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Il contratto di affidamento fiduciario come possibile alternativa civilistica al trust

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

IL CONTRATTO DI AFFIDAMENTO FIDUCIARIO

COME POSSIBILE ALTERNATIVA CIVILISTICA

AL TRUST

Il Candidato

Il Relatore

Giulia Fadda Prof.ssa Valentina Calderai

(2)
(3)

1

INDICE:

ABSTRACT... 5

CAPITOLO 1: ... 7

IL TRUST IN ITALIA ... 7

1.1 La circolazione del modello giuridico del trust ... 8

1.1.1 La ratio ... 9

1.1.2 Gli ostacoli ... 12

1.2 La concezione del trust prima della ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento ... 17

1.3 La Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento ... 21

1.3.1 Le ragioni alla base della ratifica da parte dell’Italia ... 26

1.3.2 Le problematiche incontrate ... 28

1.3.2.1 La trascrivibilità del trust ... 28

1.3.2.2 Il trust interno ... 37

1.3.2.2.1 L’ambito di utilizzo ... 37

1.3.2.2.1.1 Il diritto della famiglia ... 37

1.3.2.2.1.2 Il diritto delle persone ... 39

1.3.2.2.1.3 Il diritto delle successioni ... 40

1.3.2.2.2 L’ammissibilità ... 47

1.4 Conclusioni ... 60

CAPITOLO 2: ... 63

IL TRUST E GLI ISTITUTI GIURIDICI ITALIANI

AFFINI ... 63

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2

2.1 Premessa ... 64

2.2 Il contratto a favore del terzo ... 65

2.3 Il contratto di mandato senza rappresentanza ... 69

2.4 Il fondo patrimoniale ... 74

2.4.1 L’origine ... 74

2.4.2 Il confronto con il trust ... 75

2.5 L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. ... 81

2.5.1 Il confronto tra l’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. e il trust...83

2.5.2 Il giusto collocamento dell’art. 2645-ter c.c. ... 97

2.6 Conclusioni... 99

CAPITOLO 3: ... 101

ALLA

RICERCA

DI

UNA

POSSIBILE

ALTERNATIVA

ALL’UTILIZZO

DEL

TRUST

INTERNO... 101

3.1 Premessa ... 102

3.2 I modelli ... 104

3.2.1 La fiducie francese ... 104

3.2.2 La distinzione tra trust e affidamento fiduciario compiuta dalla Repubblica di San Marino ... 108

3.2.2.1 Il trust ... 109

3.2.2.2 L’affidamento fiduciario ... 112

3.2.3 Il confronto tra i due modelli ... 115

3.3 Il contratto di fiducia ... 119

3.3.1 I profili critici della fiducie francese... 119

3.3.2 I tentativi italiani ... 121

(5)

3

3.3.2.2 La proposta di legge n. 4554 del 2011 e il disegno di legge

n. 1826 del 2015 ... 124

3.3.3 L’inadeguatezza del modello della fiducie ... 129

3.4 Il contratto di affidamento fiduciario ... 129

3.4.1 La nascita ... 130

3.4.2 L’uso del nuovo strumento contrattuale ... 138

3.4.2.1 La giurisprudenza e la prassi negoziale antecedente alla legge sul “Dopo di Noi” del 2016 ... 138

3.4.2.2 La legge 112 del 2016 sul “Dopo di Noi” ... 142

3.4.3 La disciplina ... 148

3.4.4 L’ambito di applicazione ... 155

3.4.5 La possibilità di utilizzo del nuovo strumento contrattuale come alternativa civilistica al trust ... 159

3.4.6 Gli aspetti problematici legati all’uso del contratto di affidamento fiduciario ... 160

3.5 Conclusioni ... 169

BIBLIOGRAFIA ... 175

GIURISPRUDENZA CITATA ... 183

DISPOSIZIONI LEGISLATIVE RICHIAMATE ... 189

(6)
(7)

5

ABSTRACT

Da tempo l’ordinamento italiano deve fare i conti con l’impiego sempre più frequente, anche da parte di cittadini italiani, di strumenti e soluzioni giuridiche derivanti da altri ordinamenti. Il trust, nato nell’ordinamento giuridico anglosassone, è l’esempio paradigmatico di questo fenomeno.

Lo scopo di questo elaborato consiste nel cercare un’alternativa all’utilizzo del trust interno in Italia, caratterizzato dal fatto che l’unico elemento straniero è rappresentato dalla legge regolatrice. La soluzione proposta riguarda il contratto di affidamento fiduciario, elaborato nella dottrina italiana da un grande Studioso, proprio come alternativa civilistica all’utilizzo del trust.

Nonostante tale strumento giuridico si presti ad essere utilizzato per il soddisfacimento di una molteplicità di interessi l’attenzione in questa tesi è rivolta all’impiego dello stesso in alcuni ambiti, caratterizzanti il diritto privato italiano, vale a dire, il diritto delle persone, il diritto della famiglia e il diritto successorio. Di conseguenza gli interessi coinvolti sono la cura e l’assistenza dei soggetti disabili, il soddisfacimento dei bisogni della famiglia e il rispetto della volontà del de cuius.

Nel primo capitolo di questa tesi viene dimostrata la problematicità dell’impiego del trust in Italia, legata essenzialmente alla possibile violazione di alcuni principi, costituenti la base giuridica dell’ordinamento italiano sia sotto il profilo della trascrivibilità sia sotto quello dell’ammissibilità dell’istituto. In tale sede è posta anche l’attenzione sullo strumento giuridico della Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, con dimostrazione che l’Italia, attraverso la legge di ratifica 364 del 1989,

(8)

6

non ha risolto tutti i problemi nascenti dall’utilizzo dell’istituto straniero.

Alla luce di tali difficoltà, nel secondo capitolo la possibile soluzione all’utilizzo del trust interno è cercata tra gli strumenti offerti dal c.c., facendo leva su alcuni possibili elementi di analogia col trust. L’attenta analisi della disciplina giuridica di ciascun istituto mostra tuttavia come nessuno di essi rappresenti una reale alternativa al trust. Inoltre in tale sede è dimostrata l’impossibilità di risolvere il problema con una soluzione elaborata in dottrina, ovvero il trust italiano, e basata sull’affermazione che in realtà nell’ordinamento italiano è possibile rinvenire una disciplina completa del trust.

Si giunge così nel terzo capitolo a proseguire il lavoro iniziato in dottrina nella costruzione di una possibile alternativa civilistica al trust; di conseguenza è ripreso il contratto di affidamento fiduciario, dopo aver dimostrato che non può essere rinvenuta tale alternativa nel contratto di fiducia modellato sulla fiducie francese.

Sono quindi presi in considerazione la giurisprudenza del giudice tutelare, la prassi negoziale e soprattutto la recente l. 112 del 2016 sul “Dopo di Noi”, che contiene il primo vero riconoscimento a livello legislativo del contratto di affidamento fiduciario e lo pone sullo stesso piano del trust.

Partendo da tale premessa è ricostruita la disciplina applicabile al nuovo strumento contrattuale, dimostrandone la maggiore efficienza rispetto al trust, derivante dal carattere autoctono dell’istituto e dalla sua duttilità. Quest’ultima caratteristica fino ad oggi poteva essere riscontrata soltanto nel trust e comporta la possibilità di utilizzo del nuovo strumento contrattuale per il soddisfacimento di molteplici interessi, anche ulteriori e diversi rispetto a quelli oggetto di analisi in questa tesi.

(9)

7

CAPITOLO 1:

IL TRUST IN ITALIA

SOMMARIO: 1.1 La circolazione del modello giuridico del trust – 1.1.1 La ratio – 1.1.2 Gli ostacoli – 1.2 La concezione del trust prima della ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento – 1.3 La Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento – 1.3.1 Le ragioni alla base della ratifica da parte dell’Italia – 1.3.2 Le problematiche incontrate – 1.3.2.1 La trascrivibilità del trust – 1.3.2.2 Il trust interno – 1.3.2.2.1 L’ambito di utilizzo – 1.3.2.2.1.1 Il diritto della famiglia - 1.3.2.2.1.2 Il diritto delle persone – 1.3.2.2.1.3 Il diritto delle successioni – 1.3.2.2.2 L’ammissibilità – 1.4 Conclusioni

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8

1.1 La circolazione del modello giuridico del trust

Il diritto è caratterizzato da un continuo divenire, legato al cambiamento delle esigenze sociali, che conducono a un mutamento di concezioni a livello giuridico.

È importante sottolineare che il cambiamento del diritto nell’epoca attuale non sempre è legato soltanto a dei fattori interni allo Stato, infatti la globalizzazione e l’internazionalizzazione dei mercati conducono sempre più gli Stati a guardare oltre i propri confini territoriali per ricercare risposte adatte alle nuove esigenze che si presentano.

E’ in questo frangente che si colloca il fenomeno della circolazione dei modelli giuridici, la quale fa sì che un “prodotto” giuridico non sia legato indissolubilmente allo Stato di origine; infatti è possibile che un altro ordinamento lo recepisca, laddove vi sia una corrispondenza tra le esigenze soddisfatte con tale strumento e quelle avvertite dall’ordinamento in questione. In questo modo avviene un cambiamento della norma giuridica, legato all’imitazione di un modello giuridico per imposizione o per prestigio. È da ricordare che una metamorfosi può avvenire anche per innovazione, ma in questo caso non è presente un precedente da imitare, per cui non siamo di fronte alla circolazione di un modello giuridico, creato in un altro Stato1.

1 R. Sacco, voce “Circolazione e mutazione dei modelli giuridici", in Digesto civile,

Volume. II, Utet, Torino, 1988, pp. 365 - 370.

L’autore tende a precisare che è raro avere un’innovazione dato che:

“…l’innovazione creativa è un fatto relativamente raro e insolito. In particolare, nessun codice civile può essere originale: il potere politico, o una commissione improvvisata, possono elaborare brevi formule, ma non possono ideare opere complesse, ricche di migliaia di articoli. Un codice è debitore dei propri contenuti, quanto meno, alla dottrina nazionale: più frequentemente, è debitore ad un altro

(11)

9 1.1.1 La ratio

La circolazione del modello giuridico del trust è avvenuta per prestigio, ovvero tale istituto ha esercitato, e esercita tutt’ora, una vis attrattiva verso Stati diversi da quello di origine; è quindi necessario rinvenire le ragioni alla base della diffusione dell’istituto di origine anglosassone, che hanno condotto molti ordinamenti – in particolare nella famiglia di civil law – alla cosiddetta “corsa al trust”, dopo la nascita della Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento2.

La distinzione tra Paesi di common law e quelli di civil law si è attenuata nel XIX Secolo, quando anche all’interno dei primi è avvenuta una sistematizzazione del diritto civile attraverso tre categorie, rappresentate dal diritto dei contratti, dagli illeciti civili e dalla proprietà. Nonostante tale sistematizzazione una differenza è rimasta: la presenza di uno sdoppiamento della proprietà nel trust3. Quest’ultima problematica verrà affrontata nel prosieguo della trattazione.

In dottrina si sono indagate le ragioni della circolazione di un determinato modello giuridico al di fuori del contesto in cui ha avuto origine; una delle ipotesi formulate è stata quella dell’efficienza4.

codice…Discorsi analoghi possono farsi per le costituzioni, per i modelli amministrativi, per le procedure, e così via”.

2 A. Gambaro, Il «Trust» in Italia e in Francia, in Scritti in onore di Rodolfo Sacco. La comparazione alle soglie del 3° millennio (a cura di P. Cendon), Tomo I,

Giuffré, Milano, 1994, pp. 497 – 501.

3 J. Gordley,«Common Law» v. «Civil Law» una distinzione che va scomparendo?,

in Scritti in onore di Rodolfo Sacco. La comparazione alle soglie del 3° millennio (a cura di P. Cendon), Tomo I, Giuffré, Milano, 1994, pp. 561 – 585.

4 Si tratta di un’applicazione del teorema di Coase, secondo il quale, laddove non

siano presenti dei costi transattivi, l’efficienza è raggiunta attraverso la contrattazione tra gli operatori economici, anche se sono presenti delle esternalità e al di là dell’allocazione inziale dei diritti. Conseguentemente, nel caso in cui siano

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10

Prima di procedere nella trattazione dell’efficienza è necessario riuscire a capire che cosa si intenda con tale espressione; è utile a tale proposito riprendere le parole utilizzate da un noto Studioso5 nel definire tale fenomeno:

“From the point of view of a given legal system efficient is whatever avoids waste; whatever makes the legal system work better by lowering transaction costs; whatever is considered better by the consumers in the legal marketplace; whatever, in other words, does not pointlessly fore close the development of a better organized human society; whatever legal arrangement “they” have that “we” wish to have because by having it they are better off”.

Nello specifico, esisterebbe un “market of legal culture”, dove è possibile rinvenire la soluzione più efficiente a un problema legale attraverso il confronto tra diverse opzioni. L’efficienza è misurabile in base ai costi transattivi6, ovvero una determinata soluzione giuridica

presenti dei costi transattivi, il ruolo dello Stato consiste nell’indicare l’allocazione iniziale dei diritti, di modo che sia possibile raggiungere l’efficienza attraverso lo strumento della contrattazione.

Per una ricostruzione dello studio compiuto dallo studioso: R. H. Coase, La natura

dell’impresa. Il problema del costo sociale, Asterios Editore, Trieste, 2001.

Si tratta di due saggi, con il primo (1937) lo studioso ha spiegato il motivo per il quale esistono le imprese – in particolare perché quest’ultime non producono tutto ciò di cui hanno bisogno autonomamente ma fanno riferimento al mercato per alcune operazioni –, mentre con il secondo (1960) ha esteso lo studio compiuto precedentemente all’ambito del diritto.

5 U. Mattei, Efficiency in Legal Transplants: an essay in Comparative Law and Economics, in 14 International Review of Law and Economics, 1994, pp. 3 – 19. 6 R. H. Coase, op. cit., p. 51: “Per condurre una transazione di mercato è necessario individuare chi è la persona con cui si desidera trattare, informare il pubblico che si desidera trattare e in quali termini, condurre le negoziazioni che portano all’accordo, stendere il contratto, intraprendere le indagini necessarie per essere sicuri che i termini del contratto sono stati rispettati, e così via. Queste

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11

sarà maggiormente efficiente rispetto a un’altra se comporterà costi transattivi minori.

L’elemento dell’efficienza, come possibile spiegazione della circolazione di un modello giuridico, è stato utilizzato anche per il trust7; infatti quest’ultimo è maggiormente efficiente nella soddisfazione di determinate esigenze, ovvero la limitazione del rischio, la costituzione di garanzie specifiche a favore di determinati creditori e la gestione professionale della ricchezza, rispetto ad altri istituti, offerti dai vari ordinamenti giuridici8.

Per quanto riguarda la limitazione del rischio, l’alternativa è rappresentata dalla costituzione di una nuova persona giuridica, che tuttavia avrebbe maggiori costi transattivi rispetto alla creazione di un trust, dato che necessita della presenza di un apparato organizzativo, volto alla gestione della stessa9.

Inoltre, nella maggior parte dei casi, tale esigenza si accompagna a quella della costituzione di garanzie specifiche a favore di determinati creditori, per il cui soddisfacimento il trust non presenta eguali. Mentre infatti secondo lo schema della fiducia romanistica, caratteristica degli ordinamenti di civil law, chi affida la gestione del proprio patrimonio a un fiduciario si trova nella posizione di mero

operazioni sono estremamente costose; in ogni caso, sufficientemente costose da impedire molte delle transazioni che sarebbero concluse in un mondo in cui il sistema dei prezzi funzionasse senza costi”.

7 U. Mattei, lc. cit. e voce “Circolazione dei modelli giuridici”, in Enciclopedia del diritto, Annali II, Giuffré, Milano, 2007, pp. 171 – 181; A. Gambaro, op. cit., pp.

513 – 520.

8 La ricostruzione dei motivi per cui il trust si dimostra maggiormente efficiente

rispetto agli altri strumenti giuridici, offerti dagli ordinamenti giuridici, è presente in: A. Gambaro, lc cit.

9 Naturalmente il trust risulterà maggiormente efficiente nelle operazioni

economiche, che necessitano semplicemente della creazione di un patrimonio separato e non anche della predisposizione di un complesso apparato organizzativo, che si occupi della gestione dello stesso.

(14)

12

creditore e subisce il concorso dei creditori di quest’ultimo, il trust offre ai beneficiari una tutela proprietaria, attraverso i rimedi offerti dalla giurisdizione di Equity10.

Infine, per far fronte all’esigenza della gestione professionale della ricchezza è stato utilizzato lo strumento del mandato come alternativa all’impiego del trust, ma comporta dei costi transattivi maggiori rispetto a quest’ultimo, legati all’esigenza di adattare l’operazione gestoria alla situazione che di volta in volta si presenta e all’impossibilità per il mandante di fornire istruzioni al mandatario, laddove siano richieste delle conoscenze specifiche per lo svolgimento del mandato. Sintomo di tale inefficienza è anche la presenza della fiducia romanistica come alternativa all’utilizzo del contratto di mandato. Invece, lo strumento di origine anglosassone si dimostra maggiormente efficiente perché si adatta alla soddisfazione di molteplici esigenze, diverse fra loro.

1.1.2 Gli ostacoli

Nel momento in cui un modello giuridico circola in Paesi diversi da quello di origine è possibile che si manifestino difficoltà, legate soprattutto alla presenza di attriti tra la costruzione dell’istituto

10 A. Gambaro, voce “Diritti reali (diritto internazionale e comparato)”, in Enciclopedia del diritto, Annali I, Giuffrè, Milano, 2007, pp. 473 – 492: “…colui che deve spogliarsi del possesso ha una certa riluttanza a farlo se è consapevole che nel fare ciò si spoglia della tutela proprietaria per divenire mero creditore dell’affidatario, esposto al concorso con tutti gli altri creditori del medesimo. L’istituto del trust evita tale dilemma, e quindi riduce di molto i costi transattivi rendendo possibili “affari” economici che altrimenti non verrebbero eseguiti, con non piccolo nocumento dell’efficienza generale del sistema…

Nei sistemi di common law, l’esistenza di una fiduciary relationship fa sorgere rimedi in equity che diversificano la posizione del beneficiary dalla posizione di tutti gli altri creditori del medesimo soggetto” (p. 490) .

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13

straniero e i principi giuridici alla base dell’ordinamento di accoglienza.

Il trust ha incontrato in generale nei Paesi di civil law l’ostacolo della concezione del diritto di proprietà, diverso da quello presente nei Paesi appartenenti alla famiglia di common law; infatti i primi basano la propria struttura proprietaria sull’unicità di tale diritto, mentre i secondi riconoscono con il trust la possibilità della presenza di uno sdoppiamento della proprietà.

È necessario compiere una breve disamina dell’evoluzione della law of property – in particolare della real property11 – nel mondo anglosassone per comprendere al meglio la ratio sottostante alla presenza di uno sdoppiamento della proprietà12.

In origine, la terra apparteneva al re che la concedeva come feudo a dei vassalli in cambio di servigi13; così facendo non avveniva un trasferimento immobiliare, ma soltanto l’attribuzione al tenant del potere di godere e utilizzare il fondo. Nel 1290 con lo Statute “Quia Emptores” avvenne il riconoscimento della possibilità di alienare liberamente il feudo da parte dei feudatari, purché non avvenissero ulteriori subinfeudazioni. In questo modo fu permesso a tali soggetti

11 E’ utile precisare che nel diritto anglosassone la law of property non è costituita

soltanto dalla real property, ma anche dalla personal property. In origine la distinzione tra tali due tipologie era legata alla diversa azione utilizzabile per la loro tutela, l’azione recuperatoria per la prima e l’azione risarcitoria per la seconda.

12 Per la ricostruzione dell’evoluzione della law of property e della nascita del trust,

avvenute nei Paesi di common law: S. Bartoli, Il trust, Giuffrè, Milano, 2001, pp. 27 – 52, 57 – 68.

13 I principali obblighi del tenant erano: homage, ovvero l’obbligo di riconoscimento

della supremazia del lord; fealty, ovvero l’obbligo di fedeltà; aids, ovvero l’obbligo di fornire aiuto e sostegno al lord; wardship, ovvero il lord assume la titolarità della potestà sul figlio minore del tenant deceduto; marriage, ovvero il lord ha il diritto di scegliere la sposa o lo sposo per l’erede minore del tenant deceduto.

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14

di essere titolari di un proprio estate, indipendente rispetto al lord e tutelato da azioni di natura recuperatoria14.

La struttura del rapporto tra lord e tenant impediva a quest’ultimo di disporre liberamente del fondo e di compiere un trasferimento mortis causa del proprio estate; inoltre non era possibile per alcuni soggetti possedere delle proprietà immobiliari15. La presenza di tali esigenze pratiche16 condusse alla diffusione dello use, antenato storico del trust, consistente nel trasferimento della titolarità del legal estate su una land da un soggetto (feoffor) a un altro (feoffee to use) per il godimento di un terzo (cestui que use); ciò comportò la nascita di attriti con le corti di common law dato che quest’ultime riconoscevano come unico proprietario il feofee to use. Di conseguenza il cestui que use era privo di tutela nel caso in cui quest’ultimo non rispettasse gli obblighi, legati alla funzione ricoperta.

La tutela della posizione del cestui que use fu costruita dalla giurisdizione di equity, che gli riconobbe un diritto di proprietà tutelato da rimedi di tipo recuperatorio, ovvero il tracing e il constructive trust. Il primo consente che i diritti del beneficiario si conservino quale che sia la composizione del trust fund, dato che quello che conta è la consistenza economica di quest’ultimo e non i singoli beni che ne fanno parte; in questo modo il beneficiario ha la possibilità di ottenere il ricongiungimento dei beni, che sono fuorusciti dal fondo a causa dell’atto di alienazione posto in essere dal trustee.

14 Le tipologie di azioni a disposizione sono: writ of right, con il quale avviene la

rivendica dell’estate contro chiunque ne neghi l’esistenza; assize of novel disseisin, che permette la tutela dell’estate in caso di spoglio; writ of entry, con il quale l’attore prova l’inferiorità del diritto del convenuto rispetto al proprio.

15 Tale divieto riguardava le persone fisiche appartenenti a ordini religiosi e le unincorporates bodies o associations, che erano enti privi di qualsiasi soggettività

giuridica e formati da collettività di persone dedite a una certa attività.

16 La descrizione di tali esigenze è rinvenibile in: V. Salvatore, Il trust. Profili di diritto internazionale e comparato, Cedam, Padova 1996, pp. 3 – 17.

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15

Invece, il constructive trust17 permette che la ricattura dei beni abbia effetto nei confronti del terzo avente causa dal trustee, laddove abbia acquistato a titolo gratuito oppure a titolo oneroso ma con mala fede18; infatti in questi casi viene considerato come se fosse il trustee 19. In seguito a quest’excursus è possibile capire il motivo della presenza di un doppio diritto di proprietà nel trust: un legal estate in capo al trustee e un equitable estate in capo al beneficiario, ovvero una proprietà formale per il primo e una proprietà sostanziale per il secondo. Quest’ultimo vede limitato il proprio potere di gestione dalla causa fiduciae, che permette la presenza degli obblighi di diligenza, in base alla qualificazione professionale del trustee, e dell’obbligo di rispettare la volontà del costituente20.

Una tale costruzione è sconosciuta ai Paesi appartenenti alla famiglia di civil law, dove è ritenuta possibile l’esistenza di un solo diritto di proprietà su uno stesso bene e inimmaginabile la frammentazione della titolarità di tale diritto tra più soggetti. Infatti, analizzando il caso in cui sia presente una comproprietà, non siamo di fronte a una pluralità di diritti di proprietà ma a una proprietà condivisa. Inoltre la presenza di tale concezione fornisce la spiegazione in relazione alla

17 È un trust costruito dall’equity al di là di quella che è la volontà dei soggetti

protagonisti dell’atto.

18 Se si tratta invece di un acquisto a titolo oneroso compiuto con la buona fede del

terzo i rimedi, offerti dalla giurisdizione di equity, non saranno utilizzabili; di conseguenza sarà possibile soltanto considerare il ricavato dell’atto di alienazione come facente parte del trust fund, con l’eventualità di richiedere il risarcimento del danno al trustee, laddove il corrispettivo richiesto al terzo acquirente non sia stato adeguato. Quindi in questo caso il terzo non subirà alcuna conseguenza.

19 A. Gambaro, voce “proprietà in diritto comparato”, in Digesto civile, Volume

XV, Utet, Torino, 1997, pp. 502 - 525 e Il diritto di proprietà, in Trattato di diritto

civile e commerciale, Giuffré, Milano, 1995, pp. 633 – 635. 20 A. Gambaro, Il diritto di proprietà, cit., pp. 632 – 633.

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16

modalità in cui è stato costruito in dottrina il negozio fiduciario21; tale tipologia di negozio è strutturata sulla titolarità del diritto di proprietà in capo al fiduciario e sulla presenza di un pactum fiduciae, contenente le obbligazioni di quest’ultimo e avente efficacia meramente interna. Tale dato differisce totalmente dalla posizione del beneficiario del trust, che può essere opposta ai terzi sia nel caso di acquisto a titolo oneroso (salvo buona fede del terzo) sia in quello di acquisto a titolo gratuito.

Con particolare riferimento all’Italia, oltre alla problematica dello sdoppiamento della proprietà contrario al principio dell’unicità di quest’ultimo e del numerus clausus dei diritti reali, sarà possibile osservare nel prosieguo della trattazione che la diffusione del trust – in particolare si fa riferimento al trust interno, ovvero quello in cui l’unico elemento di estraneità è la legge scelta per la sua regolazione – ha incontrato anche l’ostacolo della responsabilità generale del debitore ex art. 2740 c.c. e del sistema di pubblicità immobiliare costruito sulle ipotesi dell’art. 2643 c.c.

Da un punto di vista economico tali problematiche, sorte nella circolazione del modello giuridico del trust, costituiscono dei costi transattivi; risulta quindi necessario confrontarli con i vantaggi, che deriverebbero dall’eventuale introduzione dell’istituto giuridico di origine anglosassone nell’ordinamento, e immaginare quali conseguenze sarebbero presenti, nel caso in cui si decidesse di non permetterne l’ingresso.

21 A. Torrente e P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Giuffrè, Milano, 2015, p.

654: “Di negozio fiduciario, si parla quando un soggetto – detto fiduciante –

trasferisce (senza corrispettivo) o fa trasferire da un terzo (pagando lui il prezzo o mettendo a disposizione il denaro per farlo) ad un fiduciario la titolarità di un bene (immobile o, più spesso, mobile: azioni, quote di società a responsabilità limitata, altri valori mobiliari), ma con il patto (pactum fiduciae) che l’intestatario utilizzerà e disporrà del bene esclusivamente in conformità alle istruzioni che il fiduciante gli ha già impartito o si riserva di impartirgli successivamente”.

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17

Sicuramente non è possibile ignorare la grande diffusione del trust, le cui motivazioni sono state esposte precedentemente, e occorre riflettere sulle parole di un grande Studioso22:

“Tuttavia a fronte di questi «costi», di tipo giuridico formale sta l’alternativa che i circoli finanziari francesi hanno posto al patrio legislatore e che suona press’a poco così: se noi non abbiamo il trust e gli angloamericani sì e se inoltre i loro trusts possono essere riconosciuti e produrre effetti anche da noi, si creerà un incentivo a trasferire la gestione delle ricchezze francesi a Londra o a New York, ove esse possono essere gestite con strumenti più flessibili e snelli di quelli che noi possediamo: pertanto prima di ratificare la convenzione dell’Aia, occorre che anche la piazza di Parigi sia dotata della

possibilità di ricorrere alla figura del trust. Se così è, bisognerebbe essere consapevoli che qualunque ostilità dei giuristi verso le implicazioni della disciplina del trust è una battaglia perduta in partenza”.

Nel prosieguo della trattazione l’attenzione sarà concentrata sull’Italia per verificare se la scelta di introdurre il trust nel nostro ordinamento giuridico sia la più efficiente oppure se vi possa essere un’alternativa.

1.2 La concezione del trust prima della ratifica della

Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile

ai trusts e sul loro riconoscimento

Già nel periodo antecedente alla ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento,

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18

avvenuta con la l. 364 del 1989, i giudici italiani hanno affrontato dei casi riguardanti il trust.

In particolare, le situazioni presentantesi all’attenzione dei giudici hanno riguardato l’istituzione di un trust attraverso testamento con il compito per il trustee di vendere i beni ereditari e consegnare il ricavato al beneficiario o (in caso di pluralità) ai beneficiari. Questa particolare tipologia dell’istituto di origine anglosassone prende il nome di trust for sale. Nel trattare tali vicende processuali l’attenzione è stata concentrata su due tematiche: il rapporto dell’istituto di origine anglosassone con il divieto di sostituzione fedecommissaria e la collocazione del trust all’interno dei diritti reali.

Per quanto riguarda il primo problema la Corte di Cassazione di Roma23, nella prima sentenza sulla materia inerente al trust, ritenne erroneo sostenere la nullità dell’intero testamento, nel quale fosse presente una sostituzione fedecommissaria, dato che l’art. 900 c.c. del 1865, prevedeva l’invalidità soltanto della sostituzione stessa. Alcuni anni dopo la Corte di Cassazione di Napoli24 affermava l’impossibilità

23 Sentenza della Corte di Cassazione di Roma, 21 febbraio 1899, il cui testo è

rinvenibile in AA.VV., La giurisprudenza italiana sui trust. Dal 1899 al 2006, 2° edizione, Quaderni della rivista “Trusts e attività fiduciarie”, n. 2, Milano, 2006, pp. 418 – 419.

Il caso in esame riguardava un trust for sale, comprendente anche beni siti in Italia e contestato dal figlio del de cuius per violazione del divieto della sostituzione fedecommissaria. Quest’ultimo riteneva che i beni spettassero a lui in base alla successione ab intestato.

24 Sentenza Corte di Cassazione di Napoli, 29 marzo 1909, in AA. VV., op. cit., pp.

408 – 412.

La vicenda processuale riguardava il mancato pagamento di un legato riferentesi a una successione, nella quale attraverso testamento il de cuius istituiva un trust for

sale avente come beneficiaria la propria figlia e come trustees due italiani e due

inglesi. La questione verteva su chi dovesse far fronte a questo mancato pagamento, laddove i trustees italiani, che dovevano richiedere a quelli inglesi il denaro per far fronte agli eventuali legati, erano deceduti.

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di ricondurre il trust alla sostituzione fedecommissaria, dato che al trustee non è concesso il godimento dei beni facenti parte del trust, ma soltanto la loro amministrazione nell’interesse altrui, mentre l’istituito ha la facoltà di godere dei beni per un periodo determinato con l’onere di trasmetterli alla scadenza.

Con riferimento alla collocazione del trust nello scenario dei diritti reali, la Corte di Appello di Napoli25, in una decisione dei primi anni del secolo scorso, riconosceva il diritto di usufrutto per l’erede e beneficiaria del trust, costituito con i beni della de cuius, considerando il trustee un semplice amministratore dei beni con mandato di fiducia. Ma, successivamente, l’attenzione di alcune corti si è concentrata sull’attribuzione della proprietà all’interno del trust. Una sentenza del Tribunale di Oristano del 195626 sottolinea ad es. la possibilità di un contrasto tra alcuni principi dell’ordinamento italiano – il principio del numerus clausus dei diritti reali e quello dell’unicità del diritto di proprietà – e lo sdoppiamento della proprietà creantesi con il trust; ma al fine di porre un equilibrio tra tali principi e quello del rispetto della volontà del testatore, riconduce la titolarità del diritto di proprietà al beneficiario, scegliendo in questo modo la proprietà sostanziale piuttosto che quella formale, di cui è titolare il trustee nel mondo anglosassone. A dimostrazione della scelta compiuta il Tribunale enumera alcuni elementi che dimostrano l’impossibilità di ricondurre la proprietà al trustee: la temporaneità della situazione di

25 Sentenza della Corte d’Appello di Napoli, 22 aprile 1908, in AA.VV., op. cit., pp.

413 – 417.

Il caso è lo stesso della Corte di Cassazione di Napoli indicata nella nota precedente.

26 Sentenza del Tribunale di Oristano, 15 marzo 1956, in AA. VV., op. cit., pp. 399 –

407.

Il caso riguardava l’espropriazione di alcuni beni immobili, siti in Sardegna e facenti parte di un trust for sale; in particolare i figli del de cuius, beneficiari del trust, contrastavano l’esecuzione dell’espropriazione nei confronti della madre, amministratrice del trust stesso, ritenendo di essere loro i proprietari.

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appartenenza; la mancanza di un potere di disposizione dei beni come se fossero propri; l’impossibilità di avvantaggiarsi della posizione e di porre fine al trust prima del tempo prestabilito; l’intrasmissibilità dei beni per via ereditaria; la sostituibilità da parte del tribunale e il possesso delle stesse funzioni dell’esecutore testamentario.

L’orientamento specularmente opposto si ritrova alcuni anni dopo in una sentenza del Tribunale di Casale Monferrato27, che riconosce al trustee la titolarità del diritto di proprietà in quanto la situazione è riconducibile a un negozio fiduciario (in particolare a una fiducia cum amico).

A occuparsi della collocazione del trust non è stata soltanto la giurisprudenza, ma anche la dottrina che ha optato per l’area dei diritti reali, riconoscendo come titolare del diritto di proprietà il trustee. Questa costruzione era basata sul presupposto che, nel caso in cui si ha di fronte un istituto giuridico straniero, non bisogna prendere in considerazione la costruzione del diritto di proprietà compiuta all’interno dell’ordinamento italiano, ma la concezione generale presente nell’art. 22 delle disposizioni sulla legge in generale, oggi art. 51 l. 218 del 1995; infatti è possibile ricomprendere la figura giuridica nella categoria del diritto di proprietà laddove, attraverso l’analisi della sua regolamentazione, sia presente un duplice ordine di fattori: il diritto di trarre utilità da una cosa e l’opponibilità della pretesa del titolare del diritto erga omnes28. Tali caratteristiche secondo la dottrina del tempo erano presenti nell’istituto giuridico del trust.

27 Decreto del Tribunale di Casale Monferrato, 13 aprile 1984, in AA. VV., op. cit,

pp. 397 – 398.

La vicenda processuale riguardava la richiesta di un’autorizzazione per la vendita di alcuni beni immobili da parte del trustee di un trust for sale, avente come beneficiari soggetti minori di età.

28 R. Luzzato, voce “Proprietà (dir. internaz. priv.), in Enciclopedia del diritto,

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1.3 La Convenzione dell’Aja del 1985 sulla legge

applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento

La Convenzione dell’Aja del 198529 è nata dalla dialettica tra i Paesi di civil law e quelli di common law30, dove i primi consideravano il trust come elemento negativo, mentre i secondi volevano avere la possibilità di utilizzarlo anche in Paesi, dove non fosse conosciuto. La particolarità di tale strumento di diritto internazionale consiste nella sua auto – referenzialità31, ovvero è caratterizzato dalla presenza al suo interno della definizione dell’istituto regolato, e ciò lo differenzia dalle altre Convenzioni della Conferenza dell’Aja.

Tale definizione è presente nell’art. 2 e prevede che per trust si intenda qualsiasi rapporto giuridico dove il costituente, attraverso un atto inter vivos o mortis causa, ponga dei beni sotto il controllo del trustee, al fine del soddisfacimento delle esigenze di uno o più beneficiari oppure del raggiungimento di un determinato scopo. Inoltre, il fondo costituito in trust è separato dai beni personali del trustee e quest’ultimo ha il dovere di amministrare, gestire e disporre dei beni rispettando non solo le condizioni previste nell’atto istitutivo del trust, ma anche le disposizioni di legge.

Lo Stato che ratifica la Convenzione dell’Aja del 1985 si obbliga al riconoscimento dei trusts rientranti nella definizione appena esposta, che comporta alcuni effetti, descritti dall’art. 11. Le conseguenze minime, derivanti dal riconoscimento, consistono nella separazione patrimoniale dei beni costituenti il trust, nella legittimazione

29 Il testo della Convenzione è rinvenibile sul sito web www.gazzettaufficiale.it,

http://www.gazzettaufficiale.it/do/atto/serie_generale/caricaPdf?cdimg=089G04340 0200010110001&dgu=1989-11-08&art.dataPubblicazioneGazzetta=1989-11-08&art.codiceRedazionale=089G0434&art.num=1&art.tiposerie=SG (30 gennaio 2018).

30 M. Lupoi, Trusts, Giuffré, Milano, 1997, pp. 411 – 414. 31 M. Lupoi, op. cit., p. 418.

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processuale attiva e passiva per il trustee e nella possibilità per quest’ultimo di presentarsi nella sua qualità di fronte a un’autorità pubblica. Ma l’art. 11 non prevede soltanto tali effetti, dato che ne elenca ulteriori, che si verificano a condizione di essere previsti dalla legge scelta come regolatrice del trust32. Essi consistono nella segregazione dei beni, che evita la sottoposizione di quest’ultimi non solo al regime matrimoniale e alla successione mortis causa del trustee ma anche alle azioni da parte dei creditori personali di quest’ultimo, e nella possibilità per il beneficiario di esercitare un’azione di rivendicazione nel caso di confusione dei beni del fondo con quelli personali del trustee.

Come affermato in apertura di questo paragrafo, la Convenzione è frutto del dialogo tra Paesi appartenenti a tradizioni giuridiche diverse e ciò si ripercuote anche nella disciplina del riconoscimento, dato che quest’ultimo incontra dei limiti, predisposti dallo strumento stesso: il rispetto delle norme imperative (art. 15), delle norme ad applicazione necessaria (art. 16) e dell’ordine pubblico (art. 18). In questo modo il riconoscimento avverrà soltanto laddove gli effetti da esso derivanti non pongano in discussione l’assetto giuridico dello Stato.

Il trust delineato dalla Convenzione è stato polemicamente ribattezzato “amorfo” da uno Studioso, data la presenza di una definizione ampia e generica che non consente di individuare una tipologia particolare di trust, ma comprende al contrario una

32 Il criterio principe per la scelta della legge regolatrice è rappresentato dalla

volontà espressa del costituente in base all’art. 6 della stessa Convenzione; nel caso in cui tale scelta non avvenga oppure riguardi una legge che non prevede l’istituto del trust o quella particolare tipologia, è utilizzato il criterio dei più stretti legami, previsto dall’art. 7 e definito in base ad alcuni parametri, ovvero il luogo di amministrazione del trust, la situazione dei beni del trust, la residenza o sede degli affari del trustee, gli obiettivi del trust e i luoghi dove avverrà la loro realizzazione.

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molteplicità di istituti giuridici33. Tale figura si inserisce con una fisionomia sua propria tra i modelli giuridici di trust, accanto all’istituto del trust tradizionale e del trust internazionale, in ragione di alcune difformità rispetto a questi modelli.

Per quanto riguarda il trust “amorfo”, le differenze possono essere ricavate dalla definizione della Convenzione dell’Aja34. Innanzitutto, l’utilizzo della parola “controllo” in luogo di “trasferimento” è sintomo dell’atteggiamento di diffidenza dei Paesi appartenenti alla famiglia di civil law nei riguardi del trust. Infatti nel modello tradizionale inglese l’utilizzo della parola “trasferimento” permette di evitare che il settlor mantenga un rapporto duraturo con il trustee, mentre nel modello delineato dalla Convenzione dell’Aja con l’impiego dell’espressione “controllo” il disponente ha la possibilità di ritenere il diritto, consentendo al trustee il solo esercizio dello stesso. In questo modo non avviene il distacco tra il disponente e il trust, che costituisce invece un elemento fondamentale nello Stato di origine di tale istituto.

Inoltre, l’utilizzo in più occasioni della parola “beni” conduce a un’entificazione del trust, configurando quest’ultimi come oggetto dell’istituto giuridico e distaccandosi maggiormente dal modello tradizionale inglese, dove l’oggetto è costituito dal diritto del trustee. Infine la possibilità di costituire un trust di scopo, permessa dalla Convenzione dell’Aja, non è prevista nel modello tradizionale inglese.

33 M. Lupoi, op. cit, pp. 425 – 426: “Il termine «trust amorfo» è polemico ed è proprio per questa ragione che ne sostengo l’uso. Esso, nell’esuberanza dl significante rispetto al significato e nella intima contraddizione di postulare una figura giuridica senza forma, serve per mostrare che la Convenzione non riguarda né il trust del modello inglese né alcuna altra figura conosciuta, ma una serie aperta di fattispecie che appartengono agli ordinamenti di common law come a quelli di civil law”.

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Il modello del trust internazionale riguarda una trentina di Paesi35, che presentano regole unitarie per il disciplinamento del trust, ed è formato da alcune regole comuni al modello tradizionale inglese, ma soprattutto da quelle che lo differenziano da quest’ultimo. Le prime derivano dal consolidamento a livello legislativo diregulae nate nella giurisprudenza o nella legislazione inglese e ne sono un esempio la posizione giuridica del trustee e quella del beneficiario. Infatti, come accade nel modello tradizionale inglese, il trustee è titolare di un diritto, caratterizzato nella giurisdizione di equity dalla mancanza della pienezza, dovuta alla presenza di limitazioni, che riguardano le sue facoltà e l’esercizio del suo diritto ma non il contenuto di quest’ultimo; mentre il beneficiario è titolare di un’equitable estate dopo l’introduzione di strumenti di tutela per quest’ultimo da parte della giurisdizione di equity36 .

In riferimento alle caratteristiche differenziali è possibile indicarne una a titolo esemplificativo, che si ricollega anche al modello del trust “amorfo”, ovvero la disciplina della legge regolatrice del trust37.

Quest’ultima ricalca la struttura presente nella Convenzione dell’Aja e determinata dagli artt. 6, 7, 9 e 10; infatti è lasciata la libertà di scelta al disponente, con l’utilizzo solo in via residuale del criterio dei più stretti legami, ed è data la possibilità di disciplinare determinati aspetti del trust con un’altra legge oppure di modificare quella scelta.

La teoria sui modelli di trust, appena esposta, ha ricevuto diverse critiche sotto vari punti di vista. Innanzitutto, è stato posto in discussione l’utilizzo dell’aggettivo “amorfo” in riferimento al trust

35 I Paesi in questione sono: Anguilla, Antigua e Barbuda, Bahamas, Belize,

Bermuda, British Virgin Islands, Cayman Islands, Cipro, Cook Islands, Dominica, Gibilterra, Grenada, Guernsey, Hong Kong, Jersey, Labuan, Malta, Marshall Islands, Man, Mauritius, Montserrat, Nauru, Nevis, Sant Vincent and Grenadines, Seychelles, Vanuatu, Western Samoa.

36 M. Lupoi, op. cit., pp. 283 – 304. 37 M. Lupoi, op. cit., pp. 304 – 307.

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delineato dalla Convenzione dell’Aja del 1985, in quanto in realtà si tratterebbe del trust anglo – americano. La giustificazione di tale affermazione si basa su due rilievi. In primo luogo, l’art. 5 perderebbe di significato e verrebbe meno la struttura portante rappresentata dall’art. 1. Infatti, in base alla prima norma, esistono degli ordinamenti giuridici che non conoscono il trust, mentre la seconda prevede come scopo della Convenzione il riconoscimento dell’istituto anche in ordinamenti giuridici dove è sconosciuto38. Quindi tale critica sottolinea che se venisse accettata la definizione di trust “amorfo”, allora il risultato sarebbe la presenza di una categoria molto ampia, che non permetterebbe di riscontrare più la presenza di Paesi non conoscenti l’istituto giuridico del trust.

Inoltre, l’unitarietà delle regulae del modello del trust internazionale ha subito forti critiche, basate sulla frammentarietà, alla quale si potrebbe porre rimedio volgendo lo sguardo non alle regulae ma ai principia39. In questo modo risulterebbe possibile la costruzione di due modelli di trust, ovvero il trust con affidamento e il trust senza affidamento. Nel primo è presente il principio dell’affidamento, che conduce alla centralità della figura del trustee; saranno quindi presenti delle regole che riconoscono la pienezza proprietaria di quest’ultimo e conseguentemente avverrà un rafforzamento della tutela dei beneficiari. Ne è un esempio il diritto della Repubblica di San Marino, che prevede la nullità del trust in caso di simulazione e alcune

38 G. Broggini, Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, in Europa e diritto privato, n. 1, 1998, pp. 407 – 409.

39 A. Vicari, I principia e i modelli di trust, in Trusts ed attività fiduciarie, n. 1,

2009, pp. 5 – 8.

Secondo l’autore i principia non sono i principi, ovvero ricostruzioni analitiche concettuali di un insieme di regole con oggetto omogeneo, ma modelli risolventi le principali problematiche presenti nella società. Attraverso questi elementi è possibile dare una spiegazione alla creazione di regulae nuove e permettere l’interpretazione di quelle esistenti.

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sanzioni penali in caso di violazione degli obblighi gravanti sul trustee.

Invece nel trust senza affidamento è rintracciabile il principio dello svilimento, che comporta uno svuotamento della posizione del trustee e una riduzione della tutela dei beneficiari. Il diritto delle Isole Vergini Britanniche costituisce un esempio di tale tipologia di trust, dato che riconosce la possibilità al trustee di investire i beni oggetto del trust in partecipazioni, rimanendo passivo rispetto agli andamenti dell’investimento e alle sorti della società.

1.3.1 Le ragioni alla base della ratifica da parte dell’Italia

La ratifica dello strumento di diritto internazionale appena descritto è avvenuta da parte dell’Italia con la l. 364 del 1989 ed il disegno di legge40, da cui è scaturita quest’ultima, permette di capire i motivi, che hanno spinto il nostro legislatore a ratificare la Convenzione dell’Aja del 1985.

Il trust era utilizzato da soggetti, appartenenti a Stati che conoscevano tale istituto, in Paesi che invece ne erano all’oscuro; tra quest’ultimi era presente anche l’Italia, che fin dall’epoca passata era stata soggetta a forti flussi migratori. La Convenzione dell’Aja permetteva il riconoscimento di un trust in ordinamenti privi di tale istituto senza avere la finalità di inserirlo al loro interno. Inoltre, il nostro Paese, non ponendo ostacoli all’investimento di capitali esteri nel proprio territorio e all’utilizzo di beni siti in Italia da soggetti emigrati

40 Disegno di legge n. 1934 “Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1° luglio 1985,

presentato alla Camera dei Deputati il 24 novembre 1987. Tale documento è rinvenibile nel sito web

http://legislature.camera.it/_dati/leg10/lavori/schedela/trovaschedacamera.asp?pdl=1 934 (30 gennaio 2018).

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all’estero, sarebbe stato protagonista di un massiccio afflusso di ricchezza grazie all’adesione allo strumento di diritto internazionale. Nonostante l’impegno dei giudici italiani41, profuso al fine di poter

applicare la regolamentazione del trust anche nel nostro Paese, è innegabile che ciò non potesse essere abbastanza; era necessario un intervento del legislatore, che potesse garantire agli operatori esteri il riconoscimento del trust. A questo proposito la ratifica della Convenzione dell’Aja si presentava come la scelta migliore perché avrebbe permesso non solo di conoscere gli effetti del riconoscimento, ma anche di porre dei limiti a quest’ultimo42.

Oltre a tali profili, delineati da coloro che presentarono il disegno di legge, è possibile rinvenire un ulteriore fattore che ha giovato alla ratifica della Convenzione da parte del nostro Paese43. Come è stato possibile osservare in precedenza, sia la giurisprudenza sia la dottrina italiana hanno collocato il trust nell’ambito dei diritti reali. Questo inquadramento tuttavia comporta una visione parziale di tale istituto, data la compresenza al suo interno di elementi di natura reale e di natura obbligatoria. Infatti con la classificazione del trust come diritto reale si riduce l’analisi di quest’ultimo al rapporto intercorrente tra trustee e beneficiario, caratterizzato dall’effetto segregativo e dalla tutela reale del beneficiario, ma non quello tra il trustee e il disponente, costituito dalle obbligazioni riguardanti le modalità di

41 Vedi il paragrafo 1.2 di questo capitolo.

42 Disegno di legge 1934, cit.: “…le aperture pure lodevoli della nostra giurisprudenza non possono essere considerate sufficienti, perché occorre fornire agli operatori esteri quella certezza di riconoscimento che solo la legge può fornire. Appare a questo riguardo quanto mai opportuno che il riconoscimento degli effetti dei trusts e la fissazione dei limiti a tale riconoscimento avvengano in sede di ricezione di una convenzione internazionale offrendo così agli operatori esteri i benefici della accessibilità e della uniformità internazionali insieme a quello della certezza” (p. 2).

43 G. Contaldi, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, Giuffré, Milano,

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gestione e il pagamento di una rendita ai beneficiari e dalla responsabilità del trustee nel caso di violazione di tali obblighi. La ratifica della Convenzione dell’Aja del 1985 ha permesso di prendere in considerazione il trust sotto entrambi i punti di vista.

1.3.2 Le problematiche incontrate

Nonostante la ratifica dello strumento di diritto internazionale sono sorti alcuni problemi, legati sia all’interpretazione della Convenzione44 sia al rapporto tra il trust e alcuni principi dell’ordinamento giuridico. Nel prosieguo della trattazione l’attenzione sarà soffermata su quest’ultimi, che riguardano più da vicino l’Italia e che serviranno a suffragare l’esigenza di rintracciare un’alternativa all’utilizzo del trust nel nostro ordinamento.

L’eventualità di contrasti a livello dei principi del resto non deve stupire, se si considera la natura di compromesso tra Paesi appartenenti a famiglie diverse propria della Convenzione.

I possibili attriti tra il trust e l’ordinamento giuridico italiano sono essenzialmente riconducibili a due profili: la trascrivibilità dell’istituto di origine anglosassone e l’ammissibilità del trust interno; coloro che si sono dimostrati contrari hanno basato le proprie tesi sul richiamo di alcuni principi definiti di ordine pubblico.

1.3.2.1 La trascrivibilità del trust

Il sistema di trascrizione italiano svolge una funzione dichiarativa – l’unica eccezione è costituita dall’iscrizione d’ipoteca, dove la

44 Tra tali problemi legati all’interpretazione sono rinvenibili: la possibilità di

ricomprendere nell’ambito della Convenzione il trust auto – dichiarato, dove il

trustee e il disponente coincidono; il significato da attribuire alla parola “legge” e a

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pubblicità ha funzione costitutiva –, ovvero consente l’opponibilità ai terzi di una fattispecie giuridica, che si è già formata. Infatti nella struttura giuridica del nostro Paese è presente il principio consensualistico45, ossia il trasferimento o la costituzione di un diritto avviene già con il perfezionamento del negozio; in tale contesto la pubblicità permette l’opponibilità dello stesso al terzo, dato che quest’ultimo attraverso tale strumento ha la possibilità di conoscere i passaggi della circolazione della ricchezza immobiliare.

A differenza del c.c. del 1865, dove le norme sulla trascrizione erano state inserite nel libro III, riguardante le modalità di acquisto e modifica della proprietà e degli altri diritti sulle cose, il legislatore del 1942 ha collocato la trascrizione in apertura del libro VI, che riguarda la tutela dei diritti46. Nel sistema costruito in riferimento alla ricchezza immobiliare, è presente un’elencazione di atti soggetti a trascrizione nell’art. 2643, ampliabili grazie all’art. 2645, purché l’atto o provvedimento estraneo all’elenco produca “taluno degli effetti dei contratti menzionati nell’art. 2643, salvo che dalla legge risulti che la trascrizione non è richiesta o è richiesta a effetti diversi”.

Si è molto discusso nel secolo scorso su come interpretare il disposto dell’art. 2645, soprattutto sulla questione se l’allargamento riguardasse solamente la tipologia di atto, lasciando invariata la

45 Tale principio si trova espresso nell’art. 1376 c.c., che recita: “Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”.

46 Per i beni immobili e per i beni mobili registrati si è scelto lo strumento della

trascrizione per decretare la soluzione di un possibile conflitto tra più aventi diritto, mentre per i beni mobili non registrati e per i diritti personali di godimento si è preferito utilizzare altre metodologie; in particolare, per i primi prevale chi per primo acquisisce il possesso del bene in buona fede, mentre per i secondi chi ottiene materialmente per primo il godimento del bene in buona fede.

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situazione giuridica presa in considerazione, oppure se fosse possibile ricomprendere anche situazioni giuridiche diverse47. La dottrina e la

giurisprudenza prevalente hanno optato per un allargamento, non solo degli atti, ma anche delle situazioni giuridiche soggettive, dato che altrimenti non avrebbe avuto senso utilizzare nell’art. 2645 l’espressione “diritti immobiliari”. Tale allargamento doveva riguardare atti della pubblica autorità ma non diritti personali di godimento; infatti quest’ultimi erano ammessi solamente per quelli nominati all’interno dell’art. 264348.

Non fu quindi accolta la tesi che prevedeva un allargamento ristretto solamente alla tipologia di atti, lasciando invariate le situazioni giuridiche soggettive, basato sulla constatazione che le norme sulla trascrizione hanno un carattere eccezionale rispetto ai principi generali, dove l’elemento di riferimento è rappresentato dalla data dell’acquisto del diritto.

Nel momento in cui in Italia è entrata in vigore la Convenzione dell’Aja del 1985, grazie alla legge di ratifica 364 del 1989, sono sorte delle problematiche in riferimento all’art. 12, che prescrive:

“Il trustee che desidera registrare i beni mobili e immobili, o i documenti attinenti, avrà facoltà di richiedere l’iscrizione nella sua qualità di trustee o in qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust, a meno che ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma della legislazione dello Stato nel quale la registrazione deve aver luogo”

47 U. Natoli, La trascrizione. Estratto dal Libro VI tomo 1° del «Commentario del Codice Civile». 2° edizione riveduta ed aggiornata, Utet, Torino, 1970, pp. 107 –

122.

48 Ivi, p. 110: “La conclusione è, del resto, confermata dalla esplicita e limitata previsione di alcuni diritti personali di godimento nell’art. 2643 (nn. 8, 10, 11 e 12), che rende evidente la chiara volontà del legislatore di circoscrivere ai soli casi previsti la necessità della trascrizione per gli effetti di cui all’art. 2644”.

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I casi, affrontati dai giudici italiani, sono sorti per la riserva apposta dal conservatore del registro immobiliare, dopo la richiesta di trascrizione, presentata dal trustee; ne è scaturito un dibattito, che ha interessato sia la giurisprudenza sia la dottrina e che verte sulla possibilità della nascita di un conflitto tra la trascrizione del trust e il principio di tassatività delle ipotesi di trascrizione presente nel nostro ordinamento giuridico.

La tesi favorevole alla trascrizione49 – prevalente sia in dottrina sia in giurisprudenza – si basa sulla legge di ratifica della Convenzione, che si è limitata a rendere esecutivo lo strumento di diritto internazionale senza apportare modifiche o riserve.

Dai lavori preparatori della XV Conferenza, in particolare, si evince che il fine della Convenzione è appunto permettere l’operatività del trust anche nei Paesi che non conoscono l’istituto, resa opportuna da un mondo sempre più globalizzato e da un mercato aperto50. La

49 Per la giurisprudenza: decreto del Tribunale di Pisa del 22 dicembre 2001; decreto

del Tribunale di Milano dell’8 ottobre 2002; decreto del Tribunale di Verona dell’8 gennaio 2003; decreto del Tribunale di Parma del 21 ottobre 2003. Tali provvedimenti sono rinvenibili in AA. VV., op. cit., rispettivamente alle pagine: 330 – 334, 278 – 281, 257 – 259, 204 – 205.

Per la dottrina: A. Gambaro, Notarella in tema di trascrizione degli acquisti

immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, in Rivista di diritto civile, n. 2, 2002, pp. 257 – 266 e Un argomento a due gobbe in tema di trascrizioni del trustee in base alla XV Convenzione dell’Aja, in Rivista di diritto civile, n. 6,

2002, pp. 919 – 922.

50 A. Gambaro, op. cit., p. 259 – 260: “…la XV Convenzione dell’Aja è scaturita dalla dichiarata intenzione di uniformare le regole circa gli effetti dei trusts. L’idea base all’intero progetto…era la seguente: a) in tutti i sistemi di common law l’istituto del trust è ampiamente utilizzato nelle sue svariate forme; b) nell’attuale epoca di apertura dei mercati (non si parlava ancora di globalizzazione, ma il senso era quello) i trusts costituiti nei paesi di common law operano anche in altri paesi che non conoscono la figura del trust; c) il risultato che si verifica è analogo a quello che si verificherebbe se solo alcuni ordinamenti giuridici conoscessero le società di capitali e le persone giuridiche in generale, mentre altri non ne

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32

mancanza di trascrizione, secondo questa tesi, priverebbe la legge di ratifica di significato, dato che sarebbe posto un ostacolo alla finalità della Convenzione, che la legge di ratifica ha recepito interamente. E’ necessario quindi prendere in considerazione l’art. 12 della Convenzione dell’Aja, che permette la trascrizione, eccetto laddove sia incompatibile con l’ordinamento in cui deve avvenire oppure sia vietata da quest’ultimo. Non è possibile rinvenire nell’ordinamento italiano una disposizione o un principio che vietino la trascrivibilità del trust; e anche, laddove venga opposto il principio della tassatività degli atti trascrivibili, è possibile controbattere con alcune argomentazioni. In primo luogo, la tutela del terzo, assicurata dalla trascrizione attraverso la conoscibilità delle varie fasi della circolazione della ricchezza, costituisce un interesse generale e convergente rispetto a quello pubblico51. Inoltre il trust, essendo un istituto straniero, si colloca al di fuori delle regole generali sulla trascrizione, dato che queste si riferiscono agli atti che sono regolamentati dal diritto interno52; per cui è necessario ricostruire le

riconoscessero gli effetti, e non vi è chi non percepisca quanto un simile scenario sarebbe insoddisfacente; d) occorre dunque che anche i trusts possano operare in tutti i paesi membri della Conferenza senza alterare le proprie strutture e conseguendo i medesimi effetti giuridici che potrebbero conseguire in patria”. 51 Decrero del Tribunale di Pisa del 22 dicembre 2001, cit.: “…una volta riconosciuto l’istituto, la pubblicità – qualunque ne sia l’effetto – realizza prima di tutto un interesse dei terzi, generale e convergente con l’interesse pubblico” (p.

333).

Decreto del Tribunale di Parma del 21 ottobre 2003, cit.: “…la trascrizione del trust

soddisfa anche un’esigenza di trasparenza delle vicende giuridiche concernenti gli immobili” (p. 205).

52 Decreto del Tribunale di Verona dell’8 gennaio 2013, cit.: “…si deve partire dalla premessa che, trattandosi di un istituto estraneo al nostro ordinamento (che non lo disciplina) e utilizzabile in ambito nazionale solo grazie al «riconoscimento» per effetto della ratifica della Convenzione internazionale, la trascrizione di un atto del genere è per definizione al di fuori delle regole generali che disciplinano la

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33

sue caratteristiche, ricavabili dalla Convenzione dell’Aja, per riuscire a capire dove collocarlo nell’ambito della trascrizione. In base all’analisi di tali caratteristiche è presente una cristallizzazione dei beni, che fuoriescono dal patrimonio del disponente, ma non entrano in quello del trustee, che è soltanto titolare di poteri fiduciari. Quindi il trust non è assimilabile a nessuno degli atti previsti dagli artt. 2643 e 2645; ma l’art. 2647 può essere applicato in via analogica dato che l’istituto giuridico presenta delle similitudini con il fondo patrimoniale53.

Nonostante la prevalenza della tesi appena descritta, è necessaria anche un’analisi della tesi contraria alla trascrivibilità del trust54 dato

che non è presente un’unitarietà di vedute su tale argomento. Il punto di riferimento di tale ricostruzione è rappresentato dal principio di

trascrizione, che ovviamente fanno riferimento a contratti, atti o provvedimenti previsti e disciplinati dalla legge nazionale” (p. 258).

53 Decreto del Tribunale di Pisa del 22 dicembre 2001, cit.: “La fattispecie sostanziale del fondo patrimoniale, con la segregazione di alcuni beni e la successiva possibilità di aggiungerne altri in un vincolo di destinazione, senza necessità di trasferimenti, è estremamente affine a quella del trust; la sua disciplina pubblicitaria, sebbene meglio espressa senza le genericità di uno strumento multinazionale, è sostanzialmente corrispondente a quella dell’art. 12 Conv.: prevede soltanto la trascrizione indiscriminata, senza curarsi di precisarne le modalità” (p. 333).

Decreto del Tribunale di Milano del 8 ottobre 2002, cit.: “…il Trust appare

assimilabile al fondo patrimoniale (art. 167 c.c.) nel quale pure viene posto un limite – per il titolare formale di essi – alla disponibilità di determinati beni per il raggiungimento di uno scopo determinato: fronteggiare i bisogni familiari” (p.

280).

54 Per la giurisprudenza: decreto della Corte d’Appello di Napoli, 27 maggio 2004, il

cui testo è rinvenibile in Aa. Vv., op. cit., pp. 153 – 157.

Per la dottrina: F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista «

non vivente »su trust e trascrizione), in Rivista del notariato, n. 1, 2001, pp. 11 – 36

e Il cammello, il leone, il fanciullo e la trascrizione del trust, in Rivista del

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