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Daniele Manfredini

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Academic year: 2022

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I DISORDINI TEMPOROMANDIBOLARI: LA PRATICA ETICA

Daniele Manfredini*

INTRODUZIONE

I Disordini Temporomandibolari (TMD), che in una più ampia accezione vengono talvolta indicati anche come disordini craniomandibolari, sono un eterogeneo gruppo di patologie a carico dei muscoli masticatori e/o dell’articolazione temporomandibolare (ATM) e delle strutture ad essi correlate 1. Tali patologie sono considerate uno specifico sottogruppo di disordini muscolo-scheletrici nel contesto delle diverse condizioni cliniche che causano dolore nel distretto oro facciale 2. La classica triade di sintomi e segni clinici che caratterizzano i TMD è rappresentata da: dolore ai muscoli e/o all’ATM; rumori articolari; limitazioni od anomalie di movimenti mandibolari 3, sebbene talvolta siano riferiti anche sintomi clinici ancillari, quali algie a collo, faccia, orecchio, testa, e disturbi auricolari (es. acufeni, deficit dell’udito, tinnito).

I TMD sono la più comune causa di dolore orofacciale di origine non dentale; la prevalenza di tali patologie è ancora oggi fonte di dibattito 4, c’è evidenza che segni e sintomi riconducibili a TMD siano frequenti anche a livello della popolazione generale 5. Lo studio di tali disordini rappresenta oggi una delle più affascinanti sfide della professione odontoiatrica, a causa dei numerosi aspetti ancora da chiarire, degli approcci diagnostico-terapeutici spesso aneddotici che ne hanno caratterizzato la clinica, e del frequente embricarsi di concetti medico-biologici, psicosociali e biomeccanici nello studio della patofisiologia.

In realtà, molte delle controversie tutt’ora esistenti derivano dalle resistenze di molti professionisti odontoiatri nell’accettare i cambiamenti paradigmatici che hanno caratterizzato la pratica dei TMD nelle ultime decadi. Le teorie meccanicistiche su cui si basavano molte culture dogmatiche del passato, riconducibili in sostanza alla necessità di “riallineare” l’occlusione

*Prof. a c., Dipartimento di Chirurgia Maxillo-Facciale, Università di Padova

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dentale in una posizione “corretta” per “curare” i sintomi di TMD non sono mai state validate;

poiché negli ultimi anni è emerso per ogni pratica e branca dell’arte medica l’imprescindibile requisito di fondarsi su sufficienti prove scientifiche (evidence-based medicine/dentistry [EBM- EBD]), appare curioso che teorie dimostratesi palesemente fallaci in ambiti di ricerca trovino supporto e propaganda in ambito della pratica clinica dei TMD.

Considerate queste premesse, sembra rendersi necessario un ri-esame delle regole di condotta evidence-based nel campo dei TMD, con focus sulle derivanti implicazioni etiche e comportamentali per il professionista.

L’EVIDENZA SCIENTIFICA NEI TMD

Tutti i testi sacri in tema di disordini temporomandibolari suggeriscono, a volte quasi in modo provocatorio, che anche nell’era del nuovo millennio e dell’alta tecnologia l’unico indispensabile strumento valutativo nei pazienti con TMD è rappresentato dalla buona conoscenza della semeiotica clinica 6. Tale affermazione, che potrebbe sembrare un’oversemplificazione del problema in un patologie multifattoriali complesse come i TMD, è in realtà suffragata da una consistente mole di lavori scientifici che supportano l’adozione dell’esame clinico come lo standard di riferimento.

L’accuratezza e ripetibilità della diagnosi clinica, se eseguita da operatori calibrati secondo protocolli operativi standardizzati (es. RDC/TMD), è stata ampiamente dimostrata 7-16; inoltre, numerosi studi hanno suggerito che la calibrazione degli esaminatori non è un obiettivo difficile da raggiungere, e che tutti i principali clusters di sintomi possono essere diagnosticati con un livello di ripetibilità inter-operatore che va da accettabile ad eccellente a seconda dei sintomi.

L’importanza dei fattori psichici e sociali, sempre più spesso accomunati nel termine psicosociali, nel determinismo delle manifestazioni cliniche dei disordini temporomandibolari è stata da anni dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio, in linea con quanto avvenuto per patologie algiche a carico di altri distretti muscolo scheletrici e, più in generale, per ogni patologia algica a rischio cronicizzazione. In tal senso, numerosi studi hanno descritto profili di personalità e di scarsa capacità di adattamento al dolore simili tra pazienti con TMD e soggetti con altre patologie croniche

17,18. In sintesi, sembra che a parità di situazione organica, mentre alcuni pazienti sviluppano una encomiabile capacità di adattamento alla patologia, ve ne siano altri che mostrano gravi disagi psichici, funzionali e relazionali. Tali osservazioni hanno supportato la validità di un approccio biassiale alla valutazione dei pazienti con TMD 19 ed hanno posto l’attenzione sul fatto che i fattori psicosociali rivestono altrettanta importanza di quelli fisico-organici in sede di prognosi dei TMD 20-22.

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In alcuni casi selezionati, si rende necessario approfondire la diagnosi con tecniche di imaging appropriate, per la scelta delle quali il clinico deve fare riferimento a caratteristiche quali l’efficacia tecnica (qualità tecnica delle immagini), l’efficacia in termini di accuratezza diagnostica (valore predittivo, sensibilità, specificità, curve ROC), l’efficacia in termini di ragionamento diagnostico (influenza sulle decisioni diagnostiche del clinico), l’efficacia terapeutica (influenza sulla pianificazione terapeutica), l’efficacia prognostica (influenza sulla prognosi), l’efficacia sociale (bilancio costi-benefici da un punto di vista sociale) 23. Dal punto di vista tecnico, la risonanza magnetica rappresenta lo standard di riferimento per la visualizzazione dei tessuti molli (es: disco articolare, liquido sinoviale, cartilagine), mentre la tomografia computerizzata lo è per i tessuti duri (es: capi ossei). Tuttavia, è sempre necessario sottolineare che nel caso delle patologie dell’articolazione temporomandibolare, i costi “sociali” connessi all’impiego routinario delle tecniche di riferimento, quali la RM e la TC, non possono essere sottovalutati, anche alla luce del decorso non life-threatening di tali patologie. Tutti i principali sistemi diagnostico-classificativi (es. Research Diagnostic Criteria for TMD) e le linee guida di tutte le più accreditate società scientifiche (es. American Academy of Orofacial Pain, European Academy of Craniomandibular Disorders) sottolineano da anni la necessità di una diagnosi clinica dei disordini temporomandibolari. Nel corso degli anni, parimenti al declino di interesse nell’impiego di ausili elettronici (es. elettromiografia, posturometria, chinesiografia) conseguito alla dimostrazione della scarsa credibilità scientifica di tali strumenti, la letteratura ha influito sulla pratica clinica anche attraverso una rielaborazione dei concetti che sottendono all’impiego dell’imaging. Infatti, nonostante si ritenga ancora utile dissertare didatticamente su aspetti quali ad esempio il rapporto tra disco articolare e condilo o la presenza di rimodellamenti morfo-strutturali delle strutture articolari, lo studio del decorso naturale delle patologie ATM ha ridimensionato notevolmente l’importanza in passato attribuita ad alcuni segni radiologici, quale in primis l’anteriorizzazione del disco. Pertanto, sono venuti a mancare alcuni dei quesiti diagnostici che spingevano il clinico ad avvalersi dell’ausilio delle tecniche di imaging. Ad oggi, l’utilizzo più ragionevole che si può suggerire per la risonanza magnetica e la tomografia computerizzata (e con essa la cone-beam TC) è quello di approfondimenti di secondo livello in casi con limitazione funzionale o dolore persistente, non rispondente alle terapie conservative tradizionali. E’ bene comunque sottolineare che molti dei segni radiologici in passato ritenuti patologici (es. antero- posizione del disco, rimodellamenti articolari di tipo progressivo o regressivo) sono stati descritti in una importante percentuale di soggetti clinicamente asintomatici: pertanto, la relazione “dolore-immagine radiologica” è molto complessa e lungi dall’essere chiarita (es: casi di dolore cronico da sensitizzazione centrale), ed il ricorso alla RM o TC nei casi

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di dolore persistente deve essere visto come un tentativo di escludere patologie in sede di diagnostica differenziale (es. condroma tosi sinoviale, aderenze fibrose, anchored disc phenomenon) e non come un tentativo di “collegare” il dolore alla semplice presenza di una determinata posizione del disco o di una alterazione di forma delle superfici articolari.

In sede terapeutica, un approccio meccanicistico alla risoluzione dei sintomi di TMD mediante modifiche irreversibili dell’occlusione (ortodonzia, protesi, molaggio selettivo), spesso suggerito e/o conseguente all’impiego di tecniche strumentali per la diagnosi occlusale e temporomandibolare, è fortemente sconsigliato dal punto vista scientifico e assolutamente da condannare dal punto di vista etico 24. In virtù della scarsa conoscenza sull’eziologia dei TMD a livello individuale, ed anche a seguito delle incoraggianti percentuali di successo terapeutico riconosciute a molteplici approcci di tipo conservativo, lo standard of care in ambiti terapeutici è oggi rappresentato da una attenta gestione della sintomatologia clinica mediante mezzi reversibili ed a basso costo biologico. In linea con i dettami delle recenti linee guida dell’International Association for Dental Research 25, il trattamento dei TMD consiste infatti nella maggioranza dei casi in una gestione dei sintomi attraverso approcci conservativi quali placche occlusali, fisioterapia, farmacoterapia, terapia cognitivo-comportamentale, terapia fisica, applicati in un contesto biopsicosociale. In una elevata percentuale di casi infatti il successo terapeutico sembra dovuto ad un’azione aspecifica in relazione con fenomeni di fluttuazione e autolimitazione dei sintomi, regressione verso la media, ed effetto placebo

26,27. Il significato patologico di presunte anomalie quali ad esempio un rumore di click articolare è stato fortemente ridimensionato dalla letteratura 28, e sempre maggiori evidenze supportano l’ipotesi che i casi di cronicizzazione dei sintomi siano dovuti all’instaurarsi di fenomeni di sensitizzazione centrale che richiedono un approccio terapeutico multidisciplinare 29. In sintesi, i TMD non sono patologie occlusali, ma bensì disordini muscolo scheletrici che richiedono una gestione dei segni e dei sintomi clinici in linea con gli standard adottati per patologie simili in altri ambiti specialistici (es.

reumatologici, fisiatrici, ortopedici) e, nei casi più severi, un supporto nella gestione del dolore cronico da parte di altri specialisti (es. neurologo, psichiatra, psicologo).

TEORIE OCCLUSALI “MASCHERATE”

Il ruolo dell’occlusione come fattore eziologico nei TMD è stato per anni al centro di accesi dibattiti ed è stato talvolta definito come “scontro di culture”, ossia una diatriba tra coloro che non vedono nell’occlusione un primum movens eziologico e coloro i quali riconducono la presenza di segni e sintomi di TMD ad una qualche anomalia occlusale.

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In realtà, la posizione scientifica più credibile non può che essere basata sulle evidenze attualmente disponibili, che mettono fortemente in dubbio l’esistenza di un’associazione, ancor prima che di un rapporto di causa-effetto, tra presenza di determinate caratteristiche occlusali e TMD 30.

Parallelamente al decremento di importanza del ruolo dell’occlusione come fattore eziologico e target terapeutico dei TMD, si è evidenziata negli ultimi due decenni l’assoluta assenza di credibilità scientifica delle cosiddette “teorie occlusali mascherate”, ossia tutta quella schiera di presunte “filosofie” (es: odontoiatria neuromuscolare, posturologia, cinesiologia applicata, osteopatia craniosacrale) che, basandosi su esami clinici e strumentali di dubbia validità, promettono di intercettare anomalie occlusali causa di patologie locali e/o sistemiche 31. Approcci strumentali alla diagnosi e terapia dei TMD mediante, ad esempio, elettromiografia di superficie, kinesiografia, pedane stabilometriche, si sono rivelati fallaci a causa della bassa accuratezza diagnostica: in sintesi, tali esami hanno una bassissima ripetibilità (ossia, lo stesso esame ripetuto a distanza di un giorno nella stessa persona può avare una variabilità del 100%) e non hanno nessuna correlazione con la presenza di dolore (con l’unica eccezione dell’EMG durante le prove di serramento, che registra valori inferiori nei soggetti con dolore). In generale, quindi, nessun parametro strumentale su cui si basano le teorie neuromuscolari ha fondamento diagnostico 32-39.

Nonostante tali premesse fallaci, tali approcci vengono tutt’ora proposti come ausili diagnostici per determinare la necessità di riabilitazioni occlusali nei pazienti con TMD sulla base di presunte anomalie neuromuscolari o posturali dipendenti da anomalie occlusali, con una percentuale di soggetti che rischiano di andare incontro ad overdiagnosi ed overtreatment se sottoposti a tali esami pari al 100% 24.

I MOTIVI DELLE RESISTENZE ALL’ABBANDONO DEL PARADIGMA OCCLUSALE: LA PRATICA ETICA

In una situazione ideale, uno strumento diagnostico dovrebbe essere testato e reggere il confronto con lo standard diagnostico di riferimento prima di essere immesso in commercio, e la sua utilità in fase di treatment planning e di rapporto costi-benefici dovrebbe essere verificata immediatamente dopo l’eventuale immissione in commercio al fine di verificarne le indicazioni di impiego. Nel caso degli esami clinici e strumentali su cui si basano le teorie occlusali mascherate nessuno dei due suddetti requisiti è stato soddisfatto.

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Infatti, a partire dai primi lavori sulle ipotesi che sottendono tali filosofie, delle quali la neuromuscolare è la più diffusa 40, si è verificato un incremento quasi parossistico delle presunte indicazioni delle correzioni occlusali pianificate mediante diagnosi strumentale posturale o elettromiokinesiografica, che vanno dalla possibilità di

“curare” lombalgie, debolezza muscolare, strabismi, emorroidi, e persino problemi di concepimento! Il primo paradosso alla base della estemporanea diffusione di tali teorie risiede nel fatto che la mancanza di presupposti scientifici si è accompagnata a forti operazioni di marketing mirate ad insediare nel mondo odontoiatrico le varie pratiche occlusali mascherate attraverso un’infusione dogmatica. Il secondo paradosso è che, consequenzialmente al rischio di accettazione di tali dogmi scientificamente poco plausibili, si è negli anni creata una situazione di oggettivo pericolo di abuso nei confronti dei pazienti con TMD, in base alla quale molti membri della comunità scientifica hanno dovuto forzatamente fornire le prove della fallacia delle teorie neuromuscolari e posturali, invertendo quindi i normali procedimenti di accettazione di nuove pratiche nell’arte medica 41-43.

Dal punto di vista pratico, sembra un’osservazione oggettiva il fatto che la diffusione di certe teorie, ad anni di distanza dalla dimostrata mancanza di plausibilità biologica e validità scientifica, è maggiore in Italia che in quasi tutte le altre del mondo occidentale. I motivi per il mancato abbandono del vecchio paradigma occlusale e delle teorie occlusali mascherate sono molteplici e da ricondurre probabilmente a certe peculiarità del sistema sanitario e del mercato odontoiatrico in Italia. In primis, è sconfortante sottolineare la scarsa diffusione in Italia, anche negli ambiti accademici che dovrebbero essere il traino del movimento, delle pubblicazioni in lingua inglese disponibili sulle principali riviste indicizzate nel database medline. Pochi gruppi di ricerca italiani si distinguono per produttività scientifica a livello internazionale in ambito di disordini temporomandibolari e dolore orofacciale, e poche sono nel movimento accademico e libero professionale le occasioni concrete attraverso le quali permeare le esperienze italiane con la attuale evidenza scientifica in tema di TMD da anni disponibile a livello internazionale. Tali limiti del movimento rendono oggettivamente difficile una diffusione in tempi medio-brevi delle pratiche evidence-based, allungando notevolmente (oltre dieci anni) il gap temporale tra le evidenze scientifiche presentate in ambiti di ricerca internazionale e il loro tentativo di introduzione nella pratica clinica nel nostro paese.

Accanto ai suddetti limiti intrinseci del movimento odontoiatrico italiano, esistono però anche oggettivi problemi etici che possono, almeno in parte, spiegare il mancato abbandono dei paradigmi occlusali e delle teorie occlusali mascherate. Le caratteristiche del sistema sanitario nazionale determinano l’incredibile situazione in cui,

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di fatto, il 100% degli esercenti la professione, grazie alla possibilità della doppia carriera pubblico-privata, esercitano in regime libero professionale. Ciò determina da un lato la necessità, per coloro che esercitano puramente in regime privatistico, di gestire l’attività in base ad imprescindibili esigenze commerciali, e dall’altro lato, per coloro che esercitano in doppio regime pubblico-privato, un ovvio rischio di conflitto di interessi, inaccettabile secondo alcune culture nord-europee e statunitensi. Entrambe le situazioni professionali mal si conciliano con due fenomeni che caratterizzano il “mercato” dei pazienti con TMD, ossia il disincentivo finanziario associato all’abbandono delle teorie occlusali (mancato guadagno da minor numero di riabilitazioni occlusali) e la pressione delle aziende sui circuiti universitari per introdurre le pratiche strumentali attraverso un meccanismo di diffusione apparentemente più credibile (incentivi economici difficilmente trascurabili in questo particolare contesto storico).

Inoltre, anche per il professionista capace di un difficile percorso di auto-controllo e di continuo feedback del proprio operato, il terreno dei TMD può rivelarsi viscido in quanto è molto difficile valutare quanta parte del proprio trattamento è stata realmente necessaria per ottenere il miglioramento dei sintomi di un determinato paziente. Infatti, ci sono abbastanza elementi per suggerire che vari fattori esterni alla terapia in senso stretto concorrano ad un apparente “successo” della terapia stessa 44. Tra questi:

- Il decorso naturale della patologia, che nella maggioranza dei casi è autolimitante;

- La fluttuazione dei sintomi, che rappresenta una comune caratteristica a molte condizioni di dolore muscoloscheletrico;

- Il fenomeno statistico di regressione verso la media, che postula che qualora si osservi una valore fuori soglia per un determinato parametro (es: punteggio scala VAS per il dolore) ci sono alte probabilità che tale parametro rientri verso la normalità in una seconda osservazione nel tempo;

- L’effetto placebo, sul quale esistono numerosi lavori che ne attestano l’importanza in medicina del dolore;

- Gli aspetti psicosociali, che rivestono importanza fondamentale dal punto di vista prognostico e che possono potenziare gli effetti positivi del carisma dell’operatore;

- La selezione di “non-pazienti”, ossi il fatto che soggetti che in realtà non avrebbero necessità di terapia (es: pazienti con click articolare) sono spesso inclusi in programmi terapeutici.

In virtù delle suddette considerazioni, si richiamano i professionisti del settore a considerare attentamente la possibilità che i miglioramenti riferiti dai propri pazienti siano da ascrivere ad un successo casuale e non ad una terapia causale!

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Una simile situazione, apparentemente scoraggiante anche perché difficilmente riconducibile a specifici profili di responsabilità legale o medico legale, in realtà costringe a richiamare fortemente l’attenzione del singolo ai doveri etici insiti nella professione medica, primo fra tutti quello di esercitare nell’interesse del paziente 45.

CONCLUSIONI

I disordini temporomandibolari sono patologie muscolo-scheletriche ad andamento benigno, e per ogni professionista esperto del settore, sembra paradossale che venga spesso dipinta una situazione in cui i pazienti affetti da tali patologie abbiano una tale compromissione occlusale, posturale, psichica, sociale, da richiedere sequele di trattamenti. In realtà, la cronicizzazione dei sintomi riguarda solamente una minoranza dei pazienti. In entrambi i casi, ossia quello di sintomatologia auto-remittente facilmente gestibile e quello di sintomatologia cronica, un trattamento di riabilitazione occlusale irreversibile, quali quelli spesso suggeriti sulla base di presunti esami diagnostici strumentali (es: elettromiografia di superficie, kinesiografia, pedane stabilometriche), non trova nessuna giustificazione e razionale di impiego.

Alla luce di tali considerazioni, la pratica etica dei TMD richiederebbe una maggiore attenzione da parte della comunità odontoiatrica ai reali bisogni dei pazienti e alle informazioni derivanti dalla letteratura scientifica internazionale, con minor focus sugli aspetti commerciali della professione.

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