l’inizio del periodo critico per l’induzione di plasticit`a visiva. Sembrerebbe, per`o, che la maturazione completa del sistema inibi- torio determini un’altra soglia oltre la quale non sono pi` u presenti fenomeni plastici.

Si configura, quindi, la possibilit`a dell’esistenza di una finestra temporale, perfetta- mente combaciante con il periodo critico, durante la quale l’organizzazione corticale, a causa del particolare bilancio tra eccitazione ed inibizione, pu`o essere particolarmente influenzata dall’esperienza sensoriale.

Studi molto interessanti, avvalendosi dell’uso di strategie farmacologiche e ge- netiche combinate, hanno effettivamente dimostrato che `e necessaria sia una soglia di maturazione del sistema inibitorio per l’inizio del periodo critico sia una soglia per la sua fine. Per quanto riguarda il primo aspetto ci si `e avvalsi dell’uso di topi knock- out per l’enzima GAD65, i quali mostrano ridotta inibizione corticale e una risposta fortemente deficitaria alla deprivazione monoculare (cinque giorni di deprivazione, nor- malmente efficaci nel determinare lo spotamento di dominanza oculare si mostrano, in questo caso, inutili). In tali animali l’infusione di diazepam, un agonista non com- petitivo del GABA sul recettore GABA

A

, ripristina la plasticit`a visiva a qualsiasi et`a.

Inoltre, gli stessi autori dimostrano che l’infusione di diazepam in topi normali prima dell’inizio del periodo critico, porta ad un avvio precoce dello stesso (Hensch et al., 1998; Fagiolini and Hensch, 2000).

Al contrario, una prova del fatto che lo sviluppo ulteriore della circuiteria ini-

bitoria porti a chiusura del periodo critico, deriva da studi su topi over-esprimenti

BDNF. Questi, sono stati creati ponendo il gene per il BDNF sotto il controllo del

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promotore della αCaMKII, operazione che restringe la sovrapproduzione di neurotro- fina ai neuroni eccitatori. Gli interneuroni inibitori, pur non producendo normalmente BDNF, esprimono recettori per questo fattore neurotrofico (Cellerino et al., 1996) e, in coltura, rispondono fortemente alla sua infusione esogena. ` E stato dimostrato, con diversi criteri anatomici e fisiologici, che l’over-espressione di BDNF nei neuroni ec- citatori, accelera lo sviluppo dei neuroni inibitori e delle loro connessioni sinaptiche corticali. Un risultato affascinante, inoltre, indica che, in seguito a questo rimaneg- giamento genetico, il periodo critico si chiude quasi una settimana prima rispetto agli animali wild type (Huang et al.,1999).

L’esistenza della doppia soglia non `e l’unica informazione interessante che pos- siamo derivare dai suddetti lavori. Infatti, si pu`o ulteriormente riflettere sul fatto che le benzodiazepine accelerano lo sviluppo del periodo critico interagendo selettivamente con i recettori GABA

A

ed in particolare con la loro subunit`a α. Ci si pu`o chiedere, quindi, se la plasticit`a visiva sia da ascriversi al controllo di uno specifico circuito GABAergico. Questo quesito ha trovato parziale risposta in uno studio in cui sono state analizzate le risposte neuronali alle benzodiazepine in topi che esprimessero es- clusivamente selezionate isoforme della subunit`a α; solo nei topi contenenti la forma α1 le benzodiazepine erano in grado di esercitare gli effetti che conosciamo (Fagiolini et al., 2004). Un’osservazione interessante `e che recettori contenenti tale subunit`a si trovano preferenzialmente sulle cellule piramidali in zone somatiche e perisomatiche, aree che ricevono un input specifico dai neuroni a canestro parvalbumino-positivi (Chattopad- hyaya et al., 2004). La maturazione di tali interneuroni e delle loro connessioni `e perfettamente correlata con il periodo critico ed inoltre, la rimozione del canale potas- sio Kv3.1 produce gli stessi effetti del knock-out per il GAD65. Questi dati sembrano suggerire che ai fini del consolidamento delle connessioni corticali sia importante il con- tributo delle cellule a canestro ed in particolare il loro caratteristico pattern di scarica;

ricordiamo, inoltre, che tali interneuroni sono presenti principalmente all’interno dello

strato corticale che raccoglie le afferenze talamiche: da questo sito preferenziale essi

potrebbero effettivamente partecipare all’organizzazione degli input sensoriali.

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Sebbene di grosso interesse, tali risultati, ottenuti nell’animale transgenico, la- sciano aperta la questione di cosa possa accadere in un animale normale. Se `e vero che l’inibizione, raggiunta una certa soglia, determina la chiusura del periodo critico, viene spontaneo chiedersi se un abbassamento del segnale inibitorio in un adulto nor- male possa reinstaurare fenomeni di plasticit`a come quelli derivanti dalla deprivazione monoculare e se questi eventi possiedano le stesse caratteristiche molecolari che abbi- amo descritto. Questa domanda assume grossa importanza in prospettiva dei possibili riscontri che un ripristino della plasticit`a nell’adulto pu`o avere nella pratica clinica. Tali studi, infatti, oltre ad essere immediatamente applicabili a patologie che vedono un di- retto coinvolgimento del sistema visivo, come l’ambliopia, potrebbero fornire principi pi` u generali riguardanti la capacit`a del nostro sistema nervoso di adattarsi all’ambiente che lo circonda.

I.3 Matrice extracellulare

I tessuti non sono costituiti solo da cellule ma una parte sostanziale del loro vo- lume `e data dallo spazio extracellulare, in larga misura riempito da un’intricata rete di macromolecole che costituiscono la matrice. Questa comprende una variet`a di proteine e polisaccaridi versatili, secreti localmente, che si aggregano in un reticolo organizza- to in maniera compatta e connesso alla superficie della cellula che l’ha prodotto. Le variazioni della quantit`a relativa delle differenti macromolecole costituenti la matrice ed il modo in cui esse si organizzano, originano una sorprendente diversit`a di forme, ciascuna adattata ai requisiti funzionali dei diversi tessuti. La matrice si pu`o calcifi- care formando strutture solide come la roccia, tipiche delle ossa e dei denti, oppure pu`o essere trasparente come nella cornea o, ancora, pu`o adottare quell’organizzazione che conferisce ai tendini la loro enorme resistenza alla trazione.

Fino a qualche tempo fa si pensava che la matrice extracellulare dei Vertebrati

servisse principalmente da impalcatura relativamente inerte in grado di stabilizzare

la struttura fisica dei tessuti. Tuttavia, `e ormai chiaro che essa gioca un ruolo ben

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pi` u attivo e complesso nella regolazione del comportamento delle cellule con cui en- tra in contatto influenzandone sviluppo, migrazione, proliferazione, forma e funzione metabolica.

Le due principali classi di macromolecole extracellulari che compongono la ma- trice sono:

1. Proteine fibrose appartenenti a due gruppi: uno con funzione principalmente strutturale (per esempio collageno ed elastina) ed uno con funzione principal- mente adesiva (per esempio fibronettina e laminina);

2. Catene polisaccaridiche appartenenti alla classe dei glicosamminoglicani (GAG), che solitamente si trovano legate covalentemente a proteine per formare i pro- teoglicani.

All’interno del sistema nervoso centrale, numerosi studi hanno dimostrato l’im- portanza funzionale dei proteoglicani per l’organizzazione della circuiteria locale; per questo motivo, di seguito, ci occuperemo dell’analisi pi` u approfondita di queste com- ponenti tissutali.

Come gi`a accennato, i proteoglicani consistono di un core proteico legato ad

una o pi` u catene di glicosamminoglicani fatte da unit`a disaccaridiche ripetute: di

solito uno zucchero `e dato da acido uronico (glucoronico o iduronico) e l’altro `e una

N-acetilglucosammina o N-acetilgalattosammina. Poich´e ci sono gruppi solforici o car-

bossilici sulla maggior parte dei residui glucidici, i GAG sono caratterizzati da una

notevole carica negativa. In base ai residui glucidici, al tipo di legame che li unisce ed

al numero e alla posizione dei gruppi solforici, si distinguono quattro principali gruppi

di GAG: acido ialuronico (forma solubile, non legata a polipeptidi), condroitinsolfato

e dermatansolfato, eparansolfato, cheratansolfato. Oltre alla differente composizione

polisaccaridica le catene di GAG possono distinguersi anche per grado di solfatazione

ed epimerizzazione, modifiche che sono effettuate sugli zuccheri in seguito a polimeriz-

zazione. La lunghezza stessa delle catene pu`o cambiare ed inoltre, esse possono essere

presenti in numero altamente variabile sopra uno stesso core proteico (da 1 a pi` u di

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100). Tutto ci`o contribuisce alla notevole variet`a di proteoglicani all’interno di un tes- suto (Laabs et al., 2005; Rhodes and Fawcett, 2004).

Nel sistema nervoso centrale dei mammiferi la forma pi` u abbondante e diffusa di proteoglicani `e data dai condroitinsolfati (CSPG). Essi sono costituiti da catene di GAG formate da unit`a di N-acetilgalattosammina e acido glucoronico ripetute. Sono state identificate quattro differenti unit`a disaccaridiche ciascuna con un diverso pattern di solfatazione: CS-A, CS-C, CS-D, CS-E. La sintesi di questi specifici sottotipi all’in- terno della cellula, dipende dall’espressione di differenti gruppi di enzimi (condroitin sulfotransferasi) nell’apparato del Golgi. Inoltre, la stessa espressione enzimatica `e finemente regolata durante lo sviluppo ed a seguito di danno tissutale, suggerendo che il pattern di solfatazione abbia una ben specifica importanza funzionale, sebbene non sia ancora perfettamente chiaro come esso possa influire sull’organizzazione cellulare.

Per quanto riguarda la proteina core dei CSPG, essa pu`o determinare la dis- tinzione ulteriore dei proteoglicani in: ialectani (brevican, neurocan, versican, aggre- can), NG2, phosphacan, appican, decorin, biglican e neuroglican C. I primi sono princi- palmente molecole secrete che prendono parte alla formazione della matrice extracellu- lare di numerosi tessuti. NG2 `e una glicoproteina di membrana e, nel sistema nervoso centrale, `e principalmente espressa sulla superficie dei precursori oligodendrocitici. Il phosphacan `e la variante solubile della proteina di membrana RPTPβ (Receptor-type Protein Tyrosine Phosphatase β). Questo CSPG, insieme all’appican, `e una com- ponente specifica della matrice extracellulare del sistema nervoso centrale ed `e secreto principalmente dagli astrociti. Un altro CSPG specifico del SNC `e il neuroglican C, una proteina transmembrana espressa dai neuroni. Infine, decorin e biglican sono glicopro- teine ubiquitarie che contengono sia catene di condroitinsolfati che di dermatansolfati (Properzi and Fawcett, 2004).

Una delle caratteristiche della proteina core `e la presenza di domini globulari all’-terminale ed al C-terminale (Yamaguchi, 2000) attraverso i quali numerosi ligandi contattano i CSPG, sebbene le catene di GAG stesse possano legare diverse sostanze.

Interazioni possibili comprendono quelle con acido ialuronico, proteine di adesione come

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N-CAM e contactine, glicoproteine come le tenascine oltre che fattori trofici (FGF-2) e chemochine.

Numerosi lavori dimostrano che i CSPG hanno un ruolo funzionalmente impor- tante in fenomeni di sviluppo e rigenerazione del sistema nervoso centrale. In parti- colare, essi sembrano partecipare alla costituzione di substrati non permissivi per la crescita assonica e per la ramificazione dendritica contribuendo al modellamento di vie nervose.

Un ruolo precoce dei CSPG nello sviluppo `e stato dimostrato nello stadio di blas- tula del nematode Caenorhabditis elegans. Infatti, la riduzione dei livelli di condroitin sintasi (enzima responsabile della formazione di GAG) o la digestione delle catene di GAG tramite condroitinasi causano in quest’organismo reversione della citochinesi con fusione di cellule appena divise.

Inoltre, queste molecole sembrano regolare la migrazione neuronale. In parti- colare, `e stato osservato che le cellule delle creste neurali evitano, nel loro percorso, zone ricche in condroitinsolfati e, la digestione enzimatica di tali polisaccaridi fa s`ı che la migrazione proceda attraverso traiettorie aberranti. Al contrario, il trapianto di micromembrane contenenti aggrecan all’nterno delle creste neurali induce le cellule a deviare dai loro percorsi normali o a fermarsi completamente (Perissinotto et al., 2000).

Altre evidenze suggeriscono che i CSPG forniscano segnali negativi anche per

l’elongazione assonica. Per esempio, la notocorda `e particolarmente ricca in queste

molecole e funge da barriera per l’estensione degli assoni. Cos`ı, il trattamento della

notocorda con condroitinasi porta a crescita anomala degli assoni dei nervi motori e

dei gangli delle radici dorsali. Osservazioni correlate sono state ottenute nel sistema

visivo che si `e dimostrato un eccellente modello per lo studio dell’attivit`a inibitoria

dei CSPG. In vitro, gli assoni retinici evitano zone ricche in CSPG crescendo solo su

substrati pi` u permissivi come quelli contenenti laminina (Snow et al., 1991). In vivo,

le catene di CS-GAG guidano gli assoni in diversi punti della via ottica. Per esempio le

parti pi` u periferiche della retina contengono grosse quantit`a di CSPG che si ritirano dal

centro man mano che la retina matura. Questo anello di materiale inibitorio previene

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la crescita degli assoni verso l’esterno e li guida al nervo ottico; la rimozione di CSPG, ancora una volta, provoca estensione disordinata degli assoni (Brittis et al. 1992).

Il ruolo di questi proteoglicani non si limita allo sviluppo. Infatti, sembra che essi prendano parte anche a fenomeni rigenerativi in seguito a lesione. Un model- lo per studiare tali effetti `e dato dalle proiezioni retino-collicolari: un danno operato nella retina determina la formazione di un’area denervata nel territorio del collicolo normalmente contattato da quella zona retinica e le afferenze intatte effettuano solo una minima espansione per riempirla. Il trattamento con condroitinasi permette una ramificazione assonica molto maggiore e la formazione di nuove connessioni con i target postsinaptici (Tropea et al., 2003).

Un altro interessante lavoro ha dimostrato il ruolo inibitorio dei CSPG nella rigenerazione assonale dopo danno al midollo spinale. La digestione enzimatica di questi componenti della matrice, infatti, provoca una maggiore elongazione assonica attraverso la cicatrice gliale e tale fenomeno sembra essere accompagnato da un buon recupero della funzione motoria (Bradbury et al., 2002). L’importanza di questi studi `e relativa non solo alla delucidazione dei processi che stanno alla base della rigenerazione neuronale, ma porta a riflettere sul fatto che solo qualche millimetro di accrescimento assonale possa garantire un miglioramento funzionale. Appare probabile, quindi, l’in- tervento di fenomeni plastici che permettano, per esempio, un’estesa ramificazione dei terminali neoformati.

A questo proposito, notiamo che durante lo sviluppo postnatale i CSPG si ac-

cumulano progressivamente attorno al soma ed ai dendriti di determinati neuroni, con-

tribuendo alla formazione delle cosiddette reti perineuronali (PNN) (Hockfield et al.,

1990; Celio et al., 1998). Queste strutture sembrano limitare la plasticit`a nel cervel-

lo adulto. Nella corteccia visiva, infatti, l’apparizione delle reti coincide con la fine

del periodo critico e l’allevamento al buio ritarda la loro formazione. Recenti studi,

inoltre, dimostrano che la degradazione delle CS-GAG tramite condroitinasi, riapre un

periodo di plasticit`a visiva nell’organismo adulto suggerendo che le PNN formino una

sorta di gabbia attorno ai neuroni impedendo loro di operare riarrangiamenti sinaptici

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(Pizzorusso et al., 2002).

Il meccanismo di azione per mezzo del quale i CSPG opererebbero tali azioni inibitorie non `e ancora noto. Tra l’altro, alcuni effetti sembrano dovuti esclusivamente alle catene laterali di GAG, mentre altri richiedono anche la presenza della proteina core. Una possibile spiegazione ad una cos`ı vasta gamma di conseguenze potrebbe coinvolgere il gran numero di molecole legate dai CSPG. Per esempio, essi potrebbero avere un ruolo nel presentare alle cellule fattori trofici o, al contrario, nel sequestrarli.

Oppure i CSPG potrebbero stabilizzare determinate connessioni cellulari grazie al loro legame con molecole di adesione. Ancora, questi proteoglicani potrebbero abbassare il carattere permissivo di sostanze come le laminine (Carulli et al., 2005).

Questi dati incoraggiano a pensare ai CSPG come a possibili target su cui agire

per ripristinare fenomeni di plasticit`a nell’adulto. Tuttavia, numerosi sono i proble-

mi che restano irrisolti; in particolare, visto il potenziale inibitorio che essi esercitano

sul rimodellamento neuronale, ci si potrebbe chiedere cosa accade loro quando si ope-

rano modifiche esterne al circuito, per esempio tramite un meccanismo indipendente

che aumenti la plasticit`a. Un possibile candidato ad interagire con il meccanismo di

formazione e degradazione delle reti perineuronali potrebbe essere il sistema inibitorio

corticale di cui abbiamo gi`a discusso. La questione trova fondamento oltre che nella

partecipazione di entrambi gli elementi al controllo di meccanismi plastici, anche in stu-

di recenti che dimostrano come le reti perineuronali, nel loro classico aspetto lattiginoso,

circondino principalmente in corteccia interneuroni inibitori esprimenti parvalbumina

e la subunit`a Kv3.1 del canale potassio. Ricordiamo che tali neuroni si identificano con

le cellule a canestro, considerate importanti nella modulazione delle risposte pirami-

dali alle afferenze sensoriali provenienti dal talamo. La funzione delle reti, tra l’altro,

sarebbe quella di bufferare gli eccessivi cambiamenti della concentrazione di cationi

nello spazio extracellulare essendo le cellule a rapida scarica le principali, anche se non

le uniche, fonti di tali cambiamenti (Hartig et al., 1999; Wegner et al., 2003; Morawski

et al., 2004).

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Scopo della tesi

Questa tesi si occuper`a di analizzare l’esistenza di una possibile interazione tra sistema inibitorio e matrice extracellulare nella riattivazione della plasticit`a corticale visiva.

Lo scopo primario `e quello di dimostrare che un abbassamento dell inibizione in corteccia V1, ottenuto tramite l’uso di antagonisti GABAergici, ha l’effetto di ripristinare un certo grado di plasticit`a nell’animale adulto. Il modello di studio `e quello della deprivazione monoculare, quindi, come test di plasticit`a `e stata valutata, tramite registrazioni elettrofisiologiche in vivo, la presenza di shift di dominanza ocu- lare.

Nella seconda parte del lavoro, invece, verr`a investigata la possibilit`a che l’ab-

bassamento della funzione inibitoria abbia un effetto sulla morfologia e la composizione

delle reti perineuronali. Se, infatti, `e vero che le PNN non permettono rimodellamenti

plastici dei circuiti e che la riduzione dell’inibizione, invece, rende di nuovo possibile

tali cambiamenti nell’adulto, l’uso di antagonisti GABAergici dovrebbe diminuire il

numero di reti visibili nella corteccia V1 di animali adulti. I mezzi tramite cui `e stata

esplorata questa possibilit`a consistono in reazioni di immunoistochimica dirette con-

tro le catene laterali dei CSPG o la proteina core e nella successiva acquisizione di

immagini fluorescenti al microscopio confocale.

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