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2. Descrizione del lavoro eseguito

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Academic year: 2021

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1. Introduzione

Negli ultimi anni la miniaturizzazione ha coinvolto la maggior parte dei settori tecnici. Questa tendenza è stata spinta, almeno in una prima fase, sopratutto dal comparto dell’elettronica dove le lavorazioni sul silicio arrivano ormai a dimensioni nanometriche. Questa spinta ha trascinato altri settori dall’elettronica alla meccanica, ed oggi parti miniaturizzate si possono trovare in comuni oggetti quotidiani come macchine fotografiche, telecamere e prodotti per il tempo libero (racchette da tennis, sci e giocattoli), sistemi di raffreddamento dei processori o su apparecchiature mediche (dispositivi vari per endoscopie, chirurgia, terapia mini invasiva, microsensoristica, protesi).

Altri settori come l’automotive hanno allo studio componentistica di ridotte dimensioni quali microaccelerometri e microsensori. Questa tipologia di prodotti (detti ibridi) che contengono parti elettriche e meccaniche, sebbene venga ritenuta estremamente interessante in quanto a prestazioni, stenta a diffondersi soprattutto per gli alti costi di assemblaggio. Numerosi sono infatti i problemi devono ancora essere risolti in questo campo; essi sono perlopiù legati alla riduzione delle dimensioni dei componenti, alla loro manipolazione e al loro assemblaggio. Per questo sono attualmente allo studio metodi e tecnologie innovative, sia di fabbricazione che di manipolazione e controllo.

Fino ad ora il know how derivato dell’industria elettronica è stato usato anche in questi ambiti con l’uso del silicio, sebbene questa tecnologia ha il limite di creare oggetti poco più che planari.

Qualora si vogliano ottenere strutture a tre dimensioni, o sistemi costituiti da diversi materiali, è necessario abbandonare la tecnologia del silicio e passare ad altre lavorazioni e ad operazioni di microassemblaggio. Per fare ciò varie tecnologie di micro-lavorazione sono state adattate e derivate dalle lavorazioni tradizionali. Ad esempio il microdrilling ed il micromilling derivano dal mondo delle lavorazioni convensionali, oppure il micro EDM, il micro ECM ed il laser provengono dal mondo delle lavorazioni non convenzionali. Tutte queste microlavorazioni si rendono indispensabili nella fabbricazione di microparti di materiali diversi da assemblare in un microprodotto elettromeccanico.

Per dare una definizione ed inquadrare le dimensioni dei microprodotti ibridi si può dire che questi sono prodotti costituiti da una serie di parti, con almeno una dimensione al disotto del millimetro o con delle features submillimetriche, di materiale diverso e che devono essere assemblate in strutture fortemente tridimensionali. Quando si parla di micromontaggio ci si riferisce naturalmente a sistemi che esplicano funzioni simili a quelle di un assemblaggio tradizionale, ci sono per esempio micromanipolatori per l’afferraggio, microfeeders per l’alimentazione dei componenti, microvagli per il corretto posizionamento dei componenti provenienti dall’alimentatore, microrobot per l’esecuzione di una serie di operazioni consecutive e sistemi di controllo on line per il monitoraggio delle differenti operazioni. Non bisogna però commettere l’errore di ragionare e progettare dei dispositivi di assemblaggio soltanto riducendo le dimensioni dei classici strumenti usati nel macromondo.

Come è facile immaginare, il primo problema con il quale i tecnici si trovano a combattere è quello delle dimensioni dei componenti da gestire, afferrare, manipolare, rilasciare e fissare. Infatti se nell’assemblaggio tradizionale tutti i componenti sono facilmente visibili ed il prodotto finale facilmente controllabile – spesso anche visivamente - nel micromondo sono necessari sistemi di ingrandimento o di image processing. Oltre a questo, per non perdere l’effetto stereoscopico della visione umana molto spesso vengono usati due sistemi di visione in contemporanea per compensare la perdita di profondità ed avere un feedback real time dell’operazione effettuata. Si stanno studiando anche sistemi in cui due visori (telecamere CCD) acquisiscono l’immagine da due diverse prospettive ed un software rielabora l’immagine ricostruendone a schermo la struttura 3D. Tutto questo comporta una riduzione dello spazio disponibile per i gripper, i robot, i sensori e gli altri dispositivi di assemblaggio e controllo. Oltre a ciò, il passaggio dal macromondo al micromondo comporta la necessità di tenere in considerazione gli effetti di forze che normalmente sono irrilevanti se paragonate alla gravità ed all’inerzia. Quando infatti le dimensioni dei componenti, e

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quindi la loro massa e peso, divengono piccoli (componenti sotto il millimetro), forze che siamo abituati a trascurare come quelle di adesione superficiale (dovuta all’umidità dell’aria), di van der Waals, elettrostatiche, ecc. divengono invece dominanti e causano innumerevoli problemi. Infatti, se nel macromondo uno dei problemi principali risiede nell’afferraggio dei componenti, nel micromondo il maggior problema è quello del rilascio del pezzo stesso che spesso rimane letteralmente attaccato al gripper con il quale è stato preso e manipolato.

È così che l’effetto combinato di queste tre forze, descritte brevemente sopra, fa sì che un oggetto (cilindro di acciaio φ=0,4mm l=1,5mm) dopo essere stato preso con un paio di pinzette rimanga adeso ad una delle due estremità (vedasi 1).

gg

Figura 1 - Effetti delle forze di adesione

Anche in questo campo gli studi sono stati numerosi e, in sintesi, le strategie di rilascio (alcune delle quali sono mostrate in ) possono essere elencate come segue: impiego di altri utensili dotati di una punta in grado di staccare il componente dal gripper; rotazione del gripper, rilascio elettrostatico, vibrazione del gripper, variazione della superficie di contatto.

In fig.2 è mostrato come al diminuire della dimensione l’andamento della forza di gravità non sia più la forza più rilevante ma sia paragonabile ad altri tipi di forza.

van der Waals electrostatic surface tension gravity

100 1000 10

10-151 10-10 10-5 100

radius of the sphere ( μm )

force ( N )

Figura 2 - andamento delle forze

È facile immaginare come un nuovo scenario nel quale dominano forze non rilevanti in applicazioni comuni ha dato impulso ad un lavoro creativo di ricerca che aveva però stringenti condizioni al contorno. È così che i sistemi di afferraggio e manipolazione derivati da quelli tradizionali hanno

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mostrato subito delle limitazioni: la fragilità dei componenti spesso sembra precludere manipolazioni tramite il contatto fisico o una serie di manipolazioni successive.

Avere oggetti piccoli e leggeri ha dato la possibilità di sviluppare sistemi di manipolazione impensabili nell’assemblaggio tradizionale, quali gripper adesivi oppure quelli senza contatto (elettrostatici, ultrasonici, a fascio laser) ovvero sistemi in grado di manipolare i componenti senza venire in contatto con questi. La fig.3 mostra varie tipologie di manipolazione utilizzate.

G a s u z i o n e

N F

N F

S N

a r i a

?

- - - + + +

Gripper ad attrito Afferraggio a

chiusura Gripper magnetico

G. elettrostatico

Bernoulli Van der Waals

Laser

Pressione ottica

G. acustico

G. adesivo G. criogenico

Figura 3 - Tipologie di grasping impiegate

I gripper che sfruttano il contatto fra componente e superficie del gripper sono i più simili ai tradizionali: spesso sono realizzati in silicio e sono conformati adeguatamente per facilitare la presa ed il rilascio. Il principio di azionamento del gripper può essere di vario genere, da un azionamento elettrostatico ad uno pneumatico, da un’attuazione piezoelettrica ad una termica all’impiego di metalli a memoria di forma, ecc.. Si tratta di dispositivi generalmente facili da progettare, e possono essere ottenuti semplicemente riducendo in scala un macro-gripper. Questi gripper, prevalentemente a due “dita”, mostrano dei limiti soprattutto nella fase di rilascio del componente che spesso rimane attaccato ad una delle due estremità. Oltre a questo ostacolo il contatto fra gripper e componente può dare problemi di danneggiamento/usura sia del componente che del gripper.

I Gripper adesivi o a liquido hanno un dispenser che alimenta la superficie di grippaggio con una goccia di liquido. Una volta che il gripper viene portato in contatto con l’oggetto da “afferrare” il liquido si lega al componente. A causa della tensione superficiale del liquido il componente tende ad essere centrato, in questo modo infatti quando il componente è al centro del gripper, la superficie del liquido in contatto con l’aria è minima e così anche l’energia dovuta alla tensione superficiale.

Oltre a questo effetto auto-centrante il gripper ha anche capacità di adattare la posizione del componente in orizzontale (compliant) mentre in verticale mostra una notevole rigidezza.

Degni di nota sono anche i sonotrodi, dispositivi in grado di manipolare i componenti tramite una differenza di pressione generata dalle onde sonore. Il sonotrodo permette di movimentare le microparti senza entrare direttamente in contatto fisico con esse evitando quindi sia i problemi causati dalle forze di adesione che gli eventuali danneggiamenti dovuti alle forze di attrito e alla conseguente usura.

Altro problema è quello dell’assembleggio. Mentre nel mondo dell’assemblaggio tradizionale possono essere (e sono state) automatizzate quasi tutte le operazioni di assemblaggio, al contrario

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nel mondo dei mini e micro componenti gli sforzi in questa direzione sono solo ad uno stadio iniziale.

Un primo sistema è quello già menzionato del telecontrollo, dove tramite sistemi di visione le operazioni vengono comandate solo manualmente con grande dispendio di tempo. Per quanto riguarda i sistemi automatizzati invece sebbene siano molti gli studi su tecniche di assemblaggio seriale, che cercano di sviluppare sistemi flessibili ed adatti a gestire componenti diversi, esistono molti promettenti studi di assemblaggio parallelo, meno flessibili dei primi, ma con un elevato numero di pezzi assemblati contemporaneamente.

2. Descrizione del lavoro eseguito

Il lavoro è stato rivolto allo studio di varie tipologie di gripper allo scopo di individuare le caratteristiche delle varie configuarzione. In particolare l’attenzione è stata posta sui gripper meccanici a 3 dita. Questi tipi di gripper hanno qualità come l’autocentraggio che possono essere particolarmente utili in operazioni di tipo peg-in-hole libero o forzato. Per l’attuazione sono state considerate varie possibilità quali l’impiego di attuatori piezoelettrici, materiali a memoria di forma, attuatori pneumatici, motori passo ecc. Dopo una analisi dei pro e contro la scelta è caduta su semplici motori passo-passo che permettono una ottima precisione, un’elevata ripetibilità unita ad una semplicità di controllo e un costo ridotto rispetto ad altre soluzioni (es: attuatori piezoelettrici).

Nelle seguenti figure 4, 5, 6 sono riportati i vari gripper studiati e testati.

Figura 4 - Gripper

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Figura 5 - Gripper a 3 dita planare in funzionamento

Figura 6 - Gripper 3 dita non planare in funzionamento

Il primo tipo è un gripper a due dita ed è stato studiato per un primo studio di fattibilità del problema. Questo tipo di gripper è il più diffuso per la sua semplicità e per alcune caratteristiche come il minimo ingombro nella zona di lavoro ed il grande campo visivo libero che lascia al sistema di visione per il suo controllo.

Il gripper in figura 7 è un gripper normalmente chiuso. Tramite i due fori viene collegato rispettivamente al telaio e all’attuatore che allontananfo i due fori ne consente l’apertura.

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Figura 7 - schema del gripper a 2 dita

Il secondo tipo di gripper analizzato è un gripper a 3 dita che lavora “fuori” dal piano di riposo. La particolarità di questo gripper è quella di essere in grado di fornire forze elevate in fase di inserimento del perno nel foro (peg-in-hole). E’ costituito da 3 triangoli (detti petali) collegati al telaio tramite due baraccetti a sezione rettangolare. Lo spazio tra i vertici dei tre petali è la zona dove viene effettuata la presa. L’apertura è ottenuta portando fuori dal piano i vertici dei 3 petali del gripper, i quali, deformando i braccetti esterni, ruotano allontanando i vertici e creano quindi lo spazio necessario all’afferraggio del perno. Rilasciando il sistema di apertura i petali si richiudono centrando e bloccando il perno tra le punte dei petali stessi. Un disegno del gripper nelle due condizioni è illustrato nelle fig. 8, 9.

Figura 8 - Gripper 3 dita chiuso

Figura 9 - gripper 3 dita in apertura

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L’ultimo è un gripper a 3 dita planare. La cedevolezza (compliance) di questo gripper ne consente l’uso anche in condizioni di non elevata precisione nel posizionamento, sia in presa che in rilascio.

Le tre dita in questo caso sono delle aste infulcrate al telaio tramite perni passanti dentro appositi fori sulle dita del gripper. La corona esterna viene ruotata, e le dita si deformano funzionando da leva. In questo modo si ottiene l’apertura. In fig. 10 è riportato uno schema del processo.

Figura 10 - schema del gripper a 3 dita planare

Come detto il tipo a tre dita non planare è il più interessante per le sue capacità di forzamento del perno quando questo è sottoposto ad uno sforzo assiale (tipico del peg in hole forzato). Questa caratteristica è stata studiata per capirne in prima approssimazione l’andamento e per capire verificare il limite di tenuta del perno da parte del gripper.

Il fenomeno che si crea è di tipo instabile e può essere paragonato all’instabilità nei gusci. Per analizzare il problema il procedimento è stato quello di calcolare la matrice di rigidezza del modello ed imporre degli spostamenti per valutarne le reazioni.

L’analisi è quindi stata condotta a livello analitico considerando tutta la deformazione concentrata sui braccetti, supponendo quindi il petalo come rigido e i braccetti come delle travi incastrate ad una estremità e vincolate al petalo dall’altra. Una ulteriore approssimazione è stata fatta sul tipo di sollecitazioni esercitate sulla trave. Considerando la geometria simmetrica (e trascurando deformazioni instabili e asimmetriche) si può ritenere in un primo grado di approssimazione che la trave sia soggetta principalmente a torsione. In seguito è stata introdotta anche la deformazione della trave a flessione. In tutti i casi ne è stata calcolata la matrice di rigidezza ed è stata calcolata la caratteristica deformazione carico.

E’ stata eseguita anche una simulazione agli elementi finiti in campo lineare per valutare i risultati analitici e avere una base per l’estensione all’analisi non lineare. E’ stato modellato un solo petalo in 3D con elementi (SOLID95) definiti da 20 nodi ognuno con 3 g.d.l. . Sul volume ottenuto è stata fatta una free-mesh con elementi tetraedici e infittimento crescente nella zona dei braccetti. I vincoli applicati sono su 3 g.d.l. sui nodi delle sezioni finali dei braccetti, e dei cedimenti vincolari in direzione Z, e Y sul nodo mediano della punta del petalo. La fig. 12 mostra la deformata risultante e la distribuzione delle tensioni. Le prove sono state fatte imponendo un dato diametro del perno e quindi un cedimento Uy, e facendo variare il cedimento verticale Uz.

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Figura 11 - Relazione spostamento-carico

Figura 12 - Deformata del modello e distribuzione delle tensioni

I risultati nell’analisi lineare mostrano un andamento delle reazioni Rz come mostrato in figura 11 con andamento concorde a quello ottenuto con l’analisi analitica.

La progettazione dei tre dispositivi per l’attuazione è stata effettuata in base al singolo gripper e al tipo di attuazione scelto. Analizzando i modi di attuazione richiesti da ogni singolo gripper sono state trovate similitudini tra il primo gripper a due dita e quello a tre dita planare. Per il gripper 2 dita infatti è richiesta una forza di trazione che è tramutata in apertura dalla deformazione dovuta alla configuarzione del gripper stesso. Per il gripper tre dita planare invece è richiesta una rotazione della corona esterna. La soluzione trovata è quella di utilizzare dei “cavi” di trazione. In questo modo è stato possibile utilizzare un unico supporto per entrambi i gripper. Le fig. 13, 14 mostrano il supporto con il gripper tre dita. Il motore a passi (non mostrato in figura) è collegato tramite un giunto oldam (1) ad un rocchetto (2) dove viene avvolto il filo (4). Questo è montato su un castello mobile (5) che permette di mettere in tiro il filo dopo che è stato montato. Nel gripper a due dita il filo è unico e viene avvolto sul rocchetto e collegato attraverso una guida (3) al foro di trazione del gripper. Nel caso a tre dita invece il filo viene fermato tangenzialmente sulla corona esterna, e da qui guidato sul rocchetto. Qui il filo è avvolto per qualche giro, passato in un foro diametrale del rocchetto, successivamente avvolto in senso contrario e collegato alla corona in un punto diametralmente opposto a quello di partenza. In questo modo un capo del filo esercita una trazione mentre l’altro capo viene rilasciato.

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Figura 13 -Supporto di attuazione del gripper 3 dita piano

Figura 14 - supporto gripper 3 dita piano

Questa catena di trasferimento del carico è stata studiata per verificarne l’eventuale isteresi in funzionamento, principalmente data dalla deformazione e dagli attriti, e valutare l’opportunità di utilizzare del filo polimerico o delle fibre di carbonio. Varie prove condotte al microscopio hanno dato ottimi risultati già con un semplice filo polimerico di 0.25 millimetri di diametro. Il filo, purchè ben teso, ha fornito una risposta sufficientemente lineare. Le figure 15, 16 mostrano le foto di due misurazioni al microscopio, rispettivamente a 0 passi e a 7 passi.

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Figura 15 - Misurazione del diametro di apertura a riposo

Figura 16 - Misurazione dell'apertura per n°7 passi

Le misure sono state effettuate muovendo il motore di un passo alla volta, valutando l’apertura delle dita e tornando in posizione di riposo ogni volta. La tabella e il grafico riassunti in fig 17 mostrano l’andamento della misura del diametro inscritto in funzione del numero di passi.

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Prova Step Apertura

1 0 513,4

2 0 516,1

3 0 519,6

4 1/1 548,2

5 0/1 523,3

6 2/2 579,7

7 0/2 522,5

8 3/3 616,6

9 0/3 518,9

10 4/4 647,6 11 0/4 513,3 12 5/5 685,2 13 0/5 515,7 14 6/6 691,1 15 0/6 514,7 16 7/7 735,9 17 0/7 522,6

Figura 17 - Riassunto delle prove di apertura per la verifica dell'isteresi

Per il gripper a tre dita non planare il modo di trasferimento del moto e la sua attuazione sono state fatte con un sistema di due pulegge, una cinghia dentata e un cilindretto filettato. La trasmissione a cinghia è stata utilizzata per liberare dall’ingombro del motore la zona di lavoro. Le pulegge sono montate su cuscinetti a sfere (2) e forate assialmente. La puleggia condotta (1) è filettata internamente ed impegna un cilindretto (3) anch’esso filettato ad una estremità (a formare una coppia vite-madrevite) che trasforma il moto rotatorio della puleggia in moto traslatorio del cilindretto. Questo cilindretto è assialmente scorrevole in un foro alesato, e la sua rotazione è impedita da un grano (4). Il movimento traslatorio è infine trasferito al gripper tramite una corona conica del cilindretto. In figura 18 è mostrata la sezione della testa del supporto, mentre in fig. 19 è mostrato uno schema esploso.

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Figura 18 - schema del supporto gripper 3 dita non planare

Figura 19 - Esploso del supporto

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Come detto, sia la puleggia sia il cilindretto scorrevole sono assialmente forati. Il motivo principale è rappresentato dalla necessità di lasciare una visuale sul centro del gripper così da poter guidare il supporto in posizione e realizzare un controllo in automatico tramite visione artificiale.

In questo caso il posizionamento è stato controllato mediante due microcamere.

Il controllo del motore a passi è stato fatto utilizzando un microcontrollore PIC collegato tramite seriale ad un pc. Il programma di controllo del PIC è stato sviluppato in linguaggio assembler, implementandone il controllo tramite seriale con scelta del numero di passi, il verso di rotazione, la velocità, e il modo di funzionamento (distinguendo tra step e half-step).

Per tutti i tipi di gripper sono state effettuate prove di grasping. In particolare ne è stata valutata la capacità di esercitare forzamento nelle operazioni di peg-in-hole e la ripetibilità nel posizionamento.

A questo riguardo va detto che il gripper a tre dita non planare presenta una instabilità nella tenuta del perno che tende a ruotarlo fuori asse. Per ovviare a questo sono stati montati due gripper sovrapposti provando varie configurazioni e distanze. La soluzione più compatta e allo stesso tempo stabile è stata quella con i due gripper sovrapposti l’un l’altro e con la zona di contatto lubrificata con del teflon in fogli o con teflon spray.

3. Conclusioni

I gripper a due dita è il tipo più comune e più studiato ed ha tra i suoi indubbi vantaggi quello di lasciare un ampio campo visivo a disposizione del controllo e quello di poter raggiungere zone ristrette. Dall’altra parte i gripper a tre dita hanno un maggiore ingombro nella zona di lavoro ma capacità autocentranti e di forzamento nettamente superiori. L’ingombro dei supporti comporta una limitata capacità visiva nella zona di lavoro e la necessità di più telecamere disposte in modo opportuno. Proprio per migliorare l’uso delle telecamere si è stati costretti all’ anodizzazione dei dispositivi per evitare o almeno limitare i riflessi sull’immagine acquisita. In compenso i due gripper a 3 dita hanno dimostrato notevoli prestazioni: il gripper tre dita piano ha un ottimo comportamento nelle operazioni di peg-in-hole grazie sopratutto alla sua dote di compliance, mentre il tre dita non planare è molto più rigido e per questo adatto ad operazioni di forzamento.

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