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La grammatica spaziale della Deutsche Gebärdensprache: un'analisi dell'impiego dello spazio per la realizzazione di pronomi, classificatori e flessione verbale

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LINGUISTICA E TRADUZIONE

Tesi di Laurea Magistrale

La grammatica spaziale della Deutsche Gebärdensprache: un'analisi dell'impiego dello spazio per la realizzazione di

pronomi, classificatori e flessione verbale

Candidata Relatrice

BARBARA DE SIMIO PROF.SSA MARINA FOSCHI ALBERT

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CAPITOLO I

Pantomima e lingua dei segni -Lingua dei segni e lingua parlata

1.1 Introduzione

Nel momento in cui una persona udente, che non abbia alcuna conoscenza della lingua dei segni, osserva dei segnanti non udenti impegnati in una conversazione, ciò che maggiormente la colpisce sono le particolari forme tracciate rapidamente dalle mani dei segnanti nello spazio. L'osservatore sarà portato a supporre che i movimenti osservati siano mimetici, si persuaderà di poterli considerare alla stregua di gesti espressivi o descrizioni visive. Paradossalmente, tuttavia, senza l'aiuto di un interprete gli sarà impossibile riuscire a comprendere anche il solo argomento generale dello scambio conversazionale, per non parlare del significato dei diversi segni eseguiti. Nell'osservazione della produzione di segni, l'ignaro osservatore si concentrerà piuttosto sulla forma visiva globale del segno e la porrà in relazione con il significato di quest'ultimo. E di certo la forma di numerosi segni gli sembrerà perfettamente appropriata a ciò che essa designa.

Con questo non si intende sicuramente screditare l'ignaro osservatore udente; a dimostrazione di ciò si pensi infatti che, nella tuttora scarsissima letteratura sulla lingua dei segni (la quale ha avuto origine, come si dirà in seguito, a partire dai significativi contributi proposti da William Stokoe negli anni '60 del XX secolo), anche gli stessi studiosi che per primi presero ad analizzarla ribadirono a lungo l'impressione che si trattasse di un codice meramente figurativo, pantomimico, iconico, insomma nient'altro che una «loose collection of pictorial gestures» (Lewis 1968, p. 27), o comunque che si trattasse di «loose collection of otherwise linguistically unrelated forms» (Crystal e Craig 1978, p. 256). E questa è praticamente l'impressione su cui tende a focalizzarsi anche un non udente per così dire ''profano'', generalmente a digiuno di conoscenze linguistiche: quando quest'ultimo si confronta per la

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prima volta con la lingua dei segni la recepisce come lingua iconica, attraverso la quale è possibile esprimere esclusivamente pensieri facilmente rappresentabili, concreti o semplicemente primitivi. L'idea che egli matura allora è che si tratti di una sorta di pantomima. La lingua dei segni non è tuttavia comparabile in alcun modo alla pantomima, se non altro perché, mentre comprendere una narrazione pantomimica è un'operazione abbastanza elementare, riuscire a comprendere la medesima narrazione in lingua dei segni risulta, per quanti non la conoscono, sostanzialmente impossibile.

1.2 La pantomima e la lingua dei segni: in cosa differiscono?

La comunicazione visivo-gestuale delle persone non udenti non costa però di semplice mimica o pantomima, ma si tratta di una vero e proprio codice linguistico basato sui segni e avente caratteristiche assai complesse; e quanti intendono sminuire la lingua dei segni definendola come una sorta di pantomima non fanno che confondere le caratteristiche dei referenti con la relazione tra la forma del segno e il suo referente.

Non sarà quindi inutile rilevare una serie di differenze piuttosto significative tra la forma artistica della pantomima e il codice linguistico della lingua dei segni. Una differenza che è innanzitutto necessario individuare consiste nell'impiego dello spazio. Nel caso della pantomima il mimo può eseguire dei movimenti sfruttando il palcoscenico nella sua interezza; nella lingua dei segni si rimane invece sul posto (eventualmente seduti) e a muoversi è esclusivamente la parte superiore del corpo. Per di più nella pantomima il corpo preso nella sua totalità sta per se stesso. La gamba del mimo sta per una gamba, la sua mano per una mano. Nella lingua dei segni invece le parti del corpo fungono da simboli linguistici associati a un contenuto mentale. Nel segno di TREPPE-HINUNTERGEHEN, ad esempio, le dita stanno simbolicamente per le gambe.

Poiché nella pantomima il corpo rappresenta se stesso, è di conseguenza più difficile per un unico mimo raccontare una storia che includa più di un personaggio. Il mimo deve cambiare velocemente di ruolo affinché possa rappresentare più personaggi. La lingua dei segni, invece, – come tutte le lingue naturali dopotutto – può riferirsi a più persone o oggetti all'interno di

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una sola asserzione, dal momento che ha il ''vantaggio'' di basarsi su di un sistema di simboli.

Anche lo scorrere del tempo è diverso nella lingua dei segni. Nella pantomima il tempo impiegato per compiere l'azione di TREPPE-HINUNTERGEHEN corrisponde pressappoco al tempo reale necessario per compiere l'azione. Nella lingua dei segni le dita eseguono il segno di TREPPE-HINUNTERGEHEN molto più velocemente. Nel caso della lingua dei segni non c'è bisogno di tenere conto del tempo reale di esecuzione dell'azione, poiché essa si basa su un sistema di simboli linguistici che rendono superflua un'esecuzione teatrale dell'azione nel suo svolgimento. In considerazione di questo ordine di fatti, la pantomima necessiterà di un tempo di esecuzione circa dieci volte superiore a quello della lingua dei segni per trasmettere il concetto di TREPPE-HINUNTERGEHEN. Ciò non significa assolutamente che i non udenti siano impossibilitati a comprendere la pantomima; anzi è emerso da alcuni studi che che i segnanti inseriscono piuttosto spesso sequenze mimiche all'interno delle loro narrazioni. Il pubblico non udente è perciò perfettamente in grado di distinguere tra la lingua dei segni da queste inserzioni mimiche, le quali sono paragonabili ai gesti e ai rumori che spesso rendono vive e colorite le narrazioni dei parlanti (Boyes Braem 1995).

Oltre a queste macroscopiche differenze, Klima e Bellugi (1979) ne rilevano altre sicuramente di importanza non secondaria:

a) la realizzazione del segno richiede una breve fissazione nello spazio della forma della mano per poi dare avvio al movimento, cosa che invece nella pantomima la produzione del gesto richiede un movimento per lo più continuo;

b) le forme che la mano può assumere costituiscono un insieme assai limitato nella lingua dei segni, più di quanto non sia possibile fare nella pantomima che risponde solo a limiti di tipo fisico-biologico;

c) il ruolo dello sguardo nella lingua dei segni non ha nulla a che fare con quello che assume nella pantomima.

Il segno, quindi, in quanto insieme dei movimenti manuali e/o espressioni facciali usati dai sordi, va tenuto opportunamente distinto dalle diverse forme di pantomima che semplicemente replicano la realtà, ma non cercano di rappresentarla attraverso simboli codificati.

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1.3 L'iconicità

Ma se quindi le differenze che distinguono la lingua dei segni dalla pantomima sono tanto significative e inconciliabili, come mai la lingua dei segni viene inizialmente scambiata dai ''profani'' per una sorta di pantomima?

Un motivo per cui ciò accade è dato dall'iconicità di numerosi segni del codice linguistico segnato. Si prenda a tal proposito, il segno che designa l'AUTO in numerose lingue dei segni: esso consiste nel movimento di entrambe le mani che muovono un volante immaginario. Parimenti il segno per LATTE ricorda iconicamente, in numerose lingue dei segni, l'atto del mungere una mucca. Si dirà allora che da un punto di vista linguistico un segno è iconico se esiste una stretta correlazione tra la sua forma e il suo contenuto concettuale, e dunque il suo referente. Assai caratteristico delle lingue dei segni è che le entrate lessicali tendano ad essere iconiche nella loro globalità, in quanto la loro forma richiama richiama qualche aspetto di quanto essa denota. L'aspetto iconico interessa la lingua dei segni a tutti i livelli, perfino quello morfologico e quello sintattico, dal momento che anche a questi livelli si riscontra spesso una congruenza tra significante e significato.

Il rapporto di iconicità tra significante e significato non è tuttavia mai biunivoco per tutte le lingue dei segni esistenti: ogni lingua dei segni realizza ovvero l'iconicità ''a modo proprio''. Ad esempio, il concetto per BAUM è realizzato in modo differente rispettivamente in ASL, nella lingua cinese dei segni e nella lingua danese dei segni. Tutti e tre i segni sono però in qualche modo correlati con le caratteristiche visuali dell'oggetto in questione. Sebbene l'iconicità sia espressa in modo affatto diverso nei diversi codici segnati, Guerra Currie, Meier e Walters sostengono che l'iconicità costituisca il fattore che giustifica il rilevamento di numerose similarità tra i lessici delle diverse lingue dei segni. E' assolutamente sorprendente che queste similarità non esistano solo tra lingue dei segni genealogicamente imparentate tra loro a livello storico, ma anche tra lingue dei segni che non hanno intrattenuto legami storici rilevanti e le cui comunità udenti di appartenenza sono piuttosto distanti. A questo punto potrebbe sembrare scontato, ma rimane importante notare che non tutti i segni di una lingua sono iconici: i segni assolutamente mai iconici sono, ad esempio, quelli che designano concetti astratti, in quanto

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impossibilitati a riprodurre le caratteristiche tangibili del referente.

A tal proposito, Klima und Bellugi (1979) hanno distinto tra gradi diversi di iconicità ricorrendo ai concetti di 'trasparente', 'semitrasparente' e 'non trasparente'. Per segno iconico trasparente si intende un segno la cui relazione tra forma e referente è comprensibile anche per una persona che non conosca il significato del segno. Un segno iconico paradigmaticamente trasparente in numerose lingue dei segni occidentali è quello per ESSEN.

I segni semitrasparenti sono parzialmente comprensibili, cosa che accade, ad esempio, per MILCHGLAS. Sulla base della sola forma del segno non è possibile indovinarne agevolmente il significato, tuttavia la relazione forma-referente si fa chiara nel momento in cui il significato del segno viene esplicitato. Allo stesso modo il segno per MÜHSAM è appena deducibile sulla base della sua sola forma, ma facile da comprendere quando se ne conosce il significato.

Un segno non trasparente non è di per sé un segno iconico, perciò anche quando se ne conosce il significato, la relazione tra forma e contenuto concettuale non viene ugualmente riconosciuta. Il segno per EINVERSTANDEN nella lingua tedesca dei segni ne è appunto un esempio.

A dimostrazione del fatto che non tutti i segni di una lingua sono ugualmente iconici e di significato trasparente, la ricerca ha mostrato che, quand'anche coloro che non usano un codice segnato si accorgano dell'iconicità di molti segni, solo un quantitativo che intercorre tra un terzo e la metà del vocabolario comune di un segnante adulto può essere stimato come per lo più iconico. Più precisamente, nel corso di un esperimento (Hoemann, 1975) è stata presentata a dei non segnanti una lista di 100 segni scelti casualmente all'interno della ASL e si è osservato che solo un terzo di essi poteva essere stimato come trasparente, in quanto i coinvolti erano stati in grado di individuare il significato di solo un terzo dei segni presenti nella lista. In un'ulteriore ricerca condotta da Bellugi e Klima (1976) ai non segnanti è stata presentata una lista di 90 segni: i coinvolti sono addivenuti in questo caso al significato di appena 9 segni. Da un simile studio è emerso che per i non segnanti è verosimilmente più difficile riconoscere il significato di segni contestualizzati rispetto a quello di segni isolati. Nella ricerca di Hoemann, inoltre, i non segnanti sono riusciti a riconoscere una relazione tra forma e

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significato di un altro terzo dei segni proposti, dopo che era stato rivelato loro il significato degli stessi: si trattava in questo caso di segni semitrasparenti. Nella lista proposta da Bellugi e Klima, invece, i coinvolti hanno percepito solo rispetto al 50% circa di tutti i segni proposti una tale relazione di semitrasparenza.

1.3.1 L'iconicità nelle lingue parlate

A questo punto sorgerà un quesito: i parlanti udenti hanno modo di confrontarsi con casi di iconicità linguistica attraverso le lingue orali? Ebbene, anche le lingue orali non sono totalmente immuni dall'aspetto dell'iconicità; si pensi infatti ai processi di reduplicazione per l'espressione della pluralità, agli ideofoni, nonché alle onomatopee, tutti mezzi che riflettono direttamente il significato nel significante.

Si potrebbe dire allora che così come i segni emulano le immagini, la lingua orale emula la musica. Le lingue parlate hanno sicuramente un aspetto musicale (si considerino appunto i suddetti casi di onomatopeicità, come

pin-pong, buzz della lingua inglese), malgrado esistano, d'altro canto, aspetti

relativi alla trasmissione del messaggio nella lingua orale che non si correlano in alcun modo alla musica. Similmente, quand'anche la lingua segnata rechi un quoziente significativo di iconicità, di certo sensibilmente e incomparabilmente più pronunciato rispetto a quello della lingua orale, il carattere iconico non si configura assolutamente come l'aspetto più importante da indagare (Battison, 1980).

1.3.2 L' iconicità per segnanti e non segnanti

Ci si chiede ancora se quindi l'iconcità se quindi per segnanti e non segnanti rispettivamente l'iconicità concettuale del segno rivesta o meno un ruolo diverso. Studi recenti hanno investigato e comparato la percezione, l'apprendimento e l'immagazzinamento di segni nella memoria rispettivamente di segnanti e non segnanti. Le analisi che hanno preso in esame come l'iconicità di certi segni sia di aiuto agli udenti non segnanti nell'apprendimento della lingua segnata giungono tutti alla conclusione che per gli udenti è fattivamente

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più semplice apprendere un segno ritenuto iconico, piuttosto che uno giudicato non iconico (Luftig, Lloyd e Page, 1982; Mills, 1984; Brown, 1977; Morrissey, 1986; Konstantareas, Oxman e Webster, 1978).

Per converso, altre ricerche hanno mostrato che i segnanti, in situazioni di apprendimento, fanno scarso affidamento sull'iconicità, dal momento che hanno a disposizione un codice linguistico che facilita loro il riconoscimento dei segni e il richiamo di questi alla memoria. A dimostrazione di ciò, Siple, Caccamise e Brewer (1982) hanno approntato una lista di segni inventati (segni

nonsense), che sarebbero potuti essere sul piano formale segni della ASL, ma

che tuttavia non erano segni di questa lingua. Le persone sottoposte al test, segnanti e non, hanno ipotizzato che potesse trattarsi dei segni di una lingua dell'America meridionale. In questo esperimento gli studiosi intendevano comparare le performance di segnanti e non segnanti nel riconoscimento dei segni proposti, aventi tutti un quoziente iconico particolarmente elevato. I risultati ottenuti hanno mostrato con chiarezza che i due gruppi hanno fatto ricorso rispettivamente a due diverse strategie di apprendimento. I non segnanti hanno impiegato nell'acquisizione del nuovo segno strategie generiche di elaborazione visuale e simbolico-figurativa. I segnanti, invece, hanno trattato i nuovi segni non come unità meramente visuali/figurative, ma piuttosto come concetti segnati, per la cui analisi hanno utilizzato le conoscenze delle categorie sublessicali1 pertinenti nella lingua dei segni che padroneggiavano.

Anche per questo motivo i segnanti non manifestavano alcuna difficoltà a immagazzinare separatamente e correttamente nella memoria due nuovi segni, la cui rispettiva localizzazione sul volto fosse prossima (tempia e guancia)2.

Contributi da parte della ricerca sull'acquisizione della lingua dei segni nei bambini non udenti hanno dimostrato che l'iconicità di certi segni non facilita né accelera l'apprendimento della lingua in questione. La stessa iconicità del segno non condurrebbe, inoltre, a nessuna significativa differenza tra la velocità d'acquisizione della lingua segnata da parte del bambino non udente e quella della lingua parlata da parte del bambino udente. Il bambino non udente, ossia, sembra procedere nell'acquisizione linguistica ricorrendo ai medesimi

1 Si spiegherà diffusamente nel corso del capitolo successivo cosa si intenda e in cosa consistano le categorie sublessciali dei codici segnati.

2 Si noti che tempia e guancia costituiscono nella ASL due punti di esecuzione chiaramente distinti.

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meccanismi manifestati dal bambino udente, poiché analizza le relazioni tra le forme linguistiche, piuttosto che le relazioni più o meno arbitrarie tra forma e referente (Boyes Braem 1995).

Se non altro alcuni studi condotti su soggetti udenti hanno mostrato che anche nella lingua parlata le parole aventi un referente concreto sono più facili da imparare rispetto a quelle con referente astratto (Paivio, 1971). Luftig et al. (l982) hanno osservato che nella lingua dei segni il carattere concreto del referente svolge un ruolo predominante rispetto all'iconicità del segno. Più precisamente i fattori 'iconico' e 'concreto' possono risultare combinati, determinando un'assoluta facilità nell'apprendimento del segno. Riveste, tuttavia, importanza fondamentale la constatazione per cui un segno iconico non rappresenta necessariamente un referente che è facilmente rappresentabile o concreto. Si può riportare come esempio il segno fortemente iconico usato per DENKEN. Il referente di DENKEN non è né facilmente rappresentabile a livello figurativo, né concreto. D'altro canto un segno come MAMA possiede un referente concreto, tuttavia la sua forma in alcune lingue dei segni non è iconica.

Anche gli studi sulla percezione e la memorizzazione dei segni da parte dei segnanti mostrano che essi ricorrono a strategie linguistiche per l'elaborazione dei segni piuttosto che compiere una conversione di questi in immagini. Reef, Lane e Battison (l978) affermano, riguardo alle dinamiche di percezione, che gli stimoli visivi sottoposti ai segnanti vengono percepiti in quanto segni e che gli stimoli senza carattere di segno scompaiono più velocemente dalla memoria di lavoro visiva. Questo potrebbe significare che gli stimoli che vengono recepiti come segni vengono elaborati più velocemente con l'aiuto di strategie linguistiche di quanto non avvenga con gli stimoli senza carattere di segno lingustico.

Per quanto concerne la memorizzazione, gli esperimenti sulla memoria a breve termine hanno mostrato che le parole della lingua parlata vengono immagazzinate nella memoria sulla base delle componenti linguistiche e snon ulla base di più o meno pronunciate qualità iconico-semantiche. Esperimenti relativi all'assimilazione di segni nella memoria a breve termine per i non udenti lasciano supporre una strategia linguistica simile a quella degli udenti (Bellugi, Klima e Siple, 1975; Poizner, Bellugi, Tweney, 1981; Shand, 1982). I

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non udenti, sottoposti alla riproduzione di una lista di segni, al segno per TEE non richiamano alla memoria KAFFEE, ad esempio, ma piuttosto un segno simile a TEE, come lo è appunto quello per ABSTIMMEN. Nella ASL il segno per ABSTIMMEN presenta le medesime catergorie sublessicali di TEE, eccezion fatta per la componente del movimento. La gran parte degli scambi nella memoria a breve termine manifestati in questi esperimenti riguardano distinzioni dovute a un'unica componente, fenomeno che possiamo correlare a quello di coppia minima della lingua parlata (Boyes Braem 1995).

Anche per quanto concerne la memoria a lungo termine sembra che l'iconicità dei segni giochi un ruolo di scarso rilievo per i segnanti, in quanto questi ultimi codificano nel lungo periodo gli aspetti semantici dei segni, in modo simile a quanto fanno gli udenti con le parole (Siple, Fischer & Bellugi, 1977; Hanson & Bellugi, 1982).

Se quindi i segnanti, contrariamente ai non segnanti, non apprendono ed elaborano i segni sulla base delle loro qualità iconiche, quale ruolo svolge l'aspetto iconico nella cumulazione del loro vocabolario? Sembra che i segnanti utilizzino il concetto figurativo latente dei segni principalmente per due scopi: per la modulazione di forme poetiche o ludiche della lingua dei segni o per la creazione di nuovi segni (Klima e Bellugi, 1979; Klima e Bellugi, 1976; Bellugi e Newkirk, 1977; Mandel, 1977, Jouison, 1989). Oltretutto, gli stessi segnanti sono consapevoli della gradazione di iconicità dei segni facenti parte del vocabolario della loro lingua. Quando cercano di insegnare nuovi segni ai parlanti, essi fanno leva proprio sul potenziale iconico dei segni, spesso inventando delle intepretazioni iconiche del segno a mero scopo mnemonico. In altri casi essi esagerano le proprietà mimetiche del segno attraverso una vera e propria manipolazione dell'aspetto iconico anche per scopi poetico-letterari. In altri casi ancora gli aspetti mimetici giustificano l'origine di molti segni. Gli stessi bambini sordi, nel momento in cui desiderano esprimere qualcosa per cui non conoscono il segno, inventano liberamente segni, neologismi, che possiedono chiare proprietà mimetiche.

Le lingue dei segni rimagono dunque lingue a due volti – strutturate formalmente e al medesimo tempo libere a livello mimetico sotto molti aspetti significativi.

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1.4 Il segno: un linguaggio possibile

Acclarato che le considerazioni sull'iconicità appena proposte non permettono di definire la lingua dei segni come una sorta di pantomima, ci si chiede dunque: nel momento in cui si considera la lingua dei segni, si ha a che fare con un linguaggio vero e proprio? La lingua dei segni condivide ovvero le medesime proprietà del linguaggio che tradizionalmente sono state desunte dalle lingue parlate e ritenute peculiari esclusivamente di queste ultime? Lo stesso concetto di linguaggio, così com'è stato descritto e compreso dai linguisti, concerne infatti quelle proprietà strutturali complesse che si è pensato fossero intimamente connesse ai suoni articolati vocalmente.

Ad ogni modo, oggi sappiamo che il segno e la parola fungono entrambi da veicoli del linguaggio: è questa una delle scoperte di maggior rilevanza sul piano empirico nel panorama della linguistica moderna. La crucialità di questa scoperta consiste proprio nella messa in discussione di cosa sia il linguaggio, dal momento che la concezione tradizionale si fonda sostanzialmente su un'equazione tra linguaggio e parola che risulta ormai inaccettabile. E' per questo motivo che ci si chiede se le medesime proprietà caratteristiche delle lingue orali possano essere attribuite anche alle lingue segnate.

Agli esordi degli studi sul linguaggio segnato ci si è confrontati con un sistema di comunicazione in apparenza del tutto differente dal linguaggio parlato, un sistema che apparentemente violava ovvero alcune caratteristiche fondamentali attribuite al linguaggio umano. Le caratteristiche del linguaggio umano che sembravano essere smentite o comunque messe in crisi dal codice segnato riguardavano essenzialmente l'arbitrarietà del segno linguistico e la doppia articolazione del sistema.

1.4.1 Dall'iconicità all'arbitrarietà

Con il termine 'arbitrarietà' si fa riferimento a una prerogativa fondamentale del linguaggio umano, già nota ai tempi di Aristotele, ma sulla quale ha richiamato l'attenzione in tempi più recenti lo studioso ginevrino Ferdinand de Saussure (1916). Nel dire che il segno linguistico è arbitrario, Saussure intendeva che non esiste un legame intrinseco di necessità tra i due

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elementi costitutivi del segno linguistico, ossia tra il significante e il significato.

Alla luce di quanto si è finora asserito in merito al quoziente di iconicità sensibilmente più incidente nelle lingue segnate che in quelle orali, ci si chiede se l'arbitrarietà vada considerata come una caratteristica peculiare anche delle lingue segnate. Ebbene, anche le lingue segnate, in quanto lingue, conoscono l'albritrarietà del segno: se così non fosse risulterebbe impossibile esprimere per mezzo di queste lingue dei concetti astratti, completamente scevri da ogni ipotizzabile iconicità. Come si è osservato poc'anzi la stessa acquisizione dei segni da parte dei bambini, nonché la memorizzazione degli stessi da parte di non udenti adulti, non risulta in alcun modo facilitata dalla relativa iconicità del segno in sé.

Le lingue dei segni tendono inoltre all'arbitrarietà attraverso sviluppi diacronici che rendono progressivamente opaca l'iconicità del segno attraverso gli sviluppi diacronici. Ciò è stato dimostrato dagli studi di Frishberg (1975), la quale offre a tal proposito un interessante punto di vista: i segni che originariamente avevano una valenza iconica sono stati consolidati nel corso del tempo dai processi linguistici sublessicali e hanno perciò perso la loro iconicità. A partire da studi diacronici eseguiti sulla forma dei segni antico-francesi e su quelli della ASL dei primi del XX secolo la studiosa ha rilevato le seguenti tendenze di sviluppo:

– una concentrazione preponderante sulle mani;

– uno spostamento dei segni nello spazio di segnatura. I segni che originariamente erano stati costruiti a lato del corpo o al margine dello spazio di segnatura, vengono prodotti oggi molto più prossimi al mezzo corporeo;

– una crescente simmetria nei segni eseguiti a due mani. I vecchi segni, per cui erano previste forme diverse e movimenti dissimili per le due mani, sono stati sostituiti oggi da segni eseguiti contemporaneamente da entrambe le mani che eseguono uguali forme e movimenti;

– una significativa riduzione dei segni composti a segni semplici. Gesti che originariamente consistevano in una successione di segni vengono eseguiti oggi come un unico segno.

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reso i segni sempre meno iconici nel corso del tempo. Oggi infatti il segno corrente per ZUHAUSE non è più ritenuto particolarmente iconico. Originariamente presentava però una combinazione dei segni iconici per ESSEN e SCHLAFEN.

Ora, la gran parte del vocabolario delle lingue dei segni è costituito da segni lessicali convenzionalizzati. I gesti non ancora standardizzati sono, invece, altamente iconici e latamente variabili. Malgrado possano incorporare degli elementi convenzionali, ad esempio una particolare configurazione manuale, non sono ancora vincolati dalle regole di composizione dei segni convenzionalizzati. Tali segni, dunque, da quelli puramente convenzionali a quelli quasi puramente mimetici cooccorrono frequentemente negli enunciati segnati. Mentre gesti più o meno mimetici si distinguono chiaramente dalle parole enlle lingue orali, nel linguaggio segnato gesti mimetici e segni convenzionali sono espressi attraverso il medesimo canale di comunicazione.

La coesistenza del lato iconico insieme a quello arbitrario può apparire paradossale. Ciò accade perché, malgrado l'iconicità dei segni possa risultare un tratto assai caratteristico, essa tende a essere normalmente sommersa quando il segno diviene soggetto a processi grammaticali regolari. Numerosi studi hanno dimostrato chiaramente che a predominare sono le proprietà formali non iconiche, arbitrarie nella codifica dei segni, piuttosto che il loro quoziente iconico.

A dispetto dei processi diacronici di pressione grammaticale in direzione di una scomparsa dell'aspetto iconico del segno, le lingue dei segni rimangono più liberamente mimetiche delle lingue orali. Come afferma Trevort (1973, p. 169) «they retain a dormant relation to this force that can be reawakened at any time...Iconicity is not a more or less accidental feature because it comes to the surface only once in a while, but a basically concomitant characteristic that is potentially present all the time» (p.357). Gli stessi studi sui udenti non segnanti hanno dimostrato che i segni risultano più iconicamente trasparenti di quanto non lo siano le parole delle lingue orali.

Il paradosso dei segni consiste allora nel fatto che possono risultare chiaramente iconici o mimetici nella loro globalità, ma allo stesso tempo possono essere analizzati come costituiti da elementi che servono da differenziatori formali tra segni.

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Come si spiega allora la maggiore frequenza di elementi iconici nelle lingue segnate? Essa sarebbe essenzialmente dovuta alle possibilità messe a disposizione dal canale visivo-gestuale. Le lingue segnate si distinguono preliminarmente da quelle parlate, in quanto le prime ricorrono alla modalità visivo-gestuale, mentre le seconde ricorrono a quella audio-orale. Entrambe le denominazioni di modalità (audio-orale e visivo-gestuale) risultano binarie e implicano distinzioni tra i due codici in termini strumentali. Mentre la modalità audio-orale si fonda sugli articolatori dall'apparato fonatorio, quella visivo-gestuale si fonda sugli articolatori manuali e più latamente corporali (facciali e del torace).

1.4.2 La doppia articolazione

Un'altra proprietà fondamentale del linguaggio riguarda la sua natura articolata, ossia la sua scomponibilità in unità minori. Mentre la comunicazione animale è strutturata in forme inarticolate e inanalizzabili, il linguaggio verbale, nonché quello segnato è un sistema riducibile a dei costituenti minimi. Quanto allora i linguaggi animali non possiedono, a differenza di quelli umani, sarebbe la cosiddetta doppia articolazione. Nel momento in cui un codice linguistico gode della doppia articolazione, sarà possibile individuare al suo interno delle unità in cui scomporre gli elementi da cui esso è costuituito. Scomponendo un segno linguistico nei suoi componenti, si otterranno le unità più semplici, blocchi di costituizione minimali, dette anche unità di seconda articolazione. Le unità di prima articolazione sono invece i componenti minimi dotati di significato (morfemi), a loro volta scomponibili negli elementi di seconda articolazione, privi di significato: i fonemi. Il livello della prima articolazione è quindi oggetto della morfologia delle lingue, il livello della seconda articolazione riguarda la fonologia.

Questa prerogativa del linguaggio presenta un grande ‘vantaggio semiotico’ nella misura in cui permette di comporre una quantità molto elevata di enunciati a partire da un numero relativamente piccolo di unità minime. Come nel codice parlato, anche in quello segnato le unità minime di significato sono costruite a partire da unità sublessicali prive di significato. Questa possibilità di segmentazione, di suddividere in porzioni definite la successione

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dei segni nello spazio, rende possibile rilevare somiglianze ai diversi livelli dell'analisi linguistica.

A indire tra un parallelismo tra lingue orali e lingue segnate attraverso il principio della doppia articolazione fu William Stokoe, professore di letteratura inglese presso il Gallaudet, College per studenti non udenti. Fu proprio Stokoe a inaugurare l'interesse di ricerca per la comunicazione in segni delle persone sorde nei primi anni 60'. In questo periodo egli decise di indagare la forma di comunicazione usata dagli studenti da un punto di vista sia antropologico che linguistico (Stokoe 1960). Con un testo rivoluzionario, ''Sign Language Structure. An Outline of the Visual Communication System of the American Deaf'', riuscì ad attirare l'attenzione dei linguisti, mettendo in luce le proprietà delle lingue segnate che le accomunano alle lingue vocali (Stokoe 1980). Ebbene, egli mise in evidenza che, come la struttura della lingua orale, basata sulla combinazione di un numero ristretto di suoni senza significato (fonemi) che porta a un vastissimo repertorio di unità dotate di significato (morfemi), anche la struttura del codice segnato è basata sulla combinazione di un numero limitato di unità minime (cheremi), a partire dal quale si ottiene un ampio numero di unità dotate di significato (segni).

A questo punto qualcuno potrà osservare che è alquanto singolare parlare di fonologia in relazione alle lingue dei segni, codici paradigmaticamente usati da individui non udenti. Se è vero che alla fonologia delle lingue orali i primi studiosi (Stokoe 1960; Stokoe, Casterline e Cronenberg 1965) fecero corrispondere la cherologia delle lingue dei segni, è anche vero che la ricerca successiva ha cominciato a utilizzare il termine 'fonologia' anche in relazione alle lingue dei segni per sottolineare il legame esistente tra queste e le lingue orali. Chiarito questo punto, si dirà che il parlallelismo segnalato da Stokoe proponeva i segni come composizioni simultanee di un set limitato di parametri (l'analisi proposta da Stokoe rilevò, più precisamente, la scomposizione dei segni nelle componenti di luogo, configurazione, movimento e orientamento, cui qui si fa solo cenno e che verranno riprese più diffusamente nel seguito del lavoro). Questa analisi risultò oltremodo innovativa poiché trattò il segno non come un tutt'uno inscindibile, dalle sole proprietà iconico-rappresentazionali, ma come composizioni complesse di un piccolo set di valori formazionali regolarmente ricorrenti che formavano segni

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diversi tra loro. La compozione di tali combinazioni di aspetti sublessicali che davano origine al segno era governata da regole specifiche.

Il criterio che consente di identificare taluni parametri della lingua dei segni come cheremi della stessa si basa sull'esistenza di coppie minime di segni distinte esclusivamente dal mutamento di un singolo parametro, esattamente come accade nelle coppie minime della lingua parlata. E' stato confermato anche da Klima e Bellugi (1979) che esistono vere e proprie regole grammaticali che regolano il funzionamento delle lingue segnate: sottilissime variazioni nell'esecuzione dei segni, quasi impercettibili all'occhio ''udente'', possono comportare importanti mutamenti sul piano morfologico e sintattico.

A livello esecutivo si rende però evidente una differenza ineludibile tra lingue orali e lingue dei segni: nelle lingue vocali gli elementi che formano una parola occorrono sequenzialmente in ordine lineare, mentre gli elementi che formano un segno occorrono simultaneamente o almeno si sovrappongono e non possono venire quindi rappresentati in sequenze temporali, ma piuttosto in termini di unità spaziali e di movimento coesistenti nell'unità di tempo.

1.4.3 I lapsus manus

La riprova del fatto che la doppia articolazione sia contemporaneamente prerogativa sia delle lingue orali che di quelle segnate si basa sull'esistenza dei cosiddetti lapsus linguae, errori verbali involontari, cui fanno il paio i lapsus

manus delle lingue segnate. Analisi che hanno avuto per oggetto le lingue orali

hanno dimostrato l'esistenza di una organizzazione sublessicale attraverso l'esamina di un set specifico di errori nella produzione del linguaggio: i cosiddetti lapsus linguae. Tali riordinamenti non intenzionali e inconsapevoli degli elementi del linguaggio occorrono secondo schemi predicibili e regolarmente classificabili: metatesi, anticipazioni, perseverazioni. Il fatto che intere parole sono talvolta scambiate tra loro offrono un'evidenza concreta che le parole sono ordinate nella pianificazione del linguaggio come unità discrete, che possono venire meno a tale pianificazione indipendentemente dal contesto frasale. Il fatto che singoli suoni vengano scambiati attesta l'indipendenza psicologica di unità linguistiche più piccole di parole o sillabe, cioè dei segmenti fonologici. Esitono quindi delle regolarità nella struttura dei lapsus

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linguae, nel senso che essi risultano predicibili e non casuali. In molti casi il

segnante si autocorregge dopo aver fatto un errore, rendendo esplicito il segno dapprima inteso. Come i lapsus linguae, i lapsus manus forniscono una dimostrazione dell'organizzazione e delle codificazione del linguaggio segnato. Come i lapsus linguae, come i lapsus manus, possono dare come risultante un segno già esistente nel vocabolario della lingua in esame, oppure, qualora questa eventualità non si verifichi, risulteranno comunque come segni resi possibili dallo scambio dei valori parametrici validi per il sistema e combinati secondo le regole strutturali della lingua. I lapsus non potranno perciò mai corrispondere a dei segni formalmente impossibili, cioè composti da valori parametrici combinati secondo una violazione delle regole strutturali.

Il fatto, quindi, che i fonemi del parlato come i cheremi delle lingue segnate possano essere anticipati o scambiati di posto nel contesto immediato, indipendentemente dalla parola o dal segno a cui appartengono, dimostra la realtà psicologica di tali unità. La realtà psicologica delle unità sublessicali del segno è indice del fatto che quest'ultimo non può essere considerato come un'unità inscindibile e figurativa. Se i segni fossero codificati come unità inscindibili, allora le deviazioni involontarie della perfomance linguistica dalle intenzioni espressive del segnante dovrebbero risultare esclusivamente nello scambio di interi segni. Tuttavia, più frequentemente, nonché più significativamente per la natura dei segni e delle regole che governano le loro proprietà composizionali, un'unica unità sublessicale del segno viene realizzata erroneamente in un altro segno. Ciò che è ancora più interessante è che nelle metatesi, ad esempio, sono presenti tutti i segmenti che compongono il segno pianificato (ma scomposto a livello di produzione): nessun elemento strutturale viene perduto nell'output linguistico. Questo fenomeno dimostra che a livello cognitivo la produzione di ciascun elemento della stringa segnata (cosa che accade anche per le lingue orali) viene pianificato all'interno della sequenza corretta, tuttavia a livello prearticolatorio questo ordine viene in qualche modo distorto risultando nella produzione finale erronea.

L'analisi degli errori di produzione linguistica offre, dunque evidenza non solo dell'indipendenza dei singoli elementi strutturali a livello del processo di pianificazione, ma anche dell'esistenza di regole apposite per la coombinazione di questi elementi. Anche se a livello prearticolatorio i singoli elementi

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vengono scambiati (senza che nulla si perda effettivamente) le regole combinatorie di quella lingua persistono nell'adeguare l'output a schemi predicili, altrettanto governati da regole (Klima e Bellugi 1979).

1.5 Acquisizione e lateralizzazione

Una riprova ulteriore che il codice segnato cosituisce una forma vera e propria di linguaggio umano è costituita dalle comunanze rilevate tra codice orale e segnato che provengono dagli studi relativi all'acquisizione del linguaggio. E' stato dimostrato (Newport e Meier 1985; Meier 1991; Petitto e Marentette 1991) che le lingue segnate vengono acquisite secondo le medesime fasi osservate per l'acquisizione spontanea delle lingue parlate. Come in quest'ultime, anche nelle lingue segnate sono state riportate evidenze relative all'esistenza di un periodo di maturazione ottimale, nonché di un periodo critico (Mayberry e Fischer 1989). Nella processazione del dato linguistico, sia che si tratti di lingue parlate, sia di lingue segnate, a giocare un ruolo fondamentale per l'acquisizione rimane l'emisfero sinistro (Klima e Bellugi 1987). Resta comunque tuttora irrisolta la controversia che vorrebbe un maggior coinvolgimento dell'emisfero destro nell'acquisizione delle lingue segnate. I dati relativi però agli studi sulla lateralizzazione sembrerebbero assai significativi. Studi su persone non udenti hanno confermato la distinzione tra

performance linguistica e aprassia. L'aprassia è un disturbo neuropsicologico

del movimento volontario, che comporta l'incapacità di compiere gesti coordinati e diretti ad un determinato fine, sebbene sia mantenute inalterate la volontà del soggetto e la sua capacità motoria. Quanto di più interessante è emerso da questi studi è che gli impedimenti dovuti all'afasia del linguaggio segnato sono legati esclusivamente a lesioni cerebrali dell'emisfero sinistro, mentre quelli comportati dall'aprassia riguardano generalmente lesioni a carico dell'emisfero destro. Questa scoperta ha permesso di appurare che l'afasia del linguaggio, sia esso parlato o segnato, risulta appunto lateralizzata indipendentemente dalla modalità di espressione linguistica (Poizner, Klima e Bellugi 1987). Questi risultati non sono da ritenersi scontati dal momento che le lingue segnate condividono con la prassia i mezzi fondamentali di performance motoria: braccia, mani e dita. Questi stessi strumenti sono

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utilizzati cioè sia per la realizzazione di messaggi in lingua segnata, sia per l'esecuzione di azioni non-linguistiche, come può esserlo appunto la rappresentazione iconica di una scena. Se ne conclude quindi che l'area dell'emisfero sinistro legata alla formulazione del linguaggio non è necessariamente dipendente dalla modalità in uso.

1.6 Una sola lingua dei segni o tante lingue dei segni?

Si potrebbe essere tentati di asserire che il linguaggio segnato sia unico, vale a dire che ne esista uno soltanto valido per l'intera popolazione mondiale, tuttavia questa affermazione ricorre solitamente solo in ambienti non specialistici. Si pensi soltanto che l'insorgenza del gesto è pronta a figurare nei contesti più inaspettati e che si presenta di per sé soggetta a una considerevole variabilità. Il gesto ricorre, ad esempio, in circostanze in cui risulta del tutto inaspettato: esso è spesso addirittura il mezzo di comunicazione dei bambini congenitamente ciechi; essi vi ricorrono nonostante non possano usufruire dell'input visivo dell'ambiente immediato e indipendentemente dalle comunità culturali cui appartengono (McNeill 1992; Iverson e Goldin-Meadow 1997; Iverson et al. 2000).

Oltretutto, alcuni autori sostengono che il linguaggio, così come lo conosciamo oggi, si è evoluto a partire dalla comunicazione gestuale (Armstrong, Stokoe e Wilcox 1995; Stokoe e Marschark 1999, Stokoe 2000). Secondo questi studiosi è altamente probabile che i gesti siano stati usati dalle prime comunità di umani che vivevano in gruppi sociali. L'inconicità visuale tipica del gesto potrebbe essere servita in prima istanza allo scopo di far capire nel modo più rapido possibile il gesto al proprio interlocutore. Contrariamente a questa ipotesi però, l'evoluzione umana suggerirebbe che le lingue si siano sviluppate diacronicamente attraverso il canale audio-orale, dal momento che in nessuna comunità di udenti, storicamente esistita e di cui ci sia stata data notizia, la lingua dei segni è mai stata il codice di comunicazione primario: a essere privilegiato è stata sempre la parola foneticamente articolata.

Come è accaduto per le comunità che hanno prediletto la comunicazione orale, anche presso le comunità segnanti si è verificato che ciascuna di esse sviluppasse una propria lingua dei segni con caratteristiche a sé, legate al

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gruppo che la utilizza e ai bisogni comunicativi cui deve assolvere.Va quindi tenuto in debita considerazione che il linguaggio dei segni non è affatto universale, ma che esistono piuttosto tante lingue dei segni quante sono le comunità di non udenti.

A questo punto ci si potrebbe chiedere: esistono regole o comunque fenomeni linguistici peculiari delle lingue segnate e solo di queste? In un certo qual modo si può rispondere affermativamente; più precisamente, tali regole riguardano il sistema pronominale, il sistema di accordo verbale come in altri aspetti aspetti determinati dalla trdimensionalità del medium spaziale. Ulteriori proprietà sono state individuate come peculiari di tutte le lingue segnate esaminate: la struttura topic-comment, espressioni facciali grammaticalizzate che distinguono diverse tipologie di proposizioni tra loro, l'uso di movimenti ripetuti (reduplicazione) per marcare la pluralità nominale o anche l'aspetto verbale. Anche l'accordo del verbo con gli argomenti è realizzato allo stesso modo in tutte le lingue dei segni conosciute (per la trattazione approfondita di tali peculiarità si rimanda ai capitoli successivi).

1.7 Le lingue dei segni e le lingue parlate

Esisteva ed esiste tuttora in molti la convinzione che il linguaggio dei segni non possiede né una morfologia né una sintassi, dal momento che non possiede un sistema flessionale, non usa quasi per nulla articoli e preposizioni, non sembra distinguere tra nomi e verbi e presenta un ordine relativamente libero degli elementi nella frase. Pur mancando generalmente le lingue segnate di articoli, preposizioni e di un sistema flessionale paragonabile a quello delle lingue orali, esistono in esse una serie di meccanismi che permettono di codificare tutte quelle informazioni che nelle lingue vocali vengono espresse per mezzo di articoli, preposizioni, sistema flessionale e ordine delle parole. Il linguaggio dei segni possiede dunque una grammatica altamente articolata, nonostante, a differenza di quella delle lingue orali, essa assuma strutture indubbiamente peculiari per via della modalità visivo-gestuale. Quest'ultima rende possibile la realizzazione di un sistema linguistico complesso attraverso meccanismi come: l'uso particolare dello spazio, la modificazione sistematica del movimento con cui è prodotto il segno, nonché la produzione di movimenti

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non manuali. Le lingue dei segni possiedono quindi una grammatica complessa, sia a livello di struttura interna che a livello di operazioni legate alla costruzione del significato frasale. Nessuna di queste operazioni deriva da quelle delle corrispondenti lingue orali: i principi su cui esse si basano sono direttamente determinate dalla modalità visivo-gestuale piuttosto che da quella audio-orale.

1. 8 Quanto c'è di simile e quanto di diverso?

Si prenderà di seguito in analisi una carrellata di caratteristiche significative che a livelli differenti distinguono o accomunano rispettivamente le lingue orali e le lingue dei segni, riprendendo in parte quanto si è già detto:

– dal punto di vista fonetico si osserverà che, mentre le lingue parlate ricorrono ai fonemi, le lingue segnate ricorrono ai cheremi: di conseguenza, quanto distingue i due codici è mentre le lingue parlate non annoverano contrasti tra configurazioni manuali, le seconde non manifestano contrasti tra fonemi. Si noti però che, così come le lingue parlate differiscono tra loro sul piano fonologico per una diversa selezione di fonemi pertinenti, anche le lingue dei segni differiscono tra loro negli inventari di strutture fonologiche pertinenti per la ricezione contrastiva dei significati e il rilevamento di coppie minime di segni;

– dal punto di vista morfologico, si osserverà che nelle lingue segnate è possibile rintracciare una distinzione tra le parti del discorso comparabile a quella delle lingue parlate; i segni quindi non operano come «indistinct parts of speech» (Crystal e Craig 1978, p. 125) né presenta «disadvantages, especially those of grammatical disorder, illogical systems and linguistic confusion» (Klima e Bellugi 1979, p. 34). Esistono ovvero proprietà morfologiche precise che distinguono un nome da un verbo legato al primo da una relazione formale e/o semantica. Vanno comunque rilevate delle apparenti discrepanze macroscopiche. La gran parte delle lingue dei segni investigate finora manca di articoli e copule: queste differenze sono solo apparenti in quanto non tutte le lingue parlate conosciute possiedono queste categorie grammaticali.

Si è detto precedentemente che per la produzione e la ricezione linguistica, il codice segnato e quello orale ricorrono rispettivamente a due diversi canali.

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Ebbene, il ricorso a strumenti corporei diversi comporta che il tempo impiegato per la produzione di un segno risulti più elevato, rispetto a quello necessario per produrre una parola (per una discussione più ampia della questione si rimanda al capitolo 2). Malgrado questo scarto apparentemente svantaggioso per le lingue segnate, la velocità relativa con cui vengono formulate le proposizioni risulta pressappoco la stessa. Come è possibile spiegare tale paradosso? Allo scarto temporale, corrisponde secondo Klima e Bellugi (1979) uno scarto sul piano morfologico. La produzione più lenta del segno rispetto alla parola scoraggerebbe l'affissazione sequenziale prevalente invece nelle lingue orali. Le lingue segnate optano ovvero per un tipo di morfologia detta non concatenativa, attraverso la quale risulta possibile condensare un maggior numero di informazioni in un unico segno. E questo aspetto è reso possibile da un terzo scarto, quello tra modalità: un maggior numero di informazioni può essere percepito dall'occhio rispetto all'orecchio, di qui la maggiore concentrazione di informazioni in unico segno (esistono comunque eccezioni in merito: le lingue semitiche possiedono una ricca morfologia non concatenativa). In ultima analisi le lingue segnate optano, a differenza di quelle parlate, per una morfologia non concatenativa, facendo un uso sporadico e occasionale delle sequenze di affissi;

– da un punto di vista deittico, nelle lingue dei segni, è possibile ricorrere all'immediatezza dell'indicizzazione spaziale per esprimere quanto le lingue parlate designano attraverso marcatori spaziali del tipo 'sopra', 'sotto', 'dentro' etc. Anche in questo caso l'indicizzazione spaziale delle lingue dei segni è resa possibile dalla modalità visivo-gestuale. Le differenze spaziali, piuttosto che quelle personali, permettono anche di disambiguare la referenza tra i partecipanti a uno scambio conversazionale. In ASL, ad esempio, esiste una macrodistinzione tra la prima e le altre persone: in particolare, i plurali della prima persona per NOI e NOSTRO sono lessicalizzati, ma non esiste una distinzione grammaticale tra la prima e la terza persona, situazione che invece non ricorre, se non in casi eccezionali, nelle lingue orali (Meier 1990);

– da un punto di vista morfosintattico, come le lingue parlate, anche le lingue dei segni manifestano delle relazioni di accordo tra verbo e soggetto come tra verbo e oggetto. Esse privilegiano però l'accordo tra verbo e oggetto, piuttosto che l'accordo tra verbo e soggetto, a differenza di quanto accada nella

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gran parte delle lingue parlate. Per i verbi delle lingue segnate che richiedono necessariamente l'accordo, risulta indispensabile che il verbo accordi con l'oggetto; l'accordo del verbo con il soggetto rimane invece opzionale. Dalla ricerca realizzata da Newport e Supalla (2000), basata su una gran varietà di lingue segnate, è emerso che queste ricorrono all'accordo verbale, ma anche all'ordine delle parole per distinguere gli argomenti del verbo;

– da un punto di vista sintattico, l'ordine delle parole è quindi uno degli espedienti con cui alcune lingue dei segni distinguono il soggetto dall'oggetto (Fischer 1975; Liddell 1980). L'ordine delle parole funge ovvero da contraltare rispetto all'accordo verbale e ciò si dà anche nelle lingue parlate. In alcune lingue romanze, infatti, come l'italiano o lo spagnolo, esiste una correlazione tra ordine delle parole e grado di marcatezza morfologica della struttura argomentale. Più questa è marcata più l'ordine delle parole perde rigidità. Allo stesso modo, anche nelle lingue dei segni, le relazioni grammaticali tendono a essere espresse sulla base di un equilibrio che permette una maggiore libertà nell'ordine delle parole in presenza di una ricca morfologia di accordo. Per converso, verbi delle lingue segnate che non prevedono accordo tra il verbo e un suo argomento privilegiano un ordine sintattico rigido, quello SVO (soggetto-verbo-oggetto). In ambito sintattico, la differenza più interessante tra le diverse lingue dei segni riguarda il ricorso o meno a forme di ausiliari; alcune lingue dei segni possiedono infatti degli ausiliari che recano le marche di accordo, altre no. Esse variano inoltre anche nell'ordine sintattico dominante: alcune, come l'ASL, prediligono l'ordine SVO, mentre altre, come la lingua giapponese dei segni, preferiscono l'ordine SOV. Variazioni similari si danno, com'è noto, anche nelle lingue parlate

– da un punto di vista lessicale, sia le lingue parlate che quelle segnate possiedono patrimoni lessicali ormai convenzionalizzati, all'interno dei quali si sono stabiliti cioè dei rapporti idiosincratici tra significante e significato delle entrate lessicali. Così come le lingue parlate, anche le lingue segnate possono ampliare il loro vocabolario attraverso processi di derivazione (Supalla e Newport 1978; Klima e Bellugi 1979), di composizione (Supalla e Newport 1978; Klima e Bellugi 1979) nonché di prestito (Padden 1998; Brentari 2001). Ciò equivale a dire che entrambi i tipi di codici inseriscono nuove voci nei loro lessici attraverso mezzi governati da regole sistematiche, in aderenza a una

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delle proprietà fondamentali del linguaggio: la produttività. Come le lingue parlate arricchiscono quindi continuamente il loro vocabolario attraverso il prestito da altre lingue o la creazione di composti, allo stesso modo il vocabolario delle lingue segnate si espande continuamente, secondo i medesimi meccanismi.

1.9 Conclusione

Lo studio del linguaggio segnato ha permesso agli studiosi di interrogarsi sulla capacità umana del linguaggio, gettando nuova luce sulle strutture del linguaggio stesso e inaugurando nuove prospettive teoriche sui processi cognitivi coinvolti.

In questo capitolo si è innanzitutto distinto il codice segnato dalla pantomima in merito a una serie di caratteristiche fondamentali. Si è poi dimostrato che il linguaggio segnato costituisce una forma di comunicazione che non smentisce, bensì condivide le caratteristiche fondamentali del linguaggio, ma che si esplica in un'altra modalità (visivo-gestuale), a dimostrazione che la facoltà di linguaggio non è necessariamente ancorata alla modalità acustico-vocale.

Un breve confronto tra lingua dei segni e lingua vocale ci ha permesso inoltre di capire quali proprietà della facoltà di linguaggio sono indipendenti dalla modalità. La variazione nelle lingue dei segni sembra essere molto più limitata rispetto alla variazione riscontrata nelle lingue parlate.

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CAPITOLO II

Le componenti sublessicali

2.1 I mezzi espressivi della lingua dei segni

La lingua dei segni si serve di mezzi espressivi diversi da quelli della lingua parlata. A differenza del canale comunicativo orale-acustico della lingua parlata, la lingua dei segni ricorre a mezzi espressivi manuali e non manuali. In quest'ultima a essere utilizzati sono le mani, le braccia, la testa, il busto, l'espressione del volto, la bocca e lo sguardo. Le mani e le braccia fanno parte dei mezzi espressivi di tipo manuale. Tutti gli altri sono mezzi espressivi di tipo non manuale.

La stessa ricerca linguistica si è concentrata inizialmente in modo esclusivo sullo studio sistematico dei segni manuali. Solo più tardi divenne chiaro che il canale non manuale della lingua dei segni era atto ad esprimere non solo i sentimenti, come accade per i parlanti, ma anche la grammatica.

2.2 Le unità fonologiche della lingua dei segni

Un assunto fondamentale del Dictionary of American Sign Language (1965) di Stokoe consiste nell'affermare che i segni corrispondono a strutture che si lasciano suddividere in sottocomponenti individuali, come accade per le parole della lingua parlata. Altri studiosi prima di lui avevano osservato i segni come unità globali non analizzabili o non scindibili. Secondo il modello analitico di Stokoe, rivisto nei due secoli scorsi da altri studiosi, i mezzi di espressione manuale si lasciano suddividere secondo 4 parametri: configurazione, posizione della mano, punto di esecuzione e movimento.

Quanto distingue quindi la lingua dei segni dalla pantomima è che nella prima vengono utilizzate solo specifiche configurazioni e posizioni della mano, così come specifici punti di esecuzione e movimenti. Il presupposto su cui si fonda ogni codice linguistico consiste infatti in un inventario limitato di elementi basali, i quali rendono possibile la condivisione del codice e la

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trasmissione dei messaggi.

2.3 La configurazione

La configurazione rappresenta una componente rilevante e pertinente del canale manuale, poiché esistono segni di significato diverso, distinti unicamente dalla forma della mano utilizzata. Nella lingua segnata della Svizzera tedesca i segni per FRAGEN e SAGEN costituiscono, ad esempio, una coppia minima, in quanto le loro strutture differiscono solo in un aspetto, vale a dire la handform utilizzata. Un esempio di coppia minima della lingua parlata è invece costituito da degen e fegen o da Hand e Hanf. A partire da queste coppie minime assumiamo che i fonemi /d/ e /f/ siano componenti pertinenti della lingua a livello fonologico.

Sebbene la mano possa assumere diverse configurazioni, solo un numero limitato di queste forme viene selezionato come pertinente all'interno di una data lingua dei segni. E' possibile perciò che le handform pertinenti in una lingua non lo siano in un'altra e viceversa. Poiché lingue dei segni diverse ricorrono a diversi gruppi di handform, è possibile esprimersi in una lingua segnata anche utilizzando un accento ben preciso. Se ad esempio in un nome proprio ricorre una handform pertinente in una lingua A, ma sconosciuta a una lingua B, alcuni segnanti della lingua B esprimeranno tale nome utilizzando l'accento della lingua di cui sono segnanti nativi. Ciò significa che in luogo di utilizzare una handform totalmente sconosciuta, ne utilizzano un'altra che, simile alla prima, ricorre effettivamente nella lingua segnata B. Malgrado non tutte le lingue segnate usino il medesimo gruppo di segni, esistono sei forme manuali che ricorrono in tutte le lingue dei segni finora studiate. Queste sei forme manuali di base sono anche quelle che vengono apprese prima dai bambini non udenti durante il corso dell'acquisizione (Boyes Braem 1990, McIntire 1987). Tutte le forme manuali possono essere ulteriormente segmentate in caratteri del tipo 'stretto', 'largo', 'ricurvo' etc. Questi caratteri sono paragonabili ai tratti distintivi della fonologia delle lingue parlate.

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2.4 La posizione o l'orientamento della mano

Con posizione o orientamento della mano si intende la posizione del palmo della mano a dita distese. La posizione della mano appartiene alle componenti fondamentali del canale manuale perché esistono segni i cui rispettivi significati significati si distinguono unicamente per la diversa posizione della mano. Nella lingua dei segni della Svizzera tedesca una coppia minima distinta unicamente dal cambiamento nella posizione della mano è costituita dai segni per TREFFEN e GLEICH.

TREFFEN GLEICH

2.5 Il punto di esecuzione

Diversamente dalla pantomima, quasi tutti i movimenti della lingua dei segni vengono costruiti ed eseguiti entro uno spazio limitato. Questa area viene chiamata spazio di segnatura. All'interno di questo spazio è possibile realizzare i segni in modo ridotto rispetto al solito, rendendo quanto nella lingua dei segni equivale al sussurrare della lingua parlata. Il segno viene così costruito all'interno dello spazio ordinario, ma il movimento risulta ridotto e il punto di esecuzione eventualmente fissato in una posizione più profonda e interna. Al contrario, se si vuole gridare qualcosa a qualcuno che si trova piuttosto lontano, è possibile costruire il segno all'esterno dello spazio normale di segnatura. In

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condizioni normali il segno viene comunque costruito all'interno dello spazio di segnatura ordinario. All'interno di questo spazio il punto di esecuzione può essere localizzato sul corpo o in sua prossimità, può anche essere fissato sull'altra mano o può anche essere realizzato semplicemente nello spazio.

Un recente studio sull'American Sign Language (Liddell & Johnson, 1989) distingue ben 18 punti di esecuzione sul corpo pertinenti sul piano lessicale: occipite, area al di sopra della testa, fronte, tempia, naso, guancia, orecchio, bocca, labbra, mandibola, mento, collo, spalla, sterno, petto, torace, braccio, avambraccio, addome, gamba. Il fatto che il punto di esecuzione sia pertinente sul piano lessicale significa che esistono segni con significati diversi che differiscono unicamente nel punto di esecuzione. I segni appartenenti alla lingua dei segni di Zurigo per PAPA e FRÜHLING, ad esempio, condividono le medesime handform e le medesime strutture posizionali, nonché lo stesso movimento, tuttavia differiscono per il punto di esecuzione del segno.

Nel momento in cui si percepisce la lingua dei segni, colui che riceve il messaggio tende a concentrare lo sguardo in direzione dell'area che intercetta gli occhi dell'emittente. Questo spazio viene chiamato focus percettivo o campo del volto. E' in questo spazio che i dettagli possono essere facilmente percepiti. Quanto più un segno si allontana dal focus percettivo, tanto meno facilmente verranno percepiti i dettagli. Uno studio di Siple (1978) mise in correlazione questa realtà fisiologica con la scoperta linguistica dell'esistenza di un maggior numero di segni che differiscono per i diversi punti di esecuzione concentrati nell'area del volto piuttosto che in aree di percezione più periferiche.

2.6 Il movimento

Il movimento è probabilmente l'aspetto più importante in seno all'analisi della lingua dei segni, ma al contempo il più complesso da esaminare. La componente del movimento è stata fino a pochi anni fa largamente trascurata dai linguisti e studi assai interessanti sul movimento nelle lingue segnate sono stati intrapresi solo recentemente. Uno di questi, che evidenzia particolarmente l'importanza di questa componente, è stato realizzato da Poizner, Bellugi e Lutes-Driscoll nel 1981. Nel corso di tale studio i ricercatori fissarono piccole

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sorgenti luminose in cinque punti del corpo (testa, spalle, gomiti, polsi e punta del dito indice) e ripresero con una telecamera diversi segni costruiti al buio, così che fosse visibile esclusivamente la traiettoria descritta dal movimento afferente al segno. Si osservò che i segnanti convocati per l'esperimento erano stati in grado di determinare l'86% dei segni solo a partire dalla traiettoria di movimento. Si tratta sicuramente di un risultato bisognoso di conferme, ma di certo sintomatico del fatto che si debba attribuire un significato fondamentale al movimento all'interno della lingua dei segni.

2.7 La combinazione delle quattro unità sublessicali

Non solo l'insieme delle componenti presentate rappresenta un quantitativo limitato di elementi, ma anche le possibilità di combinazione di queste componenti costituisce un insieme ridotto. Lingue parlate diverse ammettono parimenti diverse combinazioni delle loro componenti fondamentali. Ad esempio, in tedesco è permessa la combinazione /pf/ in parole come Pfund e

Pferd, quand'anche tale combinazione non sia contemplata dall'inglese.

Esistono ovvero combinazioni ricorrenti e ammesse in numerose lingue dei segni occidentali, ma che non sono ammesse ad esempio dalla lingua cinese dei segni e viceversa.

Esistono, ad ogni modo, come evidenziato da Robbin Battison (l978), delle regole di combinazione che sono condivise da tutte le lingue dei segni del mondo: la regola della simmetria e la regola della dominanza. La regola della simmetria afferma che qualora entrambe le mani si muovano al medesimo tempo, esse devono riprodurre la medesima handform. La regola della dominanza afferma invece che, qualora le mani riproducano una diversa handform, la mano dominante o forte esegue il movimento, mentre quella passiva o debole rimane ferma. La mano passiva potrà assumere inoltre solo una delle sei handforms fondamentali.

La combinazione delle componenti sublessicali è importante anche per altri processi linguistici della lingua dei segni. Ad esempio, gli studiosi hanno scoperto che nella lingua dei segni americana (da ora ASL) alcuni verbi possono essere derivati dai sostantivi corrispettivi solo a mezzo di un mutamento nel parametro del movimento (Supalla & Newport, 1978). I

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sostantivi sono ovvero identici ai verbi corrispettivi, se non per il fatto che il movimento viene ripetuto una volta di più e realizzato in uno spazio significativamente più ridotto. Ciò è quanto accade nella ASL per quanto concerne il sostantivo VERGLEICH e il verbo VERGLEICHEN.

2.8 Conclusione

I segni non sono unità inscindibili, ma si lasciano in analizzare in quattro componenti fondamentali: configurazione, posizione della mano, punto di esecuzione e movimento. I segni possiedono quindi una struttura complessa e possono essere scomposti in unità discrete.

Esistono regole fondamentali, valide presso tutte le lingue dei segni, che governano la combinazione di queste unità sublessicali.

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CAPITOLO III

Alcune conseguenze grammaticali della modalità visivo-gestuale 3.1 Funzioni linguistiche universali

I linguisti che studiano la lingua dei segni hanno scoperto che la sua grammatica presenta le medesime funzioni linguistiche universali che ricorrono anche nelle altre lingue naturali. Questo non significa che nella lingua dei segni rintracciamo esattamente tutto ciò che ricorre in questa o quell'altra lingua parlata. Ad esempio, la lingua dei segni non usa alcun articolo (der, die, das, etc.) e alcuna copula (la forma ist in una frase come Er ist krank). La mancanza di articolo e copula si trova anche in alcune lingue parlate, come il cinese. Esistono, tuttavia, molte forme e funzioni linguistiche che ricorrono fattivamente in tutte le lingue parlate e segnate del mondo. Tutte le lingue, ad esempio, conoscono delle modalità per esprimere un'azione, per indicare chi fa cosa a chi, per rinviare a un referente, per riferirsi a un determinato tempo.

E' interessante che molti di questi universali linguistici presentino nella lingua dei segni un'altra forma rispetto a quella conosciuta dalla lingua parlata, sebbene in entrambi i casi essi adempiano alle medesime funzioni.

3.2 Tempo di produzione della lingua parlata e della lingua dei segni

In questo contesto il concetto di 'produzione' si riferisce alla genesi dell'espressione linguistica attraverso gli strumenti del parlato o della segnatura. Si tratta dunque di quanto è esteriormente percettibile, piuttosto che del processo di formulazione eseguito internamente. Una delle prime significative ricerche svolte in merito in termini comparativi riguardava il confronto dei tempi di produzione della lingua segnata con quelli della lingua parlata. Bellugi e Fischer (1972) chiesero a tre persone (tutte e tre udenti, ma che avevano appreso la lingua dei segni dai loro genitori non udenti nel corso dell'infanzia) di raccontare la medesima storia/aneddoto, una volta nella lingua dei segni e una in inglese. Successivamente fu comparato il quantitativo di

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segni eseguiti al secondo con il quantitativo di parole pronunciate al secondo nello stesso lasso temporale. Gli studiosi stabilirono che il tempo di produzione dei singoli segni era molto più lungo di quello necessario per la produzione delle singole parole. I coinvolti produssero in un secondo il doppio delle parole rispetto ai segni. Ci si aspettava già, sulla base di ragioni fisiche, che l'esecuzione di un segno avrebbe richiesto più tempo rispetto a quello necessario per pronunciare una parola. La produzione di un segno richiede infatti un movimento attraverso lo spazio che, comparato a quello dell'apparato fonatorio. è di certo più ampio. Le ricercatrici allora compararono il tempo in cui i coinvolti riuscivano ad esprimere un pensiero o il contenuto di una frase nella lingua dei segni e nella lingua parlata. Questa comparazione permise di osservare che il tempo di produzione di un contenuto frasale proposizione nelle due lingue era per lo più coincidente (1,27 sec. nella lingua dei segni contro 1,47 sec. della lingua parlata). Questo risultato condusse alla seguente supposizione: esiste nelle diverse lingue una correlazione determinante tra il concetto/pensiero da esprimere e il tempo dinamico usato per esprimerlo. Questo rende chiaro perché risulta difficile comprendere una persona che parla troppo veloce o una che parla troppo lentamente.

3.3 La linearità della lingua parlata

Com'è possibile allora esprimere concetti/pensieri nella lingua dei segni altrettanto velocemente che nella lingua parlata se la produzione dei singoli segni richiede il doppio del tempo rispetto a quello necessario per la pronuncia delle singole parole?

Uno dei motivi consiste nel fatto che la lingua dei segni ricorre a forme linguistiche che si adattano in modo particolare alle modalità di produzione e ricezione di questo tipo di lingua. Le forme grammaticali della lingua dei segni sono idonee cioè a essere prodotte con le diverse parti del corpo e a essere recepite al medesimo tempo a livello visivo. La lingua parlata, al contrario, ha sviluppato forme grammaticali che sono più adatte alla loro modalità di produzione e ricezione acustica.

Formulato in modo molto generale possiamo dire che le lingue basate su fonazione e ascolto possono comunicare pensieri attraverso elementi linguistici

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