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Tomás Eloy Martínez nasce a Tucumán, un piccolo paese dell’Argentina,

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Capitolo I

Tomás Eloy Martínez tra realtà e finzione 1.1 Cenni storici

Tomás Eloy Martínez nasce a Tucumán, un piccolo paese dell’Argentina,

nel 1934. Siamo negli anni precedenti alla scoppio della seconda guerra

mondiale e il governo è in mano al conservatore radicale Agustín Pedro

Justo. É proprio con la fine del conflitto mondiale che si affaccia sullo

scenario politico una delle figure più importanti per la storia argentina: il

generale Juan Domingo Perón. Nel 1946 Perón vinse le elezioni

presidenziali, anche grazie alla reazione nazionalista alle pressioni

nordamericane: con lo scoppio della seconda guerra mondiale, si accentuò

la volontà di indipendenza dagli USA (che per anni hanno rivolto ai paesi

ispano-americani il loro appoggio per poter esercitare la loro influenza). La

tensione con questa importante potenza aumentò con i colpi di stato militari

del giugno del 1943 e diminuì quando l’Argentina, quasi alla fine del

conflitto, dichiarò guerra alla Germania. Nel 1949 venne approvata la

nuova costituzione, che permetterà al generale di essere rieletto nel 1951

per un secondo mandato. Godendo di grande prestigio anche presso il

movimento operaio, egli instaurò una politica fondata sul principio di

solidarietà tra le classi, sulla centralità dell’esercito e sulle riforme

finanziarie. La crisi economica, con la conseguente svalutazione della

moneta, e la crescente opposizione tra ceti conservatori e cattolici

contribuirono al colpo di stato che depose Perón nel 1955. Non di minore

importanza, nel 1952 fu l’evento della morte della seconda moglie del

generale, Eva Duarte de Perón, la quale non assunse mai cariche ufficiali di

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governo, ciononostante si occupò del suo popolo come una vera sovrana.

Come vedremo più avanti, Eva fu amatissima dal suo popolo e divenne un mito, non solo per gli argentini: il ‘fenomeno Eva’ coinvolse tutto il mondo, tutti la conoscevano e la ammiravano. La nuova dittatura militare capeggiata prima da Eduardo Lonardi e poi da Pedro Eugenio Aramburu costrinse alla fuga l’ex presidente e dette inizio al pellegrinaggio del corpo imbalsamato di Eva per oltre sedici anni. Negli anni successivi, il movimento peronista fu soppresso fino al 1962, anno in cui Frondizi vinse le elezioni, ma poco tempo dopo fu deposto. L’instabilità politica che segnò l’Argentina per tutti questi anni aggravò sempre di più la già seria crisi finanziaria. Gli anni ’60 e ’70 videro succedersi ancora numerose dittature.

Alle elezioni del 1973 vinse il peronista Héctor José Cámpora, un fedelissimo luogotenente di Perón, che si dimise dopo pochi mesi a favore del generale. Per la vicepresidenza fu designata la terza moglie di Perón, Isabel Martínez. L’anno successivo il generale morì e la moglie assunse la presidenza del paese, con l’aiuto del segretario conservatore J. López Rega, una figura molto ambigua. Isabel rimase al potere per circa due anni, dopodiché fu deposta da un ennesimo colpo di stato.

L’Argentina è dunque un paese segnato dall’instabilità politica durante

tutto il Novecento e Martínez non è certo estraneo alla storia. Tutt’altro, lo

scrittore argentino non può prescindere dai fatti storici; nelle sue opere

vuole raccontarci quello che è realmente successo.

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1.2 Eloy Martínez racconta la storia della propria nazione.

Nel testo Historia y ficción: dos paralelas que se tocan , Eloy Martínez

1

ci racconta il suo rapporto con la storia della propria nazione. Il testo inizia mostrandoci i primi contatti dell’autore con i simboli nazionali: vengono messe a confronto una statua di una matrona greco-romana che incarna la Repubblica, situata nella Plaza de Mayo di Buenos Aires, e la statua di Lola Mora, la cosiddetta “Señora Independencia” (la più significativa secondo l’autore). La prima immagine che Martínez ci fornisce mostra subito qual è il valore più importante per il popolo argentino, che ha dovuto subire anni di repressioni e privazioni di libertà e identità. Nei suoi primi libri di lettura, il passato dell’Argentina è come una galleria di quadri che non si possono guardare da vicino e sui quali non si possono fare domande. In questo racconto del passato è come se non ci fosse un passato, ma solo immagini in cui si intrecciano civiltà e barbarie. L’autore ci racconta poi una storia:

nella piazza Mayor di Tucumán c’è un monolite che ricorda il martirio di M. M. de Avellaneda, assassinato nel 1841 per ordine di J. Manuel de Rosas. Nel luogo dove risiede la scultura in pietra, la testa di Avellaneda fu attraversata da una lancia e rimase lì per quindici giorni, finché una dama sedusse il comandante di guardia e riuscì a prendere la testa e a nasconderla in casa sua. Martínez ci dice che, anni più tardi trovò negli archivi una lettera della sorella della dama, che raccontava il vero ma incredibile finale della storia: la donna si sarebbe tenuta i resti dell’uomo in camera, come se si trattasse di una bambola. Come si può giudicare civile l’uccisione di un

T. Eloy Martínez, Historia y ficción: dos paralelas que se tocan, in: KOHUT, Karl (ed.).

1

Literaturas del Río de la Plata hoy: de las utopías al desencanto, Frankfurt, Vervuert

Verlag, 1996, pp 90-100.

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uomo e barbaro il feticismo della dama? Eloy Martínez indica Una rosa para Emily di W. Faulkner come un racconto precursore, ma anche in questo testo non si riesce a distinguere quale sia il lato della civilizzazione e quale quello della barbarie . Dopo questa premessa, l’autore ci avverte che

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alcune delle migliori finzioni argentine dell’ultimo secolo, da Borges a Saer, possono essere lette come una risposta ai silenzi e alle censure della storiografia, o come una riscrittura della storia.

Nei libri di storia della nazione, la censura delle origini (ovvero tutto ciò che riguardava il passato dell’Argentina) era deliberata e rispondeva ad un progetto politico: convertire l’Argentina in un paese dalla cultura europea, abitato da uomini di razza bianca. Mitre, un appassionato collezionista di documenti, fu colui che introdusse nella storiografia argentina la serietà documentale e la volontà di investigare sugli eventi. Sebbene i documenti servano poche volte per stabilire un criterio di verità, sono tuttavia un punto di riferimento costante per quanto riguarda la legittimità dei dati. Ne sono un esempio i documenti falsi che sia Evita che Perón presentarono per sposarsi il 22 ottobre 1945 (il generale risultava celibe, invece era vedovo;

Evita aveva falsificato anno e luogo di nascita).

Martínez, con la sua ironia, ci dice che sia Perón che Borges concordavano sull’idea che i documenti si possono manipolare impunemente in Argentina. I documenti non sono credibili, non solo perché il potere politico e gli storici li hanno manipolati, ma anche perché spariscono, perdendo il loro valore di prova. Qualsiasi storia, qualsiasi dato può essere inventato.

Il binomio civiltà/barbarie verrà ripreso nel corso di questo studio, in particolare nel

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momento dell’analisi dei testi.

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Dunque, se la storia occulta e falsifica la realtà, perché il romanzo, che è una forma di finzione, non può proporre la sua versione di verità storica? In Argentina, il romanzo è sempre stato un mezzo sicuro per avvicinarsi alla realtà: Martínez, infatti, afferma che la realtà è già di per sé romanzesca. Il migliore esempio del rapporto che intercorre tra la finzione e la storia è, secondo Martínez, Facundo di Sarmiento. In effetti, l’immagine che gli argentini hanno e continuano ad avere del caudillo J. Facundo Quiroga è quella trasmessa da Sarmiento nel suo libro e non quella stabilita dagli archivi storici.

Infine, Martínez afferma di essersi sforzato a lavorare ai margini della storia per “sondare i fiumi della finzione” e vedere cosa accade con la verità di un personaggio reale quando lo si analizza attraverso la finzione e viceversa. Questo, infatti, è lo scopo che l’autore si prefigge nei suoi due romanzi più celebri, La novela de Perón e Santa Evita, che analizzeremo nell’ultima parte di questo capitolo.

1.3 Scrittura e Storiografia ufficiale: il ruolo della letteratura.

Nei suoi romanzi, Martínez ci racconta la Storia, partendo da figure importanti che hanno segnato l’Argentina, avvertendoci però che si tratta di un paese senza passato. Come raccontare allora vicende che la storiografia ufficiale ha cancellato o modificato? Prestare fedeltà ai documenti ritrovati e forniti dagli archivi o alle testimonianze del popolo? Come avvalersi della finzione narrativa per raggiungere la verità?

La storia e la cultura sono due elementi fondamentali per l’identità

nazionale, che si relazionano con l’evoluzione della società nel tempo. La

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storia non è altro che un’interpretazione dei fatti umani e pertanto nasconde un certo grado di soggettività. I documenti stessi sono prodotti da uomini che hanno vissuto una determinata esperienza, ma che a seconda della propria personalità l’hanno valutata in un modo piuttosto che in un altro. La società gioca un importante ruolo sulla memoria degli individui perché propina ciò che più conviene alla propria stabilità: ne sono un esempio le censure applicate dalle dittature, soprattutto in ambito culturale. La sostanza della realtà si ottiene con la conoscenza dell’uomo e del mondo che lo circonda; per questo risulta importante lo studio psicanalitico dei personaggi.

La narrativa ispanoamericana del post-boom presenta come premessa il decentramento della storia e la ricerca di identità e nazione. Tale narrativa non rientra nei canoni del romanzo storico studiato da Lukacs, essa infatti, rompe con la tradizione e va oltre la funzione di testimonianza, utilizza nuove tecniche per rappresentare la storia all’interno della letteratura, per dare la propria versione sulla realtà dei fatti.

Da un punto di vista stilistico, Martínez viene spesso designato come un autore del romanzo storico degli anni ’70, anche se lui stesso in numerose interviste ha dichiarato di non approvare questa ‘etichetta’:

…yo me horrorizo cuando me ponen “novela histórica” o me meten

en colecciones de novelas históricas. Primero, porque el trabajo es

absolutamente libre.…La novela histórica, por lo general, trabaja

sobre personajes ya muertos. Creo que la división entre lo reciente y

lo menos reciente es completamente arbitraria y sirve sólo para la

clasificación y el uso didáctico de los profesores, pero no tiene nada

que ver con la intención de los autores….Todos los relatos,

aparentemente, tienen vinculación con la historia. La novela, en

cambio, desborda el género, no se la llamaría novela histórica. La

novela de Perón y Santa Evita son novelas absolutamente impuras,

porque contienen fragmentos de guiones, mezclas de géneros

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deliberadas, en fin, no entran para nada dentro de la tradición de las novelas históricas, que, por lo general, son lineales.

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Questo tipo di narrativa si rivolge alla storia recente, utilizzando svariate tecniche: la distorsione cosciente del documento storico (frequente l’attribuzione di caratteristiche fittizie a personaggi storici realmente esistiti), la riflessione del narratore sul processo di creazione (in questo caso l’autore coincide con il narratore), la presentazione di molteplici interpretazioni di uno stesso fatto.

Lo scrittore argentino vuole restituire valore alle testimonianze del popolo perché, secondo la sua opinione, è proprio nel sapere popolare che si cela la verità della storia. Quando però ci sono dei vuoti storici occorre colmarli con la finzione, che talvolta risulta essere più veritiera della storia stessa. La capacità di inventare appare, in certi casi, talmente convincente che qualcuno finisce per credere che non si tratti di fantasia: si ha così la commistione tra realtà e finzione che Martínez punta ad ottenere nei suoi romanzi.

En Santa Evita, como en La novela de Perón, hay historias de imaginación flagrantes, falsas, que en el caso de la primera han sido tomadas como verdades, por el cine y por el periodismo. Por ejemplo, la frase de Evita cuando conoce a Perón: “Gracias por existir”… hay un subtítulo enorme al pie de Santa Evita, que yo me he empeñado en que aparezca siempre, que dice Novela. Novela significa licencia para mentir, para imaginar, para inventar.

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J. P. Neyret, Novela significa licencia para mentir, entrevista con Tomás Eloy Martínez,

3

in Espéculo. Revista de estudios literarios, n 22, 2002.

J. P. Neyret, Novela significa licencia para mentir, entrevista con Tomás Eloy Martínez,

4

cit. p.3.

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Nella citata intervista e in molte altre, Martínez tiene a precisare che nei suoi romanzi è molto presente la finzione. D’altra parte quest'ultima ha lo scopo di colmare i vuoti storici, di arrivare dove la storiografia ufficiale non può arrivare, persino alla verità.

Un altro elemento importante è il rapporto con il lettore. Secondo Martínez, il lettore deve avere piena libertà, in quanto egli impone il suo mondo al testo, convertendo quest'ultimo in qualcosa di unico a seconda di chi legge.

Pertanto possiamo affermare che, mentre gli storiografi lavorano con i documenti, il romanziere ha a che fare con la psicologia dei personaggi, con le passioni degli esseri umani. Inoltre, lo storiografo è ancorato ad un limite spaziale e temporale, al contrario il romanziere può muoversi nei luoghi e nei tempi che preferisce.

Eloy Martínez fu anche un eccellente giornalista, collaborò con numerose riviste, tra le quali ricordiamo il settimanale Primera Plana (1964-69). Non solo nei suoi articoli, ma soprattutto nei suoi romanzi, è molto importante l’attitudine che lo scrittore assume: spesso infatti si ha l’abbandono dei panni del narratore a favore di quello del giornalista.

Quest'ultimo deve prestare lealtà a tre fattori: al recettore, alla realtà, alla

propria coscienza e al proprio nome. Il romanziere invece deve essere

fedele solo a se stesso e alla sua libertà nella scrittura. Il romanzo è il

genere della libertà, dove si può scrivere tutto, dall’inverosimile/fittizio al

veritiero. Martínez assume spesso le vesti del giornalista, salvo nei momenti

di slancio poetico, ed è proprio questa la sua grandezza: raccontarci una

storia vera avvalendosi della finzione. Molto verosimilmente, Eloy

Martínez attraverso la finzione vuole farci comprendere meglio i processi di

una storia piena di menzogne. Dunque, egli assume i panni del giornalista/

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storico ma è pur sempre un narratore (figura letteraria) che parla di personaggi realmente esistiti. La finzione non deve essere un’alternativa alla storia, bensì una possibilità di integrazione di quest’ultima. Per poter fare ciò, lo scrittore studia la natura delle testimonianze e il ruolo che hanno nello sviluppo della vicenda per poi selezionarle e posizionarle nel testo.

I romanzi di Eloy Martínez mettono in evidenza i punti di incontro tra realtà e finzione, infatti entrambe sono legate dal desiderio di conoscere la realtà. La finzione è dunque un modo di pensare la storia e di riflettere sulla scrittura.

1.4 Narrativa e realtà.

In questa prima parte dell’indagine sui testi di Eloy Martínez, è mio proposito inquadrare la narrazione nel contesto del dibattito sulla funzione della narrativa, che ebbe luogo nel Novecento.

Lo strutturalismo e il post-strutturalismo sono due movimenti che segnano una tappa importante per la discussione sulla narrativa. Il pensiero di autori come Barthes, Todorov, Genette e Eco risulta fondamentale per le teorie del linguaggio letterario. In generale, questa corrente di pensiero sostiene che la storia e la narrativa sono solo pratiche rappresentative per le quali la società umana produce un determinato soggetto.

Roland Barthes considera la narrativa come un codice discorsivo che può

o non può essere appropriato per rappresentare la realtà. La critica di

Barthes fa riferimento in origine al realismo letterario e alla formazione

della storiografia come disciplina scientifica. La struttura narrativa è

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rivelatrice per ciò che riguarda il discorso storico, in quanto forma di elaborazione ideologica o immaginaria. Barthes mette in dubbio la distinzione tra storico e fittizio e la presunzione di oggettività della storiografia. I discorsi sono molto più di un veicolo per trasmettere un contenuto, sono meccanismi che creano significati. La narrativa, secondo Barthes, ha le sue radici nella realtà:

La narrazione non può infatti ricevere il suo senso che dal mondo che ne fa uso: al di là del livello narrazionale comincia il mondo, e cioè altri sistemi (sociali, economici, ideologici) i cui termini non sono più soltanto i racconti, ma elementi d’un’altra sostanza (fatti storici, determinazioni, comportamenti, ecc.).

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Dunque, la narrativa acquisisce il suo senso dal mondo reale, ma è solo oltrepassando la finzione (occorre andare oltre le parole e vedere cosa si cela dietro) che si arriva alla realtà. A detta di Barthes, la narrativa e la storia sono state fuse insieme per molto tempo perché entrambe descrivono le vicissitudini umane, ricorrendo all’immaginario comune. L’oggettività fa parte del racconto storico, infatti lo storico deve autentificare la propria narrazione; il narratore scrivendo opere di finzione non ha questo vincolo.

Per concludere, Barthes afferma che il ruolo della narrativa non è quello di rappresentare qualcosa, piuttosto ha lo scopo di “costruire uno spettacolo”; la narrativa non imita, ciò che viene raccontato non è reale, è solo linguaggio.

Secondo Todorov, l’opera letteraria ha senso se considerata nell’universo delle altre opere già esistenti, non è un elemento indipendente. Ad esempio Madame Bovary, è un testo che vuole contrapporsi alla letteratura

R. Barthes, Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, in L’analisi del racconto di

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Barthes, Eco, Greimas, Metz, Todorov e altri, Milano, Bompiani, 1969, p.38.

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romantica e non può essere interpretata senza un confronto con i romanzi precedenti. Todorov ci dice che l’opera letteraria ha due aspetti fondamentali:

…essa è al tempo stesso una storia e un discorso. È storia, nel senso che evoca una certa realtà, avvenimenti che si presume abbiano avuto luogo, personaggi che, da tale punto di vista, si confondono con quelli della vita reale… Ma l’opera è al tempo stesso discorso: esiste un narratore che riferisce la storia; e di fronte a lui vi è un lettore che la percepisce. a questo livello, ciò che conta non sono gli avvenimenti raccontati, bensì la maniera in cui il narratore ce li ha fatti conoscere.

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Dunque, l’opera letteraria racchiude in se’ una parte realistica, in quanto storia e una parte fittizia, in quanto narrativa. Subito dopo, però, Todorov ci avverte che la storia è una convenzione, un’astrazione perché è “sempre percepita e raccontata da qualcuno, non esiste ‘in sé’”.

Un altro importante critico che si è inserito nel dibattito sul ruolo della letteratura in ambito ispanoamericano, è il contemporaneo Mario Vargas Llosa.

Secondo lo scrittore peruviano la letteratura è imprescindibile per la vita di un uomo perché una società che ne è priva è condannata alla barbarie e alla prigionia. Infatti, il concetto di libertà è legato alla letteratura: un uomo è libero solo se lo è nel pensiero. Marcel Proust diceva: “La verdadera vida, la vida por fin esclarecida y descubierta, la única vida por lo tanto plenamente vivida, es la literatura”. Lo scrittore francese voleva dire che la

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vita si vive e si interpreta meglio se si conosce la letteratura. Una società senza letteratura non si esprimerà al meglio perché i testi sono un aiuto

T. Todorov, Le categorie del racconto letterario, in L’analisi del racconto, cit. p.231.

6

Marcel Proust citato da Mario Vargas Llosa, La literatura y la vida in La verdad de las

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mentiras, Madrid, Punto de lectura, 2007.

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anche per quanto riguarda il linguaggio e la comunicazione. La letteratura racconta la vita, non potrebbe fare altrimenti perché attinge da essa ed è pertanto fonte di emozioni. Inoltre, la letteratura mette in discussione il mondo in cui viviamo e risveglia il senso critico. Infine, l’aspetto più importante: permette all’uomo di vivere come vorrebbe, nei luoghi e nei tempi che preferisce, raggiungendo così quella felicità che nella realtà è tanto desiderata ma inafferrabile.

Nel saggio critico La verdad de las mentiras, Mario Vargas Llosa ci dice che:

Las novelas mienten -no pueden hacer otra cosa- pero ésa es sólo una parte de la historia. La otra es que, mintiendo, expresan una curiosa verdad, que sólo puede expresarse disimulada y encubierta, disfrazada de lo que no es.

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Lo scrittore peruviano, dunque, afferma che i romanzi sono menzogneri ma che dietro questa finzione si cela la verità mascherata. Gli scrittori, soprattutto quelli originari di paesi soggetti a dittature, hanno subìto la censura, pertanto l’unico modo di raccontare la loro verità era quello di travestirla con abiti completamente opposti alla realtà. Spesso, le finzioni narrative nascono dal desiderio di evadere la realtà in cui si vive perché questa ci rende infelici oppure semplicemente per il desiderio di vivere un’altra vita . A questo proposito Vargas Llosa afferma che “No se escriben novelas para contar la vida sino para transformarla, añadiéndole algo”.

In effetti, non è l’aneddoto ciò che stabilisce la verità o la menzogna di una finzione, bensì il fatto che esso sia scritto e non vissuto: il potere appartiene alle parole. Dalla commistione di realtà e finzione risulta che la

M. Vargas Llosa, prólogo a La verdad de la mentiras, cit. p.16.

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letteratura è il regno dell’ambiguità e dunque della soggettività. Infine, Vargas Llosa ci avverte che, è vero che i romanzi sono menzogneri, ma le falsità che contengono non sono gratuite perché servono a colmare le insufficienze della vita. Quest’ultima affermazione ci riporta al pensiero di Eloy Martínez, il quale, come precedentemente anticipato, si avvale della finzione per riempire i vuoti storici.

Nel prologo a Ficciones Verdaderas, Eloy Martínez ci parla del rapporto tra letteratura e realtà, tema centrale in tutta la sua produzione:

…la literatura no es una mera corrección de la realidad, un trazo que altera la imagen original, sino otra realidad, diferente pero no adversaria de la realidad del mundo: un deseo de otra realidad y de otro orden dentro de la realidad, a la vez que un desplazamiento de la realidad hacia el territorio de la imaginación.

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Per il nostro autore, la letteratura non è un’alterazione o un rovesciamento della realtà ma una realtà altra, creata attraverso l’immaginazione.

Martínez, tuttavia, ammette che ogni finzione è una rielaborazione di avvenimenti reali, soprattutto nel caso delle “ficciones verdaderas” (opere che hanno origine da fatti realmente accaduti, ad esempio Crónica de una muerte anunciada, El reino de este mundo, Madame Bovary…).

L’aspetto più importante per questo tipo di finzione è la verosimiglianza:

le ambientazioni e i tempi devono essere ben conosciuti per far sì che chi legge possa immedesimarsi nella storia. Infatti, qualsiasi scrittura è un patto con il lettore. Il narratore trova la verità là dove ha sede l’immaginazione, dunque si supera la realtà. Martínez conclude dicendo:

T. Eloy Martínez, Ficciones verdaderas: hechos reales que inspiraron grandes obras

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literarias, Buenos Aires, Editorial Planeta, 2000, p.9.

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Todo acto de narración es, come se sabe, un modo de leer la realidad de otro modo, un intento de imponer a lo real la coherencia que no existe en la vida. Y todo narrador, a la vez, es una esponja que absorbe lo que ve y lo que lee para devolverlo transfigurado.

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La narrazione è un modo di leggere la realtà in maniera diversa, pertanto presuppone un certo grado di soggettività, trattandosi di un’interpretazione.

Con il termine “realtà” viene designato tutto ciò che esiste effettivamente e si contrappone al sogno, che è invece illusorio. La narrativa è notoriamente finzione e dunque immaginazione, illusione. Allora come può la letteratura, che si basa sulla finzione, raccontarci la realtà? Abbiamo visto le varie interpretazioni dei più celebri critici contemporanei: c’è chi le concepisce come entità separate e chi le vede amalgamarsi. Il pensiero che più interessa a questo studio è senza dubbio quello di Eloy Martínez, il quale tende a mischiare realtà e finzione, fino a confondere il lettore. Ma il suo intento è proprio questo: creare un racconto omogeneo in cui non si riesce a capire ciò che è realmente accaduto e ciò che invece è frutto dell’immaginazione dell’autore. Questo perché non è importante quale sia il fatto reale e quale quello inventato, la cosa fondamentale è poter raccontare la propria versione della storia. Non bisogna dimenticare che i documenti storici non rappresentano una certezza di verità e, secondo l’autore, non sono più affidabili delle testimonianze e delle voci popolari. Concludendo, l’intento di Martínez è quello di ridare voce al popolo e raccontare una storia vera, utilizzando i mezzi narrativi.

T. Eloy Martínez, Ficciones verdaderas, cit. p.12.

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1.5 Realtà e finzione nella trilogia di Eloy Martínez.

Il peronismo è sicuramente il soggetto preferito della produzione di Tomás Eloy Martínez. Si può affermare che la sua ricerca della verità sull’epoca peronista inizia dalla carriera giornalistica per poi approdare al romanzo con grande successo. L’indagine di Eloy Martínez si concentra negli anni ’60/’70, quando il caudillo è in esilio a Madrid. Proprio qui il nostro giornalista si recherà per intervistare Perón: la prima volta nel 1966 e la seconda nel 1970. Da questi due importanti incontri nasce Las memorias del general (1996). Nel 2004 viene pubblicato Las vidas del general, il quale racchiude il vecchio corpus centrale de Las memorias del general e due capitoli inediti (uno sull’autore de La novela de Perón e uno sulle avventure del cadavere di Eva). Tuttavia, alcune parti delle interviste sono racchiuse in altri due importanti libri: La novela de Perón (1985) e Santa Evita (1996).

Nel prologo de Las memorias del general l’autore fa subito una distinzione tra ciò che si può definire storia e ciò che invece non lo è. Per tutto il testo, giocando con le parole dei personaggi, mette in evidenza la costruzione della storia come discorso che alterna verità e apparenza.

All’inizio, il lettore crede che la spasmodica ricerca di documenti porterà alla verità dei fatti, in realtà si renderà conto ben presto che l’autore ha costruito un gioco di specchi, i cui riflessi rappresentano le infinite versioni della storia.

Il testo è composto da sette capitoli: i primi due si soffermano sul

processo di scrittura delle memorie (tema ripreso anche nell’ultimo

capitolo), i restanti quattro sono rispettivamente un discorso accademico, un

articolo di giornale e due racconti. Nell’intento di ricostruire la storia,

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troviamo impegnati tre autori: il giornalista (Martínez che vuole colmare i vuoti storici), Perón (che vuole scrivere le classiche memorie che si addicono ad un uomo di potere) e il segretario López Rega (che vuole dare al popolo il meritato ricordo del generale, anche a costo di apportare alla storia dei cambiamenti, attraverso l’inserzione di avvenimenti del tutto inventati). Nel testo è costante il riferimento alla falsità della storia:

l’aggiunta di documenti accentua il dubbio e il legame tra ciò che viene raccontato come vero e ciò che viene considerato menzogna è sempre più saldo.

Questo libro non ha lo scopo di riprodurre i fatti così come sono realmente accaduti, ma vuole far comprendere al lettore che non esiste un’unica direzione perché sono molteplici le versioni di uno stesso avvenimento. Eloy Martínez sostiene che la scrittura non è altro che la trasformazione dei fatti attraverso l’uso dell’immaginazione, componente essenziale che ci permette di comprendere una storia che è già di per sé romanzesca.

Lo que en la prensa sucumbe a la fugacidad, lo que se ha degradado en los archivos por obra del polvo o de la negligencia, en la literatura mantiene intacto su valor testimonial y simbólico.

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La letteratura, è dunque il luogo dove la storia ‘rinasce’ sotto una nuova forma.

Gran parte delle interviste contenute in questo libro, rivivono nelle pagine del primo grande romanzo di Eloy Martínez: La novela de Perón.

La novela de Perón ha una struttura molto particolare: la storia narrata, infatti, non si presenta in modo lineare ma attraverso i ricordi.

T. Eloy Martínez, La Argentina imaginaria, p.12, 20/VI/1993.

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È il 20 giugno 1973: il generale Juan Domingo Perón sta tornando in Argentina, dopo diciotto anni di esilio a Madrid. E’ accompagnato dalla sua nuova sposa e da José López Rega, l’oscuro e misterioso segretario; intanto all’aeroporto di Ezeiza, più di due milioni di persone aspettano il suo ritorno.

Il libro ha lo scopo di raccontare la vita del caudillo dalle origini al giorno della morte. Tuttavia non si tratta di una biografia classica, piuttosto la storia è frammentata in differenti racconti: gli ultimi giorni d’esilio e il ritorno in patria del generale, le memorie scritte dal segretario López Rega, le contro-memorie del giornalista Zamora, le testimonianze (il diario della vedova di Lonardi), la storia di Arcángelo Gogi, l’assassinio di Aramburu, la storia di Nun e Diana (due esponenti del partito radicale che attendono ad Ezeiza) e infine il racconto di Martínez a Zamora circa l’intervista a Perón.

Le storie si intrecciano, si sovrappongono andando così a ricomporre la frammentata e misteriosa vita del generale.

Le memorie di Perón, scritte dal segretario abbracciano l’infanzia, gli anni dell’addestramento militare, la formazione ideologico-politica, la carriera da tenente a generale, le rivoluzioni del ’30 e del ’43, gli anni in Italia, il primo matrimonio, l’incontro con Eva, e si sommano alle testimonianze, che spesso sono stridenti ma servono a far capire al lettore che esistono più versioni di una stessa storia.

Il nostro autore, scrivendo il testo e inserendo le interviste (soprattutto

quella del 1970 a Puerta de Hierro) si rese conto dei vuoti, delle omissioni e

delle tergiversazioni, così decise di continuare a investigare. Intervistò gli

amici d’infanzia di Perón, cercò documenti, finché arrivò ad una certezza: i

testimoni si contraddicevano l’un l’altro, a tal punto che Martínez non

sapeva più se stessero parlando della stessa persona.

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La metafora della mosca che incontriamo nel decimo capitolo è esplicativa in tal senso:

Una mosca se posa en el espejo de automóvil afuera (...) Tiene azul el lomo, las alas sucias de hollín y ávidos los ojos: compuestos ojos, de cuatro mil facetas cada uno. La verdad dividida en cuatro mil

pedazos…

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Come gli occhi della mosca, anche la verità ha migliaia di sfaccettature:

questa metafora ci offre la chiave interpretativa non solo di questo libro, ma dell’intera opera di Martínez. Nella postmodernità, periodo complesso della storia letteraria in cui realtà e finzione sono gli ingredienti principali di ogni testo, ciò che ci viene presentato può essere veritiero o completamente falso, tuttavia tutto dipende dalla lente attraverso la quale si guarda la realtà.

Con questa metafora, l’autore ci vuole far capire che il libro è un insieme di molte verità frammentate, che permettono uno sguardo più ampio sui fatti e sulle conseguenze a essi legate. Ma perché proprio una mosca? Martínez sceglie questo insetto molesto e ripugnante perché proprio come la verità, a volte risulta difficile guardarla negli occhi, affrontarla.

Un altro indizio importante a livello interpretativo riguarda le due epigrafi iniziali:

Siempre cabe la posibilidad de que un libro de ficción deje caer alguna luz sobre las cosas que antes fueron narradas como hechos.

(Hemingway, Paris era una fiesta)

Los argentinos, como usted sabe, nos caracterizamos por creer que tenemos siempre la verdad a esta casa vienen muchos argentinos queriéndome vender una verdad distinta come si fuese la única. ¿Y yo,

T. Eloy Martínez, La novela de Perón, Buenos Aires, Legasa, 1985, p.226.

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qué quiere que haga? ¡Les creo a todos! (Perón all’autore, 26 marzo 1970)

I due elementi paratestuali danno spazio al dubbio ma sono anche una guida alla lettura. Le epigrafi si riferiscono al concetto di verità in rapporto alla scrittura e al linguaggio come ‘arma’ per raccontare una possibile verità attraverso la fantasia.

Tornando al testo, troviamo tre narratori: Tomás Eloy Martínez, il giornalista Zamora e il generale Perón. Tutti vogliono raccontare il passato dell’Argentina ma ognuno a suo modo ed è proprio così che si creano le già menzionate sfaccettature della verità. Tutti hanno un punto in comune:

vogliono allontanarsi dalla storia ufficiale per mostrare il vero Perón. Il risultato è un romanzo che presenta lo stesso personaggio da molteplici prospettive e che rivolge lo sguardo verso l’intimità, verso l’aspetto privato dell’uomo politico.

Nel libro troviamo quattro temi che risultano legati a doppio filo tra loro:

politica, letteratura, giornalismo e storia.

Martínez abbandona in parte i panni del giornalista che testimonia la

realtà dei fatti per vestire quelli del narratore/biografo. Talvolta, l’io

narrante sembra inserire nel racconto eventi autobiografici. Biografia e

autobiografia si mischiano, creando molteplici voci che ci avvicinano

sempre più a Perón. Si può utilizzare il termine autobiografia perché ci sono

indizi espliciti di un narratore onnisciente in prima persona, il cui racconto

personale aiuta a costruire la storia. Inoltre, l’altro narratore, Zamora, il

giornalista alter ego di Martínez, dichiara che le sue contro-memorie sono

una riflessione autobiografica. Infine, Eloy Martínez, verso gli ultimi

capitoli appare come personaggio della storia e ci fornisce dati reali del suo

lavoro come giornalista, in particolare l’intervista a Perón.

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Dunque, si ha una sovrapposizione di generi all’interno dello stesso libro: il reportage giornalistico di Zamora, le memorie di Perón (parte biografica), il diario intimo della vedova di Lonardi e gli appunti e le interviste di Eloy Martínez.

Da questo libro emerge l’immagine di un Perón ormai vecchio e stanco di combattere, l’unica cosa che ha a cuore è far sì che la sua memoria rimanga viva anche dopo la sua morte. I ricordi che scorrono nelle pagine del romanzo non sono cronologicamente lineari perché rispecchiano una memoria collettiva. Il popolo aspetta a Ezeiza il ritorno del grande generale, che in passato ha cambiato il destino dell’Argentina e che, anche vent’anni dopo, rappresenta l’unica possibilità di riscatto per quel paese. Tuttavia ciò non sembra importare molto a Perón, il quale mostra i suoi problemi di salute e la sua debolezza fisica. Inoltre, il generale si è risposato con Isabel Martínez, una donna che appare fin da subito dedita alle frivolezze e che dunque non assomiglia nemmeno un po’ ad Evita. Quest’ultima appare nel testo sotto forma di ricordo o di cadavere. Si rammenta, ad esempio, il suo viaggio diplomatico a Madrid, dove tutti la accolsero con grande gioia. Il generale rimase in questa città a causa dell’esilio per molti anni, ma nonostante ciò non ebbe la stessa accoglienza che sua moglie ricevette anni prima. D’altronde è noto che Eva fosse amata dal popolo, e Perón era consapevole di questo grande dono che le apparteneva; ciononostante si può cogliere un pizzico di invidia nelle sue parole.

Nell’intervista che Martínez fece a Perón nel 1970, il generale affermò:

“Eva Perón es un producto mío. Yo la he preparado para hacer lo que hizo,

la he preparado yo.” Queste parole le ritroviamo anche ne La novela de

Perón, nel momento in cui il generale racconta l’incontro con Eva e l’inizio

della loro relazione. Un’affermazione piuttosto forte, che sembra quasi

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voler ridurre il ‘fenomeno Eva’ ad un’esclusiva creazione del generale (più avanti vedremo che Eva stessa affermerà di essere come uno specchio che riflette l’immagine del marito). Perón riconosce il fondamentale apporto della moglie in ambito sociale e in parte anche politico, per quanto riguarda i diritti delle donne. Qualche pagina più avanti, Perón si lamenta con il destino in quanto, nonostante sia stato lui a crearla, Eva si è presa il meglio della gloria. Tutto ciò viene giustificato con la sua morte precoce, infatti

“Eva resterà sempre proiettata in avanti, la ricorderanno per quello che

avrebbe potuto fare, non per ciò che ha fatto”. Ritorna quel pizzico

d’invidia e di rimpianto nelle parole di Perón, ma non bisogna dimenticare

che questo è un discorso che Eloy Martínez fa pronunciare ad un

personaggio del suo libro. Confrontando la registrazione dell’intervista con

le parole riportate nel romanzo possiamo affermare che l’autore ha prestato

fede a ciò che Perón gli aveva confidato, ma è molto importante osservare il

contesto. In effetti, Eloy Martínez riporta in parte le parole del generale ma

le inserisce in un contesto romanzesco e in particolare nel momento della

narrazione dell’incontro con Eva. In realtà, Perón utilizza queste parole per

riferirsi al ruolo di Eva nella vita politica e per fare un resoconto generale di

ciò che è stata Eva per l’Argentina. Dunque, l’autore estrapola

dall’intervista un discorso riguardante l’operato socio-politico di Eva e lo

inserisce in un punto preciso del romanzo per far capire il suo ruolo nella

storia fin dal primo incontro con il generale. In questo modo, tuttavia, si

anticipa al lettore ciò che Eva sarà e la si rende dipendente dalla figura del

marito. La storia del suo nome è significativa in questo senso: prima di

conoscere il generale si chiamava Eva Duarte, sposandosi acquisisce il

nome del marito (Eva Duarte de Perón); di ritorno dal viaggio in Europa

decide di lasciare il suo cognome e usare solo quello di Perón. Non bisogna

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dimenticare che in Argentina, eliminare il nome da ragazza a favore di quello del coniuge non è un fatto comune, in quanto la donna sposata diventa proprietà del marito a tutti gli effetti. Come vedremo più avanti, Eva era figlia illegittima, pertanto fu una scelta ancora più dura perché in passato dovette combattere molto per poter portare il cognome del padre.

Da quel momento in poi la moglie del presidente sarà chiamata Eva Perón, a sottolineare il suo legame inscindibile con il marito. Per molti altri sarà semplicemente Evita, una donna che ama i suoi ‘descamisados’ e che agisce per il loro bene.

In questo libro, ma anche in Santa Evita, come vedremo più avanti, il lato romantico della loro storia emerge solo da Eva. Quest’ultima non risparmia mai parole d’amore per il suo Juan, nemmeno in pubblico. Eva appare come una donna innamorata e al contempo grata, che non esisterebbe senza Perón. Al contrario, il generale appare come un uomo restio ai sentimenti, incapace di provare tenerezza. Durante il racconto della sua infanzia, veniamo a sapere dell’adulterio della madre, episodio che segna molto il bambino e che genera in lui una profonda misoginia; non di minore importanza la severa educazione del padre prima e il duro addestramento militare dopo. Questi elementi porteranno il generale a svuotarsi di quei sentimenti, che altrimenti lo avrebbero reso vulnerabile.

Tornando al tema centrale di questo capitolo, si può affermare che ci sono tante storie quanti sono i soggetti che le narrano, e pertanto altrettante verità.

Con l’irruzione di Eloy Martínez all’interno del testo, si crea come un

gioco di specchi in cui l’immagine si moltiplica, generando più prospettive

narrative. Come la finzione, anche la storia non può abbracciare

completamente la realtà perché anch’essa è un’altra rappresentazione della

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realtà, soggettiva e modificabile. Le nozioni di verità e finzione sono costantemente messe in gioco da Martínez e Zamora. Quest’ultimo, infatti, rappresenta il punto di unione tra la realtà e la finzione. Il discorso giornalistico racconta la realtà e al contempo la narrazione rende verosimili la finzione e la storia.

In effetti, il testo si presenta sin dal titolo come una sfida tra verità e menzogna: la ‘novela’ è il genere dell’invenzione e della fantasia, ‘Perón’ è il nome di un personaggio realmente esistito. Pertanto, il titolo crea una sorta di ossimoro, un accostamento stridente di due parole appartenenti a due sfere semantiche diverse.

Un segnale evidente di distacco dalla realtà sono i poteri esoterici del segretario di Perón. López Rega esercita una certa influenza sulla mente del generale, tant’è vero che in un passo del libro sembra che egli sia il ventriloquo di Perón. Come già anticipato, il segretario modifica le memorie dettategli dal generale ed ha quindi potere anche sul passato. Ma ciò che rivela veramente la sua stregoneria è il tentativo di trasportare l’anima di Eva dal cadavere al corpo di Isabel, in modo che egli possa comandare i pensieri della futura presidentessa dell’Argentina.

Per concludere, La novela de Perón, da un punto di vista storico mostra

in maniera originale un momento importante per l’Argentina. Spiegare la

storia di Perón, infatti, si presenta come un modo per comprendere meglio

la storia dell’Argentina. Martínez è solito collocare i suoi romanzi in

momenti cruciali per il paese: le stragi di Ezeiza per La novela de Perón e

la scomparsa del cadavere di Eva per Santa Evita. In essi troviamo anche

dei riferimenti indiretti: la critica alle dittature (attraverso la storia di

Arcángelo Gobbi) e il riferimento ai ‘desaparecidos’ (in rapporto alla

scomparsa del cadavere di Eva).

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Come nel caso di Facundo di Sarmiento, La novela de Perón ha cambiato l’immagine che il popolo aveva del generale.

Infine, possiamo affermare che il romanzo opera una demistificazione del protagonista, mostrandolo ‘nudo’ agli occhi del lettore, senza tuttavia sminuirlo, al contrario umanizzandolo, rendendolo libero dal peso del mito.

L’ultimo testo da prendere in esame per concludere la trilogia è Santa Evita, che tuttavia verrà analizzato dettagliatamente nell’ultimo capitolo.

Come già accennato, Martínez racconta la vicenda della migrazione del corpo imbalsamato di Eva, avvalendosi di documenti ma soprattutto di testimonianze. Tutto ha inizio nel 1955 con la caduta del governo di Perón e il sequestro del cadavere, ordinato dai golpisti. Anche in questo libro, così come ne La novela de Perón, la narrazione non è lineare: i ricordi del passato si sovrappongono alla narrazione e alle testimonianze. Siamo in presenza di un narratore che investiga negli archivi, cerca testimoni e si informa sui fatti. La voce dell’autore sa cosa è successo al cadavere e cita addirittura le sue fonti; a volte vi resta fedele, altre volte modifica la fonte e ricostruisce la sua verità. A questo proposito Eloy Martínez ci mette in guardia:

Las fuentes sobre las que se basa esta novela son de confianza dudosa, pero sólo en el sentido en que también lo son la realidad y el lenguaje:

se han infiltrado en ellas deslices de la memoria y verdades impuras.

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A differenza de La novela de Perón, in cui le fonti si contrapponevano e si costruivano tra verità e menzogna, in Santa Evita l’autore chiarisce che queste sono impure nella misura in cui lo sono la realtà e il linguaggio.

T. Eloy Martínez, Santa Evita, Buenos Aires, Editorial Planeta, 1995, p.60.

13

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Martínez ci avverte sulla natura di alcune testimonianze presenti nel testo:

El lenguaje escrito […] no puede resucitar la realidad. La realidad no resucita: nace de otro modo, se transfigura, se reinventa a sí misma en las novelas. Lo que sigue, mal que me pese, es una reconstrucción. O, si alguien lo quiere, una invención: una realidad que resucita.

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L’autore dunque si inserisce nel testo e diventa personaggio per raccontare le storie. Ne approfitta per parlare dell’atto creativo: la letteratura mimetica, che racconta pedissequamente la realtà è un fallimento in partenza. La novità sta nel fatto che Martínez dice apertamente che la trascrizione dell’intervista che segue è una ricostruzione o addirittura un’invenzione.

Inoltre, l’autore ha la sensazione, che riscrivendo le parole del personaggio, esse vengano in qualche modo filtrate, perdendo così le caratteristiche proprie del tono e del modo di raccontare originari. Ogni racconto è, dunque, infedele per definizione perché la realtà non si può narrare né replicare, ma solo reinventare.

Nelle ultime pagine del libro, Martínez ribadisce la sua idea di romanzo:

En las novelas, lo que es verdad es también mentira. Lo autores construyen a la noche los mismos mitos que han destruido por la mañana.

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L’autore qui afferma nuovamente la natura ibrida del romanzo, in quanto al suo interno verità e menzogna sono inscindibili. Infatti, la

T. Eloy Martínez, Santa Evita, cit. p.36.

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Ivi, p.166.

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finzione non è collocabile fuori dalla storia poiché la realtà si mischia con il mito.

Includendo il discorso critico teorico, Santa Evita mostra il processo di contaminazione di generi all’interno di un unico testo. Questa tecnica serve a criticare e allo stesso tempo a scrivere la realtà.

Lasciando da parte Las memorias del general, che è più che altro un reportage delle interviste a Perón, gli altri due testi hanno alcuni aspetti visibilmente comuni. In entrambi si rintraccia la volontà da parte dell’autore di raccontare un periodo di storia dell’Argentina, incentrandosi su due personaggi fondamentali del Novecento. Sia Perón che Eva sono presenti in ambedue i libri: ne La novela de Perón, il generale è uno dei protagonisti e il soggetto del racconto, Eva invece è già morta e appare soltanto attraverso i ricordi o come cadavere rinchiuso nella soffitta della casa di Madrid; in Santa Evita, il protagonista è il cadavere e anche qui Eva da viva appare solo attraverso le testimonianze, Perón invece è un personaggio marginale.

In entrambi i testi troviamo l’espediente del giornalista che indaga per raccontare una storia, infatti Zamora è a tutti gli effetti l’alter ego di Martínez. Sia La novela de Perón che Santa Evita sono romanzi, ma, come abbiamo visto, presentano più generi al loro interno. Martínez ha richiesto esplicitamente che fosse posta ‘l’etichetta’ di romanzo, in modo che il lettore fosse cosciente delle libertà che l’autore di un romanzo si può concedere rispetto ad uno storico.

Alcuni studi critici contemporanei definiscono La novela de Perón come

una sorta di memoria della patria ritrovata, mentre Santa Evita viene

classificata come agiografia indiretta (la storia della ‘santa’ passa attraverso

il pellegrinaggio del suo corpo).

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Concludendo, possiamo affermare che è proprio allontanandosi dalla realtà concepita come ‘reale’ e avvicinandosi ad una concezione onirico- fantastica, che Martínez riesce a ‘entrare’ nella storia.

Gabriel García Márquez nel 1967 dichiarò di essere uno scrittore realista perché credeva che in America latina tutto fosse possibile, vivendo circondati da cose straordinarie. Secondo l’autore colombiano, gli scrittori devono lavorare a “la investigación del lenguaje y de formas técnicas del relato, a fin de que toda fantástica realidad latinoamericana forme parte de nuestros libros y que la literatura latinoamericana corresponda en realidad a la vida latinoamericana donde suceden las cosas más extraordinarias todos los días”. Le parole di García Márquez spiegano perfettamente il concetto

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di meraviglia all’interno della realtà tipico del realismo magico, ma si adattano altrettanto bene a spiegare come la finzione o fantasia sia insita nella realtà e quindi inseparabile da essa. Pertanto, per quanto si voglia raccontare la realtà dei fatti, non si può prescindere dalla fantasia perché è parte di essa e, soprattutto, perché è il motore di ogni narrazione.

G. García Márquez, Diálogo sobre la novela latinoamericana/García Márquez, Vargas

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Llosa, Lima, Perú andino, 1988, p.29.

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