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L’IMPATTO DELL’ADESIONE SULLE SINGOLE POLITICHE

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Capitolo Secondo

L’IMPATTO DELL’ADESIONE SULLE SINGOLE POLITICHE

1. L’adattamento del sistema interno britannico all’ordinamento comunitario.

Uno degli aspetti su cui sono sorte le maggiori divergenze tra il Regno Unito e gli altri paesi membri dell’Unione riguarda la perdita di sovranità dei governi nazionali durante il processo di integrazione. L’ingresso del diritto comunitario nell’ordinamento interno implica un forte impatto sulla sfera della sovranità statale inevitabilmente per ogni paese aderente all’Unione europea, per il Regno Unito in modo particolare. Quest’ultimo, senza una costituzione scritta e caratterizzato da un ordinamento improntato ad una maggiore flessibilità, sembrerebbe rivelare aspetti di peculiare problematicità.

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Riguardo alla natura non strettamente formalizzata del sistema costituzionale britannico e all’inesistenza di norme sovraordinate alla legge, si potrebbe ritenere che l’immissione del diritto europeo possa risultare più agevole che altrove. Di fatto, proprio per la natura non scritta della costituzione e per doversi tutelare da trasformazioni provenienti da ambiti giuridici esterni, il sistema britannico ha spesso reagito in maniera contraria alla garanzia di flessibilità, dimostrandosi meno aperto ai cambiamenti rispetto ai sistemi di civil law. Il modello di costituzione britannica rappresenta un modello di Costituzione «non codificata», ovvero non espressa all’interno di un unico documento normativo, dal momento che essa è costituita da una serie eterogenea di atti scritti che non hanno trovato espressione all’interno di un contesto normativo unitario, fra cui l’European Communities Act del 1972.

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Il sistema costituzionale britannico si sostanzia, quindi,

1 A. TORRE, L’attuazione del diritto comunitario nel Regno Unito e la questione della sovranità parlamentare, in G.G. FLORIDIA, R. ORRU’ (cur.), Meccanismi e tecniche di normazione fra livello comunitario e livello nazionale e subnazionale, Torino, Giappichelli, 2007, 136.

2 L’European Community Act vincolando i futuri governi al rispetto delle clausole di adesione alle CEE introduce un autentico oggettivo limite alla sovranità del Parlamento N. MacCORMICK Questioning Sovereignty: Law, State, and Nation in the European Commonwealth (Law, State, and Practical Reason) , 1999 pag. 63

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in un delicato e complesso rapporto fra la giurisprudenza delle corti e le disposizioni del Parlamento di Westminister, il tutto unito ad una costante rielaborazione dottrinale. A partire dalla fine del XVII secolo, con il Bill of Rights del 1689, l’Inghilterra si avvia ad assumere un assetto costituzionale imperniato sulla preminenza del Parlamento, raggiungendo una stabilità che dura fino ai giorni nostri.

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Tale stabilità risiede in due capisaldi fra loro strettamente connessi, quello del dominio della “legge” Rule of Law e quello della sovranità del Parlamento Sovereignty of Parliament. Si potrebbe dedurre che tale sistema implichi l’esistenza in capo al Parlamento di un potere normativo insuscettibile di effettive forme di limitazione giuridica: le leggi non conoscono limiti all’innovazione di provvedimenti legislativi precedenti né sono sindacabili dalle corti sotto il profilo del loro contenuto. Il principio in base al quale “Parliament cannot bind its successor” sta ad indicare che un atto del Parlamento può essere sempre abrogato nel corso della stessa legislatura in cui è stato approvato o in quelle successive, dal momento che non ci sarebbe alcun motivo per ritenere l’autorità del Parlamento abrogante inferiore a quella del Parlamento che aveva in precedenza approvato l’atto. Quindi la sovranità del Parlamento non impedisce alla legge di dichiararsi immodificabile ma impedisce di porre vincoli alla facoltà parlamentare di modificare un atto in qualsiasi momento. È però proprio in corrispondenza di questo corollario della supremazia del Parlamento che si porranno una serie di problematiche sul tema dell’adattamento dell’ordinamento interno britannico all’ordinamento comunitario. L’adesione del Regno Unito alla Comunità europea, impone la necessità di assicurare la prevalenza delle norme europee sulle disposizioni interne, contrastando con il principio della sovranità parlamentare. Dal momento che il Parlamento è dotato di un potere illimitato, libero dai vincoli eventualmente fissati dal suo predecessore, le corti riconoscono come leggi soltanto

3 La genesi del concetto di sovranità parlamentare inizia a prendere forma alla fine del XVII secolo con la sistemazione dei poteri del quadro istituzionale inglese ponendo fine alle pretese degli assolutisti, con la approvazione, nel 1689, del Bill of Rights. Intorno alla seconda metà del secolo XIX, la nozione di sovranità parlamentare sembra raggiungere la sua compiuta affermazione. La dottrina incardina l’assunto della sovranità parlamentare e finisce per porre in capo al Parlamento di Westminster un’autorità legislativa virtualmente illimitata.

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quelle adottate secondo i modi legalmente prestabiliti internamente. L’esigenza di conciliare la supremazia del diritto europeo con la potestà parlamentare britannica tendenzialmente illimitata, ha creato non pochi problemi di adattamento non solo nell’ordinamento britannico ma anche negli altri paesi: la Corte di Giustizia ha gradualmente fatto breccia nei sistemi giurisdizionali nazionali imponendo una visione eurocentrica.

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In un momento pre-adesione, quando i contatti tra il diritto interno britannico e quello internazionale erano meno frequenti, lo strumento per la risoluzione dei conflitti derivati da eventuali contrasti era quello della

"interpretazione conforme". In particolare in ragione della presunzione che il Parlamento non legiferi in violazione dei precetti internazionali, era prassi comune applicare la legge successiva anche nei casi in cui l’intento di disattendere le previsioni dei trattati sia stato manifestato in maniera implicita. Emblematica è la sentenza Ireland Revenue Commissioners vs Collco Dealings Ltd. (1962) nella quale il giudice Viscount Simonds afferma che «If the statue is unambiguous, its provisions must be followed even if they are contrary to international law».

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Per quanto riguarda quindi il rapporto tra la normativa domestica e il diritto dei Trattati, la giurisprudenza è conforme sul fatto che gli accordi possano avere effetto nel sistema normativo interno soltanto ove un’apposita previsione legislativa intervenga al fine di eseguirne il contenuto. In base a questa premessa gli accordi comunitari possono modificare la legislazione interna solo previo assenso del Parlamento ovvero attraverso l’adozione di una norma che conforma l’ordinamento britannico agli obblighi assunti in via pattizia.

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In alcune circostanze questo obiettivo è realizzato da norme che presentano un esplicito riferimento al Trattato da

4La prima sentenza con cui la Corte di Giustizia dichiara la prevalenza del diritto comunitario è la sentenza Costa vs Enel, Corte di giustizia sent 15-7-1964 causa 6

5 P.B. MAXWELL, Maxwell on the interpretation of Statues, London, Sweet & Maxwell 1953, pag.148

6 L’esecuzione dei trattati non sempre viene effettuata attraverso l’adozione di una legge in senso stretto (Act of Parliament or Primary legislation ossia un atto il cui contenuto è determinato per intero dal parlamento. Tale atto, sebbene permetta alle Camere una penetrante forma di controllo sul provvedimento normativo in ogni stadio della sua formazione, viene molto spesso sostituito con la più agile procedura degli Statutory Instruments (secondary or delegated legislation) il cui scopo è delegare l’esercizio della funzione legislativa al governo entro i limiti prestabiliti.

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implementare, formulando le misure necessarie ad eseguirne le prescrizioni. Molto

spesso però lo strumento ordinario per l’incorporazione degli accordi

nell’ordinamento giuridico interno avviene attraverso lo strumento della

incorporation con il quale viene conferito alle disposizioni in esso contenute la

medesima forza normativa appartenente alle previsioni interne. Tra le disposizioni

comunitarie che sono entrate a far parte del ordinamento interno britannico con lo

strumento della incorporation, il Carriage by Sea Act del 1965, lo Uniform Laws

on International Sales del 1967, il Merchant Shipping Act del 1995 e lo European

Community Act del 1972 la legge con cui il Parlamento britannico ha sancito

l’ingresso del Regno Unito nella struttura comunitaria. In particolare è solo con la

incorporazione che le Corti acquisiscono la possibilità di conoscere il diritto

derivante dagli accordi e di procedere alla sua applicazione processuale, come

testimonia la sentenza Cheney vs Conn in cui la High Court of England and Wales

stabilisce che la mancata incorporazione di una parte del Trattato internazionale

rende le relative disposizioni non invocabili sul piano del diritto interno a tutela delle

posizioni giuridiche soggettive da esse dipendenti. Ne deriva la possibilità di

considerare le disposizioni internazionali alla stregua di quelle interne, in quanto il

parlamento ha la facoltà di permettere alle norme pattizie di entrare a far parte del

sistema giuridico interno e come tali sono soggette allo stesso trattamento delle

norme appartenenti a quest’ultimo.

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2. L’European Communities Act del 1972

La peculiare concezione dei rapporti fra il diritto internazionale e il diritto interno subisce un significativo cambiamento in seguito all’European Communities Act del 1972 la legge attraverso la quale il parlamento britannico ha provveduto alla incorporazione dei trattati europei nell’ordinamento interno, ma anzi prevede che il corpus normativo comunitario avente carattere self executive sia immesso direttamente nel sistema giuridico interno, dal momento che le norme europee sono norme direttamente invocabili dinnanzi agli organi giudiziari del Regno Unito.

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L’attuazione delle disposizioni non self executive è disciplinata dalla legislazione di rango secondario, di attribuzione per lo più governativa. Nella sezione 3(1) vengono trattate le questioni inerenti all’interpretazione delle norme dei trattati e qualora non siano oggetto di rinvio pregiudiziale ex art.234 TCE, queste, devono essere decise secondo i principi elaborati dalla Corte di Giustizia. È quindi richiesta un’applicazione delle previsioni interne anche posteriori che sia compatibile con gli orientamenti della giurisprudenza comunitaria. Nella sezione 2(4) la volontà del legislatore britannico di assicurare la conformità delle disposizioni interne alla normativa comunitaria trova la sua espressione più compiuta. In particolare si stabilisce che qualsiasi previsione normativa, anteriore o successiva all’entrata in vigore dell’European Communities Act, deve essere interpretata alla luce delle norme in questo contenute. Proprio per il carattere generale e la natura proiettata verso ogni possibile ipotesi futura la sezione 2(4) dell’ECA costituisce la base normativa per la soluzione di possibili contrasti in ragione della successione nel tempo del diritto comunitario rispetto a quello interno. È rilevante notare che nel corso del dibattito parlamentare sull’ECA l’opinione maggioritaria aveva ritenuto che la sezione 2(4) non avrebbe implicato necessariamente il principio della prevalenza della norma comunitaria sulla norma interna successiva incompatibile.

7 «All such rights, powers, liabilities, obligations and restrictions from time to time created or arising by or under the Treaties, and all such remedies and procedures from time to time provided for by or under the Treaties, as in accordance with the Treaties are without further enactment to be given legal effect or used in the United Kingdom shall be recognized and available in law, and be enforced, allowed and followed accordingly…» .

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La sezione 2(4) stabilisce una regola di interpretazione ragion per cui in caso di conflitto, sorge l’obbligo di trovare una interpretazione conforme alla legge europea, ove però questo non sia possibile rimane valida la regola della interpretazione più recente. Numerosi sembrano essere gli interrogativi sollevati dalla sezione 2(4); la dottrina e la giurisprudenza sembrano manifestare -almeno nella prima fase del loro cammino- la aperta riluttanza ad abbandonare gli ormai consolidati dogmi interni favorevoli alla piena e incondizionata supremazia del diritto interno. Secondo un iter per certi versi analogo a quello seguito dall’ordinamento italiano, in una prima fase nelle organizzazioni comunitarie, il Regno Unito sembra preferire il criterio cronologico in caso di conflitti tra diritto europeo e diritto interno. A questo proposito, significativa è la sentenza H.P. Bulmer vs J. Bollinger S.A. del 1974, la Court of Appeal afferma da una parte che il Trattato è parte della nostra legge ma

«it is equal in force to any statute». Posizione analoga viene assunta nella successiva sentenza Felixstowe Docks and Railway Co. Vs British Transport Docks Board del 1976 in cui si lascia intendere che in caso di contrasto implicito tra la fonte comunitaria e la fonte interna successiva, i giudici del Regno Unito sarebbero tenuti a garantire l’applicazione della normativa interna. Questo orientamento finisce per subire un’inversione di rotta, in seguito alla sentenza "Simmenthal", con la quale la Corte di Giustizia ribadisce la piena ed uniforme applicazione delle norme europee nell’ordinamento giuridico di ogni Stato membro.

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La sentenza "Simmenthal",

8 Corte di Giustizia sentenza 9.3.1978 causa C-106/77 Amministrazione delle finanze dello Stato vs Spa Simmenthal La Simmenthal S.p.a. importa dalla Francia una partita di carni bovine.

L'importazione viene sottoposta al pagamento di diritti di controllo sanitario, pagamento che costituisce un ostacolo alla libera circolazione delle merci (più specificamente si tratta di una misura di effetto equivalente alle restrizione quantitative previste dall'art.30 del Trattato). La Simmenthal S.p.a. lamenta la violazione del Trattato ad opera dell'Amministrazione delle finanze e richiede la ripetizione di quanto versato indebitamente. A questo punto il pretore adito avrebbe dovuto, secondo la sentenza ICIC, rivolgersi alla Corte Costituzionale chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge italiana che prescriveva il pagamento del controllo sanitario delle carni.

Così però non accade, in quanto il pretore evidenzia l'insufficienza di questo rimedio4. Egli opta quindi per un ricorso alla Corte di Giustizia chiedendo di definire quale sia il modo più adatto per tutelare i diritti riconosciuti dal diritto comunitario. La Corte di giustizia coglie l'occasione per delineare una vera e propria "supremacy clause" di carattere giurisprudenziale relativamente al diritto comunitario. Le norme di diritto comunitario, si afferma nella motivazione, sono fonte immediata di

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segna un punto di svolta nel processo di integrazione del diritto comunitario anche nel Regno Unito, da questo momento in poi, il primato comunitario viene assicurato nella giurisprudenza britannica come testimoniano le successive sentenze tra cui Macarthys vs Ltd Smith del 1979. Quest’ultima sentenza ha come protagonista la signora Macarthys che lamentava di aver percepito una retribuzione inferiore a quella corrisposta per lo svolgimento delle medesime funzioni ad un collega impiegato nella stessa azienda in un periodo di tempo precedente. Sia in primo grado che in appello le ragioni della ricorrente erano state fondate sulla sezione 1(2) a dello Equal Pay Act del 1970, emendata dal Sex Discrimination Act del 1975. In particolar modo quest’ultimo introduce nell’ordinamento britannico il canone della parità retributiva tra uomo e donna nell’ambito dello svolgimento delle stesse mansioni per conto dello stesso datore di lavoro, sebbene non venga fatto esplicito richiamo al fatto che le attività lavorative possano essere state rese anche non simultaneamente. Nonostante la lacuna del testo normativo sia l’Employement Tribunal prima e l’Employement Appeal Tribunal poi, avevano accolto le richieste della parte attrice. In particolare nel tribunale d’appello, il giudice J. Phillips nonostante fosse convinto che la sezione 1(2) dell’Equal Pay Actsancisse il diritto all’eguale trattamento retributivo in merito alle prestazioni effettuate nello stesso arco di tempo, decise di andare oltre il mero dato letterale onde evitare l’incompatibilità con l’articolo 1’art. 141 Trattato CE (ex art. 119).

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Lo stesso

diritti e obblighi per tutti coloro cui esse fanno riferimento: Stati, singoli cittadini, giudici. In forza del principio della preminenza le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni comunitarie hanno l'effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere ipso jure inapplicabile qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche di impedire successivamente la formazione di atti legislativi nazionali nella misura in cui fossero incompatibili con norme comunitarie. Ne consegue che qualsiasi giudice nazionale ha l'obbligo di applicare integralmente il diritto comunitario e di tutelare i diritti che questo attribuisce ai singoli, disapplicando le disposizioni eventualmente contrastanti della legge interna, sia anteriore sia successiva alla norma comunitaria.

"Corte di Giustizia sentenza 9.3.1978 causa C-106/77 Amministrazione delle finanze dello Stato vs Spa Simmenthal".

9 L’art. 141 Trattato CE (ex art. 119) disciplina l’uguaglianza di genere in materia di lavoro e occupazione. In esso si legge “Allo scopo di assicurare l’effettiva e completa parità tra uomini e donne nella vita lavorativa, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro

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giudice concluse che un’applicazione letterale dell’Equal Pay Act finirebbe per implicare un trattamento discriminatorio diversamente da quanto stabilito dal Trattato. La parte resistente decise però di presentare ricorso alla Court of Appeal la quale decise di presentare la questione di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, quest’ultima elaborò una ricostruzione dei rapporti orientata nel senso della supremazia della normativa comunitaria rispetto a quella interna. La Court of Appeal, prendendo atto di quanto stabilito dalla Corte di Giustizia sostenne infatti che «In construing our statute, we are entitled to look at the Treaty as an aid to its construction, but not only as an overriding force», ragion per cui, nel momento di applicare una norma interna quest’ultima deve avere effetto alla luce dell’incorporazione del diritto dei Trattati. Con la sentenza Macarthys vs Ltd Smith, la Court of Appeal effettua un superamento esplicito e formale del principio dello implied repeal e una prima forma di riconoscimento formale del primato del diritto europeo su quello interno. Mentre fino alla sentenza Felixstowe il principio guida per la ricostruzione dei rapporti sembra essere la volontà dell’ultimo parlamento, con la sentenza Simmenthal prima e Macarthys poi, il principio pare essere capovolto a favore del primato del diritto comunitario.

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La conclusione più accreditata appare essere quella che le disposizioni interne non prevalgono su quelle comunitarie per il solo fatto di essere incompatibili ma necessitano di una ulteriore dichiarazione espressa di incompatibilità ovvero che il Parlamento nell’introdurre una normazione incompatibile dichiari l’intento di volerla sostituire a quella europea. Occorre però effettuare una precisazione in merito alle norme implicitamente contrastanti con quelle europee, dal momento che difettano di una clausola abrogativa espressa. L’ECA prescrive la regola generale dell’interpretazione del diritto nazionale in maniera conforme a quello comunitario

mantenga o adotti misure che prevedono vantaggi specifici diretti a facilitare l’esercizio di una attività professionale da parte del sesso sottorappresentato ovvero a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali”.

10 Le disposizioni interne incompatibili per prevalere su quelle comunitarie hanno bisogno dell’ulteriore condizione di dichiarare espressamente la volontà di sostituirle: il Parlamento nell’introdurre una normazione incompatibile deve dichiarare l’intento di volerla sostituire a quella europea. Diversamente dalle norme domestiche, in cui l’abrogazione di queste avviene per il solo fatto che il Parlamento introduce leggi posteriori contrastanti.

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senza nel dettaglio stabilire nulla di concreto riguardo al contrasto tra le norme comunitarie e le norme interne posteriori incompatibili. Da qui ne discendono due orientamenti delle corti britanniche, da una parte l’interpretazione conforme, dall’altra la disapplicazione del diritto interno successivo contrastante con il diritto comunitario. Tuttavia, sebbene il criterio della interpretazione conforme appaia meno invasivo della "disapplicazione" il primato comunitario appare in entrambi i casi confermato. La soluzione del contrasto tra norme mediante il criterio della interpretazione conforme sebbene possa apparire meno invasivo, realizza in sostanza una nuova formulazione del testo, letto alla luce dei principi comunitari.

Quando invece, il conflitto non può essere appianato in via interpretativa, la

giurisprudenza britannica appare propensa ad effettuare un’aperta disapplicazione

della disposizione interna contrastante secondo un indirizzo giurisprudenziale

iniziato con la sentenza Macarthys e via via consolidatosi nel tempo. A circa un

decennio di distanza, il modus operandi adottato nella sentenza Macarthys, è ora

riproposto nella sentenza del 1991 Factortame Ltd vs Secretary of State for

Transport. Oggetto della questione è il Merchant Shipping Act del 1988 in base al

quale il Ministro dei trasporti aveva il compito di intervenire nella disciplina delle

registrazioni navali al fine di proteggere gli interessi navali correlati al settore della

pesca. Nell’esercizio di tale potere, il Ministro dei trasporti promulgava le Merchant

Shipping Regulations, secondo cui la proprietà nominale ed effettiva delle

imbarcazioni registrabili come abilitate alla pesca nelle acque territoriali del Regno

Unito dovevano appartenere nella misura minima del 75% a cittadini o società

britanniche. Alcune compagnie prive del requisito in questione, decisero di

presentare ricorso sostenendo il contrasto con le disposizioni comunitari e in

particolar modo con l’art.52 TCE (ora articolo 43). In primo luogo la Queen’s

Bench Divisional Court decise di disapplicare le disposizioni normative interne in

quanto contrastanti con quelle comunitarie, questo orientamento fu però disatteso

dalla successiva decisione della Court of Appeal. In ultima istanza la House of Lords

decise di interpellare la Corte di Lussemburgo circa l’esistenza di un principio

comunitario in grado di riservare alle giurisdizioni nazionali il potere di adottare

misure a favore delle posizioni soggettive tutelate dalle norme europee. La Corte di

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Giustizia, sulla scia dell’indirizzo già intrapreso con la precedente sentenza Simmenthal stabiliva che «Qualsiasi disposizione interna che porti ad una riduzione della concreta efficacia del diritto comunitario è incompatibile con le esigenze inerenti alla natura del diritto comunitario». La decisione conferma l’atteggiamento di apertura delle corti britanniche verso la prevalenza delle disposizioni comunitarie:

la House of Lords preso atto del dovere dei giudici di disapplicare il diritto interno

incompatibile e constatato il leale adeguamento del Parlamento agli obblighi

comunitari, afferma che si innesca nel solco di questa tendenza ormai consolidata il

riconoscimento della supremazia delle norme comunitarie nei rispettivi settori di

competenza. Nella medesima direzione, la successiva sentenza Thoburn vs

Sunderland City la Queen’s Bench Divisional Court riafferma la prevalenza della

norma comunitaria sulle disposizioni successive, apportando un apparato

concettualmente molto innovativo. I giudici della High court si trovavano di fronte

al rapporto tra una legge interna del 1985, il Weights and Measures Act e una norma

comunitaria del 1994, adottata in attuazione di una direttiva comunitaria del 1979

che introduceva il sistema metrico decimale, il Weight and Measures Act

(Metrication Amendments) Regulations. Nel momento del rinnovo della licenza,

alcuni commercianti non d’accordo sull’obbligo di utilizzare il sistema metrico

decimale decisero di presentare ricorso, sostenendo che il Regolamento del 1994

fosse una normativa secondaria adottata sulla base di una legge del 1972 sez 2.2

dell’ECA, pertanto il Regolamento in questione non era dotato del potere di

modificare un atto parlamentare che aveva a suo tempo derogato la sez. 2.2

dell’ECA riguardo all’adozione dei regolamenti in discussione. Le argomentazioni

fatte valere da coloro che si opponevano all’applicazione del Regolamento

comunitario del 1994, evidenziano che il Parlamento è sovrano, pertanto l’European

Community Act va considerato come qualsiasi altra legge nazionale passibile di

qualsiasi modifica o abrogazione successivamente voluta dal Parlamento. La High

Court rigetta entrambi i capi di impugnazione, escludendo che le previsioni

normative dell’ECA possano essere abrogate dalla successiva normativa del 1985,

in ragione del carattere costituzionale da attribuire alle prime. Alla luce delle

costanti eccezioni all’applicazione del criterio dell’abrogazione implicita, sempre

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più spesso è avvenuto che il Parlamento potesse modificare le precedenti scelte normative attraverso una specifica ed espressa previsione normativa, come la sentenza Factortame testimonia. Attraverso la progressiva affermazione di tali indirizzi, le graduali trasformazioni del Common Law avrebbero riconosciuto l’esistenza di norme di rango superiore a quello delle leggi del Parlamento e pertanto nel riconoscimento di una gerarchia di norme al cui vertice risiedono le leggi a carattere costituzionale, ponendo le basi per una prima distinzione negli atti tra gli atti del parlamento di natura ordinaria ‘ordinary statues’ e quelli di natura costituzionale ‘constitutional statues’. Queste ultime hanno come oggetto i diritti fondamentali dei cittadini e i rapporti tra i singoli e lo Stato, in particolare secondo la High Court appartengono ai ‘Consitutional statues’ la Mgna Carta del 1215, il Bill of Right del 1688, lo Act Union del 1707, lo Human Rights Act del 1998 e lo European Communities Act del 1972 che incorpora gli atti normativi prodotti a livello comunitario. Il fatto che esistano norme di rango superiore a quelle ordinarie implica che siffatte leggi si sottraggono al regime dell’abrogazione implicita e pertanto possono essere modificate soltanto mediante l’utilizzo di espressioni destinate a tale intento. I giudici della High Court affrontano il particolare rapporto della normativa comunitaria e la sovranità parlamentare, cercando di trovare una soluzione armoniosa. In primo luogo tutti gli obblighi e i diritti creati dal diritto comunitario entrano a far parte dell’ordinamento interno e sono situati ad un livello

‘superiore’ alla legge ordinaria pertanto la legislazione interna che possa essere in

contrasto con quella comunitaria deve essere modificata o abrogata al fine di essere

conforme. L’ECA in quanto atto di carattere costituzionale, è quindi dotato della

capacità di resistere al potenziale effetto abrogativo delle disposizioni interne

confliggenti. La base dei rapporti tra il diritto comunitario è da individuarsi nel

diritto nazionale. Questa argomentazione permette di giungere ad una pacifica

conciliazione del principio della sovranità parlamentare e del primato del diritto

europeo, così da una parte se è vero che la normativa comunitaria prevale su quella

interna, dall’altra è il parlamento stesso a volerlo, infatti in qualsiasi momento

potrebbe produrre l’effetto opposto della prevalenza del diritto interno su quello

comunitario. Dopo l’innovativa ricostruzione dei giudici della High Court, non

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passa molto tempo che i giudici si trovano di fronte ad una nuova questione ovvero se le disposizioni comunitarie possano introdurre misure contrarie ai diritti fondamentali riconosciuti dal Regno Unito. Tra le possibili soluzioni, si prende in considerazione, il fatto che il principio della supremazia della legge europea potrebbe non trovare applicazione. In particolare nella sentenza McWhirter &

Gouriet vs Secretary of State for Foreign Affairs del 2003, la Court of Appeal decide in merito ad un ricorso proposto contro l’applicazione dello European Communities Amendment Act del 2002 il cui obiettivo era quello di estendere il voto a maggioranza a una serie di materie non previste in precedenza, fra le quali la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale o la disciplina dell’immigrazione illegale, mentre veniva ridotto il peso elettorale del Regno Unito.

L’effetto del Trattato in questione era quello di introdurre leggi prodotte esclusivamente a livello europeo in un clima di limitata partecipazione dei sudditi britannici al processo decisionale contrastando ovviamente con i principi costituzionali del Regno Unito. Nel giudizio espresso da Lord Justice Laws, viene messo in risalto che il Trattato di Nizza, al pari di ogni altro Trattato, non possa cambiare la legislazione interna britannica, il giudice Lord Justice Laws ribadisce:

«The Treaty of Nice…like any other treaties…cannot change the domestic law of the United Kingdom unless and until it is incorporated into law by Parliament (by the 2002 Act) … In my judgement it is of the first importance to have in mind that it is fully open to Parliament to repeal or amend the 2002 Act, just as it may repeal or amend the European Communities Act 1972. This is the ultimate guarantee of constitutionality which is in place here»

11

. La Corte respinge il ricorso, facendo però una precisazione, nel caso in cui sia introdotta una normativa europea, adottata in conformità del Trattato di Nizza ma contrastante con il diritto costituzionale britannico, i giudici sarebbero chiamati in primo luogo a verificarne l’idoneità e in secondo luogo potrebbero arrivare a disattendere il contenuto in caso di palese difformità. Posti di fronte alla questione se l’incorporazione del diritto comunitario possa arrivare a modificare il diritto britannico collocato ad un livello costituzionale, i tribunali costituzionali si sentono legittimati a disapplicare le disposizioni

11 Court of Appeal, McWhirter & Gouriet vs Secretary of State for Foreign Affairs, 2003

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radicalmente contrarie ai principi interni inderogabili. Il principio della preminenza del diritto comunitario sembra essere superato nelle ultime sentenze esaminate, in favore di un ordinamento giuridico strutturato su una serie di piani normativi di diverso grado. Sebbene il primato del diritto comunitario induca i giudici ad escludere il criterio dell’abrogazione implicita, richiedono esplicitamente che il legislatore dichiari espressamente l’intento di modificare l’effetto di incorporazione della disciplina comunitaria in esso compiuto. L’ordinamento interno britannico appare ordinato, a livello delle fonti primarie, su più livelli di diversa capacità innovativa: al vertice sono collocati i principi fondamentali e le leggi comunitarie che non possono essere intaccati, pena la loro disapplicazione, ad un livello inferiore si trovano invece l’ECA stesso e ogni altra legge di incorporazione dei Trattati.

Queste ultime, per assicurare la preminenza del diritto comunitario, godono di uno

status sovraordinato alle leggi del Parlamento, non vale per questa categoria di

norme il criterio della abrogazione implicita ma necessitano di una esplicita

dichiarazione modificativa da parte del legislatore. L’apertura al diritto comunitario

produce effetti profondi sul sistema delle fonti interne, non solo è necessario

individuare leggi a carattere ‘costituzionale’, ma si pone il problema dei limiti

all’abrogazione implicita. La necessità che il Parlamento debba rispettare la

condizione dell’abrogazione implicita, al fine di intervenire negli ambiti materiali

dell’ECA e degli altri Trattati, induce a classificare questi ultimi al pari delle "leggi

rinforzate" dell’ordinamento italiano. Il diritto europeo viene quindi collocato in una

posizione sovraordinata alle disposizioni domestiche anteriori o successive. La

conclusione non appare strettamente in linea con quanto delineato nella sentenza

Thoburn, come abbiamo avuto modo di notare in precedenza, l’High Court pretende

che le discipline interne posteriori possano prevalere sul diritto comunitario, purché

dichiarino espressamente l’effetto abrogativo che intendono produrre. Il diritto

europeo può essere quindi efficacemente sostituito alla condizione che il legislatore

interno mostri di essere disposto a superare la precedente volontà normativa in

merito alla recezione della normativa comunitaria. In base a questa premessa, si

potrebbe stabilire che la normativa interna successiva non si trovi in una relazione

di subordinazione ma in un rapporto che sembra strutturarsi secondo un principio di

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separazione degli ambiti di competenza. L’incorporazione della normativa comunitaria non viene equiparata al piano della creazione, bensì ad un ambito di competenza distinta tale da comportare l’impossibilità per da parte delle discipline domestiche di regolare le medesime fattispecie regolate dalle discipline europee, non in ragione di una presunta superiorità di quest’ultime ma in virtù di una separazione degli ambiti di competenza.

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3. La progressiva incidenza della normativa europea nell’ordinamento interno Sebbene l'obiettivo primario della Comunità fosse quello di creare un mercato libero dalle barriere doganali, man a mano che la Comunità e il mercato comune si evolvono, altre questioni divengono oggetto di regolamentazione tra cui la politica commerciale comunitaria, la concorrenza e l'Atto Unico Europeo

13

. Fin dall'inizio appare chiara l'intenzione di estendere ad altri settori le esperienze positive maturate dapprima con il Consiglio d'Europa, poi con la CECA e in seguito al tentativo di unificare gli eserciti nazionali sotto una comune organizzazione (European Defence Community e la European Political Comunity), ma è soprattutto l'ambito economico e commerciale quello più colpito dalla regolamentazione comunitaria, oggi l'Europa è molto di più del Mercato Comune di cinquanta anni fa. Non solo le sfere economiche e finanziarie nazionali finiscono per essere uniformate a livello europeo, ma un numero crescente di settori -che variano dalla politica estera all'immigrazione, dalla lotta al crimine organizzato al riconoscimento delle sentenze- hanno oggi un'applicazione giuridica uniforme in un numero crescente di

12 Sez. 2(1) ECA

13 Documento sottoscritto a Bruxelles il 28 febbraio 1986 per realizzare il programma di mercato unico (Single Market Programme, SMP). Con esso gli Stati membri della Comunità si impegnarono a completare, entro la fine del 1992, il mercato interno, come «spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali», chiamate le quattro libertà. F. POCAR Diritto dell'Unione europea, Ed. Giuffrè 2010 pag.45

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paesi. In alcune aree come l'agricoltura, la pesca, l'industria e il commercio molte tra le più importanti decisioni sono assunte a livello comunitario, mentre in altri settori è lasciato maggiore spazio alle iniziative dei singoli stati. Il Regno Unito, fin da sempre, si è contraddistinto per l'adesione sui generis alle politiche comunitarie, negoziando spesso condizioni più vantaggiose o mettendo in pratica la possibilità di auto-escludersi dall'applicazione di determinate materie, la cosiddetta formula opting-out.

14

Anche negli altri paesi europei, la tendenza è quella di riscontrare un coinvolgimento europeo crescente in settori che un tempo erano prerogativa esclusiva dello Stato Nazione, come ad esempio nelle materie oggetto del secondo e terzo pilastro (metodo intergovernativo). La politica sociale e la legislazione in materia di lavoro, settori spinosi per il governo di Westminster, sono gradualmente influenzati dalla legislazione europea, allo stesso modo altri settori come la difesa, la politica estera e l’ambiente sono in misura crescente regolamentati dalle istituzioni comunitarie. Il quadro complessivo delle materie sottoposte alla legislazione comunitaria appare alquanto variegato e complesso, sia per il tipo e l’entità della partecipazione europea al processo legislativo

che differisce da settore a settore. In alcune aeree i governi nazionali si sono dimostrati più favorevoli a cedere parte delle loro competenze rispetto ad altri. I rappresentati dei paesi membri, inevitabilmente si domandano quali siano i benefici derivanti da un tale sistema, quali siano i lati positivi per l’Europa e se questi ultimi riescano a controbilanciare i pareri -non sempre favorevoli- dell’opinione pubblica.

L' Eurobarometro

15

, noto servizio della Commissione europea che misura ed

14 L'opting out è la deroga che, onde impedire un bloccaggio generale, è concessa agli Stati membri che non desiderino associarsi agli altri Stati membri con riguardo ad un particolare settore della cooperazione comunitaria. In forza di questo principio, il Regno Unito ha chiesto di non partecipare alla terza fase dell'unione economica e monetaria (UEM) ed analogo trattamento è stato concesso alla Danimarca per quanto riguarda l'UEM, la difesa e la cittadinanza europea. Allo stesso modo l'acquis di Schengen è stato oggetto di un'adozione parziale in quanto Irlanda, Regno Unito e Danimarca possono decidere, caso per caso, se partecipare in modo totale o parziale alle misure previste.

15 L'Eurobarometro (EB) è un sondaggio d'opinione istituito nel 1974 con lo scopo di rilevare le percezioni del pubblico europeo. Esso fornisce una grande quantità di dati che vengono utilizzati per definire le priorità politiche per preparare e valutare le azioni comunicative e per fornire un'informazione generale al pubblico. Ogni anno infatti vengono pubblicate numerose relazioni

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analizza le tendenze dell’opinione pubblica in tutti gli Stati membri, ha appurato quali siano le materie che meglio si prestano ad essere regolate dalla Comunità europea e quali altre siano meglio regolate dai governi nazionali. La tendenza è quella di riscontrare ampi consensi riguardo alla regolamentazione comunitaria di materie che coinvolgono diverse giurisdizioni (come il traffico degli stupefacenti e l'ambiente) mentre per le materie che toccano più da vicino i cittadini si preferisce che siano disciplinate dai governi nazionali.

La tabella sotto riportata illustra il coinvolgimento europeo nelle varie aree legislative. Emerge chiaramente che il governo inglese appare ancora molto legato alla regolamentazione delle materie che toccano da vicino i cittadini britannici come l'educazione, la salute e il welfare.

ampiamente citate e commentate dai media in cui sono resi noti i risultati del Eurobarometro e che sono molto utili a promuovere un dibattito pubblico europeo. Sin dalla sua istituzione l’Eurobarometro è stato uno strumento importante nelle mani delle istituzioni ma la sua importanza è notevolmente cresciuta a partire dagli anni ‘90 quando il pubblico è diventato più critico, più diversificato in senso socio economico e più partecipe su determinate questioni. R. MARINI Comunicare l’Europa. Campagne elettorali, informazione, comunicazione istituzionale. Ed.

Morlacchi 2004, pag.167

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Policy area Much involvement

Joint involvemet

Little-no involvement

Agricolture *

Fishing *

Trade *

Drugs *

Enviroment *

Regions *

Working Conditions *

Foreign Affair and Security

*

Education *

Health *

Housing *

Welfare *

*

Tabella tratta da DUNCAN WATTS COLIN PILKINGTON Britain in the European Union Today, 2005 pag.151

In un sondaggio condotto all'inizio del 2004 emerse che il 61% degli intervistati si

era espresso favorevole a una politica estera comune a livello europeo e il 72% si

dichiarava favorevole a una politica europea di difesa e sicurezza. Tali dati trovano

un consenso minore nel Regno Unito dove si esprimono favorevolmente soltanto il

39% per quanto riguarda la politica estera comune e il 52% per quanto riguarda la

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difesa e la sicurezza. Inoltre l'effettività delle azioni intraprese dall'Unione europea è influenzata da molteplici fattori; tra cui il tipo di leadership e la personalità dei presidenti in carica, la percezione degli Stati membri degli obiettivi desiderabili e la capacità degli Stati membri di tradurre in pratica le loro ambizioni. Molto spesso ciò che si decide a livello comunitario non è detto che sia la soluzione migliore per i singoli Stati le cui tradizioni e ambizioni possono essere in contrasto con le decisioni di Bruxelles. In questo capitolo ci occuperemo di alcuni tra i più importanti settori tra cui il mercato unico, la politica agricola, la politica sociale la pesca e l’ambiente;

mente nel capitolo successivo analizzeremo l'evoluzione di alcune politiche comunitarie e il loro impatto nella legislazione inglese.

4. Il Mercato Unico, l’armonizzazione e la protezione dei consumatori

Il Trattato di Roma, nella sua formulazione originaria, allude alla formazione di politiche comuni:

la politica agricola comune (articoli 38-47), la politica commerciale comune (articoli 110-116) e la politica comune dei trasporti (articoli 74-84). Inizialmente, si tratta di una forma di cooperazione circoscritta ad alcuni settori per arrivare nel giro di qualche decennio a parlare di una vera e propria politica comunitaria. Per alcune tematiche è prevista formalmente dal Trattato la possibilità di adottare una legislazione comunitaria mentre altre tematiche invece possono essere sottoposte alla legislazione comunitaria a seconda delle necessità, in base all'art.235 del Trattato.

16

Sin dal vertice di Parigi dell'ottobre 1972, il ricorso a tale articolo, ha permesso alla Comunità di sviluppare azioni nei settori della politica ambientale,

16 Come previsto all'articolo 235, secondo cui "quando un'azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato l'Assemblea, prende le disposizioni del caso".

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regionale, sociale e industriale. Sebbene l'obiettivo primario della Comunità fosse quello di creare un mercato libero dalle barriere doganali, man a mano che la Comunità e il mercato comune si evolvono, altre questioni divengono oggetto di regolamentazione tra cui la politica commerciale comunitaria, l'unione monetaria, la concorrenza e la politica sociale. Sebbene il Trattato di Roma avesse previsto la creazione di un "Mercato Comune" basato sulla libera circolazione di persone beni e capitali, all'inizio degli anni '80 una serie di barriere doganali erano state imposte per far fronte alla crisi petrolifera degli anni '70 dai governi nazionali e allo stesso tempo questi ultimi avevano preferito concentrarsi sulla promulgazione di una serie di provvedimenti riguardo alla sicurezza e alla protezione dei consumatori invece di dedicare energie al mercato comune. Al fine di rilanciare l'integrazione europea e portare al termine la realizzazione del mercato interno viene istituito Atto unico europeo (AUE) il cui obiettivo primario è procedere alla revisione dei trattati di Roma.

17

Il mercato interno è definito come uno "spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del presente Trattato". L'articolo 8A definisce chiaramente la finalità dell'Atto, che consiste nell'instaurazione progressiva del mercato interno nel corso di un periodo che scade il 31 dicembre 1992. Oltre alla revisione dei trattati di Roma, si procede a modificare le regole di funzionamento delle istituzioni europee, ampliando le competenze in particolare nel settore della ricerca e sviluppo, dell'ambiente e della politica estera comune. Nel settore della capacità monetaria, l'Atto, pur non consentendo l'attuazione di una politica nuova, introduce disposizioni specifiche che riguardano la convergenza delle politiche economiche e monetarie nazionali. Il Regno Unito si dimostra particolarmente zelante nell'adempiere alle misure richieste in vista del completamento del mercato unico. Lo scopo del programma è caldeggiato sia a livello europeo dai federalisti sia dai liberali in patria tra cui Margaret Thatcher. Sebbene in precedenza, la lady di

17 L'Atto unico europeo (AUE), firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 da nove Stati membri e il 28 febbraio 1986 dalla Danimarca, dall'Italia e dalla Grecia, costituisce la prima modifica sostanziale del Trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE). L'AUE è entrato in vigore il 1° luglio 1987.

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Ferro, si fosse schierata contro la maggior parte delle proposte avanzate nell'ambito della Comunità europea appare adesso particolarmente entusiasta riguardo al programma del 1992 che propugnava un'ampia liberalizzazione nei settori più svariati. Nel complesso il Regno Unito adotta, in tempo tutte le misure richieste apparendo tra gli stati più virtuosi insieme a Belgio, Danimarca, Finlandia, Spagna, Svezia e Olanda. Fin da subito il governo inglese ha enfatizzato il valore e l'importanza del mercato unico per le industrie inglesi. Attualmente il commercio con i paesi membri è pari al 58% del totale, mentre sette su dieci tra i paesi destinatari delle importazioni britanniche, si trova in Europa. Il grafico qua riportato mostra le differenze in termini di volume delle merci britanniche esportate ed importate nelle varie zone geografiche del globo.

Fonte: Open Europe based on the ONS Pink Book 2011

Sulla base dei dati eclatanti, più volte i ministri inglesi hanno affermato che una

buona parte dei profitti e della produzione britannica è collegata con l'appartenenza

all'Unione europea, di conseguenza anche milioni di posti di lavoro dipendono

dall'Europa. Gli euro-sostenitori, fanno leva sui dati appena analizzati per elencare

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la serie di benefici che l'Europa comporta mentre gli oppositori insistono che l'economia britannica potrebbe beneficiare ugualmente anche se non facesse parte dell'Unione europea. Tra le alternative che gli Euro scettici propongono:

• l'appartenenza all'EFTA i cui stati membri appartenendo anche all'Area Economica Europea godono di tutti i benefici che il mercato unico comporta senza subire particolari svantaggi.

• l'appartenenza alla NAFTA seguendo l'esempio dell'Islanda negli ultimi anni.

18

• la separazione da qualsiasi associazione o "going it alone" con la speranza che il liberismo economico -di cui il Regno Unito è da sempre portatore- possa attrarre gli investitori stranieri europei e non. L’armonizzazione e la protezione dei consumatori.

I consumatori perché possano trarre vantaggio dal mercato interno devono essere in grado di accedere facilmente ai beni e ai servizi promossi, offerti e venduti al di là delle frontiere. È il movimento transfrontaliero di beni e di servizi che permette ai consumatori di beneficiare di prodotti e servizi innovativi e di compiere le scelte più convenienti. Di conseguenza, la domanda transfrontaliera aumenta la pressione della concorrenza nel mercato interno e permette un'offerta di beni e di servizi più ̀ efficiente e a prezzi competitivi. Questo circolo virtuoso può essere ottenuto solo se il quadro regolamentare esistente incoraggia i consumatori e le imprese a praticare scambi transfrontalieri. Le differenze tra le normative nazionali sulle pratiche commerciali relative alle relazioni tra imprese e consumatori possono ostacolare quest'evoluzione, così sono state posti in atto una serie di regolamenti, da parte dell'UE volti a livellare le differenze normative tra i vari ordinamenti giuridici. Nel Regno Unito, sebbene sia opinione diffusa che i più amari contrasti tra gli euroscettici e gli Euro-sostenitori siano accresciuti con l'attuazione dei progetti

18

Il NAFTA è un accordo che venne pattuito tra USA, Canada e Messico per eliminare le dogane e le altre barriere interne allo scopo di facilitare il libero scambio tra i paesi del Nord America.

L. A. CLICK, Understanding the North American Free Trade Agreement. Legal and

business consequences of NAFTA,2010.

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riguardanti l'unione monetaria, di fatto, le maggiori problematiche si sono originate in seguito alla trasposizione delle direttive e dei principi riguardanti il Mercato Unico a partire dal 1993. I contrasti sono iniziati quando ogni Stato membro ha dovuto adeguare le proprie norme, con le norme europee a favore dei consumatori, su salute e sicurezza, per evitare che un prodotto che soddisfi tutti i criteri di uno Stato membro possa essere in contrasto con la legislazione di un altro paese e quindi non possa essere venuto. La politica europea a favore dei consumatori punta a tutelare gli interessi, la salute e la sicurezza dei consumatori, come enunciato nell’articolo 169 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Questa politica promuove il diritto all’informazione e all’educazione dei consumatori nonché il loro diritto all’organizzazione per la salvaguardia dei propri interessi. Sin dalla metà degli anni 1970, l'Unione ha iniziato ad armonizzare le norme nazionali per garantire agli europei lo stesso elevato livello di protezione in tutto il mercato unico. In un primo momento la soluzione fu individuata nella standardizzazione normativa sostituendo le diverse legislazioni nazionali con un set unitario di norme valide per l'intera Comunità. Nel corso degli anni, un approccio più realistico ha permesso che la standardizzazione sia stata sostituita dal riconoscimento reciproco delle diverse legislazioni. Questo significa che ciò che è prodotto in base alle regole di uno Stato membro, può essere automaticamente venduto in un altro facente parte dell'Unione europea. Gli interessi del consumatore possono essere raggruppati in cinque categorie di diritti fondamentali:

1) diritto alla protezione della salute e della sicurezza 2) diritto alla tutela degli interessi economici

3) diritto al risarcimento dei danni

4) diritto all'informazione e all'educazione

5) diritto alla rappresentanza (diritto di essere ascoltato)

La rappresentanza dei consumatori nei processi decisionali è garantita attraverso il

Consiglio Consultivo dei Consumatori, un comitato formato dalle associazioni dei

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consumatori dei vari Stati Membri e cinque comitati consultivi dell'Unione europea.

19

Un altro organo di estrema importanza è il CEN Comitato Europeo di Normalizzazione, il cui compito è quello di collaborare con i vari istituti nazionali e con le altre istituzioni europee, al fine di arrivare ad una standardizzazione in diversi settori. In accordo con la Direttiva europea 34/1998 EC, il CEN è l’unico ente riconosciuto ed autorizzato, dalle istituzioni europee, per la pianificazione scrittura, revisione e adozione delle norme che riguardano i livelli di standardizzazione comuni a tutto il territorio europeo.

20

Quando una delle norme viene emanata del CEN, questa viene recepita automaticamente dagli istituti di normazione tecnica nazionali. In questo modo, con una sola scrittura, viene redatta una regola valida per tutti gli stati membri.

Sebbene siano numerosi i regolamenti e le direttive emanati dalla Commissione, una grande parte della legislazione sulla protezione dei consumatori è tutt'ora di competenza dei governi nazionali.

21

La legislazione comunitaria è di tipo secondario, volta a sopperire alle lacune degli ordinamenti oltre che a garantire un livello minimo uniforme per la protezione dei consumatori. Così, nel caso del Regno Unito accanto alle direttive europee esistono una serie di regolamenti volti a fornire un quadro completo della tutela del consumatore, tra cui i principali sono: Sale of Goods Act del 1979, The Supply of Goods and Services Act del 1982 e Distance Selling Regulations del 2000.

19 European Bureau of Consumers' Organisations BEUC, the Confederation of Family Organisations in the EC (Coface), the EC Consumer Co-operatives (Eurocoop) the European Trade Union Confederation (ETUC) and the European Inter-regional Institute for Consumer Affairs (EIICA).

20 A seguito di una revisione della legislazione europea in materia, il nuovo corpus di leggi, che regolerà l’attività del Comitato Europeo di Normalizzazione, è entrato in vigore a partire dal 1 gennaio 2013. Queste nuove norme stabiliscono la nuova cornice istituzionale in cui il CEN, in collaborazione con i vari istituti nazionali, si potrà muovere nel corso degli anni futuri.

21 Nei casi in cui non esista normativa o giurisprudenza comunitaria, trova applicazione la regolamentazione nazionale degli Stati membri, che può̀ variare nella sostanza e nell'applicazione.

In ogni Stato membro esiste un complesso di norme relativamente ben sviluppato che mira specificamente alla tutela dei consumatori oppure che disciplina le transazioni commerciali tra imprese e consumatori. LIBRO VERDE Sulla tutela dei consumatori nell'Unione europea, 2001

(24)

5. L'efficiente sistema agricolo britannico e gli alti costi imposti dalla politica agricola comunitaria

L'impatto della politica agricola europea sulla legislazione inglese ha suscitato numerose controversie fin dal momento dell'applicazione. La politica agricola comune (PAC) è una delle politiche comunitarie di primaria importanza, impegnando circa il 40% del bilancio dell'Unione europea, diversamente da altre politiche in cui i governi nazionali godono di maggiori autonomie, viene gestita in maniera centralizzata a livello europeo.

22

Fin dall'adesione del Regno Unito all'Unione europea, la politica agricola è stata la spina nel fianco per i contribuenti britannici, che più volte hanno dichiarato di essere stati penalizzati rispetto ad altri cittadini europei che hanno goduto di maggiori benefici. I principi della politica agricola europea, sono stati stabiliti all'inizio degli anni '60, con l'obiettivo di migliorare la produttività dell'agricoltura, assicurare un tenore di vita equo alle popolazioni agricole, garantire la sicurezza degli approvvigionamenti ed assicurare prezzi ragionevoli per i consumatori. La PAC è in continuo sviluppo, prefiggendosi continuamente nuovi obiettivi di pari passo con l'evolversi del tempo. Nella sua concezione originaria ha assunto il difficile compito di rendere l'Europa autosufficiente in termini di produzione alimentare garantendo allo stesso tempo un buon livello delle condizioni di vita per coloro che sono coinvolti nella produzione agricola. Ottenendo un grande appoggio dal governo francese, la cui economia è fortemente agricola, la politica agricola ha mirato a garantire un prezzo minimo ai produttori senza porre alcun limite alla produzione. Il fatto che l'Unione europea abbia stabilito di acquistare i surplus produttivi ha indotto gli agricoltori francesi a produrre più del previsto, senza preoccuparsi delle quote invendute dal momento che Bruxelles avrebbe acquistato la merce prodotta in eccesso al prezzo di mercato.

Tutto questo ha comportato che due terzi del budget complessivo dell'Unione europea venisse destinato alla politica agricola, portando all'inizio degli anni '80

22 La PAC, ai sensi dell'articolo 39 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione europea, persegue i seguenti obiettivi: incrementare la produttività dell'agricoltura; assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola; stabilizzare i mercati; garantire la sicurezza degli approvvigionamenti;

assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori.

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quasi al collasso finanziario dell'intero sistema. Pertanto la Politica Agricola può essere considerata come un traguardo e un insuccesso allo stesso tempo. Dal 1973 l'Unione europea era diventata autosufficiente per la produzione di cereali, latticini, bovini, selvaggina e per quanto riguarda i prodotti ortofrutticoli; ma negli anni successivi la produzione aumentò causando perfino una maggiore sovrapproduzione. All'inizio degli anni '90 i paesi dell'Unione europea producevano il 20% in più dei cereali che avrebbero potuto consumare. I costi della politica europea aumentano esponenzialmente, dal momento che insieme ai costi della politica agricola si aggiungono adesso i costi per l'immagazzinamento delle quantità alimentari prodotte in esubero. Uno dei problemi è costituito dal fatto che l'intera politica agricola era stata concepita prima che il Regno Unito entrasse a far parte dell'Unione europea e quindi non si era tenuto conto delle reali necessità. Gli agricoltori britannici in numero assai inferiore a quelli francesi sono di fatto molto più efficienti, rendendo ancora più gravoso il fatto che i contribuenti britannici debbano pagare di tasca propria le inefficienze degli altri paesi. Basti ricordare che nel 1973 di fronte ad una percentuale del 2.9% impiegata nell'agricoltura il reddito prodotto nel settore agricolo era pari al 3% del reddito complessivo. Nello stesso anno, in Italia la popolazione attiva agricola era del 17% di quella totale mentre il reddito prodotto era soltanto l'11% di quello totale.

23

Inoltre il sistema degli aiuti all'agricoltura era realizzato nel Regno Unito e in parte dell'Irlanda attraverso la procedura del deficiency payment che prevede la copertura a carico dello Stato e quindi attraverso il sistema fiscale dell'eventuale disavanzo delle aziende agricole.

È solo con la prima guerra mondiale – e, quindi, sullo sfondo dell’emergenza dovuta alla impossibilità di importare derrate alimentari dalle colonie – che viene avviata una politica di sostegno dell’agricoltura britannica e lo Stato diventa protagonista all’interno del mondo agricolo. Con l’emanazione, nel 1917, del Corn Production Act inizia per l’agricoltura britannica una nuova politica agricola fondata sul sostegno dei prezzi. Una politica che, come è stato osservato, ha segnato l’inizio

23 Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro: Relazione su alcune conseguenze derivanti dall'adesione alla CEE del Regno Unito, della Danimarca e dell'Irlanda, Roma 1973, pag.14

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della della ''frenesia'' della produzione agricola.

24

Con l’istituzione dei County Agricultural Executive Committees, organismi in genere diretti dagli agricoltori stessi che avevano il potere di controllo e supervisione sui risultati del loro operato, si sperimenta per la prima volta un rapporto di collaborazione tra agricoltori – attraverso le loro associazioni di categoria – e governo nella implementazione a livello locale della politica agricola. Un' altra differenza sostanziale con i paesi continentali, risiede nel fatto che il Regno Unito può contare fin dagli inizi del '900 su una vasta rete di prodotti alimentari provenienti dalle colonie. Parallelamente all’apertura dei mercati agricoli si apre una nuova difficile fase per l’agricoltura europea, alcuni paesi come la Germania e la Francia rispondono subito con politiche protezionistiche nei confronti delle agricolture nazionali, mentre il Regno Unito mantiene il regime del libero mercato. I principali fattori che possono spiegare questa politica risiedono nella forza della flotta navale britannica, nella vastità della produzione alimentare delle colonie britanniche, nel liberismo economico e nell’eredità politica delle agitazioni che hanno condotto alla abolizione della Corn Law garantendo una maggiore liberalizzazione del settore agricolo.

25

Si tratta, tuttavia, di forze miranti a promuovere relazioni commerciali preferenziali con le colonie dell’impero britannico, di cui avrebbero beneficiato le aree industriali dell’Inghilterra, piuttosto che a proteggere la produzione alimentare interna di per sé. Si instaurano anche questioni legate ai gusti personali, di fatto gli agricoltori britannici possono produrre grandi quantità di farina ma in termini di gusto preferiscono le farine canadesi o importate da altre zone al di fuori della Unione europea, dovendo pagare alti dazi imposti dalla Unione europea. Appare evidente

24 Di fronte alla prospettiva di una nuova drammatica carenza di cibo, l’obiettivo del Corn Production Act era quello di aumentare la produzione interna di derrate alimentari, e i prezzi garantiti – accompagnati a livelli salariali garantiti per i lavoratori agricoli e al congelamento del valore della rendita –.

25 L’abolizione nel 1846 della Corn Law costituisce un evento epocale, ponendo sin dal Medio Evo forti restrizioni alle importazioni di derrate alimentari, aveva soprattutto protetto la cerealicoltura delle grandi proprietà̀ ed era espressione della forza e influenza politica dell’aristocrazia terriera. La sua abolizione – in seguito alle agitazioni urbane contro la continua crescita del prezzo del pane – è stata interpretata come una importante vittoria simbolica delle classi industriali e commerciali sugli interessi della proprietà̀ terriera.

(27)

che il sistema della politica agricola ideato all'inizio degli anni '60 non risponde più

alle esigenze economiche alla fine degli anni '80 pertanto il commissario per

l'agricoltura Ray MacSharry attua una serie di riforme con l'obiettivo di passare da

una politica volta a foraggiare una produzione senza limiti ad una politica che

incoraggia gli agricoltori a restringere la produzione a limitate quote. Come

conseguenza moltissimi agricoltori, ricevono aiuti finanziari per lasciare incolti i

loro terreni. Si stima che indicativamente 4-5 miliardi di sterline siano state pagate

dall'Unione europea a 30.000 proprietari terrieri inglesi per tenere incolto il proprio

terreno. Ulteriori progetti di riforma hanno iniziato a prendere campo in seguito

all'allargamento ad est di nuovi paesi facenti parte dell'Unione europea. Si è cercato

di mettere da parte le politiche volte al supporto economico della sovrapproduzione

per indirizzarsi verso programmi finalizzati all'erogazione di aiuti selettivi. L'ultima

fase dalla politica agricola recentemente inaugurata copre il settennio 2014-2020 è

caratterizzata da progetti eco sostenibili e il rafforzamento di strumenti per aiutare

gli agricoltori ad affrontare la volatilità dei mercati. Per molti anni la maggior parte

delle spese europee sono state indirizzate verso la politica agricola, il Regno Unito

ha elargito cospicue somme a favore di altri paesi europei meno efficienti, ricevendo

molto poco in cambio. L'agricoltura riveste un settore molto circoscritto, coprendo

soltanto l'0.8% dell'economia totale, dato in diminuzione dal 1973 in cui

l'agricoltura rivestiva invece il 2.9%. In aggiunta gli agricoltori britannici si sono

dimostrati particolarmente efficienti. Nel 2003 la contribuzione alla PAC pro-capite

nel Regno Unito è stata di circa 62£ per ogni uomo, donna e bambino britannico.

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6. Le riforme agricole e l’interesse crescente per l’ambiente: dallo sfruttamento estensivo dei terreni all'incoraggiamento dell'agricoltura Bio

Strettamente connesso al tema dell'agricoltura, il tema dell'ambiente ha assunto un'importanza crescente dagli anni '80 in poi. Nel corso degli ultimi trent'anni si è sviluppata una radicata consapevolezza tra politici e scienziati sul fatto che lo sviluppo intensivo dell'agricoltura abbia causato danni ambientali di notevole entità.

I costi esponenziali della politica agricola sono stati risaltati anche dagli svantaggi e i danni subiti in campo ambientale, in seguito ad uno sfruttamento estensivo dei terreni agricoli dovuti ad un politica europea che incoraggiava gli agricoltori a produrre più di quanto necessario; così una graduale pressione da parte della Comunità e Stati Membri, ha fatto sì che la politica agricola abbia spostato il proprio oggetto di interesse da questioni meramente economiche ad un ambito più ambientalista, incentivando l'agricoltura estensiva e sostenibile in base ai principi della green economy. In particolar modo la riforma che ha interessato la Politica Agricola del 1992 il cui obiettivo primario è stato quello di ridurre i costi e i sussidi concessi agli agricoltori in caso di surplus produttivi ha toccato innumerevoli tematiche legate all'ambiente. Tra le innovazioni apportate dalla riforma agricola del 1992, il Regolamento 2078/92 ha interessato un'ampia gamma di tentativi di riconciliare agricoltura e ambiente ottenendo ampi consensi dagli Stati Membri.

Molte sono state le iniziative per incentivare l'agricoltura biologica la protezione

dell'ambiente e il mantenimento delle pratiche tradizionali.

(29)

Atti legislativi emanati dalla UE che hanno avuto impatto diretto anche sulla agricoltura nel Regno Unito:

26

Year Enviromental policy developments directly affecting agriculture

1979 Directive 409/79 - Birds Directive

1980 Directive 778/80 - Drinking water Directive 1980 Directive 68/80 - Groundwater protection 1983 Third Enviromental Action Programme 1987 Single European Act

1987 Reform of the structural funds and introduction of 5b zones 1991 Directive 676/91 - Nitrates Directive

1992 Directive 43/92 - Habitats Directive 1992 Fifth Enviromental Action Programme

Fin dal Trattato di Roma, viene sancito l'impegno a migliorare la qualità della vita degli Stati Membri ma la possibilità concreta che i progetti si trasformino in azioni non avviene fino alla fine degli anni '60 con il primo programma annunciato nel 1973. All'inizio degli anni '80 si comprende che l'ambiente e in special modo l'inquinamento sono di grande rilevanza comunitaria, essendo tematiche che vanno al di là dei confini nazionali. Preoccupazioni che hanno innescato un programma legislativo intensivo, portando alla firma di ben 280 misure preventive in materia ambientale, 200 direttive e 4 programmi generali approvati tra il 1973 e il 1991 e due più recenti, uno del 1993 e l'altro del 2013. Nel 1987, la Commissione Mondiale sull'ambiente e lo sviluppo (WCED) sigla un documento in cui per la prima volta viene introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, conosciuto come ''Brundtland

26 A. LENSCHOW Enviromental Policy Integration: Sectoral Policies in Europe, 2002 pag 107

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