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Inquadramento storico

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Academic year: 2021

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Inquadramento storico

2.1. Storia evolutiva della città di Pisa

2.1.1.La città preromana e romana

La ricerca archeologica nella piana pisana ha accertato la pre- senza dell’uomo già al paleolitico superiore. Il luogo si mostra- va particolarmente favorevole agli insediamenti umani: i fiumi, il mare, la palude, l’acquitrino, la foresta e la prateria assicu- ravano una grande varietà di risorse sia ai i primi cacciatori, raccoglitori e pescatori che lo frequentavano, sia ai loro suc- cessori che vi stabilirono dimora.

I primi insediamenti sorsero in prossimità della confluenza del- le foci dei fiumi Arnus e Auser (gli attuali Arno e Serchio), in una zona all’epoca lagunare che rappresentava il primo grande approdo fluviale dell’alto Tirreno. Tale sbocco costituiva uno dei maggiori sistemi idrografici della penisola italiana ed era quindi a capo delle nascenti principali vie di comunicazione del territorio.

Recenti ritrovamenti archeologici hanno finalmente permesso di conoscere la reale origine di Pisa come città etrusca, fino a pochi decenni fa confusa come città greca o ligure.

Rimane non precisata l’originaria morfologia geofisica della piana pisana a causa dei molteplici cambiamenti subiti, dovuti sia ai continui e ingenti apporti di materiali terrosi trasportati dai corsi d’acqua che facevano avanzare la linea di costa verso il mare, sia alle connesse modificazioni dei loro percorsi. Le

molteplici variazioni dei fiumi del pisano non sono esclusiva- mente dovute a cause naturali, anche l’uomo, per ragioni di bonifica, di utilizzo agrario e per sistemazioni portuali, ha con- tribuito alla loro mutazione. Certa è, infatti, la spiccata qualità dello scalo fluviale e marittimo della città già in epoca prero- mana, è quindi importante il ruolo che hanno rivestito le sue vie d’acqua per la storia di Pisa.

Nonostante varie necropoli di differenti epoche siano state ca- sualmente scoperte in tempi diversi all’interno e tutt’intorno la città attuale, a causa dell’indeterminatezza sia delle descrizioni dei reperti sia dei luoghi di rinvenimento, non è stato possibile identificare la topografia della città alle sue origini, delimitata dalla riva destra dell’Arno e da quella sinistra dell’Auser, sue naturali barriere di difesa.

La fine della potenza etrusca e la caratteristica di città di con- fine, avevano accresciuto la vulnerabilità di Pisa di fronte alla pressione dei Liguri, stanziati ai piedi delle Apuane. A causa di questo vicino nemico, violento e imprevedibile, Pisa affidò la propria sopravvivenza ad un alleato potente quale Roma, rinunciando così alla propria autonomia. Già dal 264 a.C., con l’inizio della guerra punica, Pisa si trovava ad essere la base navale più avanzata utilizzabile per le operazioni militari roma- ne, infatti proprio nei cantieri pisani viene messo a punto un modello di nave da guerra che si rivelerà vincente. Non essen- dovi notizie di una annessione formale da parte di Roma della città, l’inizio del periodo romano a Pisa può essere collocato nel 193 a.C. quando vi stanziò un esercito e una flotta perma-

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nente che sconfisse rapidamente l’offesa ligure. Lo scopo di Roma era duplice: difendere la città dalle incursioni nemiche e conservare l’ efficienza della base navale pisana, indispensabi- le per la guerra contro Cartagine. Gli avvenimenti militari, con le loro implicazioni sociali ed economiche, originarono com- plessi problemi di ordine urbanistico che definirono, forse in via già definitiva, le linee matrici di sviluppo della futura città.

A queste si collegava l’apertura alla fine del II secolo a.C. delle due strade di grande comunicazione: la via Fiorentina nel 155 a.C. e la via Emilia nel 109 a.C., entrambe determinanti per definire l’impianto urbanistico di Pisa ed il suo sviluppo econo- mico. Il porto pisano era in origine un porto fluviale, presumi- bilmente sull’Auser, mentre il porto marittimo, ubicato in loca- lità Stagno, entrò in funzione più tardi quando quello originale divenne meno adatto alle navi romane di maggior stazza. Tra il porto marittimo e il porto fluviale, venne realizzato un percor- so stradale creando così una specie di sistema infrastrutturale integrato, in un momento di intensi traffici mercantili e diffuse attività cantieristiche.

Agli inizi del I secolo a.C. il processo di inserimento di Pisa nello stato romano si andava concludendo con la concessione della cittadinanza romana nel 81 a.C., seguita dalla deduzione colo- niale fatta da Augusto fra il 41 e il 27 a.C. come Colonia Opse- quens Iulia Pisana. L’occupazione romana portò alla distruzio- ne delle vecchie necropoli etrusche e di gran parte della piana

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17 pisana. Quest’ultima fu divisa secondo una griglia quadrata

di centurie che sconvolse ogni precedente assetto delinean- do un nuovo paesaggio agrario. La carente documentazione topografica dell’epoca romana impedisce la ricostruzione del tracciato della cerchia di mura esistenti all’inizio dell’età augu- stea, là dove mancavano le difese naturali. Siamo in possesso solo alcune carte riassuntive di tutto il periodo di occupazione romana che configurano Pisa come una città priva di sviluppo per lunghi periodi di tempo. Si tratta perlopiù di ricostruzioni fantasiose della città, derivanti da un falso cartografico che ha fuorviato per lungo tempo gli studi sulla città romana: la cosi- detta Pianta di Bonanno, elaborata da un antiquario all’inizio del 17701.

2.1.2. La città altomedievale

Fino al IV secolo d.C., grazie alla fortuna della sua base nava- le, Pisa era ancora una città sostanzialmente intatta rispetto ad una situazione di generale e irreversibile deterioramento diffuso in Toscana e nel Lazio. Testimone di questo processo involutivo è il poeta romano Rutilio Namaziano che, durante il suo viaggio da Roma verso la Gallia, descrive le città costiere un tempo floride come sconsolate, assediate dalla palude e abbandonate dagli abitanti. Nel volgere di pochi anni anche a Pisa toccò la stessa sorte: gli edifici civili, i templi e le struttu- re urbane andarono in rovina, e alla magnificenza della città romana si sostituì un fitto agglomerato di costruzioni strette e addossate una all’altra. Il nuovo nucleo, più piccolo e angu- sto rispetto al precedente, fu circondato da una cinta muraria che costituiva il maggiore elemento di difesa della nuova città altomedievale, probabilmente eretta in occasione delle inva- sioni barbariche del VI-VII secolo. L’immagine che Pisa offriva in detto periodo era quella di una città sviluppata in altezza, formata da un blocco addensato di edifici che si spingevano fino a cinque e sei piani, affiancati a schiera lungo le strade e in vicoli privi di piazze, rendendo la casa-torre il suo carattere edilizio tipico.

Numerosi toponimi descrivono il territorio di Pisa altomedie- vale: Foriporta indica il territorio posto a est di Borgo Stretto, raggiungibile uscendo da una porta della città; Ponte era deno- minata la parte settentrionale della città delimitata dall’Auser alla quale si arrivava attraversando un ponte; Catallo, termine di probabile origine bizantina, indicava l’area a occidente di Ponte, all’ esterno della città; Rivolta identificava il territorio a sud di Ponte, dal quale si estendevano più a sud, nell’ordine, le zone di Segio e di Orto; a nord della Rivolta si estendeva la zona del Parlascio che deve il suo nome ad un termine bi- zantino che indica terme romane; a ovest si estendeva Civitas costituita dalla vecchia città romana2.

In questo periodo, dalla caduta dell’Impero Romano fino al X secolo d.C. , la storia di Pisa è difficilmente ricostruibile se non per le invasioni barbariche, il calo demografico, le pestilenze, e le carestie che la città ha subito. Tuttavia il porto continuava a funzionare, ma restano modesti indizi di traffico marittimo e fluviale. Terminata questa fase Pisa si ricostituirà come impor- tante centro mercantile e rapidamente tornerà ad essere ca- pace di organizzare una flotta che, con quella genovese, andrà ad annientare l’egemonia saracena nel mar Tirreno.

2.1.3. Nuovo sviluppo della città

Dopo l’ XI secolo la città tornò ad espandersi scavalcando le mura altomedievali che però continuarono a condizionare il successivo impianto urbanistico. A causa dell’avanzamento di nuove realtà abitative le mura andarono perdendo gran parte della loro funzionalità, tuttavia nei secoli intercorsi fra la loro costruzione e quella della cinta più recente, la situazione del- le difese urbane non rimase immutata. Infatti, per il periodo antecedente alla realizzazione delle nuove mura del 1155, esi- stono testimonianze di baluardi di fortificazione costruiti al di fuori della cinta altomedievale in posizioni strategiche per la definizione del nuovo perimetro.

II maggiore sviluppo edilizio all’ esterno della città si ebbe nella zona di Foriporta, dove già in età tardoromana si trovavano Figura 2.1

La Pianura tra Arno e Fosso Reale nel XVIII secolo - 1599. In questa tavola i successivi avanzamenti del mare Tirreno sono nettamente evidenziati dalle lame, depressioni del territorio, parallele alla attuale linea di riva Figura 2.2 Pianta di Bonanno,

acquaforte, ricostruzione completamente arbitraria di Pisa Altomedievale, che per quasi due secoli ha fuorviato la ricerca sulla storia urbanistica della città. In alto sono presenti 30 rimandi toponomastici

Figura 2.3 Ricostruzione ipotetica di Pisa nel V secolo d.C. Le zone d’acqua sono state evidenziate per mostrare come mai Pisa fosse una città marittima

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aree urbanizzate che dovettero essere spianate per le ne- cessità difensive del muro altomedioevale. Quando soprav- vennero nuove esigenze di spazi edificabili il muro venne demolito e con le sue macerie si ricostruì un nuovo abitato secondo un sistema ordinato di vie. Il fattore urbanistico più rilevante del nuovo assetto di Pisa è però la costruzione al di là dell’ Arno, sulla riva sinistra del fiume, di una nuova ed autonoma espansione urbana chiamata Chinzica. A differen- za delle estensioni urbane che si andarono affiancando alla civitas oltre le mura altomedievali, l’abitato d’ oltrarno ha le caratteristiche di una città satellite dotata di un proprio nome, di una propria configurazione amministrativa e della propria chiesa monumentale, San Paolo a Ripa d’Arno. II pro- getto di Chinzica riprendeva quello delle urbes mercatorum, destinava l’area a funzioni commerciali e, sfruttando la sua posizione strategica vicina al porto e alle maggiori correnti di traffico della Toscana centro-settentrionale, rendeva Pisa una potenza mercantile e nuovo polo di importanza centrale per il Mediterraneo. Le prime notizie di un ponte di collegamen- to tra le la nuova area di Mezzogiorno e quella di Tramontana risalgono al 1092, tale ponte a partire dal 1182 sarà denomi- nato Ponte Vecchio. Le varie espansioni che hanno trasfor- mato la cittadella altomedievale in una grande città non sono avvenute per semplice aggregazione, bensì manifestano il disegno di un preciso piano urbanistico di larga previsione.

La nuova città ha una forma quadrangolare impiantata sia lungo le vie parallele all’Arno, sia sull’asse cardine nord-sud costituito dalla via del Borgo e dall’ attuale Corso Italia, allora via San Gilio. L’eccezionale espansione di Pisa si rivelava nel taglio razionale del progetto ed anche nella sua scala, dato che la nuova città risultò più di cinque volte maggiore della precedente raggiungendo un’area di 185 ettari.

Il rapido ingrandimento della città si spiega da una parte con l’aumento della natalità, con il miglioramento dell’alimen- tazione e delle condizioni igieniche, con il prolungamento dell’età media e con l’inurbarsi della popolazione che abban- donava le campagne, tutti fattori che caratterizzavano l’Eu- ropa del X secolo; dall’altra con il suo nuovo ruolo strategico

di cerniera fra i mercati d’Oriente e d’Occidente, formatosi a seguito di vittoriose spedizioni navali nelle città marinare italiane.

A questo sviluppo segue il progresso dell’edilizia, dilagato nel X e nell’ XI secolo oltre il muro altomedioevale. L’incremento della popolazione proseguiva a ritmo sostenuto: all’aumento della natalità si affiancava sia l’afflusso della manodopera at- tirata dalle crescenti occasioni di lavoro, sia quello delle cor- porazioni feudali del contado che si inurbavano e costruivano le loro torri a ridosso delle mura altomedioevali. Da un’esigua cifra di 15 mila abitanti nella Pisa del Medioevo si arrivò a 50 mila cittadini pisani agli inizi del 1300, fino ad un massimo as- soluto subito prima dello scoppio della Peste Nera del 13473. Il ruolo di spicco della città, le condizioni favorevoli della sua economia, la sua espansione demografica ed edilizia portaro- no al nuovo tracciato murario, scelto in funzione d’un piano urbanistico e non esclusivamente difensivo.

I lavori di costruzione furono presto interrotti per il timore che Federico Barbarossa, imperatore del Sacro Romano Im- pero, arrivasse a Pisa. Vennero allestite, quindi, nuove difese, in legno affinché potessero essere immediatamente utilizza- bili, e subito dopo si ripresero i lavori di costruzione delle mura; mossi dal solito timore lavorarono a ritmi accelerati e utilizzarono materiali diversi. le nuove mura vennero rea- lizzate a lotti sviluppati linearmente, in modo da offrir subito una difesa anche se modesta. Per tutto il secolo XIV si conti- nuò a lavorare a queste mura e nei secoli successivi a forti- ficarle in vario modo con torri, bastioni, terrapieni, aprendo e chiudendo porte, e realizzando antiporti in corrispondenza delle porte sulle strade di accesso alla città.

La nuova Pisa era definita da quattro quartieri quali Ponte, Mezzo, Foriporta e Chinzica, divenuti la base territoriale am- ministrativa della città, attorno ad essi si muovevano gli inte- ressi politici ed economici, tanto da nominare ognuno gli Uf- fici Collegiali, i Consigli e le Società del Popolo. II quartiere di Mezzo si estendeva dalle mura di settentrione all’Arno e com- prendeva i territori di Rivolta, Segio, Supracastello e Civitate Vetera; Ponte era il quartiere più occidentale, comprendeva

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19 parte di Catallo e si estendeva fino all’Arno; Foriporta occu-

pava la zona orientale comprendendo, oltre alla Foriporta al- tomedioevale, Suarta, Spina Alba e Calcesana; il quartiere di Chinzica era situato sull’altra riva e più si differenziava dal re- sto della città. Una quinta addizione murata fu realizzata sulla metà del XIII secolo con la costruzione del quadrilatero della Tersana, accostato al tratto terminale delle mura di ponente.

Un aspetto interessante della nuova dimensione urbana è dato dal formarsi di larghi tessuti residenziali nelle nuove aree e specialmente in Foriporta e in Chinzica. I pisani del Due e Trecento aspiravano a comodità prima sconosciute costruen- do case più ampie e più comode rispetto a quelle del vecchio centro urbano stipato di torri e di case-torri, creando giardini e piantando frutteti negli orti dietro le loro case. Vennero aperte grandi strade, altre vennero allargate, addirizzate e lungo di esse sorsero schiere di case costruite secondo la tradizionale struttura della casa-torre, ma accorpate tra loro. Furono realiz- zati molti lavori di ingrandimento di palazzi nonché di piazze, e ne vennero create di nuove. Gradualmente si affermava la ten- denza a ingentilire le forme dei fabbricati con l’introduzione di materiali marmorei e di manufatti laterizi decorativi. Con il compimento della demolizione delle mura altomedievali il fiu- me con le sue rive entra a far parte della città diventando ele- mento fondamentale del contesto urbano. Le sponde del fiu- me mutano radicalmente nella funzione e nell’aspetto, l’alveo viene disciplinato e riorganizzato entro arginature, in modo da lasciare un percorso laterale per parte. Se prima le facciate dei fabbricati guardavano le strade interne, ora schiere ininterrot- te di case si affacciano sui Lungarni, le due nuove grandi arte- rie, che corrono da un capo all’altro della città, lungo le quali vennero costruiti due nuovi ponti. Le grandi estensioni della riva vennero in parte sottratte alla coltivazione e alle funzioni industriali per lasciare spazio a scali mercantili, lavatoi e logge.

Rimase inalterato il centro della vita artigiana e commerciale della città, che restò ancora a lungo nel vecchio nucleo alto- medioevale, così come il centro amministrativo e politico della città, costituito dal palazzo del Comune, dal palazzo del Popolo e da quello delle Curie. Sul lungarno si stabilirono invece fittis- sime botteghe e logge aperte al pianterreno delle case-torri, e le strutture principali di approvvigionamento e di distribu- zione alimentare cittadina. I ponti furono luoghi di attività ar- tigiane diverse: botteghe di guantai e di borsai sono ricordate sul Pontevecchio, come le botteghe di spadai sul Pontenovo.

Non ebbero invece botteghe né il Ponte di Spina né il Ponte a Mare, che erano invece fortificati. La toponomastica cittadina4 Figura 2.4

Toponimi urbani in uso nei secoli XII-XIV, tra parentesi sono indicati i toponimi più recenti (Tolaini, 1992)

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rispecchiava particolari concentrazioni di attività in determi- nate zone urbane, comprendendo denominazioni, oggi per la maggior parte scomparse, come piazza delle Biade, chiasso dei Cappellai, chiasso dei Caciaioli, chiasso dei Cuoiai, Fabbriche Maggiori, via dei Forni, via Notari, canto degli Orafi, piazza del Pane, pietra del Pesce, embolo dei Pellicciai, Taberna, via Le tiratoie, Barattularia, carraia dei Bottai, campo del Canapaio, via La tinta, Borgo delle Campane. Grazie ai nuovi spazi che si andavano creando vi fu una scissione tra il luogo di lavo- ro e il luogo destinato all’abitazione: come accennato sopra gran parte delle botteghe rimase nel vecchio centro, mentre le abitazioni si spostarono nei nuovi quartieri dove potevano go- dere di piccoli terreni sufficienti a integrare il sostentamento alimentare familiare.

Con il trascorrere del tempo diverse attività mercantili e arti- giane si collocarono nelle nuove zone urbanizzate, ad esempio il mercato degli ortaggi trasferito in Foriporta, mentre altre at- tività particolari furono trasferite direttamente fuori dalla cit- tà, ad esempio nella zona della Tersana. In tale zona di fatto ai primi del XIII secolo emerse la necessità di raccogliere in un unico spazio protetto esterno alla città le attività cantieristiche pubbliche e private della Repubblica; i lavori per la sua costru- zione furono condotti in contemporanea al completamento degli ultimi strati delle mura urbane, dato l’uso dei medesi- mi materiali sia nella parte inferiore della cortina dell’Arsenale della Tersana che nella fascia più alta del muro urbano. La sua posizione, le sue mura e le sue torri ne fecero un vero e pro- prio castello a difesa della città dalla parte del mare; al tempo del suo maggiore sviluppo l’Arsenale conteneva ottanta porti- cati per le galere e molte botteghe artigiane. Seppur destina- to ai bisogni mercantili e militari della città, lavorava anche su commesse esterne, infatti di frequente mercanti d’altri paesi operavano su navi fabbricate a Pisa5. L’Arsenale custodiva tut- to ciò che formava il corredo d’una nave, come ancore, remi, vele, costruiti con materiali di vicina provenienza: il legname era fornito dai boschi della Maremma e della Garfagnana, la canapa per le vele e le funi proveniva dalle coltivazioni della piana pisana, il ferro dall’Elba. Negli ultimi tempi d’indipen-

denza della Repubblica l’Arsenale vide accentuata la sua fun- zione difensiva in collegamento al recente Ponte a Mare e alla torre di Stampace, fino a divenire trasformato in cittadella.

2.1.4. Prima dominazione fiorentina

Nel 1405 i fiorentini si impadronirono della città e vi esercita- rono il loro dominio fino all’annessione del Granducato di To- scana al Regno d’Italia, salvo un breve periodo di riconquistata libertà dal 1494 al 1509. Nonostante la potenza di Firenze, la conquista fu lunga, dura e sanguinosa: i fiorentini, aiutati dai francesi, sottoposero la città ad un prolungato e continuo as- sedio finché nel 1509, a seguito di sanguinose battaglie, la cit- tà di Pisa cadde definitivamente sotto il suo dominio. Iniziava quindi una nuova fase storica della città, e che stremata, deci- mata, ammalata, perdeva ora anche l’indipendenza, diventan- do secondaria a Firenze.

Nei quattro secoli di dominazione fiorentina le raffigurazioni di Pisa presentano una città di impianto pressoché immobile, di disegno urbano immutato, con ancora spazi non edificati in- tatti dentro e fuori le mura. Le raffigurazioni dell’Arno testimo- niano il suo drastico cambiamento di ruolo: da una concreta funzione di canale per i navigli, il fiume diventa luogo effimero, un parco fluviale cosparso di baldacchini parasole.

I fiorentini si concentrarono per lo più sul sistema difensivo di Pisa: dopo la conquista fortificarono immediatamente la parte verso il mare, poiché più esposta alle ostilità dei genovesi e dei francesi che controllavano il Porto Pisano, rinforzando il siste- ma difensivo già esistente fra la Cittadella e la torre di Stam- pace. Realizzarono un vasto piano di demolizioni sulle aree contigue alle fortificazioni, sia per avere un terreno sgombro a ridosso di esse, sia per procurarsi materiale da costruzione;

furono pertanto spianate grandi zone abitate all’interno e all’

esterno delle mura, rimaste poi disabitate per secoli. La distru- zione colpì gli edifici fra la Porta a Mare e la chiesa di San Pa- olo a Ripadarno, mentre sull’ altra riva del fiume fu abbattuta tutta I’area fra la Cittadella e la chiesa di San Vito. In questi

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21 anni è testimoniata l’attività di Filippo Brunelleschi a Pisa che

nel 1426 si occupò del restauro del Ponte a Mare e della Citta- della Vecchia, nel 1435 costruì una nuova torre al Parlascio e nel 1440 progettò la Cittadella Nuova, che doveva assicurare il

controllo militare della città ancor prima che la difesa da attac- chi stranieri. Brunelleschi continuò a lavorare a Pisa fino alla sua morte nel 1446 senza poter portare a termine il progetto.

Gli interventi fiorentini oltre a distruggere vaste aree della cit-

Figura 2.5 Veduta di Pisa

assediata dai fiorentini, Giorgio Vasari, 1568, Salone dei Cinquecento, Firenze

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tà, cambiarono gli assetti stradali, sconvolgendo vari quartieri, chiudendo l’accesso a ponti e a porte, e aprendone di nuove come la Porta Fiorentina.

Durante il periodo fiorentino l’immagine di Pisa è quello di una città degradata e abbandonata dai suoi stessi cittadini a causa del carico fiscale intollerabile, della perdita di valore del pa- trimonio edilizio urbano, dell’interruzione delle attività mer- cantili e artigiane tradizionali, della liquidazione della vecchia classe imprenditoriale pisana. Questi anni di mancata manu- tenzione e di interventi distruttivi, hanno alterato il difficile equilibrio del territorio favorendo la decadenza delle colture e l’insorgere della malaria. Lo stato dell’Arno era disastroso e le alluvioni portarono al crollo del Ponte Nuovo.

Anche l’edilizia privata attraversa una fase di ristagno dovuta sia al calo demografico che alle gravezze fiscali. Questo portò al trasferimento di molti immobili in mani fiorentine, all’accen- tramento delle ricchezze e quindi al processo di accorpamento delle unità abitative già esistenti, ciò comportò la costruzione dei palazzi che caratterizzeranno la Pisa del Quattrocento. I pa- lazzi rappresentavano la ricchezza e la condizione sociale del proprietario, vennero per questo realizzati prevalentemente sui lungarni, una posizione privilegiata sia per la presenza del fiume, sia perché lungo il percorso obbligato di ogni corteo e processione pubblica.

L’occupazione fiorentina si concluse nel 1494, seppur momen- taneamente, per l’intervento di Carlo VIII Re di Francia, in ono- re del quale furono affissi per tutta la città di Pisa gli scudi con i gigli del Re. Immediatamente venne creata una nuova ma- gistratura pisana che come primo obbiettivo si pose quello di abbattere le fortificazioni realizzate dai fiorentini.

Nei quindici anni che seguirono la liberazione la città fu sot- toposta a una durissima guerra d’assedio durante la quale il centro urbano venne direttamente investito dalle operazioni militari.

In coincidenza dei momenti cruciali dell’assedio i pisani riusci- rono a realizzare le maggiori vittorie: contro il violentissimo attacco alla fortezza di Stampace nell’ agosto del 1499 gli asse- diati arrivarono a realizzare in gran velocità una linea di difesa

all’interno delle mura, consistente in un grande riparo di terra fra la chiesa di San Paolo a Ripadarno e quella di Sant’ Antonio;

all’attacco altrettanto imponente nella primavera del 1500 con cui i fiorentini riuscirono a penetrare le mura e occupare il for- te del Barbagianni, i pisani furono capaci di reagire e a mettere in fuga gli assalitori.

Gravissima e durevole negli effetti fu anche la distruzione, da parte dei pisani stessi, dei borghi attorno alla città per impe- dire che i fiorentini vi si fortificassero, venne purtroppo elimi- nato quel tramite tra città e campagna formatasi nel tempo.

La fame, la miseria, le malattie, la scomparsa di ogni attività intellettuale, il clima di sospetto e di paura e le atrocità delle rappresaglie, generarono condizioni difficilissime per l’esisten- za stessa di una popolazione asserragliata per quindici anni dentro le mura della propria città.

2.1.5. Seconda dominazione fiorentina: periodo mediceo Terminata la breve parentesi di libertà nel 1509 la città di Pisa tornò ad essere sotto l’occupazione fiorentina; detta riconqui- sta, data la gravissima situazione in cui si trovava la città, con- cesse tuttavia numerose agevolazioni ai cittadini pisani, come l’esenzione dalle tasse per i venti anni successivi. La popola- zione era diminuita ancora e almeno la metà era fiorentina o di altri paesi, come attestato dal censimento del 15566. Tale crisi demografica favorì processi di aggregazione di molte par- rocchie, provocando la scomparsa di chiese specialmente nel nucleo più antico della città.

La prima preoccupazione della Repubblica fiorentina fu la ri- costruzione del sistema difensivo alterato durante la ribellione pisana. Da subito venne progettata la difesa della Cittadella Nuova, affidandone disegno ed esecuzione ad Antonio e Giu- liano Sangallo che vi lavorarono fino al 1512. Il nuovo forte fu determinante per l’immagine complessiva della zona, per la complessa articolazione dei volumi, così come per la colora- zione, dovuta al laterizio. La Cittadella Vecchia al contrario fu svuotata e alleggerita delle artiglierie, trasferite nella Nuova,

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23 per evitare che i pisani se ne impossessassero e la usassero

come riparo.

Durante il governo di Alessandro de Medici le misere condi- zioni di Pisa continuarono a peggiorare portandola a diventare una città semideserta, amministrata da priori fantoccio e svuo- tata di intellettuali, fino al 1537 quando, con la successione del giovane Cosimo, Pisa iniziò a godere di notevoli vantag- gi. Infatti Cosimo scelse Pisa come sua principale residenza, consuetudine che la corte mantenne anche in seguito, per la

dolcezza del clima rispetto a quello fiorentino, ma soprattut- to perché la fece diventare centro effettivo del suo potere. Vi installò di fatti lo Studio, con sede nella Sapienza, dove allestì il collegio studentesco ducale, tramite cui controllava la for- mazione dei futuri funzionari dello stato, e l’ Ordine di Santo Stefano che, oltre a strumento di Fede e di difesa marittima, rappresentava per Cosimo I uno strumento di controllo assolu- to sul ceto nobiliare toscano.

Gli interventi effettuati sulla città durante il governo di Cosimo e dei suoi successori incisero scarsamente sull’assetto urbani- stico di Pisa, ma si tradussero in realizzazioni di grande effet- to scenografico e di prestigio artistico, così come avvenne per l’armonioso complesso di Piazza dei Cavalieri. Di fatto i Medici si limitarono in genere a sviluppare le linee di tendenza proprie del quadro urbanistico precedente. Anche per quanto riguarda la sistemazione dei corsi d’acqua Cosimo sviluppò il collega- mento già esistente tra il porto marittimo e la città, mentre lungo il canale, già riscavato nel 1330 e prolungato fino a Livor- no nel 1468, Cosimo installò il varatoio, una macchina per tra- sferire i navicelli dal fiume al canale anche in presenza di torbe, senza dover aprire le cateratte. A Cosimo si deve anche il re- stauro del canale dei Navicelli (1563-75) che sveltì il percorso fluviale da Firenze a Pisa e a Livorno e definì un sistema idro- viario destinato a durare fino ai primi del Novecento. L’opera di regolamentazione delle acque fu uno dei punti fondamentali del governo di Cosimo e venne attuata grazie all’istituzione del nuovo Magistrato et Officio dei fossi, istituito nel 1547 rifor- mando l’Opera della Riparazione del Contado.

Oltre alle alle acque Cosimo avvio una vasta opera di risana- mento e valorizzazione del territorio pisano, dal quinto anno del suo ducato trasformò la città in un grande cantiere dove ogni anno si inauguravano nuove realizzazioni. Tra queste vi fu la costruzione di un nuovo Arsenale necessario per la realiz- zazione di galere di dimensioni superiori, lasciando quello Re- pubblicano all’allevamento dei cavalli dell’esercito. Nello stes- so periodo il duca dette inizio al processo di rimodernamento del sistema difensivo della città: iniziò demolendo la torre edi- ficata dal Brunelleschi sulla porta al Parlascio e sostituendovi Figura 2.6

Le mura e i bastioni nella seconda meta del Cinquecento, con aggiunte le fortificazioni seicentesche (Tolaini, 1992)

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nel 1544 un grande bastione.

Dopo qualche anno seguì l’apertura della Porta Nuova, di dise- gno analogo alla Porta a Lucca, che fece mutare la prospettiva dell’area del Duomo e ripristinò vecchi percorsi all’estremità nord-occidentale della città, rimasti a lungo interrotti per la chiusura della Porta del Leone e della Porta di Santo Stefano7. L’impronta che il duca voleva lasciare sulla città era di stampo manieristico e per questo attuò un processo di rimodellamen-

to delle vecchie forme medievali, intenzionato a volerle far scomparire perché testimonianze visive di un passato di libertà per il governo pisano. In tale processo fu affiancato dapprima da Luca Martini8, provveditore di Pisa dal 1547, e successiva- mente dal Vasari. Evidenti esemplificazioni di tale andamento

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25 sono il Palazzo della Carovana, eretto sullo scheletro del pree-

sistente palazzo pubblico medievale, e il palazzo dello Spedale, detto poi dell’Orologio, formato da due vecchi edifici collegati da un voltone, entrambi su disegno del Vasari.

Fu solo sulla fine del secolo, con la costruzione del Palazzo Granducale, che ebbe inizio quel vasto processo di rimodella- mento dei palazzi signorili e delle comuni abitazioni che in po- chi decenni cambiò radicalmente l’aspetto della città. Le nuove facciate, prevalentemente lungo le vie che ospitavano i palazzi gentilizi della Repubblica e sui Lungarni, venivano quasi inte- ramente rimodellate in sontuose forme cinquecentesche di esclusivo stampo fiorentino. Il potere mediceo, ossessionato dalla volontà di cancellare ogni segno dell’antica città, prescris- se un apposito Regolamento indirizzato a fiorentinizzare l’inte- ra città, così che nel giro di pochi anni Pisa si trovava riempita da una quarantina di stemmi, da quindici busti, da tre statue, e da un numero imprecisato di iscrizioni9.

Le schiere compatte di case-torri alte e strette separate soltan- to dalle fessure dei vicoli appartenenti allo scenario medioeva- le urbano scomparvero gradualmente sotto i nuovi organismi Figura 2.7

Palazzo della Carovana, Vasari, da Tolaini (pagina precedente)

Figura 2.8 Palazzo dell’Orologio,

Vasari (Tolaini, 1992) (pagina precedente) Figura 2.9 Stemmi, iscrizioni,

statue, busti e interventi medicei sulla pianta di M. Z. [Scorzi] che ha il nord in basso (Tolaini, 1992) (pagina precedente) Figura 2.10 Ferdinando I ordina i lavori dell’acquedotto di Asciano per Pisa, Callot Jacques, 1619

edilizi, che ne utilizzavano i pilastri come scheletri per le nuove forme. Anche il colore della città andava cambiando: al grigio del verrucano e al rosa del laterizio a vista si sostituirono su- perfici di intonaco, segnate da riquadri e da cornici di arenaria.

Allo stesso tempo Cosimo, fino agli ultimi anni della sua vita, attuò importanti iniziative urbanistiche, come quella nel ter- ziere10 di Chinzica, fino ad allora destinato solo ad interventi di natura militare, dove realizzò un grande complesso di magazzi- ni per il trattamento del grano, di cui Pisa era il principale cen- tro di approvvigionamento dello Stato, e risolse il problema di tutta la viabilità nella zona orientale della città, rimasta scon- volta dopo la costruzione della Cittadella Nuova. Il duca inoltre fece fronte ai principali motivi del calo demografico dell’inizio del Cinquecento, quali l’insalubrità dell’aria, la gravissima si- tuazione igienica e la potabilità dell’acqua. II rifornimento idri- co di Pisa era sempre stato limitato ai pozzi, alle poche cisterne e saltuariamente al fiume, poco utilizzabile perché spesso tor- bido e alimentato da scoli di paduli e di stagni. Cosimo ideò un acquedotto di collegamento tra la sede dell’Ordine dei Cavalie- ri e le acque di Asciano, che sarà poi ripreso dal Granduca Fer- dinando I nel 1591; fu realizzata una conduttura ad archi che portava l’acqua direttamente nella piazza dei Cavalieri, dove fu eretta una statua gigantesca del primo Granduca ad opera di Pietro Francavilla.

L’interesse dei Medici per il territorio pisano fu evidente anche nelle grandiose opere idrauliche effettuate per la bonifica del- le aree idonee all’agricoltura e per la tutela delle zone pisane di valore paesaggistico.

Dalla seconda metà del secolo le condizioni di Pisa miglioraro- no nettamente, e a conferma di ciò nei successivi settant’an- ni la popolazione urbana raddoppiò, segnando la crescita più alta di tutto lo Stato. L’incremento dipese dalla convergenza di molti fattori: insieme alla migliorata qualità dell’aria, incisero l’apertura dell’ Università, la fondazione dell’Ordine di Santo Stefano, i prolungati soggiorni della Corte, le attività dell’ Ar- senale, i traffici fluviali, i provvedimenti per attirare artigiani, mercanti, imprenditori forestieri e pisani a suo tempo emigrati.

Sfortunatamente l’ incremento della popolazione fu presto in-

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terrotto nel 1630 a causa della più grave epidemia di peste diffusasi dopo la Peste Nera, riportando la città a circa 10mila abitanti. Negli stessi anni della pestilenza la città fu segnata anche dai gravi cedimenti del Ponte Vecchio, in quanto utiliz- zato come unico collegamento per i cittadini tra le due aree urbane e al tempo stesso come scenario per la Battaglia del Ponte, simbolo delle virtù civiche pisane ormai da diversi anni.

Il crollo del Ponte avvenne nel 1637 e ne seguirono una serie incarichi per la sua ricostruzione nonché per la realizzazione delle piazze alle sue estremità, finché nel 1659 fu costruito quello definitivo.

2.1.6. Pisa tra Settecento e Ottocento

Il Granducato di Toscana fino al 1737 venne governato dalla famiglia dei Medici, l’ultimo granduca della famiglia fu Gian Gastone de’ Medici che non ebbe eredi.

Alla morte di Gian Gastone, il Granducato passò alla fa- miglia dei Lorena, in particolare a Francesco Stefano di Lorena, già marito di Maria Teresa d’Asburgo, imperatrice d’Austria. Costui non abitò mai in Toscana e lasciò l’ammini- strazione al figlio Pietro Leopoldo. La più importante inno- vazione voluta dai Lorena, proprio grazie a Pietro Leopol- do, fu l’abolizione – per 4 anni, fino al 1790 quando fu ripristinata – della pena di morte, una grande innovazione per l’epoca. L’unica interruzione alla sovranità lorenense fu la parentesi napoleonica che durò fino al 1814, quando sul trono granducale fu restaurato Ferdinando III figlio di Pietro Leopoldo.

La Reggenza lorenese per far fronte alla decadente situazione di Pisa attuò sia riforme generali per la riorganizzazione dello stato, sia provvedimenti più specifici. In particolare decise di avviare un’ispezione generale sul territorio pisano per porre le basi di un piano di risanamento e di bonifica che venne im- mediatamente attivato. Nonostante la poca popolazione rima- sta in città, l’Università di Pisa si mantenne con dignità11, così come la seppur modesta attività manifatturiera e l’attività edi-

lizia, soprattutto di ristrutturazione. I Lorena si preoccuparo- no anche di perfezionare l’aspetto scenografico dei Lungarni, con opere di risanamento delle sponde tra il Ponte di Mezzo, prima Ponte Vecchio, e la Chiesa di San Matteo, e con rimo- dernamenti e rifacimenti di edifici religiosi e civili. In partico- lare Pietro Leopoldo di Lorena appena arrivato in Toscana nel 1766 si preoccupò del restauro delle sponde dell’Arno con il progetto di attribuirvi un profilo sempre più uniforme e rego- lare, eliminando progressivamente le imperfezioni di origine medioevale. Altre iniziative leopoldine riguardarono la riva si- nistra del Lungarno e in particolare la piazza dei Banchi dove fu enfatizzata la sua funzione amministrativa, la costruzione di un teatro più spazioso in piazza San Nicola oggi Piazza Carrara, e la realizzazione sul Palazzo Pretorio della nuova torre civica dove venne apposto l’orologio pubblico. Nonostante ciò Pietro Leopoldo mirava principalmente allo sviluppo dell’efficienza amministrativa della città in modo da risolvere i problemi che da sempre la caratterizzavano, come l’igiene, la sanità e l’ap- provvigionamento idrico. Pisa manteneva dall’epoca medieva- le il problema della pulizia delle strade dovuta all’assenza di fogne per le case e alla scarsissima pavimentazione stradale.

Nel Settecento si cercò di provvedere estendendo la pavimen- tazione a tutto il centro urbano, cercando di rinforzare l’acque- dotto che era in pessimo stato, realizzando fonti pubbliche per il centro, promuovendo nuove leggi sulle sepolture in modo da evitare possibili epidemie.

Le più importanti ripercussioni sulla città derivarono dalle po- litiche di disarmo e di stampo religioso promosse da Pietro Le- opoldo. Nel 1767, convinto che la Toscana ormai non sarebbe stata più in grado di sostenere una qualsiasi guerra, riformò tutta l’organizzazione militare e negli anni seguenti si disfece di tutte le artiglierie, delle navi, degli arsenali e delle «inutili fortezze». Fu un cambiamento decisivo perché ridette ai citta- dini I’uso dell’intera città, restituendo loro la parte di territorio urbano che fin dalla prima conquista era stata disposta a sco- pi militari: venne ristabilita la libera circolazione sui Lungarni, sul Ponte della Fortezza e sul Ponte a Mare mentre la fortezza dei Sangallo fu venduta a privati. Contemporaneamente Leo-

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27 poldo ordinò la soppressione di venti chiese, per lo più molto

antiche, e di molti conventi, affrettando così il processo di di- sfacimento delle forme medievali e stravolgendo le abitudini cittadine religiose fortemente radicate.

Nel periodo tra la reggenza di Pietro Leopoldo e la Restaurazio- ne, venne eseguita la creazione di quello che oggi chiamiamo catasto ferdinandeo-leopoldino, o più correttamente catasto

napoleonico-lorenese. Tale strumento avrà un’importanza rilevante per la conoscenza e per l’aspetto fiscale-economico della Toscana.

La questione del rifacimento dei catasti si trascinò con fasi al- terne per quasi tutto il regno di Pietro Leopoldo (1765-1790).

Nel 1769, Pietro Leopoldo commissionò a diversi funzio- nari, fra cui Nelli e Pagnini, l’ideazione di un piano di riforma catastale. Nelli optava per un catasto geometrico- particellare, Pagnini invece continuava a dar fiducia al vecchio sistema delle portate dei proprietari, per ovviare alle grandi spese che comportava un catasto geometrico. Il progetto di un nuovo catasto venne ancora rinviato. Nel 1778 Pietro Leopoldo nominò una nuova Commissione: G. Neri, Nelli, Barbolani da Montauto, Ippoliti e il già citato Pagnini;

era evidentemente forte la volontà di collegare una rifor- ma tributaria alla riforma comunitativa, per il rifacimento degli estimi. Dopo un paio di anni venne deciso che il catasto generale non sarebbe stato portato più a termine, tutto ciò si poneva in difesa della rendita, della proprietà assenteista, le decisioni sugli estimi tornava di competenza delle singole comunità. Nel 1801 la Toscana viene ceduta dall’Austria alla Francia e soppresso il Granducato di Toscana, viene istituito il Regno di Etruria. Successivamente nel dicembre 1807 il Re- gno d’Etruria viene eliminato e la Toscana è amministrata, per conto dell’impero francese, da Elisa Bonaparte Baciocchi, nominata a capo del restaurato Granducato di Toscana. Il caso del rifacimento degli estimi, dunque, passò ai Francesi, ma si dovette giungere alla fine del Regno di Etruria e l’an- nessione diretta della Toscana all’Impero per poter vedere muoversi qualcosa in maniera efficace. Ciò avvenne per l’auto- matica estensione a questo paese, dopo tale data, della legge di rifacimento del catasto in vigore nell’Impero: in Francia, già nel 1790 si era riconfermata la volontà di compiere un nuovo catasto generale.

Nel 1807, a completamento del Codice civile promulgato pochi anni prima, Napoleone decise di effettuare con nuovi metodi e su larga scala il nuovo catasto; si doveva estendere a tutto il territorio dell’Impero. Le modalità vennero program- Figura 2.11

Rappresentazione di parte dell’area di progetto, Catasto Leopoldino, sezione C foglio n. 5 allegato, Archivio di Stato di Pisa

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mate con due Istruzioni (1° Dicembre 1807 e 20 Aprile 1808), e due successive leggi (29 Ottobre e 5 Novembre 1808) in- dicarono i metodi di stima. Fra l’annessione all’Impero e l’effettivo inizio delle operazioni, passò più del tempo previsto, la semplice applicazione dei metodi francesi risultò impossibile. Uno dei problemi che risultò maggiormen- te evidente, fu quello della divisione amministrativa del paese: i comuni toscani erano molto più ampi di quelli francesi, e questo rendeva impossibile applicarvi il sistema di mappatura già in uso nel territorio della Francia. All’epo- ca della caduta dell’Impero, l’impresa del catasto gene- rale in Toscana non era ancora conclusa, aveva tuttavia dato qualche risultato: la misurazione ex-novo di quasi 200.000 ettari di superficie, completa di mappe e registri di possessori per 24 comunità, più altre 16 anche se incomple- te. Quando, sotto Ferdinando III, venne ripreso il catasto si utilizzarono tutti i lavori di misura francesi apportandovi solo delle correzioni; pare che quest’ultime riguardassero solo i nomi dei possessori ed i frazionamenti in particelle e non la loro qualità colturale. Alla fine dei lavori le 242 co- munità del Granducato furono ufficialmente rappresentate al catasto con 242 quadri d’insieme; esse erano divise poi in 3.150 sezioni, a volte rappresentate con un unico foglio, più spesso con due o tre, per un totale di 8.567 fogli. I docu- menti del catasto toscano sono divisibili in due gruppi: del primo fanno parte gli atti preparatori, che comprendono le mappe, i lucidi e i quaderni indicativi dei geometri, per quanto riguarda la misura, più i vari documenti elaborati per la stima. Le mappe divennero documenti definitivi una volta operatevi le correzioni per i reclami dei possessori;

ciascuna comunità ricevette la propria mappa delle varie sezioni ed il quadro d’insieme, una copia non autentica fu fornita anche alle varie Deputazioni di fiumi e fossi. I risultati finali del restante materiale preparatorio furono riassunti nei Campioni delle comunità, nelle Tavole indi- cative dei proprietari e nei Repertori alfabetici degli stessi.

Le Tavole indicative dei proprietari e delle relative proprietà figuravano le sezioni catastali disposte in ordine alfabeti-

co ed erano dunque una sorta di descrizione delle parti- celle di ogni sezione, collegate alle mappe al Campione.

Nelle Tavole ogni particella è classificata secondo varie informazioni: numero che essa ha sulla mappa, articolo di stima di cui fa parte, pagina del Campione in cui com- pare. Segue poi il nome del possessore, la sua destina- zione colturale e l’estensione in braccia quadre.12

Figura 2.12 Rappresentazione di parte dell’area di progetto, Catasto Leopoldino, sezione C foglio n. 6 allegato, Archivio di Stato di Pisa

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Negli anni seguenti durante il trono di Toscana di Ferdinando III non vi furono importanti interventi edilizi ma solo mode- ste espansioni del centro abitato. Dagli anni venti dell’Otto- cento riprese a lavorare ad alcuni tratti dei muri di sponda dell’Arno rendendoli sempre più rettilinei e liberi da scali.

In quest’ultima fase del Regime Granducale la società pisana fu caratterizzata dal contrasto tra la maggioranza della po- polazione ancorata a situazioni acquisite nel corso della pro- pria storia, e una minoranza interessata invece alla nascente industrializzazione, al diverso uso dei capitali, a un rinnova- mento delle istituzioni. Si andava formando in Toscana una nuova classe di intellettuali, imprenditori e ingegneri, soste- nitrice di idee progressiste e attenta particolarmente alle ini- ziative urbanistiche fondate sull’impiego di nuovi materiali e Figura 2.13

Pianta di Giacinto Van Lint, 1846 : oltre a rappresentare con precisione i tracciati viari, rileva numerosi chiostri, la piazza S. Caterina, le due stazioni per Firenze e per Lucca, gli insediamenti suburbani di porta

Nuova, di porta a Lucca Figura 2.14 Pianta Scorzi, fine

del XVII secolo.

Questa pianta attenta e rigorosa, si differenzia nettamente dalle precedenti per il contenuto rigorosamente documentario: il tessuto urbano e gli ampi spazi verdi dentro le mura sono dettagliati con precisi intenti cartografici.

La pianta è significativa per questo di un nuovo modo di intendere la città

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nuove tecnologie. Ne furono un esempio il ponte sospeso tra via Sant’Antonio e via Santa Maria realizzato nel 1825 da Ridolfo Castinelli e Carlo Ginori-Lisci così come la rea- lizzazione tra il 1841 e il 1848 della ferrovia a vapore chia- mata Leopolda in onore al sovrano che collegava Livorno a Firenze. Tale ferrovia, insieme a quella Lucca-Pisa realizzata nel 1846, permise a Pisa di trovarsi al centro della prima rete ferroviaria nazionale, fra Livorno, Lucca e Firenze. La città, rappresentata dal Catasto geometrico parcellare13 del 1835 e da Vin Lint in una pianta realistica del 1846, divenne nuovo oggetto di studio e di intervento ad opera di nuove generazioni di ingegneri e architetti.

Oltre ad interventi di grande impatto, la città subì anche numerosi piccoli ritocchi che ne mutarono profondamente l’aspetto. Le diverse necessità della città vennero sviluppa- te all’interno di un progetto d’intervento globale, del tutto simile ad un Piano Regolatore Generale, realizzato nel 1852 ad opera dell’ingegner Silvio dell’Hoste. Tale piano pre- vedeva una serie di sventramenti del centro abitato, che consentissero l’apertura di larghe strade rettilinee, volti ad un processo di rinnovamento della città e di collegamen- to delle sue aree storiche più rilevanti. Secondo la cultura dell’epoca i progetti trascurano ogni criterio di salvaguar- dia delle preesistenze, intendendo “l’abbellimento” come la sovrapposizione di uno schema urbanistico semplicisti- camente geometrico su quello antico. Dell’Hoste in primo luogo voleva far fronte ad un problema da lui intuito quale l’isolamento dei monumenti storici della città, dovuto al fatto che tutta la città di Pisa subiva solo progetti isolati non facenti parte di nessuna configurazione urbana unita- ria14.

Il modello di rinnovamento di Dell’Hoste rimase per la mag- gior parte solo ad uno stato di intenzionalità, dovuto forse alla mancata progettazione di espansione relativa agli assi di collegamento viario, ma soprattutto per l’intempestiva comprensione del progetto da parte della cultura locale:

solo ottanta anni dopo il piano sarà ripreso occasione del concorso per il nuovo Piano Regolatore della città di Pisa.

2.1.7. Pisa nello Stato Italiano

Il 16 Agosto 1859 fu dichiarata l’annessione del Granducato di Toscana al Regno di Sardegna, poi Regno d’Italia. Con I’an- nessione la storia urbanistica di Pisa riprende autonomia e rinnovato vigore. Usciti da secoli di sottomissione i pisani si posero subito il problema di ridare smalto all’immagine della città. Purtroppo però a quei tempi dominava un ideale artisti- co riferito a concetti effimeri di abbellimento e di decoro che assumevano come valori a se stanti le proporzioni e i rapporti aurei, al di fuori di ogni identità storica e culturale15. Le prime sistemazioni riguardarono naturalmente la Piazza del Duomo

Figura 2.15 Silvio dell’Hoste, Pianta geometrica della città di Pisa con diversi progetti di abbellimenti e accrescimenti sia internamente che esternamente alle mura (1852) in cui si evidenzia la riapertura dell’asse via S.Maria - via S.Antonio, lo sventramento dell’odierna piazza Dante, la strada da piazza Cairoli a piazza S. Caterina, lo sventramento fra Borgo e S. Andrea, la strada da Stampace a piazza Toniolo, il ponte a porta Fiorentina

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31 Figura 2.16

Apertura della nuova via Torelli, 1862 (Rupi e Martinelli, 1997)

e della Torre il cui ambiente urbano originale fu gravemente alterato dall’apertura di via Turelli che comportò la demolizio- ne delle case del Capitolo, della Chiesa di San Ranierino e della Chiesa dei Curati, trasformando la Torre in una specie di rota- toria stradale disconnessa dal contesto storico in cui era sorta.

Un altro problema che i pisani presero subito in considerazione fu quello della protezione dalle esondazioni dell’Arno, in quegli anni di fatti le ripetute piene riproponevano il solito problema del percorso urbano del fiume fino ad allora affrontato solo

parzialmente. Nel 1863 I’ingegner Bellini redasse un proget- to di difesa dalle piene basato sul rialzamento delle spallette.

A questo progetto fu contrapposta la proposta di realizzare a monte di Pisa un canale scolmatore, allora chiamato fosso scaricatore. L’alluvione dell’Arno del 1869, che inondò la parte meridionale della città provocando morti e la distruzione del Ponte a Mare, fece rompere gli indugi e spinse alla soluzione che appariva più semplice e più immediata, ovvero dotare le sponde dell’Arno di un muro di protezione più alto. L’ingegner Simonelli costruì un muraglione in laterizio continuo e unifor- me eliminando tutti gli scali e i lavatoi, e quindi disfacendo e ri- costruendo spostato l’oratorio di Santa Maria della Spina, fino ad allora troppo aggettante sul fiume16.

Nel 1862 fu aperta la Stazione ferroviaria centrale, ubicata fuori dalle mura a sud della Porta di San Gilio, ad una distanza sufficiente per disporre di una fascia di terreno da urbanizzare a raccordo attrezzato con il centro urbano.

L’assetto della zona fu affidato dapprima all’ingegner Bellini e successivamente all’architetto Vincenzo Micheli che incentrò il progetto sulla realizzazione dell’attuale Piazza Vittorio Ema- nuele II allora chiamata Barriera. Di fatti la piazza, di forma ellittica, era divisa in due parti uguali dalla barriera daziaria, quindi da grandi cancellate e due padiglioni daziari a forma di imponenti archi, ed era collegata alla stazione da un ampio viale ad imbuto lungo il quale si insediarono presto alberghi, ristoranti e caffè. Il disegno di tale piazza provocava l’abbatti- mento sia della Porta di San Gilio venuta a trovarsi nel centro della piazza, che delle mura per tutto il tratto interessato dal largo.

La piazza Vittorio Emanuele resta per lungo tempo lo svincolo stradale fondamentale di Pisa, luogo di straordinaria impor- tanza per i futuri piani urbanistici e capolinea per le tranvie per Pontedera e per Marina di Pisa. Si tratta di un progetto urbani- stico che, rapportato all’epoca, rivela ampiezza di vedute e in- telligenza di soluzioni, costituendo ancor oggi una importante ed efficace struttura urbana17.

Nell 1871 l’ingegner Micheli redasse il primo Piano Regolatore della città. Tale Piano prevedeva una grande arteria di circon-

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vallazione realizzata nel 1878, che attraversava l’Arno per mez- zo di un ponte metallico ubicato nei pressi del distrutto Ponte a Mare, e che allacciava la città con il traffico proveniente da Lucca, Viareggio, Marina di Pisa, Livorno, Firenze. Nel Piano si nota come dalla piazza Vittorio Emanuele II si diramavano, ol- tre alle vecchie vie, quelle nuove progettate dal Bellini ovvero le attuali via Benedetto Croce e via Nino Bixio, il viale della Sta- zione e una nuova ulteriore strada attualmente nota come via Crispi. L’aspetto edilizio del Piano consisteva in sventramenti entro le mura e in sviluppi di nuove abitazioni nelle vicine e attuali periferie fuori Porta Garibaldi, fuori Porta a Lucca e in Barbaricina, aree non sottoposte a dazio, dove quindi i mate- riali da costruzione avevano prezzi inferiori e dove la maggiore disponibilità di terreni consentiva la coltivazione di piccoli orti.

La città si andava sempre più arricchendo di nuovi arredi urba- ni e di nuove strutture come il grande teatro, il ponte di ferro, i nuovi istituti universitari, le nuove strutture ospedaliere. Dal XX secolo, grazie alle varie innovazioni tecnologiche e scientifi-

Figure 2.17

Vedute del Lungarno scattate in tempi diversi; la prima mostra il Lungarno verso il 1871, quando il monumento a Ferdinando I era ancora al suo posto di fronte allo sbocco di via S. Maria ed erano iniziati i lavori del muraglione di sponda; la seconda mostra il medesimo punto del Lungarno dopo lo spostamento del monumento nella vicina piazza e il muraglione ultimato Fiura 2.18

Progetto della nuova barriera daziaria sulla Piazza Vittorio Emanuele, 1861

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