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3. Il riordino degli usi civici: la disciplina

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3. Il riordino degli usi civici: la disciplina

Il legislatore non ci fornisce una nozione generale di uso civico. Questo infatti integra un residuo di antiche figure di diritti collettivi e può essere definito come un diritto sui generis.

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Sulla base di ciò la dottrina e la giurisprudenza comprendono tra gli usi civici quei particolari diritti reali parziali su cosa altrui

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, spettanti uti civis alla popolazione di un Comune o di una frazione o di più limitate collettività locali, di trarre determinate utilità da terre, boschi od acque che possono, a loro volta, appartenere al Comune, a terzi oppure alle collettività locali medesime.

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Sono in pratica antichi diritti di godimento spettanti alla collettività determinata territorialmente al fine di trarre individuate utilità da un fondo ed hanno lo scopo, ad esempio, di pascolo, legnatico (raccolta di legna), fungatico (raccolta di funghi), erbatico (raccolta di erba), ghiandatico (raccolta di ghiande). Dovendone fruire uti cives, di tali diritti non potranno disporre né la collettività, né i singoli componenti, ed è per questo che sono inalienabili e imprescrittibili.

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Gli usi civici sono infatti caratterizzati, da un lato, dal godimento delle terre in vista di trarne le utilità necessarie per soddisfare i bisogni essenziali della comunità, dall'altro dalla circostanza che la collettività beneficiaria dell'utilizzo è una comunità legata da interessi e da vita comuni, e, d'altro lato ancora che il godimento delle terre non si esaurisce nella fruizione delle utilità che se ne possono ricavare, ma implica che tale godimento si svolga nella prospettiva della conservazione dei beni, così da assicurare il soddisfacimento dei bisogni dei successivi e futuri membri della medesima collettività.

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Nell'uso civico, quindi, il nucleo di realità è conformato a poteri di godimento diversi rispetto alle facoltà riconosciute al titolare della situazione reale di proprietà (art. 832 c.c.).

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Essendo diretti alla tutela di un interesse collettivo, per consolidata e comune opinione gli usi civici hanno natura demaniale e, come tali e come già detto in precedenza, sono

6 Ferdinando Parente, La liquidazione degli usi civici e il controllo sui vincoli alla circolazione, in Riv.

Dir. Civ., 2011, 1, 20083

7 De Paolis Maurizio, Diritti di uso civico e ambiente, in Ambiente e sviluppo, 1995, 9, 37

8 Repetti Rossella, Terre gravate da usi civici e condizioni per l'edificabilità, in Urbanistica e appalti, 1998, 10, 1049

9 Servidio Salvatore, L'affrancazione di usi civici, in Azienditalia - Fin. e Trib., 2008, 21

10 Sonia Carmignani, Disciplina dell'esercizio delle funzioni in materia di demanio collettivo civico e diritti di uso civico, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2015, 2, 235

11 Ferdinando Parente, La liquidazione degli usi civici …, op. cit.

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80 inalienabili ed imprescrittibili.

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La loro demanialità risale alla legislazione napoletana preunitaria, nella quale l'uso era qualificato demanio, o forse ad una legge nazionale del 1894.

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Anche la suprema Corte, Sez. III, con sentenza 28 settembre 2011, n. 19792, conferma il regime giuridico assimilato alla demanialità degli usi civici, definiti come indisponibili e soprattutto statuendo «il principio che un bene soggetto ad uso civico non può essere oggetto di espropriazione forzata, per il particolare regime della sua titolarità e della sua circolazione, che lo assimilano ad un bene appartenente al demanio, nemmeno potendo per esso configurarsi una c.d. sdemanializzazione di fatto».

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In campo giurisprudenziale questa sentenza rappresenta tuttavia una novità in quanto in passato era stato chiarito in più occasioni che gli usi civici avevano una natura pubblicistica che non consentiva l'equiparazione, ma soltanto l'avvicinamento, della disciplina degli usi al regime dei beni demaniali. Infatti il termine demanio era definito una formula di sintesi per estendere ai terreni soggetti ad uso civico il regime dell'incommerciabilità del demanio pubblico, disciplinato dall'art. 823 cod. civile, e per sanzionare di nullità per impossibilità giuridica dell'oggetto l'atto di disposizione del bene (Cass. 28 novembre 1977, n. 4120, in Giust. civ., 1978, I, p. 967).

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Gli elementi comuni a tutti i diritti di uso civico sono i seguenti:

 l’esercizio di un determinato diritto di godimento su un bene fondiario;

 la titolarità del diritto di godimento per una collettività stanziata su un determinato territorio;

 la fruizione dello specifico diritto per soddisfare bisogni essenziali e primari dei singoli componenti della collettività.

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Riguardo la classificazione degli usi civici, si deve fare una distinzione sulla base dei beni che sono soggetti a tale diritto

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, distinguendoli in ius in re aliena, se esercitati su terre private, e in ius in re propria, se esercitati su terre comuni o collettive.

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Nella prima forma di manifestazione del gravame la situazione soggettiva del titolare sembra

12 Gabriele Sciumbata, Brevi note in materia di affrancazione di terreno già gravato da usi civici:

formalità pubblicitarie e trattamento fiscale, in Riv. notariato, fasc.4, 2007, pag. 984

13 Ferdinando Parente, La liquidazione degli usi civici …, op. cit.

14 Eva Maschietto, Usi civici. Il Consiglio di stato conferma l'orientamento del T.a.r. di Salerno: è sempre necessario seguire la procedura ad evidenza pubblica per il mutamento di destinazione, in Rivista Giuridica dell'Ambiente, fasc.5, 2013, pag. 0577B

15 Ferdinando Parente, La liquidazione degli usi civici …, op. cit.

16 Stefano Deliperi, Gli usi civici e gli altri diritti d'uso collettivi in Sardegna, in Riv. giur. ambiente, fasc.3-4, 2011, pag. 387

17 Fulvio Pironti, Aspetti privatistici e pubblicistici nelle partecipanze agrarie emiliane, in Giust. civ., fasc.4, 2005, pag. 151

18 Gabriele Sciumbata, Brevi note …, op. cit.

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81 conformata al modello del diritto reale di godimento su cosa altrui, caratterizzato dall'inerenza al bene, dal diritto di seguito, dall'assolutezza e dalla dimensione erga omnes del sistema delle tutele. Nella tipologia dell'uso civico in re propria, invece, l'esercizio del potere risulta come "estrinsecazione del diritto dominicale della popolazione o dell'ente cui i beni appartengono".

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In particolare in quest’ultimo caso, talvolta i beni di uso civico appartengono alla stessa comunità dei beneficiari, attraverso una persona giuridica pubblica («partecipanze», «Università agrarie», ecc.). Poiché i diritti in questione appartengono alle anzidette collettività e non all'ente territoriale, essi vengono conservati dalle collettività stesse (e cioè dagli stessi gruppi di cittadini) anche quando eventualmente il territorio venga trasferito a un comune diverso.

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Se finora abbiamo parlato degli usi civici, adesso è doveroso analizzare le caratteristiche delle proprietà collettive su cui essi possono gravare. Queste si distinguono tra il demanio civico e le terre collettive. Se infatti entrambe sono soggette a forme di proprietà collettiva di diritto pubblico e sono caratterizzate da un particolare regime giuridico, consistente nella inalienabilità, imprescrittibilità, inespropriabilità, inusucapibilità e nella perpetuità del vincolo a favore di collettività che hanno su tali beni diritti di godimento, esse divergono per denominazione e per contenuto. Il demanio civico indica le terre dalle quali la collettività, composta da tutti i cittadini residenti in un determinato luogo, ha diritto di trarre tutte le utilità che esse possono fornire. Le terre collettive invece appartengono non alla collettività generalizzata dei cives, ma solo alla collettività costituita dai discendenti degli originari fruitori.

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3.1 Le origini degli usi civici e la loro funzione storica

L’origine degli usi civici viene collocata certamente nel Medioevo, ma secondo alcuni studiosi sembra che questi affondino le proprie radici nell’epoca romana.

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Nel III sec.

d.C. infatti, mentre si concludeva il lungo processo di formazione di grandi proprietà private delle terre, una parte di queste, in buona parte boschi e pascoli, fu riservata al fisco che le concedeva in uso dietro corresponsione di un canone o che le assegnava ai piccoli centri rurali, le cui popolazioni vi esercitavano il pascolo ed il legnatico.

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A parte questa forma embrionale di epoca romana, in realtà gli usi civici sembrano discendere da forme di proprietà collettiva proprie dei popoli barbari, che li diffusero,

19 Ferdinando Parente, La liquidazione degli usi civici …, op. cit.

20 Servidio Salvatore, L'affrancazione di usi civici, op. cit.

21 Sonia Carmignani, Disciplina dell'esercizio …, op. cit.

22 De Paolis Maurizio, Diritti di uso civico …, op. cit.

23 Stefano Deliperi, Gli usi civici …, op. cit.

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82 parallelamente allo sviluppo del feudalesimo nell'alto medioevo, in tutta la penisola, sia pure con connotazioni autonome strettamente legate al territorio ed al suo utilizzo.

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In particolare, nel sistema germanico il nucleo dell'organizzazione sociale ed economica era la tribù, la quale era l’unica ad avere la titolarità della proprietà della terra: era infatti un sistema fondato prevalentemente sullo sfruttamento collettivo della terra, mentre il diritto del singolo poteva esercitarsi solamente in virtù del vincolo di appartenenza e subordinatamente alle esigenze della collettività.

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Partendo da questi presupposti, con il feudalesimo si creò una vera e propria proliferazione dei beni e degli usi civici e nelle ampie zone della penisola che furono infeudate si scisse l'utilizzo della terra dal corrispondente diritto. Ad una titolarità astratta del diritto di proprietà in capo all'imperatore ed ai suoi vassalli infatti conseguiva un utilizzo per sua natura impersonale, proprio di una collettività che nell'agricoltura preindustriale trovava i mezzi di sostentamento essenziali.

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Così oltre alla proprietà allodiale, generalmente situata in vicinanza dell'abitato, esistevano vasti territori incolti e boschivi che le comunità consideravano comuni e su cui pretendevano di esercitare un diritto inalienabile ed imprescrittibile. La concessione di quegli usi civici, che era concessa con atto formale (o per facta concludentia) dal dominus delle terre infeudate, serviva anche ad attrarre la popolazione nel feudo, allargando la cerchia dei vassalli, ed era attribuita benevolentiae causa o quale ricompensa del lavoro di colonizzazione (sollecitato dallo stesso feudatario).

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Riassumendo quanto detto, si può affermare quindi che gli usi civici propriamente detti in Italia ebbero origine con la nascita del feudalesimo, perché proprio in questo periodo storico nacquero forme di godimento delle terre variamente denominate spettanti alle collettività organizzate e riconosciute dal potere pubblico.

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Il mondo agricolo italiano conosceva così una moltitudine di diritti di uso civico, ciascuno con finalità e regime giuridico radicalmente differenti tra loro. Si pensi così agli eterogenei diritti di legnatico (raccogliere legna per uso domestico, personale o di lavoro), di pascolo, di semina, di fungatico, di caccia, di pesca, di abbeveraggio per il bestiame, di raccolta di ghiande e così via.

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24 Fabrizio Marinelli, I settant'anni della legge 16 giugno 1927 n. 1766: ripensare gli usi civici, in Giust.

civ., fasc.5, 1997, pag. 227

25 Stefano Deliperi, Gli usi civici …, op. cit.

26 Fabrizio Marinelli, I settant'anni …, op. cit.

27 Fulvio Pironti, Aspetti privatistici …, op. cit.

28 Stefano Deliperi, Gli usi civici …, op. cit.

29 De Paolis Maurizio, Diritti di uso civico …, op. cit.

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83 Nel XVIII secolo iniziò però a divenire predominante il pensiero illuminista, che portò alla rivoluzione francese ma anche all’ascesa della classe borghese. Lo scopo di questa corrente di pensiero non era soltanto quello di ottenere un’uguaglianza sotto il profilo personale fra tutti i cittadini, ma anche sotto un profilo reale. Gli illuministi infatti ritenevano che non si potesse ottenere una vera uguaglianza senza l'eliminazione dei privilegi economici, di cui la feudalità costituiva l'espressione più diretta. Ciò portò alle leggi eversive della feudalità.

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Con queste si passò dal sistema ad economia naturale, largamente diffuso nella società rurale dell'epoca, all'ordinamento socioeconomico attuale. In questo processo rientrarono anche gli usi civici, con la conseguenza che le forme collettive e dirette di coltivazione e di utilizzo promiscuo dei prodotti del fondo da parte della comunità locale furono considerate un ostacolo allo sviluppo delle moderne tecniche agrarie e si volle abolirle. Inizialmente ci si occupò dei diritti di utilizzo esercitati dalla popolazione sul bene del singolo proprietario, implementando un particolare procedimento che convertisse il diritto reale dei cives all'utilizzo diretto e in natura dei prodotti del fondo in un diritto degli stessi a un compenso sostitutivo dell'esercizio diretto e promiscuo che veniva a cessare (c.d. «liquidazione dei diritti di uso civico»).

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Riguardo invece i terreni costituenti il feudo, questi venivano restituiti a tutta la popolazione residente del luogo, andando a costituire una proprietà sostanzialmente indivisa e creando così un contrasto tra le finalità economiche e sociali per cui scompariva il feudo ed il moderno principio di esclusività del diritto di proprietà. Tale operazione eversiva doveva infatti costituire soltanto un primo passo verso la totale liquidazione degli usi e dei demani civici. E così fu perché sia negli stati preunitari, sia nel Regno d'Italia dopo l'unità vennero creati una serie di figure amministrative aventi lo scopo di liquidare tali usi civici.

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Nonostante ciò i diritti di uso civico continuarono a permanere e di fatto si rafforzarono:

essi venivano goduti dai cives generalmente attraverso la corresponsione annuale in favore del Comune di una tassa per ogni capo di bestiame al pascolo ed un corrispettivo per il legnatico. La conferma di tale permanenza si ha nel fatto che, considerando

30 Fabrizio Marinelli, I settant'anni …, op. cit.

31 Maria Athena Lorizio, L'affrancazione o liquidazione invertita delle servitù civiche nelle province ex pontificie. I poteri dei comuni nella gestione dei demani civici, in Giust. civ., fasc.2, 2013, pag. 111

32 Fabrizio Marinelli, I settant'anni …, op. cit.

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84 soltanto i terreni boschivi, quelli rientranti nei demani civici rappresentano oggi più di due milioni di ettari, cioè circa il 25% della superficie forestale nazionale.

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3.2 La suddivisione dei diritti e della loro titolarità nelle proprietà collettive

La proprietà collettiva non è strutturata e non può essere strutturata come la proprietà individuale.

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Mentre la concezione classica della proprietà romana pone tra i requisiti caratterizzanti di tale diritto l'assolutezza (diritto di escludere gli altri dal godimento della cosa), la proprietà collettiva del diritto germanico si caratterizza come proprietà a mani giunte e non conosce quei caratteri di assolutezza propri della concezione romanistica del dominio. Essa si configura come una forma di comunione in cui tutti i partecipanti non sono rappresentati da quote divisibili: l'insieme e le sue parti sono indivisibili, ed il godimento del bene da parte di ciascun partecipante non deve ostacolare il godimento altrui.

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Nella proprietà collettiva di diritto pubblico unica proprietaria è la comunità di abitanti, che a sua volta può essere rappresentata dal Comune, eventualmente in amministrazione separata per la singola frazione, o da una associazione agraria.

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In relazione a detta caratteristica dei fondi di essere di proprietà collettiva (rectius: di godimento collettivo), l'Ente che ne è titolare rappresenta, in sostanza, la collettività degli abitanti e non è il titolare dei diritti dominicali sulle terre.

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I Comuni, le associazioni o le università agrarie perciò amministrano gli usi civici e rappresentano la comunità locale degli abitanti, con limitato esercizio per essi di poteri e facoltà riguardanti gli usi medesimi.

Non possono disporre dei terreni così «gravati», essendo sottoposti ai vincoli di destinazione, indisponibilità, inalienabilità. La giurisprudenza rimarca che sono anche incommerciabili, non usucapibili, non espropriabili.

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Anche la suprema Corte concorda con tale tesi (Cass. 27 novembre 1954 n. 4329), affermando il principio che la titolarità appartiene alla popolazione, ossia alla generalità degli abitanti di un Comune o di una

33 Stefano Deliperi, Gli usi civici …, op. cit.

34 Emanuele Casamassima, La Corte costituzionale ripristina la tutela giuridica demaniale ed ambientale, in Giust. civ., fasc.4, 1995, pag. 0865A

35 Fabrizio Marinelli, I settant'anni … op. cit.

36 Paolo Stella Richter, Proprietà collettive, usi civici e interesse pubblico, in Dir. amm., fasc.1, 2003, pag. 183

37 Servidio Salvatore, L'affrancazione di usi civici, op. cit.

38 Vittorio Santarsiere, Fondi gravati da usi civici e mutamento di destinazione. Gara ad evidenza pubblica e variazione conforme al piano territoriale, in Giurisprudenza di Merito, fasc.2, 2013, pag. 432

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85 frazione e non già all'ente.

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Si tratta di una appartenenza necessaria, in base all'asserito principio secondo il quale, nell'ordinamento moderno, le situazioni giuridiche - e segnatamente le situazioni a contenuto patrimoniale - sono sempre imputate a un soggetto giuridico.

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Provenendo da un originario dominio di una collettività di abitanti o dall'attuazione delle procedure di affrancazione degli usi civici e di scioglimento delle promiscuità, la proprietà collettiva di una terra è connotata dalla perpetua destinazione all'utilizzazione della collettività alla quale appartiene e perciò non appartiene solo agli attuali titolari, cioè ad uno specifico gruppo individuato in un dato momento storico, ma anche ai successori dei componenti la collettività. In quanto bene destinato al godimento e alla utilizzazione non solo da parte della generazione presente, ma anche di quella futura, la proprietà collettiva è vincolata nella sua consistenza e nelle sue caratteristiche dalla sua conservazione, in vista della trasmissione del godimento della res, appunto, alle generazioni future. In questa prospettiva, la proprietà collettiva viene considerata nella dimensione di garante della qualità della vita per coloro che attualmente ne godono e per coloro che ne godranno domani.

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La titolarità del diritto sul bene, nell'uso civico, è conseguenza dell'essere partecipante di una comunità, è insomma un prius rispetto alla proprietà stessa. Questa perciò non solo non è commerciabile come la quota di partecipazione alla comunione, ma si acquista soltanto a titolo originario, ovvero attraverso l'acquisizione dello status di membro di una determinata collettività. Inoltre la proprietà civica di un bene non attribuisce ai partecipanti il diritto di chiedere la divisione dello stesso, ed è caratterizzata da una specifica funzione, ovvero dalla destinazione che l'ordinamento imprime al bene in funzione del suo proprio utilizzo. Infatti nel caso degli usi civici non può parlarsi di quote del diritto di proprietà, che resta unico ed esclusivo in capo ad una comunità, e che è amministrato dall'ente territoriale esponenziale, proprio della collettività: i singoli utilizzatori non hanno la possibilità di chiedere lo scioglimento della comunione, il che fa ritenere proprio che essa faccia capo ad un soggetto distinto.

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Il legame che unisce i partecipanti alla comunità, quindi, è di tipo solidaristico e configura una fattispecie di comunione impropria, che difetta della ripartizione in quote. È basilare, allora, riconoscere all'uso civico in re propria la natura

39 Emanuele Casamassima, La Corte costituzionale …, op. cit.

40 Paolo Stella Richter, Proprietà collettive …, op. cit.

41 Sonia Carmignani, Disciplina dell'esercizio …, op. cit.

42 Fabrizio Marinelli, I settant'anni …, op. cit.

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86 di comunione atipica, ovvero senza quote, avente ad oggetto diritti soggettivi, ma la cui rappresentanza è affidata all'ente esponenziale. Quest’ultimo tuttavia non può procedere alla negoziazione dei demani civici neanche con l'assenso di tutti i cives, avendo solamente la qualificazione di centro d'imputazione per il godimento collettivo delle terre e per l'inizio di determinate procedure di conservazione degli usi civici.

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Anche nel caso in cui l’ente esponenziale sia il Comune, queste terre non rientrano tra i suoi beni patrimoniali e quindi ad esse non potranno applicarsi le norme sull'affitto e sulla vendita dei beni comunali.

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Nell'ipotesi invece di uso civico non ancora liquidato, insistente su terreno di dominio privato, il bene gravato, per l'assenza di vincoli normativi alla circolazione, deve considerarsi liberamente alienabile, sia a titolo oneroso che gratuito, ma limitato nel godimento dall'esistenza dell'uso.

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La caratterizzazione degli usi civici consistente in una scissione tra la titolarità e la rappresentanza del diritto in capo ad una collettività, e la concreta utilizzazione da parte di soggetti distinti, ovvero i singoli partecipanti a tale comunità, può far ritenere come essi possano rientrare all'interno di quei particolari iura in re aliena volti a far godere temporaneamente un bene ad altri soggetti, distinti dai proprietari, ed in particolare a quello d’uso, descritto e regolato dall'art. 1021 cod. civile. Il problema però si complica quando si va a definire che il diritto d’uso è una facoltà, che per sua natura viene esercitata da chi non è né titolare né tanto meno contitolare del diritto stesso di proprietà. Perciò se da un punto di vista pratico l'uso civico ha lo scopo di permettere l'uso di un bene, sotto il profilo sistematico esso non può essere assimilato al diritto reale di uso nel senso usato dal codice civile.

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Sulla base di quanto detto finora, con riguardo alle proprietà collettive devono essere considerati distintamente tre elementi fondamentali, riguardanti il godimento, il potere di gestione economica ed il potere di disposizione. A differenza di quanto avviene nella proprietà individuale infatti i tre elementi appaiono del tutto separati, nel senso che l'utilizzazione del bene ed in particolare il suo godimento spetta ai singoli, in quanto essi si trovano in un determinato rapporto di natura pubblicistica con l'ente collettivo, ed a quest'ultimo spetta, con funzione meramente strumentale di organizzazione e di tutela, l'esercizio degli altri due poteri, ossia di gestione economica e solo molto parzialmente

43 Ferdinando Parente, La liquidazione degli usi civici …, op. cit.

44 Maria Athena Lorizio, L'affrancazione o liquidazione invertita …, op. cit.

45 Ferdinando Parente, La liquidazione degli usi civici …, op. cit.

46 Fabrizio Marinelli, I settant'anni …, op. cit.

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87 quello di disposizione. In quest’ultimo caso in particolare l'ente può solo, ricorrendone le condizioni di legge, deliberare di richiedere l'autorizzazione al mutamento di destinazione o l'autorizzazione all'alienazione (sdemanializzazione).

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3.3 La regolamentazione dell’istituto a livello nazionale: la legge 16 giugno 1927, n. 1766 e il Regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 e le successive integrazioni

Negli anni Venti del XX secolo si giunse alla prima sistematica normativa comune per tutto il territorio nazionale, introdotta con la legge 16 giugno 1927, n. 1766, che razionalizza alcuni provvedimenti legislativi adottati negli anni immediatamente precedenti  e che va a costituire un corpus disciplinare che con limitate modifiche ha regolato la materia fino ad oggi, insieme al regolamento approvato con regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 ed alla legge 10 luglio 1930, n. 1078 che reca disposizioni sulla definizione delle controversie in materia di usi civici.

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Tale legge, di conversione del r.d. 22 maggio 1924 n. 751, il relativo regolamento e le successive disposizioni integrative disciplinano in un unico contesto legislativo istituti diversi, e precisamente:

 gli usi civici sulle terre private;

 le terre in proprietà esclusiva dei comuni, delle frazioni, delle università o associazioni agrarie;

 le promiscuità, ovvero le terre che sono state in godimento di più popolazioni diverse tra loro.

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Questo corpus normativo è dunque assai più che una legge di riordinamento degli usi civici: è anche una legge che per un verso mantiene alle collettività insediate nelle terre di uso civico le facoltà di godimento degli usi a contenuto patrimoniale, privando però le stesse della facoltà di disporne e riconducendo la relativa disciplina al diritto privato, e per altro verso dà rilievo giuridico a un profilo sempre esistito solamente in fatto, quale la conservazione del patrimonio boschivo e pascolivo, e introduce ex novo la protezione di un profilo produttivo, riconducibili entrambi alla collettività nazionale e quindi al diritto pubblico.

47 Emanuele Casamassima, La Corte costituzionale …, op. cit.

48 Stefano Deliperi, Gli usi civici …, op. cit.

49 Fabrizio Marinelli, I settant'anni …, op. cit.

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88 Peraltro, per pervenire alla formazione della proprietà collettiva a destinazione pubblica occorre procedere a una sistemazione dell'originario demanio civico attraverso un accertamento delle sue oggettive caratteristiche e la c.d. assegnazione a categoria, perché solo se convenientemente utilizzabili con destinazione forestale, boschiva o pascoliva permangono pubblici; mentre, se viene accertata una vocazione agraria, i terreni debbono essere assegnati a coltivatori in proprietà privata.

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Consideriamo anzitutto lo status dei beni della comunità dei cives nel sistema della legge del 1927. Come è noto, nell'ordinamento vigente, le terre della comunità soggette all'esercizio degli usi sono gestite e rappresentate dagli enti gestori (università agrarie, associazioni agrarie comunque denominate, speciali rappresentanze frazionali). Soltanto nelle aree territoriali, nelle quali non preesistono enti specifici di gestione ovvero questi vengono sciolti, i beni sono trasferiti alla gestione dell'ente-comune o alla frazione territorialmente competente, «con la destinazione corrispondente alla categoria di appartenenza»: questo significa che l'ente comune o la frazione gestiscono i beni trasferiti, ma i beni stessi conservano il regime giuridico ed il vincolo di destinazione preesistente (art. 25 della legge 1766, art. 58 ss. r.d. n. 332). L'art. 26 della legge stabilisce anche espressamente che «i terreni di originaria appartenenza delle frazioni e altri che ad esse passeranno in seguito ad affrancazione» o a seguito dello scioglimento degli enti di gestione «saranno amministrati dalle medesime, separatamente da altri, a norma della legge comunale e provinciale, a profitto dei frazionisti. Con le norme della stessa legge saranno amministrati i beni delle associazioni conservate». Ne consegue che, anche nel caso di scioglimento degli enti preesistenti, e passaggio dei beni all'ente comune o alla frazione, comuni e frazioni non diventano proprietari dei beni dei cives, ma ne hanno soltanto la gestione. Questo potere gestorio è oltretutto limitato agli atti di ordinaria amministrazione, essendo qualsiasi atto di disponibilità del bene soggetto all'autorizzazione dell'ente sovraordinato (art. 12 legge 1766, art. 39 e 41 r.d. 332).

51

Il diritto collettivo di natura reale inerente a tali beni infatti è esercitato in forma «duale»

dalla collettività tramite il Comune, che in via ordinaria li amministra in nome della collettività, ma che non possiede diritti di disposizione sui medesimi (pena la loro inammissibile equiparazione a patrimonio disponibile), e tramite la Regione, che vigila su tutte le iniziative di carattere straordinario, incluso il mutamento di destinazione.

52

E

50 Paolo Stella Richter, Proprietà collettive …, op. cit.

51 Vincenzo Cerulli Irelli, I tumuleti di Paola, in Giust. civ., fasc.7-8, 2004, pag. 1817

52 Eva Maschietto, Usi civici. Il Consiglio di stato …, op. cit.

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89 comunque, la tesi dell'appartenenza all'ente Comune dei beni di possesso originario delle comunità dei cives non è sostenibile in tutti i casi di comunità storicamente preesistenti alla costituzione dell'ente Comune (Comune amministrativo), se non considerando il Comune moderno come naturale successore dell'originaria comunità di abitanti.

53

L'art. 84, comma 2, del testo unico approvato con r.d. 3 marzo 1934 n. 383 (legge comunale e provinciale previgente) stabilisce infatti in modo tassativo che «i beni comunali si distinguono in beni demaniali e beni patrimoniali. Nulla è innovato per quanto concerne i terreni soggetti agli usi civici rispetto alle disposizioni delle leggi speciali che regolano la materia». L'art. 84 è stato fatto espressamente salvo dall'art. 64, lett. c, l. 8 giugno 1990 n. 142 sulle autonomie locali, e deve ritenersi tuttora in vigore (pur essendo stato abrogato il r.d. n. 383 nella sua totalità dal d. lgs. 18 agosto 2000 n.

267), non essendoci nell'ordinamento vigente degli enti locali (d. lgs. n. 267/00) una norma che regoli diversamente la materia dei demani civici (art. 275 d. lgs. n. 267/00).

E, come è noto, in base ai principi che regolano la successione delle leggi nel tempo e i rapporti fra le leggi, la vecchia legge non viene meno fino a quando non sopravviene una disposizione contraria o una nuova legge che regoli interamente la materia (art. 15 disp. prel. al cod. civile).

Questo significa, in particolare, che il bene resta soggetto allo speciale regime di indisponibilità di cui all'art. 12 l. n. 1766/27 e l'ente locale non può disporne come fosse un bene del suo patrimonio disponibile, ma, in base alla legge speciale, deve continuare a gestire il bene destinandolo alle necessità della popolazione.

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Anche la giurisprudenza della Cassazione, fin dalle prime pronunce sull'interpretazione ed applicazione della legge del 1927, si è attestata sulla posizione che riconosce la titolarità delle terre alla generalità degli abitanti di un Comune o di una frazione, e non già all'ente. In realtà, è stata proprio la necessità di superare le contestazioni e le discussioni dottrinarie sull'imputabilità dei beni utilizzati dai cives in forma congiunta e diretta, e, in specie, la forte conflittualità fra comuni e comunità dei cives sulla questione, che ha indotto il legislatore del 1927 a sottoporre allo stesso regime tutti i terreni contrassegnati dall'esercizio degli usi dei cives, qualunque ne fosse l'appartenenza, catastale e non (art. 1 e 11 l. n. 1766/27).

53 Vincenzo Cerulli Irelli, I tumuleti di Paola, op. cit.

54 Maria Athena Lorizio, L'affrancazione o liquidazione invertita …, op. cit.

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90 Quando l’ente di gestione è il Comune, questo agisce per i cives e li rappresenta in giudizio. Se si nega la rappresentanza dell'ente gestore, i cives non avrebbero più voce né legittimazione ad agire come comunità: in caso di contestazione dei loro diritti, essi non potrebbero mai rivendicarli in giudizio. In verità, potrebbe agire anche il singolo civis, per sé e per la comunità di cui fa parte (uti singulus et uti civis, secondo una antica espressione), ma non la comunità dei cives.

Per superare ogni questione sulla natura giuridica ed appartenenza di beni delle comunità dei cives intestati all'ente Comune e soggetti all'esercizio di usi civici, il legislatore del 1927 ha sottoposto allo stesso regime «i terreni assegnati ai Comuni o alle frazioni in esecuzione di leggi precedenti relative alla liquidazione dei diritti di cui all'art. 1 (usi civici e qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento delle terre spettanti agli abitanti di un Comune o di una frazione di Comune) e quelli che perverranno ad essi in applicazione della presente legge, nonché gli altri posseduti da Comuni, o frazioni di Comuni, università, ed altre associazioni agrarie comunque denominate, sui quali si esercitano usi civici» (art. 11 l. 4 agosto 1894, n. 397, v. anche l'art. 1).

55

Dunque, anche quando i beni e diritti provenienti dalla liquidazione dei diritti civici sulle terre private (quota di terreno o canone pecuniario) vengono assegnati all'ente (Comune o frazione), l'ente locale non ne può disporre a suo piacimento, ma con l'osservanza delle disposizioni della legge del 1927 e del regolamento del 1928 e sotto il controllo e alle condizioni stabilite dall'ente sovraordinato, che nel sistema previgente era il Ministero dell'agricoltura e foreste, e nel vigente ordinamento è la Regione (art. 1, 7, 11 ss. legge 1766).

56

La legge 1766/27 sottopone inoltre i demani civici ad un regime particolare di tutela, di destinazione e di indisponibilità controllata (art. 1 e, in particolare, 11-26 e titolo II r.d.

n. 332/28). Il regime di indisponibilità e di destinazione vincolata proprio della legge del 1927 è stato successivamente potenziato dal vincolo di tutela ambientale introdotto dalla l. 8 agosto 1985 n. 431 che, all'art. 1, lett. h, ha inserito i beni di demanio civico tra le categorie dei beni ambientali (oggi art. 142 d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, codice dei beni culturali e del paesaggio). Il regime della gestione dei beni agro-silvo-pastorali in proprietà collettiva e indivisibile delle comunità di abitanti è stato da ultimo definito e

55 Vincenzo Cerulli Irelli, I tumuleti di Paola, op. cit.

56 Maria Athena Lorizio, L'affrancazione o liquidazione invertita …, op. cit.

(13)

91 coordinato con il sistema delle autonomie locali dall'art. 3 l. 31 gennaio 1994 n. 97.

57

Tale aspetto verrà approfondito nel paragrafo successivo.

In base alle disposizioni contenute nella legge n. 1766/1927 e nel relativo regolamento di esecuzione è possibile pervenire al risultato della costituzione in piena proprietà privata dei fondi gravati da usi civici attraverso l'attivazione e l'espletamento con esito positivo, a seconda delle condizioni oggettive e soggettive di volta in volta sussistenti, di una delle seguenti procedure: liquidazione (degli usi civici); legittimazione;

quotizzazione.

58

Con la prima procedura il legislatore si propone di liberare i terreni gravati dagli usi civici, attribuendo una quota di terreno in proprietà ai fruitori - cives;

con la seconda si legittimano le occupazioni abusive ultradecennali caratterizzate dal compimento di opere miglioratrici; la terza infine si riferisce solamente alle terre civiche (ius in re propria), sia originarie che derivanti dal procedimento di liquidazione degli usi, e permette di quotizzare quelle utilizzabili per le colture agrarie e di concederle in enfiteusi ai cittadini meno abbienti del Comune, attribuendo all’ente gestore l'amministrazione delle altre terre destinate a bosco o a pascolo.

59

In questa trattazione analizzeremo in dettaglio solo il procedimento di liquidazione degli usi civici, dato che è quello che è stato attuato per l’isola di Pianosa. Questo trova la propria disciplina negli artt. 1-8, legge n. 1766/1927, e negli artt. 11-15, r.d. n.

332/1928, e ha per effetto l'estinzione degli usi e il conseguente pieno ripristino del diritto dominicale del proprietario del fondo. Tale iter ovviamente non riguarda le proprietà iure proprio delle comunità, e soprattutto non riguarda le zone dove la gestione collettiva è stata mantenuta ed è regolamentata da parte dell'ente di gestione in forme che consentono bilanci attivi e quindi la conservazione e il c.d. «sviluppo sostenibile» del territorio.

60

Questa procedura è nel sistema originario affidata alla direzione dei Commissari per la liquidazione degli usi civici, ha inizio con la denunzia delle terre gravate e trova ulteriore svolgimento nella verifica, nell'accertamento e nella liquidazione dell'uso, nonché nell'eventuale legittimazione dei terreni occupati abusivamente. Il sistema normativo delle origini, dunque, è finalizzato all'accertamento e alla liquidazione tempestiva degli usi civici (artt. 4-8, l. n. 1766 del 1927). L'accertamento integra un'attività di carattere amministrativo volta a verificare l'esistenza degli usi: la prova

57 Maria Athena Lorizio, L'affrancazione o liquidazione invertita …, op. cit.

58 Repetti Rossella, Terre gravate da usi civici …, op. cit.

59 Sonia Carmignani, Disciplina dell'esercizio …, op. cit.

60 Maria Athena Lorizio, L'affrancazione o liquidazione invertita …, op. cit.

(14)

92 può essere fornita con qualsiasi mezzo, purché l'esercizio dell'uso non sia cessato anteriormente al 1800, ipotesi nella quale è prescritta l'idoneità della sola prova documentale (art. 2, l. n. 1766 del 1927).

61

Il procedimento si svolge in due fasi:

1. denuncia degli usi;

2. verifica e liquidazione degli usi.

Tra la prima e la seconda fase del procedimento si potrebbe inserire il procedimento per la legittimazione delle occupazioni abusive. Vediamole più nel dettaglio.

Il procedimento ha inizio con la denuncia. Nel sistema della legge 1776/1927 la denuncia doveva farsi entro un termine di decadenza di 6 mesi dall'entrata in vigore della legge (pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 3 ottobre 1927) e ciò per tutti i territori gravati, fossero essi privati o comunali. Legittimati alla denuncia sono:

 il Sindaco (allora il Podestà);

 l'Associazione degli utenti;

 l'ente esponenziale;

 i singoli utenti.

Nonostante il termine perentorio, nell'interpretazione della legge la giurisprudenza ha attenuato il rigore della previsione normativa, affermando che la scadenza dei sei mesi doveva ritenersi limitata alla denuncia degli usi gravanti su terre private o ex feudali, ma di privati; tale termine non dovrebbe ritenersi, invece, riferibile agli usi gravanti sui beni dei Comuni o comunque pubblici, che rappresentano, peraltro, la gran parte.

Come detto sopra, a questa segue la fase di liquidazione, che si svolge attraverso vari subprocedimenti.

V'è, anzitutto, l'accertamento dell’esistenza e della consistenza dell'uso.

L'accertamento può avvenire, in via normale, in sede amministrativa; ovvero può effettuarsi in via contenziosa in sede giurisdizionale. Nel primo caso è compiuto con la nomina di uno o più periti ai quali spetta di accertare se esistano usi su quel dato terreno e quale natura abbiano; a ciò segue la formazione del progetto di liquidazione; questo infine viene trasmesso al Comune o all'Associazione Agraria e notificato agli interessati.

62

61 Ferdinando Parente, La liquidazione degli usi civici …, op. cit.

62 Stefano Deliperi, Gli usi civici …, op. cit.

(15)

93 È nel progetto che si stabilisce l’entità e la natura della controprestazione atta a compensare la cessazione dell'esercizio del diritto di uso civico da parte degli utenti e da attribuirsi all'ente esponenziale. Di regola questa è corrisposta in natura, mediante lo scorporo di una parte materiale del terreno gravato. Questo procedimento presuppone la divisione del fondo in due quote: una quota è assegnata alla popolazione utente per le sue necessità e l'altra quota resta al proprietario, libera dagli usi. Nella specie, la liquidazione implica l'estinzione definitiva del diritto di uso civico gravante sui terreni liberati. I terreni trasferiti all'ente esponenziale, in compenso dell'uso civico estinto, invece, conservano il vincolo originario, ma assumono la nuova configurazione giuridica di beni immobili gravati da usi civici in re propria, divenendo demani civici.

63

Quando tuttavia lo scorporo può causare gravi danni al fondo, il legislatore ha stabilito, nell'art. 7 comma 1 della legge 1766/27, che il suddetto compenso debba consistere in una somma di danaro quando si tratti di terreni che abbiano ricevuto dal proprietario sostanziali e permanenti migliorie oppure quando si tratti di piccoli appezzamenti non raggruppabili in unità agrarie. Tale somma di danaro viene corrisposta dal proprietario del fondo agli utenti degli usi civici a titolo di canone di natura enfiteutica, che è immediatamente affrancabile e che va correlato sia al valore dei diritti di uso civico da affrancare che, come si è precisato in giurisprudenza, alle eventuali potenzialità edificatorie del fondo.

Dell’iter relativo alla fase di liquidazione oggi non si occupa più il Commissario per gli usi civici. Il procedimento infatti ha inizio con istanza rivolta dagli interessati alla Unità operativa usi civici della Regione, cui l'art. 1 del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 e l' art.

66 del d.P.R. n. 616/1977 hanno disposto il trasferimento di tutte le funzioni amministrative in materia di usi civici attribuite al Ministero agricoltura e foreste e al Commissionario agli usi civici, e prosegue come in origine con i periti demaniali.

64

Concluso il procedimento relativo alla creazione e approvazione del progetto di liquidazione, a questo hanno diritto di opporsi l’ente esponenziale, nel termine di trenta giorni dalla pubblicazione del bando nell’albo pretorio del Comune in cui le terre insistono, ed i possessori dei beni immobili su cui si pretendono i diritti di uso civico, entro trenta giorni dalle rispettive notificazioni. Se entro i termini stabiliti non siano pervenute opposizioni al Commissario, il progetto di liquidazione è approvato dalla giunta regionale e i relativi atti depositati, secondo quanto stabilito dall'art. 15 r.d. n.

63 Ferdinando Parente, La liquidazione degli usi civici …, op. cit.

64 Repetti Rossella, Terre gravate da usi civici …, op. cit.

(16)

94 332/1928, presso la segreteria del Comune (o del diverso ente esponenziale proprietario) del luogo nel quale sono situate le terre. Se invece saranno fatte opposizioni, il Commissario provvederà per la risoluzione di esse in contenzioso e potrà rendere esecutivo il progetto nelle parti non impugnate.

65

Il progetto di liquidazione, reso esecutivo, costituisce titolo per le operazioni di divisione e di distacco delle terre o per la riscossione dei canoni. Una volta fatto ciò si ricostituisce nella sua pienezza sulle aree ormai libere dall’uso civico il diritto di proprietà.

66

Una volta definiti i demani civici, il legislatore si occupa della regolamentazione di questi beni immobili, prevedendo una normativa comune sia che fossero preesistenti sia che fossero derivanti dalla liquidazione degli usi. Recita l'art. 11 l. n. 1766 del 1927 che i terreni assegnati a seguito di liquidazione, nonché gli altri posseduti da Comuni o frazioni di essi, università, altre associazioni agrarie sui quali si esercitano usi civici, saranno distinti in due categorie:

a) terreni convenientemente utilizzabili come bosco o come pascolo permanente;

b) terreni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria.

Per le aree di cui alla categoria «a» si osserveranno, quindi, le norme in materia di tutela idrogeologica e boschiva (regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267) e solo in tale ambito, in futuro, verranno esercitati i diritti di uso civico (art. 12 della legge 1766/1927). Riguardo questi ultimi la norma dispone che essi «non potranno eccedere i limiti stabiliti dall'art. 1021 del codice civile»; sono cioè assoggettati alla normale disciplina del diritto d'uso, che per un verso non è diritto di proprietà e per altro verso ha natura certamente privatistica.

67

Nonostante tale natura, l'art. 41 r.d. n. 332 del 1928 sancisce che i Comuni e le associazioni agrarie potranno richiedere alla Regione (ante allo Stato) di autorizzare che a tutte o parte delle terre sia data una diversa destinazione, come l'alienazione dei fondi medesimi, quando essa rappresenti un reale beneficio per la generalità degli abitanti.

68

Inoltre secondo il T.A.R. di Salerno, sez. I, 6 febbraio 2012, n. 174, il provvedimento di mutamento di destinazione esige la previa indizione di apposita gara ad evidenza pubblica per acquisire l'offerta migliore alla quale aggiudicare l'attuazione del nuovo assetto. Secondo i giudici amministrativi, il provvedimento deve essere, inoltre, corredato dell'attestazione della conformità della futura destinazione alla

65 Art. 15, commi 4 – 6, RD 332/1928

66 Repetti Rossella, Terre gravate da usi civici …, op. cit.

67 Paolo Stella Richter, Proprietà collettive …, op. cit.

68 Vittorio Santarsiere, Fondi gravati da usi civici …, op. cit.

(17)

95 pianificazione territoriale, come dettato dal codice dei beni culturali e del paesaggio agli articoli 142 e 146, per garantirne l’accorto utilizzo. Non è, viceversa, assentibile il mutamento di destinazione fondato solo sulle utilità ricavabili dal nuovo impiego.

69

L'eccezionalità e non, al contrario, la fisiologicità, di tale dismissione del patrimonio civico può aversi solo in via di stretta necessità, assoggettando la disposizione derogatoria a criteri interpretativi restrittivi in ossequio al principio cardine che vede una sostanziale equiparazione degli usi civici ai beni aventi il carattere della demanialità.

70

Le aree di cui alla categoria «b» sono invece destinate ad essere ripartite, secondo un piano tecnico di sistemazione fondiaria e di avviamento colturale, fra i coltivatori diretti residenti nel Comune o nella frazione interessati, con preferenza per i meno abbienti (art. 13 della legge 1766/1927). Queste operazioni saranno materialmente predisposte da appositi periti che formano una proposta di piano di liquidazione contro la quale i soggetti interessati (il Comune, l'eventuale Associazione agraria, i titolari dei diritti di uso civico) possono agire davanti al Commissario per gli usi civici in via giurisdizionale entro trenta giorni dall'avvenuta notifica della proposta medesima (artt. 29 e ss. della legge 1766/1927).

In caso contrario, ovvero dopo eventuale provvedimento commissariale, il piano è dichiarato esecutivo dall'Amministrazione regionale e costituisce titolo per le divisioni e le riscossioni previste.

71

Terminato il capo II, dedicato alla destinazione delle terre civiche, la legge 1766/27 norma le figure che dovranno occuparsi di svolgere le funzioni amministrative e giudiziarie in questo ambito: i Commissari regionali per la liquidazione degli usi civici.

Questi sono giudici ordinari con competenza specializzata in ragione della materia e con poteri finalizzati all'accertamento e tutela dei demani civici e diritti d'uso civico delle comunità locali. Essi sono distribuiti in tredici specifiche circoscrizioni territoriali.

72

Mentre in origine la loro nomina doveva avvenire con decreto reale (poi divenuto D.P.R.) su proposta del Ministro per l’economia nazionale (sostituito in seguito da quello dell’agricoltura e foreste), con il consenso del Ministero di grazia e giustizia, la Corte costituzionale (sentenza 13 luglio 1989, n. 398) ha dichiarato ciò illegittimo,

69 Sonia Carmignani, Disciplina dell'esercizio …, op. cit.

70 Sonia Carmignani, Disciplina dell'esercizio …, op. cit.

71 Stefano Deliperi, Gli usi civici …, op. cit.

72 De Lucia Luca, L'approvazione delle conciliazioni giudiziarie in materia di usi civici, in Giornale Dir.

Amm., 2001, 5, 471

(18)

96 rimettendo alla competenza del Consiglio Superiore della Magistratura l'assegnazione a magistrati ordinari dell'ufficio di Commissario agli usi civici. Procedura che da lì in avanti fu rispettata. Inoltre in seguito alla soppressione del Ministero dell'agricoltura e foreste per effetto del referendum del 18 aprile 1993 (dal quale sono stati abrogati l' art.

1 del R.D. 12 settembre 1929, n. 1661 e il R.D. 27 settembre 1929, n. 1663 ) con l'art. 5 della legge n. 491 del 1993 sono state attribuite al Ministero di grazia e giustizia «le competenze in materia di commissariati agli usi civici esercitate dal soppresso Ministero dell'agricoltura e delle foreste». Il Commissario agli usi civici, dunque, è oggi uno degli uffici dell'organizzazione giudiziaria al cui funzionamento provvede, ai sensi dell'art.

110 della Costituzione, il Ministero di grazia e giustizia.

73

Detti organi in origine erano dotati sia di giurisdizione sia di competenza amministrativa in materia.

74

La giurisprudenza ha definito i poteri giurisdizionali del Commissario come incidentali rispetto a quelli amministrativi, nel senso che essi erano da intendersi quale strumento per risolvere le controversie sorte nel corso dello svolgimento delle funzioni amministrative, senza necessità di rinviare ad altra sede la loro soluzione. In conseguenza, gli atti commissariali emessi in forza di poteri amministrativi risultavano assoggettati al regime proprio dei provvedimenti amministrativi, mentre quelli giudiziari erano assoggettati al regime proprio di questi ultimi, ivi compresi i mezzi di gravame.

75

Le funzioni amministrative erano dirette alla verifica e sistemazione dei demani civici, alla liquidazione dei diritti di utilizzo dei cives gravanti le terre private mediante l'assegnazione alle comunità di corrispettivi in natura o in denaro, all’affrancazione delle concessioni enfiteutiche delle terre seminative, allo scioglimento delle promiscuità, alla rivendica e ripartizione delle terre (art. 29, comma 1, l. n. 1766/1927 ).

Il legislatore aveva attribuito al Commissario le funzioni, amministrativa e giurisdizionale, sul modello del Commissario liquidatore, quale era stato configurato dalla legislazione napoleonica degli stati meridionali di inizio 1800 (decreto 23 ottobre 1809 di Gioacchino Napoleone, che istituì speciali commissari per la divisione di demani, sostituiti successivamente da speciali intendenti delle province).

76

73 Romano Ricciotti, La Consulta restituisce il potere d'iniziativa al commissario agli usi civici, in Corriere Giur., 1995, 4, 432

74 Massimo Nunziata, Costituzionalmente legittimo riconoscere l'autonomo potere di esercitare ex officio la propria giurisdizione ai commissari degli enti pubblici, in Riv. giur. ambiente, fasc.1, 1996, pag. 79

75 De Lucia Luca, L'approvazione delle conciliazioni giudiziarie …, op. cit.

76 Paolo Stella Richter, Il commissario per gli usi civici d'Abruzzo, con l'ordinanza in esame, ha sottoposto d'ufficio alla corte costituzionale la questione della legittimità costituzionale

(19)

97 Il potere di disporre le verifiche, di controllare la regolarità e completezza delle relazioni degli istruttori demaniali ed ordinarne la pubblicazione agli albi comunali ai fini delle opposizioni era appunto demandato ai Commissari (artt. 15 ss., 29 e 30 r.d. n.

332/1928): e, come detto, erano gli stessi Commissari che decidevano le opposizioni e le vertenze come giudici. In questo caso sospendevano il procedimento amministrativo e risolvevano il conflitto come giudici (art. 29, comma 2, legge 1766).

77

Una volta esaurita la fase contenziosa riprendeva il suo corso quella amministrativa. Contro le decisioni dei commissari è ancora oggi ammesso il reclamo alle Corti di appello territorialmente competenti, da proporre entro trenta giorni dalla notificazione della decisione.

78

Il legislatore ha preso a modello il processo pretorile civile, che si applica in via residuale, ed ha concesso al Commissario anche il potere, giustificato peraltro dalla possibile inerzia degli enti gestori dei demani civici, di iniziativa d'ufficio, ovvero la possibilità di iniziare il giudizio quando abbia notizia della violazione dei vincoli di destinazione impressi ai beni appartenenti al demanio civico.

79

Ciò avveniva quando, nello svolgimento delle funzioni amministrative, ravvisava usurpazioni di beni o motivi di conflitto, ma si trattava di casi non frequenti. Di norma erano infatti i cives e gli enti gestori ad adire il commissario con l'opposizione alle verifiche o con ricorsi autonomi e richiesta di provvedimenti cautelari.

80

Come già accennato in precedenza, con il D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 (art. 1, comma 3) e con D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (artt. 66 e 71) sono state trasferite alle Regioni tutte le funzioni amministrative del Commissario per gli usi civici, ma anche le altre competenze attribuite al Ministero od altri organi periferici diversi dallo Stato e al Commissario per la liquidazione degli usi civici dalla l. 16 giugno 1927, n. 1766.

81

Con ciò il sistema delle competenze è profondamente mutato, in particolare:

 Commissario: ha competenza giurisdizionale di primo grado; in secondo grado è competente la Corte d'appello.

 Regione: ha competenza legislativa e amministrativa.

dell'interpretazione data alle norme sulla legittimazione delle terre di demanio civico occupate sine titulo dalla c.s., con la sentenza 10 dicembre 1993 n. 12158 ( riv. Giur. Agr. 1994, 344), prospettando una interpretazione diversa delle stesse norme, che egli reputa conforme alla costituzione, in Giust. civ., fasc.5, 1998, pag. 1442

77 Lorizio Athena, Il riordino degli usi civici, in Giornale Dir. Amm., 1995, 6, 609

78 Art. 32, L. 1766/27

79 Fabrizio Marinelli, I settant'anni …, op. cit.

80 Lorizio Athena, Il riordino degli usi civici, op. cit.

81 Vittorio Santarsiere, Fondi gravati da usi civici …, op. cit.

(20)

98

 Ministero della giustizia: è competente per la legittimazione delle occupazioni abusive d'intesa con la Regione.

82

Il legislatore del 1977 ha voluto così sciogliere il connubio tra le due funzioni di amministratore e giudice, nell'intento palese di semplificare e rendere più rapide le procedure amministrative in oggetto. Nel sistema passato infatti il contenzioso aveva troppe volte sospeso e paralizzato le operazioni amministrative di liquidazione dei diritti civici e sistemazione dei demani.

83

Tale scissione (soggettiva) tra funzioni amministrative e giurisdizionali se, da un lato, ha reso autonoma la fase giurisdizionale, nel senso che essa ha perduto la caratteristica dell'incidentalità e che può conseguentemente essere attivata anche a prescindere dall'essere in corso un procedimento amministrativo; dall'altro, non ha invece eliminato il principio per il quale le eventuali contestazioni possono essere risolte solo in sede giurisdizionale.

84

3.4 I vincoli ambientali a cui sono soggetti i demani civici

La funzione degli usi civici, si osserva in giurisprudenza, consisteva nel fornire sostentamento vitale alle popolazioni al momento storico in cui la terra si presentava quale unico elemento da cui ricavare i prodotti necessari alla sopravvivenza. Oggi la ragion d'essere dell'antico istituto è attenuata, in quanto si sopravvive con fonti di reddito che pongono la terra in posizione secondaria. La funzione vitale del bene stesso è ridimensionata nell'assetto economico della società fortemente incentrata nel settore industriale. Vi è stato, inoltre, l'inserimento degli usi civici nella specifica tutela paesistico ambientale. La persistente vitalità dell'istituto poggia sulla nuova mutazione funzionale con la diversa caratterizzazione di bene collettivo. Questo è utile alla conservazione dell'ambiente non solo a favore degli appartenenti alla collettività dei fruitori di esso, ma evidentemente anche alla generalità dei consociati.

85

La complessa situazione odierna delle terre di uso civico è pertanto la risultante della concorrente insistenza sulle stesse di tre distinti interessi.

Vi è anzitutto quello di più risalente origine, che costituisce il contenuto del diritto, appunto, di uso civico. Esso ha ad oggetto non tanto il bene come tale, quanto piuttosto i frutti che il medesimo è idoneo ad offrire e presenta aspetti sostanzialmente privatistici.

82 Stefano Deliperi, Gli usi civici …, op. cit.

83 Paolo Stella Richter, Il commissario per gli usi civici d'Abruzzo …, op. cit.

84 De Lucia Luca, L'approvazione delle conciliazioni giudiziarie …, op. cit.

85 Vittorio Santarsiere, Fondi gravati da usi civici …, op. cit.

(21)

99 Per tal motivo la Corte costituzionale ha avuto occasione di affermare espressamente la spettanza alla potestà legislativa dello Stato dei «procedimenti per l'accertamento dei diritti di promiscuo godimento delle terre, per la determinazione delle porzioni di terreno da conferire in compenso della liquidazione degli usi civici, per la legittimazione del possesso degli altri terreni sui quali sono state effettuate sostanziali migliorie con correlativa fissazione del canone enfiteutico a carico del legittimato e infine per lo scioglimento delle promiscuità». La legge del 1927 stabilisce espressamente che l'esercizio di questi diritti deve essere attuato in forme compatibili con l'interesse pubblico, la cui protezione è stata introdotta dalla legge stessa, ma è ovvio il limite odierno della compatibilità altresì con l'interesse ambientale.

Vi è poi l'interesse alla conservazione del patrimonio boschivo e pascolivo e all'incremento della produttività dei terreni suscettibili di coltivazione, che è garantito dalla inalienabilità e dalla insuscettibilità di usucapione. Esso si realizza mediante l'approntamento dei piani di trasformazione e sistemazione fondiaria che devono precedere l'assegnazione delle quote e soprattutto con la ripartizione dei terreni utilizzabili per la coltura agraria e con l'assegnazione dei terreni a tale coltura, oppure al bosco o al pascolo. Su tutta questa materia le Regioni hanno potestà legislativa, un tempo concorrente, oggi probabilmente esclusiva. Ne consegue la possibilità loro di innovare, attribuendo ai terreni anche una destinazione diversa da quella forestale, quale a esempio - per la sua grande rilevanza nel momento attuale - la destinazione turistica, sempre naturalmente salvaguardando i diritti della popolazione.

Il terzo ordine di interessi, quello ambientale, rientra, per gli aspetti della tutela, nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi della lettera s) del secondo comma dell'art. 117 della Costituzione. Per quel che si attiene invece all'aspetto della valorizzazione, intesa come massima possibilità di godimento del bene ambientale da parte di tutti, esso rientra nelle materie di legislazione concorrente. È chiaro che qui la fruizione attiene all'aspetto non patrimoniale dei beni ambientali e comprende quindi forme di godimento completamente diverse da quelle assicurate ai titolari di usi civici, aventi invece a oggetto il contenuto patrimoniale consistente nell'appropriazione dei frutti della terra.

86

È proprio questo terzo ordine di interesse quello che oggi sembra avere maggior rilevanza. Il valore costituzionale della tutela dell'ambiente viene infatti difeso

86 Paolo Stella Richter, Proprietà collettive …, op. cit.

(22)

100 attraverso una serie di strumenti sia di natura pubblica che di natura privatistica. L'uso civico utilizza, al contrario, un regime sostanziale e processuale ben diverso, rivolto a finalità liquidatorie e quindi tendenzialmente temporanee, un regime insomma certamente inadeguato a contemperare esigenze ben diverse da quelle ipotizzabili quasi novant’anni fa. Ma la direzione sembra essere ormai decisa: gli usi civici trovano oggi il loro scopo e le loro finalità collettive nella tutela dell'ambiente.

87

Nel nostro ordinamento giuridico è previsto per i terreni gravati ad usi civici un regime di inedificabilità, spesso disatteso dalle autorità amministrative. Un primo vincolo di inedificabilità è posto (ed emerge) dalla legge 1766/27, in forza della quale il regime giuridico dei beni gravati da usi civici è caratterizzato dai requisiti della inalienabilità, imprescrittibilità ed inusucapibilità.

Oltre mezzo secolo dopo, la legge 8 agosto 1985, n. 431, meglio nota come legge Galasso, con chiari fini di tutela ambientale, ha sovrapposto un nuovo vincolo alle zone gravate da usi civici. L'art. 1, comma 5, lett. h della legge de qua, che ha integrato l'art.

82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ha infatti imposto in modo immediato e diretto a tali zone il vincolo paesaggistico di cui alla legge 29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali), con conseguente immodificabilità dello stato dei luoghi fin tanto che non sia stata assentita l'autorizzazione regionale di cui all'art. 7 della legge appena citata. L'art. 1-ter della legge Galasso ha poi vietato nelle aree gravate dagli usi civici, ed individuate dalle Regioni con indicazioni planimetriche e catastali, ogni modificazione dell'assetto del territorio nonché qualsiasi opera edilizia (con esclusione degli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici) fino all’adozione da parte delle stesse Regioni dei piani paesistici o dei piani urbanistico-territoriali previsti dall'art. 1-bis della legge in esame.

Poiché il suddetto duplice vincolo di inedificabilità trova la propria ragione d'essere nell'esistenza degli usi civici, il privato che voglia legittimamente edificare su suolo gravato da tali usi deve previamente ottenere la liberazione dagli stessi del suolo interessato dall'intervento edilizio. Con l'estinzione degli usi civici sulle terre oggetto del provvedimento concessorio, queste ultime risultano privatizzate con conseguente remissione della scelta degli utilizzi effettivi delle terre, tra i quali quello edificatorio, al proprietario.

87 Fabrizio Marinelli, I settant'anni …, op. cit.

(23)

101 Una concessione edilizia che venisse rilasciata dall'amministrazione comunale al di fuori ed in violazione delle procedure normativamente tipizzate è da ritenersi ab origine illegittima quanto meno sotto il profilo della violazione di legge. Ciononostante è invalsa la prassi di emanare il provvedimento autorizzatorio eludendo sic et simpliciter sia il problema dell'esistenza o dell'accertamento dell'esistenza di usi civici sul fondo oggetto del provvedimento concessorio, sia il connesso e consequenziale problema dell'accertamento della sussistenza dei requisiti legislativamente richiesti per la loro eliminazione.

Eppure la questione è tutt'altro che marginale se si considera che l’art. 4, comma 2, legge 28 febbraio 1985, n. 47 sanziona con la demolizione le opere eseguite senza titolo su aree appartenenti ai beni disciplinati dalla legge n. 1766/1927; e che l'art. 1-sexies, legge n. 431/1985 prevede, per la violazione delle norme di tutela delle zone di particolare interesse ambientale, l'applicazione delle sanzioni penali di cui alla legge n.

1497/1939 , cui si aggiungono quelle di cui all' art. 20 legge n. 47/1985.

88

La legge Galasso oggi trova posto nel decreto legislativo 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) e successive modifiche ed integrazioni. Dal combinato disposto degli artt. 142 comma 1, sub h) e 146 comma 1 si evidenzia che sono comunque di interesse paesaggistico e sottoposti alle disposizioni del titolo «Tutela e valorizzazione» le aree assegnate alle università agrarie e le zone gravate da usi civici. I proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge ai termini dell'art. 142, non possono introdurvi modificazioni che rechino pregiudizi ai valori paesaggistici. V'è l'obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto documentato degli interventi da intraprendere e di astenersi dall'avviare lavori finché non si è ottenuta l'autorizzazione (art. 146).

89

Anche la normativa sulle aree naturali protette si è occupata dei diritti di uso civico, accentuandone la nuova vocazione della tutela ambientale (cfr. Corte Cost. n.

366/1992): la legge quadro nazionale 6 dicembre 1991, n. 394 dispone, al comma 5 dell’art. 11, che restino «salvi i diritti reali e gli usi civici delle collettività locali secondo le consuetudini locali», mentre prescrive la liquidazione, ad opera del competente Commissario per gli usi civici su istanza dell'Ente di gestione dell'area

88 Repetti Rossella, Terre gravate da usi civici …, op. cit.

89 Vittorio Santarsiere, Fondi gravati da usi civici …, op. cit.

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