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DELL’ATTIVITA’ ESTRATTIVA

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CAPITOLO IV

L’EVOLUZIONE DELLA NORMATIVA MINERARIA NELLE LEGGI DELLA REGIONETOSCANA : REGOLAMENTAZIONE E PIANIFICAZIONE REGIONALE

DELL’ATTIVITA’ ESTRATTIVA

4.1 Trasferimento delle competenze alle regioni in materia di cave e torbiere in attuazione dell’articolo 117 della Costituzione.

La normativa del 1927 è ancora oggi in vigore, sia pure

modificata e affiancata da atti normativi locali emanati a seguito

della istituzione delle regioni nel 1972 alle quali la Costituzione con

l’art. 117 attribuiva, fra le varie competenze, la regolamentazione di

cave e torbiere. Questo ha in un certo senso vanificato le intenzioni

del legislatore nazionale del 1927 che si poneva l’obbiettivo di

unificare le normative dei vari stati preunitari. Infatti con l’avvento

delle regioni si sono venute a creare disuguaglianze e disomogeneità

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di comportamenti legislativi tra le varie parti del paese. È pur vero che la normativa del 1927, in mancanza di una legislazione statale di inquadramento, rappresenta l’unica fonte normativa primaria alla quale il legislatore regionale ha sempre fatto riferimento per individuare i principi fondamentali su cui orientare la propria legislazione mineraria locale

1

. Infatti la Legge del 1927 non è mai stata abrogata da alcuna normativa successiva di pari rango o di rango superiore né la giurisprudenza di legittimità ha dichiarato questa normativa in contrasto con i nuovi principi del diritto che caratterizzano i nuovi assetti del diritto minerario

2

. Pertanto tutte le discipline presenti sul nostro territorio, pur create e pensate per esigenze locali differenti, sono accomunate dai medesimi principi e dalla medesima norma di riferimento facendo ancor di più risaltare la specificità dei comuni di Massa e di Carrara ai quali il legislatore nazionale aveva riservato un regime derogatorio e la possibilità di elaborare una regolamentazione speciale fondata su una normativa di partenza differente rispetto alle altre.

A seguito della modifica del titolo V della costituzione nel 2001

1 Di fatto la legge 1443/1927 ha assunto il ruolo di legge cornice non dettando più prescrizioni dirette in materia ma principi generali per le legislazioni locali.

2 V. Giomi, Considerazioni e profili critici sulla specialità del regime giuridico degli

agri marmiferi di Carrara e Massa, in Gli agri marmiferi di Massa e Carrara fra diritto

e storia, Torino, 2007, p. 156.

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alla competenza esclusiva delle regioni in materia di cave e torbiere venne aggiunta anche quella delle miniere e delle risorse geotermiche. Le regioni hanno quindi provveduto a legiferare introducendo un regime autorizzatorio finalizzato a regolamentare l’esercizio della attività estrattiva che sempre più ha assunto i connotati di un’attività industriale.

Il presupposto delle autorizzazioni è il piano regionale di settore (PRAER) al quale è affidata la funzione di individuare le aree estrattive, i criteri e le norme per la salvaguardia dei valori ambientali e le modalità di sfruttamento in riferimento anche alla domanda del mercato.

Per coltivare la cava è necessaria l’autorizzazione regionale di durata limitata nel tempo, la cui mancanza è sanzionata come coltivazione abusiva di cava, il coltivatore assume obblighi specifici per il ripristino ambientale delle cave dismesse e per la trasmissione dei dati statistici sullo sfruttamento delle cave.

4.2 Le cave di Massa e di Carrara in riferimento alla legislazione e agli strumenti di pianificazione della Regione Toscana

Si tratta ora di esaminare come l’articolo 64 delle Legge

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Nazionale Mineraria che riserva un regime speciale agli agri marmiferi di Massa e di Carrara, si adatta all’attuale contesto normativo che assegna alle regioni e agli enti locali un ruolo prevalente per lo sviluppo e la tutela dei propri territori.

In applicazione dell’articolo 117 Cost., che affidava alla competenza regionale anche la materia delle cave e delle torbiere, il D.P.R. n.616 del 1977 attribuì alla regione Toscana il potere di approvare i regolamenti speciali dei comuni apuani secondo quanto previsto dalla Legge Mineraria Nazionale.

La Regione Toscana è intervenuta in questa materia con due leggi tra loro coordinate: la L.R. n. 78/1998, «Testo Unico in materia di cave, torbiere, miniere, recupero di aree escavate e riutilizzo di residui recuperabili» (successivamente modificata dalla L.R. n.

4/2004 e dalla L.R. n. 1/2005) che raccoglie in modo organico tutta la disciplina di settore emanata a partire dal 1980 anno in cui con la L.R. n. 36 si introduceva «l’autorizzazione alla escavazione, prevedendo vincoli paesaggistici, idrogeologici ed ambientali all’attività di estrazione del marmo»

3

.

La Legge Regionale 78/1998 crea una regolamentazione differente tra cave e torbiere e le miniere.

3 S. Menchini, Il «microsistema» della disciplina degli agri marmiferi dei Comuni di

Massa e Carrara, in La disciplina degli agri marmiferi fra diritto e storia, Torino, 2007,

p. 147.

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Le cave e le torbiere «in coerenza con gli obiettivi della programmazione regionale, conformandosi ai principi di governo del territorio[...]»

4

vengono regolamentate attraverso un sistema di pianificazione che deve conformarsi alla pianificazione regionale locale.

Il legislatore regionale ha previsto un sistema che origina dalla creazione di un «piano regionale delle attività estrattive, di recupero delle aree escavate e di riutilizzo dei residui recuperabili» (PRAER) che, su proposta della giunta regionale, deve essere approvato dal consiglio regionale. Essendo un atto di pianificazione che riguarda il governo del territorio, per contemperare tutti gli interessi coinvolti, in fase di elaborazione è necessaria la partecipazione di tutti gli enti locali interessati. È infatti compito della pubblica amministrazione valutare l’interesse economico dell’impresa che svolge l’attività estrattiva, meritevole di tutela ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, in relazione ad altri interessi, anche essi di rango costituzionale, quali la tutela del territorio e dell’ambiente (art. 9 Cost.) e con riguardo ai limiti costituzionali alla libertà di iniziativa economica di cui al comma 2 dell’articolo 41 citato

5

.

Il PRAER è un atto sovraordinato rispetto al piano urbanistico

4 Art. 1 L.R. n. 78 novembre 1998.

5 T. A. R. Lombardia-Milano, sez. IV, 11 novembre 2009 n. 5015

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generale dei comuni ma a sua volta è soggetto ai vicoli ambientali e del paesaggio indicati dal piano paesaggistico regionale

6

. Questo atto di programmazione di settore stabilisce gli obbiettivi e gli indirizzi della attività di ricerca e di coltivazione dei materiali di cava che devono essere poi recepiti dalle province, le quali, a loro volta, dovranno dotarsi di un «piano delle attività estrattive, di recupero delle aree scavate e riutilizzo dei residui recuperabili» (PAERP).

Compito dello strumento di pianificazione provinciale è quello di specificare i contenuti del PRAER e indicare i criteri per localizzare le aree estrattive che saranno individuate poi dalla pianificazione urbanistica comunale che dovrà adeguarsi alle direttive sopra indicate (capo II L.R. Toscana 78/98).

Il Testo Unico al titolo III legifera in riferimento all’attività di cava e torbiera, «intesa come attività di escavazione finalizzata alla commercializzazione del prodotto escavato»

7

. Tale attività è sottoposta ad un regime di autorizzazione oneroso da parte dei comuni, i quali, in conformità con il piano urbanistico, rilasciano, a chi ne faccia richiesta e abbia la disponibilità dei terreni, il permesso di coltivare i materiali di cava o torbiera attraverso un complesso

6 L. R. Toscana 78/1998, all’articolo 10 comma 1 si prescrive che il Comune deve adeguare il proprio strumento urbanistico generale al PAERP che è il piano settoriale attraverso il quale la provincia attua gli indirizzi e le prescrizioni del PRAER.

7 L.R. 3 novembre 1998, n. 78, art. 11.

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75 procedimento autorizzatorio.

All’articolo 12 la Legge Regionale si occupa della domanda di autorizzazione, stabilendo che chi voglia iniziare una coltivazione di materiali di cava debba chiedere al comune l’autorizzazione in conformità con le previsioni dello strumento urbanistico comunale;

la domanda deve essere accompagnata da un progetto redatto da uno o più professionisti, contenente l’analisi delle caratteristiche geologiche, geomorfologiche, geominerarie, idrogeologiche e paesaggistiche del luogo dove si vuole iniziare la coltivazione. In questa sede deve essere inoltre presentato un progetto nel quale venga illustrato il rapporto che la coltivazione avrà in riferimento agli usi, ai vincoli urbanistici e alle limitazioni alle quali il territorio interessato dalle lavorazioni è sottoposto, anche in riferimento alle risorse naturali e alla tutela ambientale, completano la documentazione il piano di coltivazione e il progetto per la messa in sicurezza del cantiere. Nella domanda dovranno essere individuati anche i progetti di urbanizzazione primaria necessari e le relative stime per realizzare gli stessi. Il comune dovrà rilasciare l’autorizzazione attraverso un procedimento amministrativo, acquisendo in sede di Conferenza di Servizi i pareri relativi alla valutazione della domanda.

Nel provvedimento di autorizzazione sarà indicato anche

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l’ammontare dei contributi da versare al comune e la durata dell’attività, comunque non superiore a venti anni, nonché le cause di decadenza del provvedimento.

Il legislatore regionale, con evidente intento di riportare anche gli agri marmiferi di Massa e Carrara, già disciplinati con LR n.

104/1995, nell’ambito della generale regolamentazione del settore, dispone, all’articolo 42, di applicare a questi territori il Testo Unico per quanto non in contrasto con la disciplina speciale e con i regolamenti comunali.

La LR n. 104/1995 disciplina le attività estrattive degli agri marmiferi di proprietà dei comuni di Massa e Carrara, in attesa o in assenza dei regolamenti comunali, cercando di coordinare la disciplina speciale con quella generale adottata dalla regione in materia di cave.

La Legge Regionale all’art. 1 riconosce che gli agri marmiferi nei

Comuni di Massa e di Carrara si classificano come beni del

patrimonio indisponibile comunale e prevede che queste

amministrazioni locali debbano redigere i regolamenti in conformità

alle disposizioni regionali. Il comune dovrà disporre la coltivazione

degli agri marmiferi «a titolo oneroso con atto di concessione

amministrativa temporanea subordinata al rispetto degli strumenti

urbanistici e ai vincoli ambientali, paesaggistici e idrogeologici e al

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rispetto, in fase di coltivazione, delle norme di igiene e sicurezza del lavoro e di polizia mineraria»

8

. Le disposizioni previste dalle legge 104/95 sono obbligatorie e i comuni nella redazione dei propri regolamenti, per superare il controllo di legittimità del competente organo regionale, le dovranno necessariamente recepire

9

.

Il legislatore regionale con il successivo Testo Unico sancisce che anche le concessioni livellarie di agri marmiferi già rilasciate dai comuni di Massa e di Carrara e dalle soppresse «vicinanze» di Carrara sono sottoposte alla disciplina concessoria della Legge Regionale

10

.

La LR n. 104/1995 è stata sottoposta al vaglio di costituzionalità da parte dello Stato per violazione dell’articolo 117 della Costituzione. La Legge è stata censurata dalla Presidenza del Consiglio sotto due profili: nel primo si contesta alla Regione di eccedere le sue competenze e di entrare nel campo della amministrazione attiva dei Comuni in quanto fissa regole vincolanti per l’approvazione dei regolamenti dei comuni di Massa e di

8 A. Fioritto, Gli agri marmiferi di Massa e Carrara tra competenze statali, regionali e locali, in La disiplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia, Torino, 2007, p. 135.

9 L. R. n. 104, 5 dicembre 1995 art. 1, comma 3, […] il regolamenti di cui al primo comma sono redatti in conformità con alle disposizioni della presente legge e sono sottoposti al solo ordinario controllo di legittimità del competente organo regionale. [...]

10 A. Fioritto,op. cit., in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia,

Torino, 2005, p. 135.

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Carrara. Nel secondo profilo viene contestata la previsione della temporaneità e onerosità della concessione in contrasto con i diritti reali maturati dai concessionari grazie alla previsione di concessione perpetua stabilita dalla legislazione estense.

Con la sentenza n. 488/1995 la Corte Costituzionale ha rigettato il ricorso ritenendo la Legge legittima e motivando la sua decisione come segue: in relazione al primo profilo contestato ha specificato che l’autorità investita della funzione di approvazione di determinati atti, nel caso specifico la Regione Toscana, possa prestabilire i criteri di valutazione ai quali attenersi nell’esercizio della sua funzione.

Criteri che in questo caso, tra l’altro, sono diretti non ai Comuni interessati bensì allo stesso consiglio regionale in quanto organo competente per l’approvazione dei regolamenti locali e che quindi solo indirettamente vincolano le amministrazioni comunali

11

. Per quanto riguarda la seconda censura, la Corte sottolinea che la normativa estense, lasciata in vigore dall’articolo 64 della Legge mineraria nelle due città apuane, risulta incompatibile con alcuni principi fissati dalla Legge Statale stessa, tra questi la questione della perpetuità della concessione: infatti l’art. 21 della legge mineraria fissa il principio della temporaneità che si applica anche alle cave in

11 A. Fioritto, op. cit., in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia,

Torino, 2007, p. 136.

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regime di concessione ai sensi dell’art. 45 secondo comma della stessa Legge, in contrasto con quanto stabilito dalla disciplina estense che, per incentivare l’attività imprenditoriale legata al settore lapideo, prevedeva una concessione livellare perpetua.

La Corte inoltre ha sottolineato il carattere necessariamente pubblicistico delle concessioni per la coltivazione delle cave di marmo e ha stabilito che il regime giuridico delle stesse debba conformarsi ai principi propri del diritto amministrativo in coerenza con quanto affermato dalla legge del 1927.

La disciplina degli agri marmiferi di Massa e di Carrara si configura quindi come disciplina complessa, composta da una serie di norme concorrenti, emanate in parte dallo Stato e in parte dalla Regione Toscana; ai comuni di Massa e di Carrara è poi attribuito un potere regolamentare autonomo, con efficacia analoga a quella della legge, che può incidere pertanto sui rapporti privati regolamentati dalle leggi statali e regionali non solo in materia di cave e miniere ma anche in materia di protezione del territorio e dell’ambiente

12

, dal momento che nell’attuale configurazione costituzionale Stato, regioni ed enti locali, sono poste sullo stesso livello e concorrono a realizzare gli interessi e i diritti dei cittadini garantiti dalla

12 A. Fioritto, op. cit., in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia,

Torino, 2007, p. 140.

(12)

80 Costituzione.

I poteri speciali riconosciti in questa materia ai Comuni di Massa e di Carrara devono muoversi però necessariamente entro i limiti e nel rispetto della normativa regionale.

La Regione Toscana infatti con le sue leggi e con appositi atti amministrativi di pianificazione conseguenti ha definito un quadro di regole valide per tutto il territorio di competenza facendo in modo che i regolamenti speciali dei due comuni apuani debbano essere a queste regole conformi.

Il comune di Carrara nel 1995 ha provveduto a dotarsi di un proprio regolamento, più volte modificato in conformità ai principi regionali, Massa, ancora senza un regolamento, dovrà attenersi alla normativa regionale che richiede di «adeguarsi al rispetto della normativa urbanistica, ambientale, paesaggistica, idrogeologica vigente, al fine di assicurare un equo contemperamento dei diversi interessi in gioco»

13

.

13 A. Fioritto, op. cit., in La disciplina degli Agri Marmiferi fra diritto e storia,

Torino, 2007, p. 141.

(13)

81

4.3 IL Piano di Indirizzo Territoriale della Regione Toscana.

Con delibera n. 72 del 24 luglio 2007 il Consiglio Regionale approvava il piano di indirizzo territoriale della Toscana (2005-2010) pubblicato sul BURT n. 42 del 17 ottobre 2007; successivamente in data 16 giugno 2009 il PIT è stato implementato con la specifica disciplina dei beni paesaggistici in applicazione del D. Lgs. n.

42/2004 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio art. 135 e 143)

14

della Convenzione Europea del Paesaggio

15

ratificata con la legge n.

14/2006 e della L.R. 1/2005 (art. 33) che ha dato al piano valenza di piano paesaggistico.

Si tratta di un documento complesso costituito da numerosi allegati che partendo dall’analisi della situazione socioeconomica della Toscana intende orientare scelte e definire programmi e azioni per dare alla Toscana dinamismo attrattivo e competitivo, attento all’equità sociale e al valore dei beni ambientali.

14 Il Codice dei beni culturali impone alle Regioni la tutela e valorizzazione del territorio di competenza approvando i piani paesaggistici che sottopongono ad una normativa d’uso specifica il territorio stesso definendo le trasformazioni compatibili con i valori paesaggistici, le azioni di recupero e riqualificazione (art. 135).

15 La Convenzione Europea del Paesaggio del 20 ottobre 2000 si configura come

strumento giuridico internazionale che tratta in modo specifico, diretto e completo dei

paesaggi europei e della loro tutela.

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82

Il PIT è composto da vai documenti tra questi il più significativo è il Documento di Piano.

Nella premessa al documento di piano si manifesta una certa preoccupazione per lo sviluppo economico della regione nella quale si registrano posizioni di difesa dei livelli economici e di benessere raggiunti piuttosto che il dinamismo necessario per stimolare investimenti sia pubblici che privati.

Nel documento viene espressa la necessità di contrastare i fattori di sviluppo economico insufficiente favorendo una crescita qualitativa basata «sulla capacità di esportare beni e servizi […] con sempre crescente intensità e dinamismo competitivo»

16

, nello stesso tempo si raccomanda di affidare il futuro benessere ad un modello di consumo più accorto delle risorse naturali e territoriali.

Il PIT 2005-2010 dedica particolare attenzione al territorio che definisce come «[…] patrimonio ambientale, paesaggistico, economico e culturale della società toscana»

17

, un patrimonio pubblico «che pubblicamente e a fini pubblici va custodito, mantenuto, valorizzato e reso capace di accogliere, sostenere e armonizzare l’iniziativa e la progettualità del privato che, con il lavoro e con l’impresa, fonda sul territorio le proprie aspettative di

16 Cfr. PIT (2005-2010), documento di piano.

17 Cfr. PIT (2005-2010), documento di piano, p.56.

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83

reddito e le proprie capacità di innovazione»

18

.

Pertanto piani e strategie dell’azione pubblica, da un lato, e l’intraprendere innovativo dei privati, dall’altro, vengono indicati come sinergie essenziali alle quali affidare il valore di quel capitale sociale, rappresentato dal territorio, la sua tutela e la sua trasmissibilità alle generazioni future.

Per questo motivo le prescrizioni del PIT intendono orientare lo sviluppo economico nel rispetto dei principi di sostenibilità ed in linea con indirizzi strategici finalizzati non soltanto a risparmiare il patrimonio territoriale ma anche a sostenerlo per accrescerne le capacità di produrre valore per la collettività.

Nel documento di piano il «governo del territorio» viene inteso in una duplice accezione: governo del territorio come agire politico e amministrativo mediante piani, programmi, indirizzi, normazioni e concertazioni costruiti non da gerarchie di sovra o sotto-ordinazione tra livelli regionali, provinciali e comunali ma da competenze plurime e distinte armonizzate e correlate attorno a prospettive strategiche comuni perché ogni livello di governo compie scelte che hanno un impatto sul territorio che va al di là dei soli confini formali della sua giurisdizione; governo del territorio come coerenza tra politiche settoriali e regolazione territoriale. Questo significa

18 Cfr. PIT (2005-2010), documento di piano, p.57.

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correlare il dinamismo dell’iniziativa economica privata (necessaria alla sostenibilità finanziaria del sistema), la funzionalità sociale (necessaria a garantire un sistema di welfare alla comunità regionale) e la funzionalità ambientale (necessaria alla conservazione attiva del patrimonio dei beni naturali e dei valori paesaggistici e storico- artistici della collettività). Di qui l’esigenza di sostenere e governare i fattori territoriali dello sviluppo mediante modalità di programmazione e pianificazione integrati entro riferimenti strategici unitari.

Il PIT, come prescritto dalla legge 1/2005, adotta uno statuto

19

del territorio toscano, in linea con il Piano Regionale di Sviluppo, che viene formulato in un’agenda di metaobiettivi e di obiettivi correlati, finalizzati a intervenire sulle criticità incompatibili con il valore del patrimonio territoriale e con la qualità del suo sviluppo. Si tratta di un’agenda applicativa che, mediante la formulazione di indirizzi, piani e programmi, azioni, incentivi e normative, intende dare orientamento all’agire locale del governo del territorio e all’esercizio

19 Lo statuto del territorio secondo Urbani si identifica in «un complesso di norme

fondamentali, di principi indefettibili ed inderogabili che costituiscono il valore

fondamentale da tramandare alle generazioni future: conservazione, riproducibilità delle

risorse, equilibrio degli ecosistemi esistenti». P. Urbani, Il ruolo della Provincia nella

recente legislazione statale e nella nuova legge sul governo del territorio della Regione

toscana n. 1/2005, in Riv. giur. urbanistica 2005, 574 ss. (spec. 581). Cfr. G. Pagliario,

Corso di diritto urbanistico, Milano, 2010, p. 360, nota 4.

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85 coerente della sua autonomia.

L’agenda si fonda su uno specifico «quadro conoscitivo» muove quindi dall’indagine e interpretazione dei dati raccolti per costruire le regole della sua normazione.

I metaobiettivi del PIT nelle intenzioni del pianificatore si configurano come «predicati strategici prima ancora che prescrittivi»: si tratta di regole e indirizzi volti a salvaguardare qualità, funzioni e valori territoriali, «una gamma di scelte dalla duplice e inscindibile valenza: statutaria e strategica a un tempo».

I meta obiettivi riguardano aspetti strategici per lo sviluppo della Regione.

Il primo metaobiettivo tende a integrare e qualificare la Toscana

come «città policentrica»: il sistema delle città toscane presenta

caratteristiche molto differenziate, alcune sono tra le più famose del

mondo, altre includono eccellenze culturali o imprenditoriali o

spiccate capacità di ricerca o di alta innovazione produttiva o

formativa. Altre ancora vantano cospicui patrimoni paesaggistici o

antiche e consolidate vocazioni turistiche. Altre hanno ruoli, funzioni

e collocazioni geografiche tali da configurarle come nodi di

connessione tra la Toscana e il resto del mondo. Si tratta di un

sistema nel quale si registra l’assenza di grandi poli urbani

gerarchicamente ordinatori e la storica presenza di

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86

un’urbanizzazione «leggera» fondata sulla presenza pulviscolare di città, borghi e centri piccoli e piccolissimi spesso di grande interesse storico-culturale.

Secondo il PIT questo policentrismo può diventare un punto di forza se i vari livelli di governo territoriale sapranno creare sinergie e mettere a sistema le città Toscane. Ciò vuol dire salvaguardare le varie identità, creare servizi funzionali ed accessibili per i cittadini e le imprese, potenziare l’accoglienza organizzata e di qualità per l’alta formazione e la ricerca, sviluppare la mobilità intra e inter- regionale (sistema ferroviario, sistema portuale, sistema stradale e autostradale regionale, sistema aeroportuale regionale).

Il secondo metaobiettivo riguarda lo sviluppo e il consolidamento della presenza industriale in Toscana.

Per industriale il PIT intende quella «operosità manifatturiera»

20

fatta di industrie e fabbriche ma anche di ricerca pura e applicata, di evoluzione e innovazioni tecnologiche, di servizi a sostegno degli attori, dei processi e delle filiere produttive e distributive. Una

«operosità manifatturiera» capace di essere competitiva nei mercati del mondo. In questa prospettiva, il Piano dedica una particolare attenzione alle così dette filiere brevi del processo produttivo e distributivo nelle quali si accorcia la distanza tra produttore e

20 Cfr. PIT (2005-2010), Documento di piano, p. 55.

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consumatore con opportune strategie organizzative e gestionali.

Il terzo metaobbiettivo è quello di conservare il valore del patrimonio territoriale della Toscana.

Il PIT ribadisce che il patrimonio territoriale deve essere tutelato nei fattori di qualità che contrassegnano la sua forma e la sua riconoscibilità storica e culturale. Il territorio va reso capace di accogliere, sostenere e armonizzare l’iniziativa degli operatori economici, pertanto i piani e le strategie dell’azione pubblica da un lato e l’intraprendere innovativo del progetto privato dall’altro debbono trovare nella «conservazione attiva»

21

del patrimonio territoriale il principio e il limite regolativo della loro interazione. Da questo assunto derivano una serie di implicazioni normative e un insieme di correlate linee di piano e d’azione politico-amministrativa che sono riassumibili in due obiettivi: la tutela del valore del patrimonio collinare della Toscana, dove per collinare si intendono

«realtà propriamente di collina, realtà rurali e paesaggistiche di pianura, di valle e di montagna». Si tratta di un patrimonio che esprime una storia plurisecolare di razionale ed equilibrato rapporto fra lavoro e natura, oltre che di lotta per la sopravvivenza in un territorio fragile che l’intelligenza di generazioni di uomini e di comunità sociali hanno trasformato nel tempo e che oggi più che mai

21 Cfr. PIT (2005-2010), Documento di piano, p. 57.

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è sottoposto ad una aggressione pervasiva. Per questo motivo la Regione ammette l’urbanizzazione e la edificazione solo in coerenza con i dettami della Convenzione europea sul paesaggio e solo nel rispetto della normativa nazionale e regionale che a quest’ultima danno applicazione. Il che vuole dire verificare pregiudizialmente

«la funzionalità strategica degli interventi sotto i profili paesistico, ambientale, culturale» e in sequenza «economico-sociale»

22

(come sancisce l’art. 21, comma 1, lett. a della Disciplina del Piano).

Il PIT segnala inoltre come strategico, per evitare l’abbandono del presidio umano sul territorio, il mantenimento e lo sviluppo dell’attività agricola e forestale, svolta in maniera razionale e compatibile con la tutela ambientale e paesaggistica.

Il secondo obbiettivo correlato ha come finalità la tutela del patrimonio costiero della Toscana: come per il patrimonio collinare e rurale anche per le coste si ritiene necessario limitare le attività meramente orientate alla valorizzazione immobiliare e alla conseguente speculazione di breve periodo e privilegiare disegni imprenditoriali, capaci di far sistema con un’offerta turistica organizzata e integrata nella chiave di servizi plurifunzionali e coordinati.

Nel documento di Piano viene poi indicato il ruolo fondamentale

22 Cfr. PIT (2005-2010), Documento di piano, p. 58.

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che riveste il patrimonio delle infrastrutture, nell’ambito del quale sono dichiarati di interesse regionale porti, aeroporti, impianti per l’erogazione e circolazione delle informazioni mediante reti telecomunicative, grandi impianti tecnologici finalizzati al trattamento di rifiuti e alla produzione o distribuzione di energia, con massima attenzione allo sviluppo delle fonti rinnovabili, e alla loro localizzazione più efficiente e paesaggisticamente compatibile. A tale proposito il PIT fa riferimento a strategie di programma mediante l’istituto dell’accordo di pianificazione, in una logica di condivisione pattizia diretta e coordinata dalla iniziativa regionale.

Tra i beni e i progetti di interesse regionale, spiccano in ogni caso i beni paesaggistici toscani. Per essi, al di là delle previsioni disposte nella Disciplina di Piano, è da rimarcare come la Regione Toscana intenda dare attuazione alla Convenzione europea del paesaggio e sovrintendere alla sua piena efficacia.

A tal fine, l’intesa della Regione con il Ministero per i beni e le

Attività culturali e il conseguente accordo preliminare previsto

dall’art.143 del D.Lgs. 42/2004, definiscono le modalità e i tempi

per la progressiva messa in opera dei contenuti della disciplina

paesaggistica disposta dal Piano che nel 2009 è stato integrato da

disposizioni che attribuirono a questo atto anche valenza di piano

paesaggistico.

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Spesso nel Documento di Piano viene sottolineato lo stretto legame fra Piano di indirizzo territoriale e Programma regionale di sviluppo: la cui complementarietà è la chiave di volta per innestare la qualità, la sostenibilità e la solidità dello sviluppo sulle scelte territoriali e coordinare queste ultime su strategie di medio e lungo periodo.

Si tratta di una politica tesa a favorire l’attrattività della regione e delle singole realtà sotto vari aspetti: in termini di turismo, di formazione e di ricerca, di capitali produttivi, di una politica capace di integrare nella comunità locale risorse lavorative che vengono dai più disparati luoghi e culture del mondo.

Una politica consapevole che l’attrattività deve essere sostenuta da specifiche strategie per l’accoglienza: per i lavoratori e gli studenti occorrerà pensare in primo luogo alla casa, ai trasporti e ai servizi locali; per gli imprenditori a sistemi di servizi all’impresa efficienti e a processi localizzativi e autorizzativi semplici, veloci e trasparenti; per i turisti sarà di particolare rilievo la qualità dei servizi culturali e di benessere.

Il territorio deve quindi diventare attrattivo e accogliente

favorendo e supportando così quell’apertura della Toscana che

rappresenta un obiettivo primario per recuperare dinamismo e

qualità nel nuovo contesto competitivo a scala globale.

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All’interno di questo sistema assume una significativa importanza il capitale naturale legato al territorio, alle aree naturali, al paesaggio rurale. Si tratta di un fattore specifico di attrattività e di accoglienza della Toscana, dove assume un ruolo fondamentale la manutenzione diffusa del territorio, il recupero e la conservazione del paesaggio, il sistema ambientale nel suo complesso, le strutture dedicate alla mobilità sostenibile ed a soddisfare bisogni e stili di vita improntati alla leggerezza dell’impronta e non ad impatti e pressioni difficilmente reversibili.

Il coordinamento fra strumenti della pianificazione territoriale e

della programmazione dello sviluppo è avvenuto sulla base di due

leggi distinte (LR 49/1999 come modificata dalla LR 61/2004, e LR

1/2005), ma ricche di reciproche relazioni e riferimenti, premesse di

possibili sviluppi futuri verso un unitario «piano strutturale» della

regione toscana. Questo schema colloca il PIT all’inizio del processo

di pianificazione e programmazione mediante le sue scelte statutarie

e lo ricolloca in una stretta complementarietà con le scelte

strategiche dello sviluppo regionale. Su tale base si vanno quindi a

costruire i piani e programmi settoriali, che trovano nella coerenza

con il PIT, sul piano delle scelte territoriali, e con il PRS su quello

più generale delle priorità strategiche dello sviluppo, il terreno del

confronto operativo e delle progettualità specifiche. Il PIT è

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sopratutto strumento di programmazione operativa, infatti l’ultima

parte del documento di Piano è dedicata alla sua attuazione che si

fonda, oltre che sulla cooperazione attiva tra livelli di governo, su un

nuovo rapporto col mercato e con l’offerta progettuale privata che la

pubblica amministrazione, ad ogni livello territoriale di governo,

deve saper alimentare.

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