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Discrimen » Lo statuto penale delle scriminanti. Principio di legalità e cause di giustificazione: necessità e limiti

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Academic year: 2022

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(1)

G. GIAPPICHELLI EDITORE – TORINO

LO STATUTO PENALE DELLE SCRIMINANTI

PRINCIPIO DI LEGALITÀ

E CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE:

NECESSITÀ E LIMITI

FEDERICO CONSULICH

Collana diretta da

E. Dolcini - G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo - F. Sgubbi

(2)

I tinerari di D iritto P enale

Collana diretta da

E. Dolcini - G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo - F. Sgubbi

(3)

Dove va il diritto penale, quali sono i suoi itinerari attuali e le sue prevedibili prospettive di sviluppo? Ipertrofia e diritto penale minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevo-

lezza di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto

penale, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche

ad approcci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di

fondo, la sezione Monografie accoglie quei contributi che guar-

dano alla trama degli itinerari del diritto penale con un più largo

giro d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza

prospettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione

Saggi accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni neces-

sariamente contenute, su momenti attuali o incroci particolari

degli itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative

spezzature, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione

il ricorrente trascorrere del “penale”.

(4)

Federico coNSULicH

Lo StatUto peNaLe deLLe ScriMiNaNti

priNcipio di LegaLità e caUSe di giUStiFicazioNe:

NeceSSità e LiMiti

g. giappicHeLLi editore – toriNo

(5)

© copyright 2018 - g. giappicHeLLi editore - toriNo Via po, 21 - teL. 011-81.53.111 - FaX 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-921-7673-7 (formato ebook) ISBN/EAN 978-88-921-1552-1 (formato cartaceo)

I volumi pubblicati nella presente Collana sono stati oggetto di procedura di doppio referaggio cieco (double blind peer review), secondo un procedimento standard concordato dai Direttori della collana con l’Editore, che ne conserva la relativa documentazione.

Pubblicato nel mese di marzo 2018 presso la G. Giappichelli Editore – Torino

(6)

Nessun percorso di ricerca può essere affrontato senza la guida del Mae- stro che, con il proprio esempio, ‘corra più avanti’ a preparar la strada. Per quanto mi riguarda questo non è, peraltro, il solo motivo della gratitudine che devo al Prof. Paliero: non riuscirò mai a ringraziarlo per la sottile cura che ha profuso nell’aiutarmi dentro e fuori le pagine dattiloscritte che han- no preceduto la stampa di questo lavoro.

Tra i mille grazie che dovrei spendere, mi limito a scegliere alcuni desti- natari senza i quali le mie riflessioni sarebbero state di certo, se possibile, più confuse e contraddittorie: il Prof. Pelissero e il Prof. Piergallini, per la pazienza e comprensione che hanno dimostrato nel confronto scientifico con me, nonché la Prof.ssa de Maglie, per i preziosi consigli comparatistici.

Infine, due ringraziamenti personali: a Victoria, per il grande aiuto, e a Elio, per il motivo che sa.

Ma l’unica dedica va a Carol, la persona che mi ha letto e compreso prima che scrivessi.

(7)
(8)

INDICE

pag.

INTRODUZIONE

CONCEZIONE IRENICA VS CONCEZIONE CRITICA

DELLA GIUSTIFICAZIONE 1

CAPITOLO I

AMBIENTAMENTO POLITICO-CRIMINALE

1. L’esigenza di metodo: assoluto e relativo nella distinzione tra

fatto e scriminanti 9

1.1. L’ipotesi di lavoro, i postulati di partenza e il piano del-

l’opera 11 2. Dogmatica delle scriminanti: validità e relatività della siste-

matica tripartita nella definizione della struttura del reato 17 3. Politica delle scriminanti: la crescente ‘domanda di giustifica-

zione ’ 23 4. Dinamica delle scriminanti nell’ordinamento italiano 29

4.1. Il fattore culturale come sollecitazione della giustificazione 30 4.2. Il fattore politico tout court, ovvero il controllo sociale

mediante la giustificazione: l’esempio dell’uso legittimo

delle armi 35

4.3. Il fattore etico: le procedure mediche anticipatorie del

c.d. fine-vita 38

4.3.1. La rinuncia apparente alla giustificazione, ovvero:

lo spazio libero dal diritto 40 4.3.2. La dilatazione reale della giustificazione: la dimen-

sione “mimetica” delle scriminanti procedurali 41 5. La norma di liceità tra bisogno di legittimazione e funzione

simbolica della scriminante 46

5.1. Il caso paradigmatico: la legittima difesa domiciliare 51 6. Conclusione interlocutoria: la necessità di un “controllo” per

la giustificazione 57

(9)

pag.

CAPITOLO II

L’IDENTITÀ DELLA SCRIMINANTE. LA DINAMICA OPERATIVA E GLI EFFETTI NORMATIVI

1. La natura ultima della giustificazione: il bilanciamento tra in- teressi confliggenti come strumento di soluzione di un’antino-

mia normativa 61

2. Bilanciamento tra interessi e giustificazione: precisazioni con-

cettuali 62 2.1. (aa) La dimensione ubiquitaria dei giudizi di bilancia-

mento 65 2.2. (bb) Le tipologie di giudizio di bilanciamento 71

3. La giustificazione come soluzione di un’antinomia giuridica,

tra concorso apparente di norme e ‘crisi’ della specialità 75 3.1. Eclissi della specialità e ipertrofia delle incriminazioni 78 4. I criteri identificativi della norma prevalente nel conflitto tra

incriminazione e giustificazione 82

4.1. Il criterio della gerarchia assiologica tra i valori espressi

dalle norme in conflitto 87

4.2. Forma e valore nell’applicazione della giustificazione 94 5. Le conseguenze normative della giustificazione: non applica-

zione vs disapplicazione 99

6. Bilanci provvisori: la prevalenza della giustificazione come

strumento di coerenza normativa 104

CAPITOLO III

LA MODELLISTICA DELLA GIUSTIFICAZIONE

1. La scriminante come norma penalisticamente connotata 107 2. I caratteri delle scriminanti: la regola “inus” applicata alla

classificazione delle cause di giustificazione 111 3. I dicotomia: efficacia generale o efficacia limitata delle cause

di giustificazione, tra unità e pluridimensionalità dell’ordina-

mento giuridico 115

4. II dicotomia. Personale e impersonale nella giustificazione

contemporanea: la proliferazione delle scriminanti proprie 129 4.1. La prova contraria: l’efficacia extrapenale della causa di

non punibilità 133

5. III dicotomia. Oggettivo e soggettivo nella giustificazione: il

coefficiente psicologico nelle fattispecie scriminanti 136

(10)

pag.

6. Sintesi. Analisi differenziale e tassonomia delle scriminanti 141 6.1. Le scriminanti espressive di principi protopenalistici: le

cause di giustificazione ‘nucleari’ orientate sul paradig-

ma della necessità 142

6.2. La scriminante come ‘norma endopenale’: le cause di

giustificazione ‘regolatorie’ 146

6.2.1. Il caso delle norme in tema di c.d. agente provo-

catore 148 6.2.2. Le operazioni sotto copertura 153

6.2.3. La ‘degenerazione’ delle scriminanti regolatorie.

Due paradigmi: le operazioni sotto copertura in- nominate e le operazioni sotto copertura spropor-

zionate rispetto al fine perseguito 157 6.3. La scriminante come norma originariamente non pena-

le: i diritti e i doveri nel prisma della pseudofattispecie

dell’art. 51 c.p. 160

7. Résumé 168

CAPITOLO IV

LA GIUSTIFICAZIONE

E LE ALTRE FORME DI NON PUNIBILITÀ

1. Premessa 171

2. Alla ricerca della scriminante: la considerazione del processo

come vincolo di metodo 173

2.1. Il volto delle cause di giustificazione al cospetto della

portata ricombinatoria del processo 175

3. Similitudini e discontinuità tra cause di giustificazione e altre

esimenti: una casistica 183

3.1. Cause di esclusione della tipicità vs cause di esclusione

dell’antigiuridicità 184 3.1.1. Exemplum ‘codicistico’: la reazione legittima agli

atti arbitrari del pubblico agente 187 3.1.2. Exemplum ‘extracodicistico’: il caso delle ‘esen-

zioni’ di cui all’art. 217 bis l.f. 190 4. Scriminanti vs cause di esclusione della colpevolezza 195

4.1. Il caso ‘facile’: la legge Gelli/Bianco e l’actio finium re-

gundorum della colpa penalmente rilevante 197 4.2. Il caso ‘difficile’: la natura dell’art. 384 c.p. 203 5. Cause di esclusione dell’antigiuridicità vs cause di esclusione

della punibilità 208

(11)

pag.

5.1. La ‘fusione’ di giustificazione e non punibilità: la c.d. sa-

natoria a regime per i reati urbanistici 212 6. Sintesi. L’identità della giustificazione entro confini perenne-

mente incerti 214

CAPITOLO V

LA GIUSTIFICAZIONE NELLA COMMON LAW.

I DIRITTI DEL DEFENDANT TRA GIUSTIZIA SOSTANZIALE E FAIRNESS DELL’ORDINAMENTO

1. Premessa. La scelta del tertium comparationis: il diritto an- gloamericano come modello ‘diverso’ e ‘prestigioso’ nell’ottica

della comparazione 219

2. Il ruolo delle defenses nella common law: dalla responsibility

alla liability 221 3. La sistematica anglosassone del reato, tra offence e defence 224

4. La teoria della giustificazione nel panorama anglosassone 228 4.1. L’esenzione da pena tra diritto e morale 231 5. Il rapporto tra giustificazione e scusa 233

6. Ai confini della giustificazione, tra duress e necessity 238 6.1. Scelte tragiche giustificanti. La defense of necessity (o

lesser evils defense) 240 6.1.1. La declinazione della necessity in campo medico 248

6.2. La minaccia altrui come esenzione dalla responsabilità

penale: la duress 251 6.3. Necessity vs duress: implicazioni di teoria generale delle

defenses 260 7. Bilancio. I connotati differenziali tra justifications ed excuses 265

7.1. Il bilanciamento tra danno causato e pericolo evitato

nelle defences c.d. ‘reattive’ 269

7.1.1. La valutazione degli interessi contrapposti al co- spetto dei diversi modelli di defences-justifications:

esercizio di un potere vs esercizio di un diritto 273 7.2. La dimensione graduale della justification: riflessi in te-

ma di impedibilità dell’azione giustificata ed estensione

della defence a terzi 276

8. Esiti. L’elemento soggettivo delle justifications: tra dottrina e

statutory law 282

(12)

pag.

8.1. Meritevolezza soggettiva e justification nel diritto ingle-

se: il Dadson Principle 294 8.2. Valore di intenzione e defences: la dottrina della c.d.

Prior Fault 300 9. Sintesi. I caratteri della giustificazione nel prisma degli ordina-

menti di common law: riflessi per l’indagine sul sistema italiano 306

CAPITOLO VI

LA LEGALITÀ DELLA GIUSTIFICAZIONE ED I SUOI COROLLARI. I VINCOLI DI FONTE

1. La legalità delle scriminanti al tempo della crisi della legge 312 2. Dal rischio alla garanzia: la legalità della giustificazione come

presidio contro l’abuso del potere pubblico e la diseguaglianza

tra cittadini davanti alla legge 316

3. I vincoli di fonte della causa di giustificazione: indifferenza

della garanzia rispetto al modello tipologico di scriminante 321 4. Tipi di fonte e giustificazione: il caso della consuetudine 324 4.1. Consuetudine e scriminanti: il problema dell’opinio iuris

di un comportamento contra ius 326 4.2. Bilancio: l’impossibilità della creazione di una scrimi-

nante tramite la reiterazione dell’illecito 330 5. Vincolo di fonte e cause di giustificazione previste da norme

secondarie ‘indipendenti’ dalla legge 334

5.1. Il rinvio sine vinculo dalla legge alla fonte secondaria: il

caso dei c.d. respingimenti in mare 335

5.2. Scriminanti e degradazione della riserva di legge in ma- teria penale: il caso delle prassi di mercato ammesse dal-

la Consob rispetto al delitto di manipolazione del mercato 339 5.3. Sintesi. Cause di giustificazione contenute in fonti se-

condarie: la controllabilità della discrezionalità normati-

va come limite di ammissibilità 347

6. Il vincolo come regola di competenza: il sistema penale nel

prisma delle fonti 352

6.1. La quaestio delle scriminanti regionali 355 6.2. La potestà normativa delle Regioni in ambito criminale

come questione di divisione dei poteri 357 6.3. Il diritto penale tra bisogni di tutela locali e monopolio

statale del potere di punire 359

(13)

pag.

6.4. L’‘ordinamento penale’ come limite della competenza

regionale: nozione e rapporto con le scriminanti 362 6.5. Le principali prese di posizione della Corte costituzionale 366 6.6. La legge regionale: peculiarità di una fonte ‘para-prima-

ria’ e tassonomia delle ipotesi possibili 369

6.6.1. Il divieto di giustificazione ‘diretta’ 370 6.6.2. La giustificazione ‘apparente’: l’autorizzazione re-

gionale ‘a carattere socioculturale’ 371 6.6.3. La scriminante ‘integrata’: le condizioni di ammis-

sibilità di un concorso tra disposizione statale e

regionale nella definizione della scriminante 374 6.6.4. L’integrazione tra norma statale e regionale inam-

missibile: il caso dell’accesso ai canili privati e del-

la legge regionale siciliana 380

6.6.5. L’integrazione tra norma statale e regionale am- missibile: il consenso dell’avente diritto in ambito

sanitario 381 6.6.6. Excursus. A conferma dell’impossibilità della in-

criminazione o giustificazione regionale diretta: il caso delle leggi penali statali ad efficacia territo-

riale 383 6.7. Vincolo di fonte in materia di cause di giustificazione e

legge regionale: un primo bilancio 387

6.8. L’interpretazione della norma penale conforme alla legge regionale come unica interpretazione costituzionalmente

conforme 389 7. Europa e scriminanti. Una tassonomia di possibili interazioni 392

7.1. L’interazione tradizionale: il diritto eurounitario come

fondamento di nuove cause di giustificazione. Cenni 394 7.2. L’interazione contemporanea: implementazione vs limita-

zione della giustificazione da parte del sistema della Con-

venzione edu 399

8. Conclusioni: il vincolo di fonte per la scriminante come giu- stiziabilità della giustificazione, tra controlimiti e gerarchia

delle fonti 410

8.1. Ricadute operative del vincolo di fonte 414

(14)

pag.

CAPITOLO VII

LA LEGALITÀ DELLA GIUSTIFICAZIONE E I SUOI COROLLARI: TRA DETERMINATEZZA E PREVEDIBILITÀ DELLA NORMA DI LICEITÀ

1. La ‘riserva di fonte’ come condizione necessaria, ma non suf-

ficiente, della legalità della scriminante 419 2. I tre modelli di scriminante di fronte al rischio di indetermi-

natezza e imprevedibilità dello spazio dell’agire lecito 421 3. Le tecniche di tipizzazione della fattispecie scriminante e il

duplice volto dell’art. 25 della Costituzione 424 4. Le due forme idealtipiche dell’indeterminatezza della scrimi-

nante 429 4.1. L’indeterminatezza del rapporto tra norma di liceità e

norma incriminatrice: il caso dell’abuso del diritto 431 4.1.1. In particolare: il caso paradigmatico dell’abuso

del diritto in campo tributario 433

4.1.2. Dalla semantica all’esegesi delle norme penali tri-

butarie: elusione, evasione e abuso 437 4.1.3. Il leading case della sentenza ‘Dolce & Gabbana’ e

la prevedibilità della norma penale tributaria 440 4.1.4. Il ritorno al brocardo qui iure suo utitur neminem

laedit. Il recente tentativo del legislatore di fron-

teggiare l’impotenza delle garanzie penalistiche 444 4.2. L’incertezza della scriminante in sé: le c.d. scriminanti

non codificate 448

5. Le scriminanti tacite e i rischi dell’analogia in bonam partem 450 6. La ‘determinatezza alla prova del tempo’: la prevedibilità della

giustificazione in caso di successione di discipline scriminanti 459 6.1. Il modello ‘debole’ della prevedibilità della norma di licei-

tà. L’esperienza della Corte europea dei diritti dell’uomo 466 7. Sintesi: la determinatezza della scriminante come requisito

funzionale del sistema penale 478

CAPITOLO VIII

I VINCOLI DI CONTENUTO:

LA RAGIONEVOLEZZA DELLA SCRIMINANTE

1. I vincoli di contenuto: diritti fondamentali e divieti costituzio-

nali di giustificazione 481

(15)

pag.

2. La prospettiva ‘inversa’: i diritti fondamentali come fonte di

obblighi di giustificazione? 486

3. La proporzione come vincolo di contenuto della giustificazio-

ne ragionevole 490

4. Paradigmi operativi della proporzione/ragionevolezza come

limite della giustificazione 498

5. Ragionevolezza e mutamento nel tempo del giudizio di anti-

giuridicità 503 6. Sintesi: la ragionevolezza come argine all’ipereffettività della

giustificazione 508

CONCLUSIONI

UNA DIVERSA PROSPETTIVA: LA GIUSTIFICAZIONE CONTROLLABILE E RAGIONEVOLE

COME COMPONENTE IMPRESCINDIBILE

DELLA LEGALITÀ PENALE 511

BIBLIOGRAFIA 517

(16)

I

NTRODUZIONE

CONCEZIONE IRENICA VS CONCEZIONE CRITICA DELLA GIUSTIFICAZIONE

È sempre più difficile qualificare gli istituti normativi proposti dal- la recente legislazione penale con le categorie della dogmatica classi- ca 1. Gli esempi si potrebbero moltiplicare e curiosamente se ne rin- vengono molti nel settore del diritto penale dell’economia, da sempre laboratorio di nuove forme di gestione della punibilità in concreto (dalle soglie di punibilità percentualistiche, alle esenzioni dal tipo di particolari tipologie di soggetti o condotte, oppure ancora alle cause di giustificazione personali o soggettive).

Non si tratta di una problematica priva di riflessi pratici, poiché all’inquadramento dogmatico consegue l’attribuzione di un definito statuto di garanzia; ovvio, dunque, che i cangianti tratti delle discipli- ne normative contemporanee confondano i confini delle garanzie do- vute ai cittadini.

Come evitare che la commistione delle figure normative si traduca in una diminuzione del tasso di tutela del destinatario delle previsio- ni penali? Si rende forse necessaria la comunicazione di garanzie pensate per gli elementi di una categoria del reato ad altri elementi della sistematica.

I principi di tutela validi per il solo fatto di reato devono ora pro- babilmente essere riorganizzati, adattati a categorie che si è sempre ritenuto non meritevoli di presidio da parte dei corollari della legalità penale: ovviamente il riferimento corre alle cause di giustificazione e, in generale, all’antigiuridicità, che tra le categorie della sistematica del reato è forse la ‘meno garantita’.

Le scriminanti si presentano prive di un principio di riferimento

1 Per una stimolante analisi sul significato attuale di alcune categorie che po- polano la scienza del diritto penale G.A.DEFRANCESCO, Crepuscolo di dogmi? Ap- punti sparsi su di una problematica ‘moderna’, in www.lalegislazionepenale.eu., 11 luglio 2017, 1 ss.

(17)

dal punto di vista delle tutele per il cittadino nonostante ogni altro elemento della sistematica abbia un regime di garanzia.

Se il fatto, come locus dogmatico, risponde ai corollari del princi- pio di legalità (dalla determinatezza alla precisione, dall’irretroattività alla riserva di legge), anche la colpevolezza è governata dal principio costituzionale di cui all’art. 27.

L’antigiuridicità pare, invece, una categoria adespota, non ricon- ducibile a principi guida che ne presidino lo sviluppo normativo e l’applicazione pratica.

Per lo più, ad eccezione di quelle previste dal codice o dalla legi- slazione penale complementare 2, le cause di giustificazione non esi- stono come tali, cioè non sono previste con la funzione tipica di scri- minare fatti di reato, ma emergono, palesandosi all’interprete, come una qualità di norme non penali previste a tutt’altro fine, quando queste si trovano ad interagire con quelle incriminatrici.

Proprio la ‘anonimità’ e il numero potenzialmente indeterminato di disposizioni che rivelano una funzione scriminante in occasioni circoscritte, oltre, ça va sans dire, al generico effetto favorevole per il reo che usualmente producono, hanno inciso sulla mancata forma- zione di una categoria dotata di uniformi principi di politica del dirit- to a contenuto garantistico.

É però inevitabile che, nell’interazione tra le norme scriminanti e quelle incriminatrici, si registri una ‘contaminazione’ dei rispettivi principi di garanzia.

Questi ultimi si presentano ‘indipendenti e sovrani’, ciascuno nel pro- prio ordine; né sembra corretto individuare una gerarchia teleologica tra di essi 3. Ciò ovviamente, non significa che non ci sia una sinergia tra i principi, nel senso che uno si collega all’altro, rafforzandone il significato.

2 È nota la distinzione tra giustificazioni e diritti, per la quale le prime sareb- bero norme specificamente penali, dotate sin dall’origine di una funzione scrimi- nante, mentre i secondi avrebbero precipue funzioni extrapenali e solo occasio- nalmente colliderebbero con una norma incriminatrice, cfr. A.SPENA, Diritti e giu- stificazioni come cause di esclusione dell’illecito penale, in Studi in onore di Coppi, I, 2011, Torino, 331 ss.

3 Non esiste una priorità teleologica tra le categorie del reato. In questo senso anche A.SPENA, Gradualismo nella tripartizione del reato. Una analisi critica, in Studi in onore di M. Romano, II, Napoli, 2011, 1275 ss., che però pare disponibile ad ammettere una precedenza teleologica della tipicità sull’antigiuridicità se que- sta venisse intesa come specifica antigiuridicità penale. Contra, ad esempio, G.

MARINUCCI, Antigiuridicità (voce), in Dig. disc. pen., I, Torino, 1987, 177, secondo cui la preminenza del fatto rispecchierebbe la prevalenza dell’oggettivo, del dan- no, sul soggettivo, inteso come mera disubbidienza.

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Tanto la giurisprudenza della Corte costituzionale, ad esempio nella no- toria sentenza n. 364 del 1988, quanto quella della Corte edu dimostrano questo fenomeno di ‘contaminazione tra principi’: la declinazione della legalità, originariamente riferita alla dimensione della tipicità oggettiva, per la quale si impone una previsione chiara e tassativa del comporta- mento punito, si collega strettamente, una volta ricondotta alla prevedibi- lità ed accessibilità del precetto, alla dimensione del rimprovero persona- le, vale a dire alla colpevolezza 4. La legalità impone, quindi, non solo una tipicità determinata, ma anche un nesso psicologico tra autore e fatto, trasformandosi così da principio valido per il fatto a principio di garanzia per la colpevolezza 5.

Si potrebbe enucleare una ‘proprietà transitiva’ delle garanzie pe- nalistiche, in base alla quale le tutele proprie dell’elemento più garan- tito della sistematica si trasmettono, per quanto possibile, alle com- ponenti di una diversa categoria, nel momento operativo della reci- proca interazione.

E così, al pari di quanto avviene tra colpevolezza e fatto, per cui le garanzie dell’una si ripercuotono positivamente sull’altro, di modo che non possano comporre la fattispecie tipica elementi non rimpro- verabili all’agente dal punto di vista soggettivo, anche nel rapporto tra tipo e scriminanti 6 le garanzie ricondotte al primo dall’art. 25 Cost.

potrebbero essere estese, per quanto possibile, alla giustificazione, assicurandone un congruo coefficiente di legalità.

D’altra parte, il problema della legalità penale è fondamentale, in senso etimologico, poiché sta alla base dell’intero sistema costituzio-

4 Il punto è colto da G. ABBADESSA, Una nuova violazione dell’art. 7 Cedu: la sentenza Liivik vs Estonia e i significati della legalità penale convenzionale, in www.

ius17@unibo.it, 2009, 353 ss.

5 L’interpretazione della Corte va, quindi, nella direzione di richiedere un nes- so intellettuale che consenta di rivelare una responsabilità che altrimenti non sa- rebbe giustificata. Si veda Corte edu, 29 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. vs Italia, § 114, in relazione alla sanzione della confisca urbanistica connessa all’integrazio- ne sul mero piano oggettivo della fattispecie di lottizzazione abusiva ex artt. 30 e 44 d.p.r. 380/2001, applicata dai giudici nazionali anche in caso di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, in quanto mera sanzione amministrativa.

6 Il fatto tipizzato è la piattaforma di confronto tra incriminazione e norma di liceità. La scriminante presuppone logicamente la presenza di un fatto tipico che processualmente deve essere dato per esistente, proprio al fine di permettere il giudizio di antigiuridicità. Sul rapporto di presupposizione tra fatto e scriminan- te, M. DONINI, Illecito e colpevolezza, Milano, 1991, 179 ss. In senso contrario A.

SPENA, Gradualismo nella tripartizione del reato. Una analisi critica, cit., 1286, che ritiene invece che la visione della scriminante come necessariamente riferita ad un fatto tipico sia il frutto di una mera definizione stipulativa.

(19)

nale, inteso anche nella dimensione istituzionale dei rapporti tra po- teri 7: come tale, esso non può essere unidirezionale o parziale, ma deve necessariamente permeare l’intero sistema penale, coinvolgendo anche le norme di favore incidenti sulla liceità della condotta, ben al di là della qualifica in termini di norme penali o non penali che se ne voglia dare, definendo un ‘meccanismo garantito’ di interazione.

Come affrontare però il tema?

Trattare di scriminanti e, per estensione, di antigiuridicità è cer- tamente impresa che impone di tornare alle coordinate di base del diritto penale, di confrontarsi con tematiche di vastità tale da scorag- giare ogni tentativo di analisi.

Rispetto a siffatto compito possono ipotizzarsi due strategie di fondo per superare il senso di inadeguatezza dello studioso.

Prescegliere un approccio ricostruttivo, in cui l’interprete ‘sfoglia’

le pagine del codice e delle leggi complementari e individua questa o quella disciplina scriminante, magari esercitandosi a distinguerne i tratti da figure attinenti alla mera punibilità o a previsioni che elido- no la tipicità, ne valuta la compiutezza e la coerenza con il framework normativo dei principi e delle altre disposizioni del sistema e ne son- da in generale le tecniche normative di formulazione.

Al di là del rischio, assai concreto, dell’elefantiasi dell’analisi, tale opzione ha certamente una propria dignità (oltre che utilità) e una conformazione stilistico-letteraria catalogabile entro il modello trat- tatistico, se non enciclopedico strictu sensu, data la dimensione del- l’argomento.

Il suo limite può risiedere, semmai, nella natura puramente avalu- tativa dell’analisi, che conduce ad una concezione ‘irenica’ della giusti- ficazione, in cui l’antigiuridicità si fa puro giudizio normativo, che nasce e si esaurisce sul piano del dover essere.

Si può, al contrario, assumere un atteggiamento ‘decostruttivo’, che rinuncia programmaticamente a, pur confortevoli, sovrastrutture dogmatiche per l’analisi delle norme attributive di diritti e doveri di

7 Evidenzia invece come la legalità abbia, nel sistema del Regno Unito, una dimensione istituzionale, volta a valorizzare cioè la separazione dei poteri dello Stato, più che individual-garantistica, cioè protesa a tutelare la libertà di scelta consapevole da parte dei destinatari della norma, B. JURATOWITCH, Retroactivity and the Common Law, Oxford-Portland, 2008, 27 ss. Per una sintetica, ma com- pleta rassegna delle criticità che coinvolgono oggi la legalità, con particolare rife- rimento alla trasmutazione della stessa da principio regolatore delle fonti del diritto in ambito penale a principio di certezza del diritto e prevedibilità delle conseguen- ze del reato, F. PALAZZO, Principio di legalità e giustizia penale, in Cass. pen., 2016, 2695 ss.

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agire che si parano davanti all’interprete: l’obiettivo non è ricondurre le norme di liceità ad un sistema simmetrico, ma individuarne i mec- canismi di azione e i tratti caratterizzanti, accettando che possano essere non uniformi.

Questa seconda opzione è, necessariamente, bifasica. Individuare i ‘meccanismi di azione’ delle norme di liceità costringe infatti, in via immediata, ad ammetterne la natura di strumento che incide sui com- portamenti sociali e, in via mediata, apre le porte a valutazioni di a- deguatezza della giustificazione rispetto alle esigenze di tutela che emergono dal sostrato empirico-criminologico di volta in volta rile- vante, nonché ai principi costituzionali di riferimento.

Si tratta di un approccio critico e valutativo, che intende tagliare trasversalmente il tema delle cause di giustificazione, adottando co- me chiave di lettura una domanda ineludibile: le cause di giustifica- zione rappresentano uno spazio libero da regole oppure, in ragione de- gli effetti che producono nella realtà dei rapporti tra cittadini e auto- rità e tra cittadini, interpellano l’interprete a individuare vincoli atti- nenti sia all’an che al quomodo della liceizzazione di fatti penalmente rilevanti?

In questa seconda prospettiva, si prende le mosse da una pregiudi- ziale teoretica: le cause di giustificazione sono norme produttive di un impatto pratico non inferiore a quello delle incriminazioni, quanto meno perché, impedendo l’attivazione della reazione sanzionatoria, le- gittimano l’offesa di interessi sociali solitamente protetti dall’ordina- mento. Si tratta, dunque, di strumenti che consentono un controllo so- ciale, sia pure ‘per omissionem commissum’: tollerare, autorizzare o fi- nanche ordinare la lesione di interessi di cittadini non è che un diverso modo di indirizzarne le condotte concorrendo a delineare, in definiti- va, il volto complessivo dell’ordinamento dal punto di vista del tasso di garanzia rispetto all’autorità. Si pensi solo alla differenza che corre tra ordinamenti che lascino maggiore o minore spazio di liceità ai pub- blici agenti nella repressione delle manifestazioni di piazza, oppure al- la dimensione etica o laica delle legislazioni in tema di ‘fine vita’ 8.

Che siano o meno qualificabili come norme penali, le scriminanti sono inesorabilmente capaci di provocare effetti pratici e, dunque, per questo possono essere impiegate in chiave strumentale in vista del conseguimento di obiettivi di politica del diritto più o meno legit-

8 Sul diritto penale come strumento di controllo sociale si rimanda, per tutti, a C.E. PALIERO, Il principio di effettività del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 437.

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timi 9. Si impongono, conseguentemente, verifiche di ragionevolezza della funzione della norma scriminante, non meno che di legittimità del modus scelto dai pubblici poteri per giungere al risultato perse- guito. Non può escludersi ora che l’esito di tale verifica possa essere la constatazione che la giustificazione assume a volte tratti oscuri, se non liberticidi.

Tra i due approcci al tema, dichiariamo sin dall’esordio della ri- flessione di aderire al secondo, sicché l’iter che ci imponiamo di se- guire si compone di due macro-fasi.

In un primo step, ricognitivo del volto attuale della giustificazione, si cercherà di cogliere variabili e costanti dell’universo delle scrimi- nanti, nel quale oggi le ipotesi codicistiche appaiono modelli recessivi rispetto alla marea montante di fattispecie presenti nei più disparati campi del diritto, spesso embricate in discipline di settore e nascoste entro formulazioni normative di difficile lettura.

Il risultato atteso in questa prima parte del lavoro è duplice, in una stretta implicazione.

(i) La formulazione di una tassonomia effectum relata delle cause di giustificazione, basata cioè sul tipo di incidenza che la norma di liceità fa registrare tanto rispetto al sistema normativo quanto rispet- to al sostrato empirico-criminologico di riferimento;

(ii) la constatazione che la norma di liceità può essere socialmente costosa, una vera e propria arma a doppio taglio di lisztiana memo- ria, non solo perché essa è legata inscindibilmente ad una norma in- criminatrice, ma perché a sua volta autorizza offese ad interessi so- cialmente apprezzabili, tanto da essere presidiati penalmente.

All’analisi degli effetti pratici della giustificazione dovrebbe con- seguire il secondo step della nostra riflessione, prettamente politico- criminale.

Il ‘costo delle scriminanti’ impone, infatti, di individuare principi di ‘contenzione’, che assicurino un tasso di garanzia sufficiente di fronte ai pericoli sottesi a forme di ‘giustificazione oscura’. L’obietti-

9 Sul collegamento del diritto alla politica criminale come portato necessario dell’idea dello scopo applicata al diritto penale, D. PULITANÒ, Politica criminale (voce), in Enc. dir., XXXIV, Milano, 1985, 75. Sull’idea di scopo come criterio ispiratore del diritto penale moderno, L. MONACO, Prospettive dell’idea dello ‘scopo’

nella teoria della pena, Napoli, 1984. Vale ancora il monito di Nuvolone, secondo cui lo studioso deve porsi il problema delle condizioni di efficacia del comando, cfr. P. NUVOLONE, Natura e storia nella scienza del diritto penale, in Studi Rocco, Milano, 1952, II, 254 ss.

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vo del nostro lavoro è, dunque, rinvenire nell’ordinamento meccani- smi di sicurezza già esistenti, non quindi elaborati appositamente ex novo dall’interprete (per se sempre opinabili), che consentano, se non di azzerare, quanto meno di ridurre al minimo rischi di una giustifi- cazione autoritaria o comunque imprevedibile.

La variante, certo non da poco, delle scriminanti rispetto alle in- criminazioni è che il destinatario dei vincoli modali e finalistici ora accennati non è il solo legislatore (e in via mediata il giudice): in con- siderazione della disseminazione delle cause di giustificazione in ogni luogo dell’ordinamento (o almeno così impone la narrazione che la maggior parte della dottrina compie in argomento) obbliga ad un confronto e ad una verifica a tutto campo, senza schemi precostituiti, aperti al dialogo con tutti i possibili formanti del diritto, anche quelli che solitamente il penalista ignora.

Questo è dunque il nostro programma di lavoro: comprendere il volto attuale della giustificazione, identificare i fattori di rischio per la libertà del cittadino che in esso sono implicati e digrossare i vincoli già esistenti nel sistema che possano trattenere l’universo delle scriminanti entro limiti di comprensibilità, controllabilità e ragionevolezza.

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(24)

C

APITOLO

I

AMBIENTAMENTO POLITICO-CRIMINALE

SOMMARIO: 1. L’esigenza di metodo: assoluto e relativo nella distinzione tra fatto

e scriminanti. – 1.1 L’ipotesi di lavoro, i postulati di partenza e il piano del- l’opera. – 2. Dogmatica delle scriminanti: validità e relatività della sistematica tripartita nella definizione della struttura del reato. – 3. Politica delle scrimi- nanti: la crescente ‘domanda di giustificazione’. – 4. Dinamica delle scrimi- nanti nell’ordinamento italiano. – 4.1. Il fattore culturale come sollecitazione della giustificazione. – 4.2. Il fattore politico tout court, ovvero il controllo so- ciale mediante la giustificazione: l’esempio dell’uso legittimo delle armi. – 4.3.

Il fattore etico: le procedure mediche anticipatorie del c.d. fine vita. – 4.3.1. La rinuncia apparente alla giustificazione, ovvero: lo spazio libero dal diritto. – 4.3.2. La dilatazione reale della giustificazione: la dimensione “mimetica” delle scriminanti procedurali. – 5. La norma di liceità tra bisogno di legittimazione e funzione simbolica della scriminante. – 5.1. Il caso paradigmatico: la legittima difesa domiciliare. – 6. Conclusione interlocutoria: la necessità di un “control- lo” per la giustificazione.

1. L’esigenza di metodo: assoluto e relativo nella distinzione tra fatto e scriminanti

L’obiettivo del presente lavoro è individuare uno statuto di garan- zia per le cause di giustificazione, dopo averne delineato la morfolo- gia e i meccanismi di interazione con le norme incriminatrici.

Ipotizzare la presenza di una serie di principi e regole di protezione del cittadino dalle scriminanti può certamente apparire singolare. Soli- tamente le cause di giustificazione non preoccupano il penalista, che le concepisce come un aliud rispetto all’incriminazione, percependone un connotato differenziale tranchant: le prime non prevedono sanzioni, ma ne paralizzano l’applicazione a carico dell’autore del fatto.

Non si è, insomma, avvezzi a pensare alle cause di giustificazione come strumenti di offesa ai diritti. In questa prima parte del lavoro, si cercherà di cogliere tratti comuni che legano, al di là delle pur ap- pariscenti discontinuità, scriminanti e incriminazioni e sono tali da

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fondare un bisogno di tutela anche dagli abusi della giustificazione.

L’esperienza del concreto funzionamento del sistema penale co- stringe ben presto a sperimentare come le scriminanti, a prescindere dagli inquadramenti dogmatici, concorrano alla criminalizzazione in concreto di tipi di comportamenti, definendo il perimetro del penal- mente rilevante.

Di fronte alla scomoda constatazione che le scriminanti non sono

“norme innocue”, l’interprete è indotto a indagare se esista una qual- che forma di garanzia azionabile.

La ricerca di un principio di tutela muove da una presa di co- scienza in ordine alle capacità lesive della giustificazione rispetto ai diritti e alle libertà del cittadino. In quest’ottica viene automatico in- terpellare l’art. 25 comma 2 Cost., pur riferibile esplicitamente solo ai reati e alle pene, per verificare se possa ricavarsi da tale previsione, un vero e proprio “ombrello costituzionale” per il diritto penale, un prin- cipio di tutela applicabile anche alle cause di giustificazione, quanto meno in nuce e in “filigrana”.

Porre il problema dell’esistenza del principio di legalità delle scriminanti presuppone la riconduzione della giustificazione (e quindi di tutte le scriminanti) al sistema penale in ragione di un’esigenza di tutela comune rispetto alle norme incriminatrici.

Sia chiaro da subito: il principio di legalità delle scriminanti non è un punto di partenza della presente analisi, ma un obiettivo della ri- cerca; non dunque lo schema mentale con cui guardare al sistema pe- nale, ma un’ipotesi da verificare.

Occorre analizzare le disposizioni normative che compongono il nostro sistema penale, avvinti da una duplice esigenza metodologica:

i. da una parte, l’aderenza alla norma, intesa però non come signi- ficato letterale di una singola previsione normativa, ma come risulta- to di sintesi di plurime disposizioni convergenti sinotticamente in- terpretate;

ii. dall’altra parte, la prevalenza delle ragioni della garanzia sulle ra- gioni della dogmatica. Si tratta, quanto a quest’ultimo aspetto, di ri- fiutare qualsiasi impostazione precostituita che ottunda l’analisi scientifica, ricercando una conferma normativa di una costruzione concettuale astratta.

La ricerca di un principio di legalità delle scriminanti richiede al- l’interprete di individuare non una geometria interpretativa, ma regole di relazione tra incriminazione e giustificazione, in grado di produrre risultati vincolanti per l’interprete e capaci di orientare il destinatario

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in quanto certe o quanto meno prevedibili ex ante 1.

Breve. Pretendere la legalità della scriminante non significa esten- dere semplicemente alle cause di giustificazione il principio di legali- tà dei reati e delle pene: la distinzione tra fatto e scriminanti rimane come condizione preliminare della nostra riflessione. Di più. Non si tratta nemmeno di riaffermare semplicemente la separazione dogma- tica tra categorie del reato, ma di prendere atto di una radicale alteri- tà dal punto di vista dei tipi di rischio per i diritti dei cittadini insiti nell’abuso della giustificazione rispetto a quelli derivanti dalla viola- zione delle tutele costituzionali attinenti alle incriminazioni 2.

Un ultimo chiarimento preliminare: il proposito di analizzare la le- galità della giustificazione impone di collocarsi sul piano delle fonti abilitate alla produzione di scriminanti e delle tecniche impiegabili per tradurre in norma il bisogno di liceizzare una classe di comportamenti.

Saranno perciò possibili solo cursori riferimenti al rapporto tra colpe- volezza e scriminanti, tema certo strettamente collegato ai profili ogget- to del presente lavoro, ma ciò non di meno ulteriore e successivo, come reso plasticamente evidente dal diverso referente costituzionale inter- pellato (ovvio il rimando all’art. 27 comma 1 per i profili di rimprove- rabilità personale e non già all’art. 25 attinente alla legalità).

1.1. L’ipotesi di lavoro, i postulati di partenza e il piano dell’o- pera

L’ipotesi di lavoro inerente all’esistenza di un principio di legalità della giustificazione presuppone l’accettazione di tre postulati:

a) se un principio esiste, questo dovrebbe possedere efficacia uni- versale;

1 Sulla sussistenza di una esigenza di garanzia, in termini di conoscibilità ex ante di diritti e doveri scriminanti, in ordine ai bilanciamenti di interessi e ai con- flitti tra norme che precedono logicamente la tipizzazione penalistica di un fatto di reato, quanto meno nella legislazione complementare in cui il tipo non è com- prensibile senza una previa qualificazione normativa del contesto di azione, alla luce della disciplina extrapenale di riferimento, M. DONINI, Critica dell’antigiuri- dicità e collaudo processuale delle categorie, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 716, 720.

2 Sul disordine giuridico e atassatività della fattispecie incriminatrice come vettore di insicurezza nella regolazione dei rapporti tra consociati, nonché di ar- bitrium judicis, F.MANTOVANI, Diritto penale, P. te gen., Padova, 2017, 63 ss., 68 ss.; si veda anche R. RAMPIONI, Il reato quale illecito di modalità e di lesione tipiche:

l’impraticabilità di un “equivalente funzionale” al principio di riserva di legge, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, 594.

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b) se un principio è presente nel sistema, questo potrebbe anche non avere una formalizzazione espressa, ma potrebbe rappresentare un principio implicito, ovvero ricavabile in via interpretativa dall’ordi- namento;

c) il principio, sempre che sia esistente, dovrebbe avere per neces- sità natura ambivalente, nel senso che dovrebbe offrire tutela tanto al reo quanto alla ‘vittima’ del fatto scriminato (sia esso o meno altresì un fatto ‘colpevole’), cioè al soggetto che si trova a patire gli effetti di una condotta offensiva.

Vediamo di procedere con ordine.

aa) In primo luogo, il postulato in ordine all’efficacia universale del principio 3. La legalità delle scriminanti deve operare con efficacia ge- nerale, cioè deve avere la capacità di penetrare ad ogni livello il si- stema, non solo quello penale, ma qualsiasi ramo dell’ordinamento, se accettiamo l’assioma che le cause di giustificazione possano tro- varsi in qualunque branca del diritto. Esso, quindi, ha un’ampiezza superiore a quello della legalità penale tradizionale, poiché va ben ol- tre il sistema dei reati e delle pene per abbracciare trasversalmente l’in- tero ordinamento.

In quanto generale, il principio dovrebbe valere sia al momento della posizione della norma, vincolando il legislatore, a pena di illegit-

3 Occorre comprendere che l’estensione del principio dipende dalla nozione di antigiuridicità cui si riferisce e che evidentemente non può che essere per princi- pio unitaria e, dunque, trasversale a tutte le branche dell’ordinamento. Superfluo notare come risultino oggi superate le dispute inerenti la nozione pluridimensio- nale dell’antigiuridicità o, in altro modo, l’assenza di una nozione unitaria di an- tigiuridicità, potendo distinguersene varie forme, essenzialmente riconducibili alla dicotomia tra una antigiuridicità generale, derivante da un giudizio di con- trarietà all’interno dell’ordinamento, e una antigiuridicità specificamente penale, oppure tra una formale e oggettiva (su cui per tutti G. DELITALA, Il «fatto» nella teoria generale del reato, ora in Diritto penale. Raccolta degli scritti, I, Milano, 1976, 13 ss. 20 ss., nonché G. BETTIOL-L.PETTOELLOMANTOVANI, Diritto penale, P.te gen., Padova, 1986, 339 ss, 283 s.; G. MARINUCCI, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico-criminali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, 1190 ss.; T.PADOVANI, Alle radici di un dogma: appunti sulle origini dell’antigiuridicità obiettiva, in Riv. it. dir. proc.

pen., 1983, 532 ss.) e una sostanziale, sulla quale, anche per una correlazione tra essa e il principio di offensività si veda M. DONINI, Critica dell’antigiuridicità e col- laudo processuale delle categorie, cit., 702. Sulla teoria della pluridimensionalità dell’illecito per la quale non esisterebbe una nozione unitaria di antigiuridicità si vedano M.GALLO, La teoria dell’azione finalistica nella più recente dottrina tedesca, Milano, 1967, 48 ss. e di R. DELL’ANDRO, La fattispecie plurisoggettiva in diritto pe- nale, Milano, 1956, 201 ss.; ID., Antigiuridicità, in Enc. dir., II, 1958, 543 ss.; G.

MARINUCCI, Antigiuridicità, cit., 181 ss.

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timità della previsione legislativa che eventualmente vi si contrappo- nesse, sia al momento della sua interpretazione. Deve trattarsi allora di un principio di portata costituzionale.

bb) In secondo luogo, il postulato dell’indifferenza della forma espressa del principio. La legalità delle scriminanti non è, infatti, pro- clamata in alcuna disposizione di legge. Solo ammettendo che tale vincolo possa comunque ricavarsi da norme positive che disegnano il volto costituzionale del sistema penale può procedersi oltre nell’ana- lisi; diversamente, l’assenza di una norma esplicita porrebbe fine, sin dall’esordio, alla riflessione.

Si tratterebbe di un principio inespresso, ma tuttavia immanente e non trascendente rispetto al sistema penale 4, in quanto frutto dello svi- luppo interpretativo di una o più disposizioni che, pur costituendo del- le mere regole di condotta, mantengono nel proprio codice genetico

“tracce” del principio di cui sono la derivazione 5. I principi inespressi vengono enucleati usualmente del sistema attraverso due modalità o- perative: l’induzione da un gruppo di norme oppure l’astrazione da una sola norma, attraverso l’identificazione della sua ratio essendi 6.

Il principio di legalità delle scriminanti potrebbe derivare dalla se- conda dinamica interpretativa, vale a dire costituire lo sviluppo di un principio espresso, quello della legalità del reato e delle pene formaliz- zato dall’art. 25 comma 2 Cost. 7. Esito solo in apparenza paradossa- le: un principio relativo alla giustificazione germina così dalla Grund-

4 Sulle due possibili prospettive alternative con cui lo scienziato del diritto può guardare all’ordinamento, D. PULITANÒ, Il laboratorio del giurista: una discussione su strumenti e scopi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, 108, che si riferisce in partico- lare alle differenti teoriche in ordine al bene giuridico.

5 Fondamentale per la comprensione del rilievo che la dicotomia regole vs principi ha nella decrittazione delle dinamiche del moderno diritto multicentrico, C.E. PALIERO, Il diritto liquido. Pensieri post-delmasiani sulla dialettica delle fonti penali, in Riv. it. proc. pen., 2014, 1104 ss.

6 Identifica il principio inespresso come una norma elaborata a partire da una o più regole, V. VELLUZZI, Due (brevi) note sul giudice penale e l’interpretazione, in Criminalia, 2012, 312. Sul tema, in precedenza, R. GUASTINI, Interpretare e argo- mentare, Milano, 2011, 186 e G.B. RATTI, Sistema giuridico e sistemazione del dirit- to, Torino, 2008, 319 ss.

7 Sulla valenza dei principi inespressi, sulla nascita e sulla cogenza degli stessi per il legislatore, v. per tutti R. GUASTINI, Principi di diritto (voce), in Dig. disc.

priv., XIV, Torino, 1996, 347 ss. Sulla presenza nella riflessione giusfilosofica con- temporanea, accanto al diritto formale, di principi inespressi alla base dei diritti inviolabili dell’individuo, C. FARALLI, Introduzione. La filosofia del diritto contem- poranea dopo la crisi del positivismo giuridico, in G. ZANETTI (a cura di), Filosofi del diritto contemporanei, Milano, 1999, XIX.

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norm penalistica dedicata alla tutela del cittadino dall’incriminazione.

L’assenza di una disposizione costituzionale o internazionale che cristallizzi il principio e i suoi contenuti non deve, quindi, essere con- siderata un elemento confondente; a poco vale, al momento dell’ap- plicazione del principio fondamentale, la differenza tra principi espressi e principi impliciti nel sistema, a condizione che i secondi siano effettivamente ed incontestabilmente esistenti 8.

L’evoluzione dell’offensività come vincolo ordinamentale può rap- presentare un ottimo esempio della capacità orientativa di un princi- pio, per quanto inespresso, rispetto all’attività ermeneutica del giudi- ce e a quella normativa del legislatore, in forza di convenzioni inter- pretative di impronta sistematica che permettono di arricchire di contenuto norme espresse (per rimanere all’esempio: l’art. 25 Cost.), che però dal punto di vista strettamente letterale paiono “afasiche” in relazione ad una determinata garanzia 9.

Si deve, quindi, postulare che, anche qualora il principio di legali- tà delle scriminanti avesse una forma implicita, non per questo sa- rebbe depotenziato rispetto alla legalità dei reati e delle pene, per i quali esiste una formulazione espressa sia a livello costituzionale (art.

25 Cost. comma 2) che legale (art. 1 c.p.) che convenzionale (art. 7 comma 1 CEDU).

L’unica reale distinzione si pone non tra principi espliciti o impliciti, ma tra principi esistenti e inesistenti; una volta riconosciuti come pre- senti, pur se non formalizzati in una previsione costituzionale o legi- slativa, tutti possiedono una medesima forza giuridica, anzi è ben pos- sibile che l’efficacia del principio non tradotto in disposizione sia mag- giore, poiché esso è privo delle limitazioni che, inevitabilmente, la cri- stallizzazione normativa porta con sé, nel momento in cui il legislato- re, al fine di risolvere in astratto i principali problemi di coesistenza con gli altri vincoli di sistema, pone degli argini di contenuto 10.

8 Sul punto valga quanto evidenziato fin da prima dell’entrata in vigore della Costituzione (e del suo stesso concepimento) da V. CRISAFULLI, A proposito dei principi generali del diritto e di una loro enunciazione legislativa, in Jus, 1940, 198.

9 Chiarissimo in ordine al fondamento normativo del principio di offensività, M. DONINI, Il principio di offensività. Dalla penalistica italiana ai programmi euro- pei, in www.penalecontemporaneo.it, 20 settembre 2013, 11 s.; evidenzia il conte- nuto dimostrativo del principio di offensività, anche alla luce di alcune sentenze della Consulta, come la n. 354/2002, V. MANES, Il principio di offensività, Torino, 2005, 210 ss.; ID., I recenti tracciati della giurisprudenza costituzionale in materia di offensività e ragionevolezza, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2012, 99 ss.

10 Pur tuttavia, anche qualora venga cristallizzato in una disposizione espres-

 

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cc) In terzo luogo, viene in considerazione la natura ambivalente del principio di legalità delle scriminanti. A differenza del principio di legalità dei reati e delle pene, che è per definizione reocentrico, quello in materia di scriminanti sarebbe al contempo reocentrico e vittimo- centrico. In materia di scriminanti il principio avrebbe una rilevanza garantistica per il soggetto che ne beneficia, vale a dire per l’autore del- la condotta tipica, pretendendo la previsione di scriminanti chiare e tassative, dunque conoscibili ex ante; lo stesso principio potrebbe co- stituire al contempo una garanzia per il titolare, individuale o colletti- vo, dell’interesse tutelato penalmente da una incriminazione che occa- sionalmente non è applicabile. In questa prospettiva, la “vittima” del fatto scriminato godrebbe della garanzia di non subire la liceizzazio- ne del fatto lesivo, se non da parte di una causa di giustificazione e- spressamente prevista in una fonte formale e tipizzata.

Pur dovendosi ancora di seguito appurare quanto stringenti possa- no essere i corollari della legalità per le scriminanti, è infatti ovvio che la previsione di un vincolo di legalità è per definizione restrittiva rispet- to alla libertà delle forme e dei contenuti che si è sempre ipotizzato per le scriminanti, considerata la loro natura di norme non penali.

Ed ecco allora profilarsi un paradosso sofistico, che nasconde una verità assai scomoda; il principio di legalità delle scriminanti potreb- be avere una dimensione anfibologica: pur nascendo da ragioni di garanzia per il reo può finire per contrapporsi agli interessi concreti di quest’ultimo. Ciò ogni qual volta:

i) resista a norme di liceità palesemente illegittime (si pensi alla di- sciplina dell’uso della forza militare contro aerei civili che si assumano oggetto di dirottamento e che giunge a legittimarne l’abbattimento 11);

sa, il principio mantiene la capacità di conformare le norme ad esso sottoposte, attraverso l’interpretazione adeguatrice cui sono tenuti gli interpreti, cfr. A. CER- RI, Il "principio" come fattore di orientamento interpretativo e come valore ‘‘privile- giato": spunti ed ipotesi per una distinzione, in Giur. cost., 1987, 1806 ss. 1821 ss. A proposito delle disposizioni costituzionali di principio, evidenzia come si tratti di iustitia normans e non di ius normatum, per sottolinearne la capacità di modella- re l’ordinamento, L. MENGONI, Dogmatica giuridica (voce), in Enc. giur. Trecc., Roma, 1989, 6.

11 La proporzione/ragionevolezza osta infatti alla tollerabilità costituzionale del noto, eppure segretato, d.p.c.m. del 2 aprile 2004, in tema di abbattimento di aerei civili, in cui la giustificazione implica una svalutazione della vita umana dei passeggeri dell’aeromobile c.d. “Renegade” che sia o sembri in preda ad un dirot- tamento, fino a renderne accettabile il sacrificio rispetto al prevalente interesse alla sicurezza pubblica. Sulla conferma dell’esistenza di questa disciplina, segre- tato per motivi di sicurezza, D. SICILIANO, «Non si possono fare con una scavatrice

 

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nonché:

ii) allorquando fondi interpretazioni restrittive di una scriminante, emarginando opzioni esegetiche irragionevoli, ma compatibili con la lettera della legge 12 (paradigmatica la vicenda della legittima difesa domiciliare di cui all’art. 52 comma 2 c.p. e con la correlata presun- zione di proporzione ivi prevista, progressivamente riletta in chiave restrittiva dalla giurisprudenza).

È evidente che in questi casi la “riduzione” dell’operatività della scriminante si tradurrebbe in un’espansione dell’area della punibilità a tutto detrimento del reo.

L’analisi che si intende svolgere ha senza dubbio i connotati di un percorso accidentato composto da tre fasi concettuali.

A) In un primo momento, di carattere ricognitivo dal punto di vi- sta politico-criminale, si affronteranno i fattori che sollecitano l’e- spansione del numero e dell’importanza operativa delle cause di giu- stificazione, prendendo le mosse dalla disincantata constatazione per cui, in un sistema penale “saturo” di incriminazioni, è la norma di li- ceità a svolgere un ruolo primario nel definire, per “sottrazione”, lo spazio del penalmente rilevante.

B) Una riflessione metodologicamente corretta impone poi di comprendere, in una seconda fase dell’analisi più orientata al profilo dogmatico della categoria delle scriminanti, come queste ultime ope- rino nell’interazione con l’incriminazione, e come possa riconoscersi un’‘autentica’ causa di giustificazione nel mare magnum di norme di favore che sono in grado di condurre oggi alla non punibilità di un comportamento penalmente tipico.

C) Infine il terzo, e ultimo, step del nostro lavoro, caratterizzato da una nota più programmatica e propositiva rispetto a quelle preceden- ti: se sulle scriminanti si “scaricano” le tensioni irrisolte che da de- cenni affliggono il sistema penale, esse rischiano di essere manipola- te e piegate a irragionevoli e distorte finalità politico-criminali; oc- corre allora implementarne lo statuto di garanzia, tanto dal punto di vista delle fonti abilitate alla produzione delle norme di liceità, che da

tenere carezze». Sulla giustificazione dell’uso della forza militare contro aerei civili, in Pol. dir. 2008, 354, nt. 5, che esprime altresì (377) forti dubbi sulla costituzio- nalità di simili discipline ed evidenzia come non possa rinvenirsi alcuna causa di giustificazione in grado di scriminare l’abbattimento dell’aeromobile dirottato, che rimane quindi antigiuridico.

12 Sul rapporto tra legalità e garanzia si veda già G. DELITALA, Cesare Beccaria e il problema penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1964, 968.

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