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SGLT2 inibitori: farmaci innovativi e promettenti per il trattamento del diabete

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Academic year: 2021

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Il diabete è una malattia estremamente comples- sa, alla cui patogenesi concorrono l’alterata fun- zione β- e α-cellulare pancreatica e l’insulino- resistenza periferica (1, 2). Numerose condizioni cliniche, in primo luogo l’obesità, possono favorire lo sviluppo della malattia, la cui incidenza e prevalenza sono in allarmante aumento sia nei paesi industrializ- zati sia in quelli in via di sviluppo (3). Questa realtà clinica così complessa ha polarizzato gli sforzi e gli interessi della ricerca farmacologica degli ultimi dieci anni, volta a sviluppare composti in grado di correg- gere l’iperglicemia senza determinare un incremento ponderale. Inoltre, la graduale perdita di funzione β- cellulare, combinata a un progressivo peggioramento della risposta all’insulina da parte dei tessuti periferi- ci, provoca una inevitabile riduzione nel tempo del- l’efficacia dei diversi farmaci orali usati nel tratta- mento dell’iperglicemia, rendendo sempre più impel- lente la necessità di sperimentare nuovi composti atti- vi per os che agiscano tramite meccanismi non insu- lino-dipendenti.

A questo proposito, tra pochi mesi una classe di farma- ci con un meccanismo d’azione del tutto innovativo dovrebbe aggiungersi al nostro armamentario terapeu- tico: si tratta degli inibitori del trasportatore renale sodio (Na)-glucosio di tipo 2 (SGLT2) che agiscono ini- bendo il riassorbimento tubulare renale del glucosio, promuovendone la escrezione urinaria (4, 5). Questa breve rassegna ha lo scopo di illustrare il meccanismo d’azione, le caratteristiche cliniche, le indicazioni e i potenziali limiti all’uso di questi composti.

Ruolo­del­rene­nel­metabolismo­glucidico

Per descrivere in modo schematico il meccanismo d’a- zione e le principali caratteristiche degli SGLT2 inibito- ri è utile partire dalla fisiologia dell’omeostasi del glu- cosio. In condizioni normali essa è garantita dalla regolazione ormonale della produzione epatica di glu- cosio - operata essenzialmente dall’insulina con il con- corso degli ormoni controregolatori - e della utilizza- zione periferica del glucosio (1). Un soggetto normale ha un contenuto corporeo totale di glucosio pari a circa 450 g. Il turnover giornaliero interessa poco più della metà di questo pool; circa 125 g sono consumati dal cervello, la metà rimanente da tutti gli altri organi e apparati: di questi 250 g, circa 180 g provengono dalla dieta e 70 g sono frutto di produzione endogena (glu- coneogenesi e glicogenolisi). Il rene svolge un ruolo rilevante nel mantenimento dell’omeostasi del gluco- sio. Infatti contribuisce alla sua produzione endogena nello stato post-assorbimento, partecipando alla gluco- neogenesi in ragione del 20–25%; questo processo è interamente a carico della corticale (6). Nel rene non avviene glicogenolisi. È però intuitivo come esso con- tribuisca al mantenimento di una glicemia stabile soprattutto filtrando e riassorbendo per intero il gluco-

SGLT2­inibitori:­farmaci­innovativi­

e­promettenti­per­il­trattamento­del­diabete­

Anna Solini

Dipartimento di Medicina Interna, Università di Pisa

FAD ECM "il Diabete"

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sio plasmatico. In un soggetto normoglicemico con funzione renale conservata il rene filtra circa 180 L di sangue al giorno, a cui corrispondono circa 180 g di glucosio che vengono quasi completamente riassorbiti a livello del tubulo prossimale, tanto che meno di 0,5 g/die di glucosio vengono escreti giornalmente con le urine (7).

In presenza di iperglicemia il carico di glucosio filtra- to dal glomerulo aumenta in modo lineare; a ciò corri- sponde un progressivo incremento del riassorbimento tubulare. Quando il glucosio che entra nel nefrone sale al di sopra dei 260–300 mg/min/1,73m2 la capacità riassorbitiva massima del tubulo (Tmax) viene superata e compare la glicosuria, cosa che si verifica per valori gli- cemici mediamente superiori a 180–200 mg/dL. In que- sta ottica, la glicosuria può essere considerata un mec- canismo di difesa che il rene cerca di fornire nei con- fronti degli effetti deleteri della glucotossicità. In realtà, non vi è un punto preciso e netto oltre cui questo avvie- ne e il cosiddetto splay rappresenta l’escrezione urinaria di glucosio che avviene prima della saturazione (cioè

del raggiungimento del Tmax) ed è spiegata dal fatto che un certo numero di nefroni può rilasciare glucosio anche a una soglia un po’ più bassa o altri a una soglia un po’ più alta, nonché dalla relativamente bassa affi- nità dei cotrasportatori (8, 9). Questo meccanismo è schematicamente riportato nella Figura 1.

Trasportatori­renali­del­glucosio:

caratteristiche­e­meccanismo­d’azione

Il glucosio filtrato dal glomerulo è riassorbito prevalen- temente a livello del segmento S1 del tubulo prossima- le da trasportatori Na/glucosio di tipo 2. Nel tubulo renale, a livello del segmento S3, è rappresentato anche un altro trasportatore, quello di tipo 1, complementare all’altro. Lo SGLT1 è abbondantemente espresso a livel- lo intestinale, dove è il principale responsabile dell’as- sorbimento di glucosio e galattosio attraverso l’orletto a spazzola dell’enterocita. Questo trasportatore contri- buisce al riassorbimento tubulare renale del glucosio in

Figura 1 Riassorbimento renale del glucosio

All’aumentare della glicemia il riassorbimento tubulare del glucosio aumenta progressivamente (linea verde continua). Per valori glicemici inferiori a 180–200 mg/dL, tutto il glucosio filtrato è riassorbito e non vi è escrezione. Al di sopra di questi valori la capacità massima del tubulo renale di rias- sorbire glucosio (Tmax) è oltrepassata e il glucosio passa nelle urine (linea blu continua). Questo “valore soglia” è, in realtà, variabile e le linee curve tratteggiate rappresentano il cosiddetto splay, cioè la possibilità che vi sia escrezione urinaria di glucosio prima del raggiungimento del Tmax. La linea rossa tratteggiata e la sottostante area grigia rappresentano come si dispone ipoteticamente l’escrezione di glucosio quando il riassorbimento rena- le del medesimo è ridotto dagli SGLT2 inibitori

160

100

110 180 200 300

220

Flusso di glucosio (mg/min/1,73 m2 )

Glicemia (mg/dL)

SGLT2 inibizione

Riassorbimento

Escr ezione TmG

splay

T2 inibizione SGLLT2 inibizione 220

160 )2 Flusso di glucosio (mg/min/1,73 m

Riassorbimento

splay TmG

ezione Escrre

110 100

Flusso di glucosio (mg/min/1,73 m

200 180

Glicemia (mg/dL) 200 Glicemia (mg/dL)

Escr

300

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ragione di circa il 10%; si tratta di un trasportatore dota- to di alta affinità e bassa capacità per il glucosio, con un rapporto stechiometrico Na/glucosio di 2. Lo SGLT2, come visibile nella Figura 2, ha invece una localizza- zione pressoché esclusiva nella prima porzione del tubulo prossimale renale e media il 90% del riassorbi- mento renale del glucosio. È dotato di bassa affinità e alta capacità per il glucosio, con un rapporto stechio- metrico Na/glucosio di 1 (10, 11).

Lo SGLT2 ha il compito di trasferire il Na e il gluco- sio dal lume all’interno del citoplasma delle cellule tubulari attraverso un meccanismo secondario di tra- sporto attivo. Al polo opposto della cellula, cioè a livel- lo della membrana basolaterale, il GLUT2 trasferisce a sua volta la molecola di glucosio dallo spazio intracel- lulare all’interstizio e al torrente circolatorio mediante un meccanismo di trasporto facilitato, con l’intervento di una Na/K ATPasi (12).

Nell’animale da esperimento è stata dimostrata una significativa correlazione tra livelli glicemici ed espres-

sione renale di SGLT2, che viene down-regolata dalla correzione dell’iperglicemia con una infusione di insu- lina (13). Nell’uomo ci sono pochissimi dati che abbia- no effettivamente documentato una aumentata espres- sione di questo trasportatore nel diabete. Il lavoro più significativo è probabilmente quello che ha descritto un incremento dell’espressione proteica di SGLT2 in cellu- le di epitelio tubulare renale raccolte dalle urine di pazienti e controlli e messe in coltura (14). In queste cel- lule di pazienti diabetici sembra essere aumentata anche la captazione cellulare di glucosio, misurata con l’α- metil-glucosio, che quantifica il trasporto operato soprattutto via SGLT2 piuttosto che via GLUT. Nel dia- bete tipo 2 (DMT2), oltre un certo livello di glicemia, vi è una relazione diretta tra valori glicemici ed escrezio- ne di glucosio ed è stata documentata una persistenza della glicosuria anche quando la glicemia ritorna a livelli normali (15). Un altro contributo interessante è quello fornito da Hummel che ha documentato come in un modello sperimentale di cellule renali umane lo

Figura 2 Rappresentazione schematica della distribuzione dei cotrasportatori sodio-glucosio lungo un nefrone idealmente “srotolato”

Filtrazione del glucosio

SGLT2

SGLT1 Riassorbimento del glucosio

Escrezione del glucosio Segmento S1 del

tubulo prossimale

Segmento S3 del tubulo prossimale

Macula densa

Dotto collettore

La macula densa è di norma posizionata a ridosso del polo vascolare del glomerulo

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SGLT2 lavori al 50% delle sue capacità e si saturi solo per glicemie superiori a 35 mM, cioè oltre 600 mg/dL (16).

Da quanto detto appare chiaro come una molecola in grado di correggere l’iperglicemia favorendo l’escrezio- ne urinaria del glucosio attraverso l’inibizione dello SGLT2, che non interferisca con la β-cellula (evitando quindi di esporre il paziente al rischio di iperglicemia), né con gli effetti periferici dell’insulina appare estrema- mente promettente. A ciò si aggiunge il fatto che una aumentata perdita di glucosio con le urine, se quantita- tivamente rilevante, si traduce in una perdita cospicua di calorie e quindi, potenzialmente, in un meccanismo in grado di indurre calo ponderale nel paziente.

Il capostipite di questa classe di composti è la florizi- na, un derivato della corteccia del melo, le cui proprietà di ridurre i livelli glicemici attraverso un aumento del- l’escrezione urinaria di glucosio furono identificate già alla fine degli anni ’60 e approfondite in importanti studi condotti negli anni ’80 nell’animale diabetico (17–19). Il possibile uso della florizina nell’uomo fu però successivamente limitato dalla sua tossicità, dalla scarsa selettività e dalla pressoché nulla efficacia di questo composto quando somministrato per via orale, attribuibile sia alla breve emivita sia al suo scarso assor- bimento intestinale. Negli ultimi 10 anni si è poi torna- ti a sviluppare questo filone di ricerca, con risultati sempre più promettenti, frutto sostanzialmente della sintesi di composti in cui un gruppo lipofilico si aggiun- ge alla originale struttura ad anello della florizina.

Questa modifica aumenta la selettività e potenza dell’ef- fetto inibitorio sul SGLT2, con la proprietà di abbassare il Tmaxper il glucosio, permettendo quindi la comparsa di glicosuria per valori glicemici inferiori a quelli della cosiddetta soglia renale; inoltre la molecola è resa più stabile dall’aggiunta di un legame C-glucoside (20).

Vari SGLT2 inibitori sono attualmente in diverse fasi di sviluppo clinico (Tabella 1) e quattro di essi sono in fase III: canagliflozin, dapagliflozin, empagliflozin, ipragliflozin. La molecola per la quale esistono la mag- gior quantità di dati pubblicati è dapagliflozin, che sarà verosimilmente la prima ad essere commercializzata anche in Italia.

Effetti­clinici­degli­SGLT2­inibitori

Gli SGLT2 inibitori sono attivi anche nel soggetto nor- male: ad esempio, in uno studio placebo-controllato canagliflozin riduce in modo dose-dipendente la soglia

renale per il glucosio (con una riduzione massima cal- colata di circa 60 mg/dL), diminuendo consensualmen- te le escursioni glicemiche post-prandiali e le corri- spondenti concentrazioni plasmatiche di insulina (21).

Quando usati in monoterapia in pazienti con DMT2, questi composti sono in grado di ridurre in modo dose-dipendente l’emoglobina glicata (HbA1c) e il peso corporeo, con cali di HbA1c medi intorno allo 0,8% e decrementi ponderali che si attestano mediamente intorno ai 2,5 kg (22, 23). Lo stesso tipo di effetto si osserva quando il farmaco viene utilizzato come add- on alla metformina, come mostrato in alcuni studi della durata di 6–12 mesi (24, 25). Sono disponibili anche alcuni studi di confronto tra SGLT2 inibitori e altri ipoglicemizzanti orali che documentano la non inferiorità di queste molecole nell’indurre un migliora- mento del compenso metabolico a fronte, però, di una percentuale significativamente minore di pazienti che andavano incontro, nel corso di questi trial, a episodi ipoglicemici. In uno studio della durata di 52 settima- ne il 40% dei soggetti trattati con glipizide manifesta- va più di un episodio ipoglicemico, mentre tra i pazienti randomizzati a SGLT2 inibitore questa per- centuale era inferiore al 5% (26).

Questi composti, usati come add-on alla metformina, sembrano avere un effetto ipoglicemizzante analogo a quello osservato con l’associazione metformina + dipeptidil-peptidasi (DPP)-IV inibitore (25). Inoltre,

Fase Composto Azienda

di sviluppo

Fase III Canagliflozin Johnson&Johnson Dapagliflozin AstraZeneca/

Bristol Myers Squibb Empagliflozin Boehringer

Ingelheim Ipragliflozin Astellas

Fase II AVE-2268 Sanofi-Aventis

TS-033 Taisho

YM-543 Astellas/

Kotobuki Pharm

CSG-452A Chugai-Roche

Fase I ISIS 388626 ISIS

SAR-7226 Sanofi-Aventis TA-7284 Mitsubishi Tanabe/

Johnson&Johnson Tabella 1 SGLT2 inibitori in diverse fasi di sviluppo

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sono ormai disponibili i risultati di diversi studi in cui lo SGLT2 inibitore è stato usato in combinazione con la sola insulina o con insulina + agenti orali. Anche nel- l’ambito di questa combinazione terapeutica gli SGLT2 inibitori si dimostrano efficaci nel migliorare il control- lo metabolico, stabilizzare il fabbisogno insulinico e ridurre il peso corporeo (27–29).

A proposito dell’effetto di questi composti sulla diminuzione del peso corporeo, si riteneva inizialmen- te che esso fosse dovuto in modo pressoché esclusivo all’effetto diuretico del farmaco, essendo il glucosio una molecola osmoticamente attiva in grado, come è noto, di richiamare acqua. Un recente studio a 24 set- timane con dapagliflozin usato come add-on a metfor- mina ha però documentato, mediante l’uso della assor- bimetria a raggi X a doppia energia (DEXA), che vi è una riduzione effettiva della massa grassa, quantifican- do una reale perdita di tessuto adiposo a carico sia del tessuto viscerale sia di quello sottocutaneo (30). Per quanto riguarda invece la durevolezza di questo effet- to, gli studi condotti sinora non permettono di fornire certezze in merito. Va comunque sottolineato come il protrarsi della glicosuria induca, almeno nell’animale da esperimento, una iperfagia (31), suggerendo la necessità di combinare l’assunzione degli SGLT2 inibi- tori con un adeguato controllo dell’apporto calorico, in modo da non vanificare l’effetto benefico sul peso cor- poreo esercitato da questi farmaci.

Una caratteristica degli SGLT2 inibitori è, come abbiamo sottolineato, quella di agire attraverso un mec- canismo che prescinde completamente dallo stato della β-cellula e dalla presenza o meno di insulino-resisten- za. Tuttavia, in virtù della loro capacità di ridurre la glucotossicità, questi farmaci sembrano avere effetti benefici indiretti sulla funzione pancreatica endocrina.

L’uso di canagliflozin si associa a un miglioramento significativo dell’indice homeostasis model assessment (HOMA)2-B%, calcolato utilizzando glicemia e C-pep- tide basali e dopo 12 settimane di trattamento (25).

In relazione al loro peculiare meccanismo d’azione gli SGLT2 inibitori presentano altri effetti non trascura- bili per rilevanza clinica. Ad esempio abbassano in modo rilevante la pressione arteriosa, con riduzioni medie di 4–5 mmHg per la sistolica e 1,5–2 mmHg per la diastolica descritte nei vari studi (24, 26, 28). Un altro effetto positivo, peraltro non segnalato in tutti gli studi, è una consistente diminuzione dei livelli plasmatici di acido urico (24, 32). Un pochino più dibattuti sono gli effetti sul profilo lipidico, con un incostante aumento

delle HDL e una riduzione modesta ma significativa dei trigliceridi. La prudenza mi induce ad affermare che è stata comunque attestata una sostanziale neutralità degli SGLT2 inibitori sul profilo lipidico (24, 25).

Nonostante gli studi clinici controllati condotti con SGLT2 inibitori siano in costante aumento, l’esperienza sin qui accumulata non consente di fornire alcuna indicazione su potenziali effetti protettivi di questi composti nei confronti della morbidità cardiovascolare.

Gli unici dati disponibili sono quelli forniti dalla Food and Drug Administration (FDA, USA) per dapagliflozin, che riportano un hazard ratio di 0,67 (95% CI 0,42–1,08) per un endpoint cardiovascolare composito che comprendeva morte, stroke non fatale, infarto mio- cardico non fatale e ospedalizzazione per angina (33).

Effetti­collaterali­e­limitazioni­all’uso

Nell’ambito delle esperienze cliniche sinora disponibili (quindi di durata medio-breve), gli SGLT2 inibitori sono generalmente molto ben tollerati. Gli effetti inde- siderati più comuni sono quelli attesi in relazione al loro meccanismo d’azione che induce una glicosuria protratta, e quindi: infezioni del tratto genito-urinario, effetti legati all’azione diuretica e infine potenziali effet- ti indesiderati di questi composti sulla funzione renale.

Per quanto riguarda le infezioni urinarie, esse appaiono prevalentemente determinate da germi opportunistici, sono più comuni nel sesso femminile e interessano quasi esclusivamente pazienti predisposti, ad esempio donne con anamnesi positiva per infezioni del tratto genito-urinario o in epoca post-menopausa.

Inoltre, l’incidenza si riduce con il protrarsi del tratta- mento, probabilmente per lo svilupparsi di fenomeni di adattamento (24, 32). Se si analizzano i dati disponibi- li sul sito dell’FDA, relativi all’intera coorte di pazienti sinora trattati con SGLT2 inibitori nel corso dei vari trial clinici, ci si rende conto che si tratta, in realtà, di percentuali molto piccole. Queste infezioni rispondono al trattamento standard e non hanno determinato significativi dropout nei vari studi esaminati. Non sono state osservate differenze tra farmaco e placebo nell’in- cidenza di infezioni del tratto urinario superiore.

L’effetto di diuresi osmotica induce un’altra conse- guenza attesa, cioè un modesto aumento dell’ematocri- to, con una mediana attorno ai due punti percentuali (24). Non sono mai stati pubblicati lavori che abbiano analizzato l’andamento della funzione renale in corso

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di trattamento protratto con SGLT2 inibitori. Si posso- no trarre informazioni rassicuranti dal sito web dell’FDA (http://www.fda.gov/), che documentano per dapagliflozin come il filtrato glomerulare, dopo un ini- ziale e transitorio calo, si stabilizzi su valori che sono analoghi a quelli di partenza. Va comunque precisato come la piena efficacia terapeutica di questi farmaci sia, intuitivamente, legata alla presenza di una funzio- ne renale conservata. Altre potenziali considerazioni da fare sulla maneggevolezza e sul sicuro impiego di que- sti composti riguardano il fastidio indotto da una even- tuale nicturia, il sospetto di alterazioni elettrolitiche (non confermato sulle diuresi delle 24 ore) un mode- stissimo aumento dei fosfati e del paratormone (26, 32).

Si tratta, verosimilmente, di un modesto iperparatiroi- dismo secondario, in apparente assenza di effetti sulla formazione e sul riassorbimento osseo (34).

Conclusioni

Gli SGLT2 inibitori sono una classe di farmaci dall’in- teressante e innovativo meccanismo d’azione che si dimostrano in grado di esercitare effetti metabolici benefici nel paziente con diabete. Inducono infatti una significativa escrezione urinaria del glucosio in ecces- so, con conseguente riduzione della glucotossicità, soprattutto sulla β-cellula, con un suo possibile recu- pero funzionale. Determinano inoltre un calo pondera- le e contribuiscono alla riduzione dei valori di pressio- ne sistolica e diastolica e dei livelli plasmatici di acido urico. Tra i vantaggi di questi composti vi sono la via di somministrazione, che è quella orale, la completa indipendenza della loro azione dall’insulina e il basso rischio di indurre ipoglicemie. Queste caratteristiche ne permettono l’impiego in qualunque fase della malattia diabetica e ne fanno farmaci potenzialmente utili anche nel trattamento del diabete tipo 1. Naturalmente studi di durata più protratta e condotti su ampie casi- stiche dovranno chiarire meglio altri aspetti legati all’utilizzo di questi farmaci, quali l’andamento nel lungo termine delle infezioni genito-urinarie a cui il loro uso predispone, la loro efficacia in pazienti con funzione renale compromessa, la presenza di possibili effetti negativi sulla funzione tubulare renale, il rischio connesso ai meccanismi attraverso cui questi composti riducono la pressione, che ne suggerirebbero una con- troindicazione relativa in pazienti anziani, a rischio di disidratazione o con ipotensione posturale.

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