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Discrimen » Sul boss Provenzano giusta severità sì ma disumanità mai

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Academic year: 2022

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UL BOSS

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ROVENZANO GIUSTA SEVERITÀ SÌ MA DISUMANITÀ MAI *

Mario Chiavario

La notizia è di quelle che di primo acchito fanno arricciare il pelo. L’Italia con- dannata a Strasburgo per il regime di massima sicurezza inflitto a uno dei più spietati boss mafiosi, Bernardo Provenzano... come può essere? E giù immediati commenti, irritati e sprezzanti per il nuovo colpo basso inferto al nostro Paese da un’Europa, stavolta addirittura connivente o succube di “Cosa nostra”.

Forse, è il caso di fare un po' di chiarezza. Per cominciare, la Corte europea dei diritti umani, che ha emesso la sentenza sotto accusa, non c’entra nulla con l’Unione Europea dei 28, ma è un organo di quel Consiglio d'Europa, che riunisce un numero maggiore di Stati e che trova le sue radici nei primi anni del secondo dopoguerra novecentesco.

È un tribunale di cui, nelle cause che coinvolgono l’Italia, fa parte anche un giudice italiano; come tutti i giudici può essere legittimamente criticata e lo è stata, anche su queste colonne, a esempio per certe discutibili espansioni del “diritto alla vita privata” a detrimento di altri diritti e princìpi fondamentali; ma non merita le rozze definizioni, che si sono sentite in queste ore anche da alcuni nostri ministri, come “inutile baraccone” (Salvini) o come insieme di persone “che non sanno di cosa parlano” (Di Maio). In secondo luogo, quella sentenza – pronunciata all’unanimità dalla sezione della Corte cui la causa era stata affidata – non mette affatto in discus- sione, sotto alcun aspetto, il regime del 41-bis.

Lo ha fatto, la Corte europea, in altre occasioni, sotto aspetti più o meno mar- ginali (e lo ha fatto anche la nostra Corte costituzionale), senza peraltro mai negare il diritto degli Stati, e in particolare dello Stato italiano, di adottare strumenti, anche duri come questo, per la difesa dalle più pericolose insidie di una criminalità orga- nizzata priva di scrupoli e di umanità. Stavolta non si è neppure spinta a tanto.

Si è limitata a censurare il fatto che negli ultimi mesi della sua vita il boss di Corleone fosse stato tenuto in condizioni restrittive non più giustificate dal suo stato di salute fisica e psichica avendo perso finanche le più essenziali facoltà cognitive; e

* È il testo dell’articolo pubblicato dal quotidiano Avvenire del 26 ottobre 2018.

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ha giudicato che ciò comportasse un trattamento inumano e degradante in contrasto con l’articolo 3 della Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo, sti- pulata a Roma nel 1950; contemporaneamente la sentenza ha respinto le richieste dei familiari di Ziu Binnu, di estendere la condanna agli anni di detenzione prece- dentemente trascorsi da lui in carcere.

Si potrà discutere se, di fatto, le premesse circa le condizioni di salute della per- sona fossero proprio quelle; e verosimilmente ed ineccepibilmente lo potrà fare il Governo italiano contestando il verdetto davanti a quello che nell’organigramma di Strasburgo può essere considerato una sorta di organo d’appello: la Grande Chambre (la “Grande Camera”).

Ma se si grida oggi che “il 41-bis non si tocca” si sbaglia obiettivo. Ciò che, in realtà, d'importante la Corte europea ci ricorda con questa sentenza è un’altra esi- genza, tanto più opportunamente quando essa torna a essere oscurata nell’imbarbarimento di questi tempi.

Ed è che neppure al peggiore dei delinquenti, una volta privato dalla natura della possibilità di nuocere, si devono infliggere sofferenze ingiustificate: ne va del senso di umanità e del riconoscimento della dignità di ogni essere umano in quanto tale. Pensare e agire altrimenti non è giustizia e non è nemmeno il modo più efficace per fare guerra alla mafia; è soltanto cedere alla logica della vendetta. E irridere chi la pensa diversamente è una vergogna.

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