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Dr. Luciano Claudio Canton, Dr. Enrico Pistoia, Dr. Andrea Frustaci, Dr. Antonio de Gemmis, Prof. Daniele De Santis

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IL CARICO IMMEDIATO NELLA PRATICA CLINICA.

CARICO IMMEDIATO: INDICAZIONI, CONTROINDICAZIONI E REQUISITI

Dr. Luciano Claudio Canton, Dr. Enrico Pistoia,

Dr. Andrea Frustaci, Dr. Antonio de Gemmis, Prof. Daniele De Santis

Odontoiatri, Dipartimento di Chirurgia Maxillo-Facciale, Università di Verona

Professore Associato, Dipartimento di Chirurgia Maxillo-Facciale, Università di Verona

ABSTRACT

Il successo delle moderne tecniche implanto-protesiche permette ad un numero sempre maggiore di pazienti di usufruire di una riabilitazione protesica implantosupportata. Questo tipo di riabilitazione offre, infatti, risultati predicibili a lungo termine quando viene messa in atto seguendo le tecniche ormai ampiamente sperimentate. L’esistenza di questa alternativa fa sì che la protesi totale mobile e la protesi parziale rimovibile siano sempre più difficilmente accettate dal paziente. Inoltre in passato si riteneva che la predicibilità dell’osseointegrazione degli impianti fosse possibile solo grazie all’utilizzo di un preciso protocollo chirurgico e protesico: per un’ottimale integrazione degli impianti uno degli aspetti più enfatizzati era la necessità di un periodo di guarigione privo di stress funzionale di tre-sei mesi. Durante questo periodo di tempo il paziente era spesso costretto a portare protesi totali rimovibili non adatte a risolvere adeguatamente la temporanea inabilità estetica, fonetica e masticatoria.

Le conseguenze negative, sul piano psicologico e sociale, che derivavano da questo periodo di transizione tra la fase post-chirurgica e pre-riabilitativa ha spinto la ricerca nel campo dell’implantologia a sviluppare metodiche sempre più efficienti e rapide, fino ad arrivare al cosiddetto “carico immediato”.

Questa tecnica consente di ridurre drasticamente i tempi che intercorrono tra la fase chirurgica di inserimento degli impianti all’interno dell’osso e quella protesica di carico funzionale può migliorare la qualità di vita del paziente.

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43 INTRODUZIONE

Il fondamento teorico-clinico degli impianti a carico immediato prende le mosse da due considerazioni: innanzitutto i successi presentati in letteratura riguardanti gli impianti one-stage non sommersi e, in secondo luogo, la possibilità di utilizzare il carico funzionale come mezzo di induzione osteogenetica durante la fase di guarigione dell’osso.

• Secondo il protocollo Branemark la cicatrizzazione dei tessuti molli era una condizione indispensabile all’osseointegrazione in quanto il sigillo connettivo-epiteliale che si creava al di sopra della vite di chiusura dell’impianto avrebbe evitato l’instaurarsi di un’infezione 1,2. Tuttavia, il successo degli impianti non sommersi ha messo in discussione l’utilità di quel presupposto all’osseointegrazione: studi clinici hanno dimostrato, infatti, che anche con gli impianti non sommersi l’osseointegrazione è efficace 3,4.

• Secondo gli studi di Carter e Frost, che si riallacciano ai concetti della legge di Wolff, un carico produce una deformazione dell’osso sul quale viene applicato, sia esso osso maturo o in crescita (condizione che può essere paragonata alla fase di guarigione), di entità variabile a seconda dell’intensità dello stress funzionale. Questa deformazione viene tradotta dalla biologia ossea in un aumento del rimodellamento osseo positivo, fino a quando la sua entità rimane compresa tra 2000 e 4000 microstrain, ovvero all’interno del range del carico fisiologico 5,6. Tali concetti sono applicati già da molti anni in campo ortopedico attraverso il trattamento chirurgico delle fratture ossee con osteosintesi rigide o fissatori esterni 7.

È proprio la rigidità delle osteosintesi e dei fissatori esterni a far sì che l’entità di carico funzionale all’interfaccia dei monconi ossei non diventi eccessiva e, quindi, dannosa. Il

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44 concetto fondamentale è, quindi, che i monconi ossei siano protetti da un eccessivo movimento grazie a strutture rigide. La possibilità di trasmettere all’osso dei

“micromovimenti positivi” proteggendo gli impianti dai “micromovimenti negativi” (cioè di entità superiore alla soglia di tolleranza dell’osso) nell’ambito degli impianti a carico immediato è realizzato dalle strutture protesiche che prevedono lo splintaggio rigido degli impianti come conditio sine qua non per ottenere l’osseointegrazione.

LINEE GUIDA PER IL CARICO IMMEDIATO

Sulla scorta delle esperienze cliniche raccolte nel tempo utilizzando il protocollo Branemark e la tecnica degli impianti non sommersi e nel tentativo di soddisfare l’esigenza clinica di tempi operativi sempre più brevi, vari autori hanno da anni concentrato la loro attenzione sulle metodiche del carico immediato8, 9, 10.

Da queste esperienze è pertanto possibile ricavare alcune linee guida sulla tecnica del carico immediato che possono essere considerate valide pressoché dalla totalità degli autori al fine di ottenere il successo. Tuttavia, come, del resto, è accaduto in passato per il protocollo Branemark, anche le linee guida per il carico immediato necessitano di un ulteriore periodo di tempo per essere adeguatamente valutate empiricamente e per poter distinguere quali tra di esse siano realmente necessarie. Solo allora, infatti, si disporrà di un vero e proprio protocollo per il carico immediato.

Un requisito ritenuto universalmente indispensabile al fine di ottenere l’osseointegrazione è la protezione dell’interfaccia osso-impianto. È molto importante focalizzare l’attenzione sul fatto che non è tanto il carico immediato ad essere deleterio per l’osseointegrazione quanto, piuttosto, un eccessivo movimento all’interfaccia osso-impianto. La soglia di micromovimento accettabile è stata identificata da Szmukler-Moncler et al.11, essa è

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45 compresa tra 50 e 100 micron ed è fondamentale fare in modo che il micromovimento non ecceda tale limite.

Un micromovimento eccessivo, infatti, danneggerebbe il tessuto e le strutture vascolari implicati nella guarigione dell’osso. Il micromovimento ostacolerebbe lo sviluppo di un’adeguata impalcatura fibrinica e distruggerebbe la rigenerazione di una nuova rete vascolare, che a sua volta interferisce con l’arrivo di cellule rigenerative. Il processo può, quindi, evolvere verso la riparazione fibrosa anziché verso la rigenerazione ossea12. Il fattore critico per il raggiungimento del successo consiste, quindi, nel controllo del micromovimento all’interfaccia osso-impianto. D’altronde anche la tecnica in due fasi, che prevede la sommersione degli impianti, può essere considerata come un modo per proteggere l’interfaccia osso-impianto. Tuttavia, la protesi mobile provvisoria, spesso indossata dal paziente durante il periodo di guarigione, può sovraccaricare gli impianti non ancora osseointegrati e determinare una quantità non nota di micromovimento all’interfaccia osso-impianto. I fattori che influiscono sul micromovimento sono numerosi e la possibilità di sfruttarli a vantaggio dell’osseointegrazione gioca un ruolo importante nella pianificazione e nell’utilizzo della tecnica del carico immediato. Alcuni di questi fattori sono legati all’impianto stesso, altri all’osso ricevente, altri ancora alla modalità di riabilitazione protesica. I fattori dipendenti dall’impianto sono le caratteristiche macroritentive e microritentive; la lunghezza ed il diametro; il numero minimo e la disposizione degli impianti stessi; la capacità di essere autofilettanti e di avere buona stabilità primaria.

• Caratteristiche macroritentive: gli impianti a vite grazie alla capacità di ottenere fin da subito un buon impegno corticale sembrano essere preferibili.

• Caratteristiche microritentive: nelle situazioni di caricamento immediato dove sono auspicabili entità e rapidità massime dell’osseointegrazione, si dovrebbero prendere in

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46 considerazione gli impianti con trattamenti superficiali che permettono un contatto osso- impianto maggiore rispetto alle superfici lisce, in quanto la rugosità della superficie determina un aumento della superficie stessa dell’impianto disponibile al contatto con l’osso.

• Lunghezza e diametro: anche con la tecnica del carico immediato vale il principio secondo il quale è bene cercare di avere la massima stabilità dell’impianto utilizzando impianti della lunghezza e del diametro maggiore possibile.

• Numero e disposizione: il numero e la disposizione degli impianti dipendono dal tipo di riabilitazione protesica che si intende realizzare. Per quanto riguarda la disposizione degli impianti, secondo l’ipotesi di Skalak13 gli impianti dovrebbero essere distribuiti lungo un arco il più ampio possibile poiché ciò in genere riduce il carico massimo per ciascun impianto.

• Capacità autofilettante e stabilità primaria: gli impianti di tipo “self-taping” sono preferiti nella metodica del carico immediato poiché l’autofilettatura rappresenta un fattore di ulteriore stabilizzazione. La stabilità primaria dell’impianto è, infatti, ritenuta una condizione indispensabile per poter realizzare il carico immediato. Essa deve essere ricercata primariamente attraverso l’ingaggio bicorticale, soprattutto a livello del mascellare superiore dove la qualità dell’osso è inferiore. Tra i fattori che influiscono sul micromovimento a livello dell’interfaccia osso-impianto ci sono anche il tipo di osso e, ovviamente, la disponibilità di osso.

• Tipo di osso: la qualità dell’osso appare essere un fattore importante per il successo: il carico immediato può avere risultati predicibili solo se applicato in aree, come la zona intraforamina della mandibola, con corticali ossee dense e spesse, tali da permettere un buon ingaggio da parte dell’impianto. Il tipo di osso ideale, secondo Jaffin et al.14, dovrebbe avere una densità superiore a 350 Hounsfield misurata con TC.

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• Quantità di osso: questo parametro è strettamente collegato alle dimensioni dell’impianto. Infatti, la quantità di osso disponibile determina la lunghezza ed il diametro degli impianti ed in questo senso ha un’influenza sul micromovimento all’interfaccia osso-impianto. Impianti con diametro e lunghezza maggiori forniscono un’area di superficie maggiore per l’iniziale contatto osso-impianto nonché per l’osseointegrazione.

Fondamentale è l’utilizzo di uno splintaggio rigido degli impianti che permette di solidarizzarli tra loro e di distribuire i carichi funzionali su più elementi abbassando l’entità dello stress funzionale su ogni singolo impianto15 (Skalak 1983).

Le tecniche di immobilizzazione più utilizzate sono:

1. protesi provvisoria in resina;

2. protesi provvisoria armata;

3. protesi definitiva Toronto bridge;

4. barra metallica di Dolder per overdenture.

Quale sia la modalità più idonea non è ancora chiaro, la caratteristica fondamentale è che lo splintaggio avvenga in modo rigido.

• Fit e passività: Il “fit” è il preciso adattamento della struttura metallica agli

“abutments”, mentre l’adattamento passivo è definito come un’interfaccia metallo- metallo con tolleranza rigida tra sovrastruttura e pilastri implantari. Il corretto adattamento delle strutture protesiche si rileva già all’inserimento delle stesse: se l’adattamento è ottenibile con un forte serraggio delle viti di fissaggio verranno prodotte forze passive di notevole entità (non dipendenti dal carico) con conseguente distruzione dell’osso peri-implantare. Ciò, tuttavia, risulta essere particolarmente vero nel caso dell’utilizzo della tecnica sommersa secondo la quale la struttura protesica viene applicata quando l’osseointegrazione è già avvenuta, cioè quando l’impianto e l’osso

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48 sono connessi rigidamente. Diversamente, con la tecnica del carico immediato per lievi discrepanze tra struttura metallica ed “abutment” esiste una certa tolleranza in quanto si pensa che sia possibile condizionare l’osseointegrazione nella posizione voluta.

• Schema occlusale: al fine di dare una distribuzione omogenea ai carichi, si consiglia un’occlusione bilaterale bilanciata.

FASE PRECHIRURGICA

La pianificazione delle diverse fasi del trattamento terapeutico è essenziale per il successo a lungo termine della riabilitazione orale utilizzando impianti dentali e la selezione dei pazienti è una delle fasi critiche nella pianificazione del trattamento.

Per ciò che concerne il carico immediato le indicazioni e le controindicazioni generali e locali non differiscono di molto da quelle valide per l’implantologia eseguita secondo il protocollo Branemark.

Prima di iniziare qualsiasi trattamento è importante eseguire un’attenta anamnesi medica, soprattutto per quanto concerne gli aspetti patologici prossimi e remoti, i quali permettono di identificare i pazienti a rischio.

Le controindicazioni mediche generali possono essere distinte in due gruppi definiti

“fattori di rischio elevato” e “fattori di rischio”.

Le malattie sistemiche gravi come l’artrite reumatoide o malattie ossee come l’osteomalacia o l’osteogenesi imperfetta controindicano la riabilitazione implantologica poiché ad alto rischio di insuccesso.

Pazienti immunocompromessi a causa di infezioni virali (HIV) o a causa di terapie farmacologiche (corticosteroidi ad alte dosi, chemioterapia oncologica, ecc.) hanno una

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49 minor capacità rigenerativa durante la fase di guarigione della ferita ed un’inadeguata risposta del sistema immunitario.

Pazienti che abusano di fumo, alcool o droga così come pazienti con disturbi mentali non possono essere considerati affidabili per quanto riguarda la compliance ed il rispetto delle normali norme di igiene orale e dei controlli per il follow-up post- chirurgico.

La radioterapia altera la vascolarizzazione tissutale e ciò può essere considerato un fattore di rischio, pertanto sembra opportuno attendere un adeguato periodo di tempo dopo la radioterapia prima di eseguire l’implantologia.

Il diabete controllato rappresenta un fattore di rischio minore, tuttavia, specialmente nei casi di diabete, è necessario porre particolare attenzione alle condizioni del paziente.

I disturbi della coagulazione come diatesi emorragiche o assunzione di farmaci anticoagulanti vanno considerati come fattori di rischio per la terapia implantologica.

Il volume osseo insufficiente grazie alle moderne tecniche di chirurgia preprotesica è considerato solo una controindicazione temporanea.

Anche patologie parodontali non trattate sono una controindicazione temporanea, quali possibili fonti di infezioni crociate. Analogamente residui radicolari e patologie o infezioni locali eventualmente presenti dovrebbero essere rimossi e trattate prima di iniziare una terapia implantologica.

Malattie bollose o erosive sono considerate controindicazioni locali a causa del loro background autoimmunitario. Esse, infatti, spesso richiedono un trattamento immunosoppressivo topico o sistemico.

La xerostomia può essere associata a terapie farmacologiche prolungate o a trattamento di malattie autoimmunitarie e si riscontra spesso nei pazienti anziani.

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50 Poiché la saliva contiene fattori antimicrobici e ha un ruolo nel mantenimento di una buona igiene orale, la diminuzione del flusso salivare viene considerata un fattore di rischio locale.

Si è visto che il bruxismo è collegato ad un aumento del rischio di fallimento degli impianti49. Il bruxismo determina, infatti, un sovraccarico dell’interfaccia osso-impianto che provoca la perdita dell’osseointegrazione.

Per quanto riguarda gli approfondimenti diagnostici necessari viene richiesto al paziente di eseguire un’ortopantomografia (OPT) delle arcate mascellari e, in taluni casi, anche una teleradiografia latero-laterale (TELE-LL); solo nei casi in cui la determinazione dei rapporti delle diverse strutture anatomiche risulta particolarmente complessa si eseguono indagini radiologiche mediante tomografia computerizzata (TC).

Dopo l’analisi degli esami radiografici può iniziare la pianificazione protesica del caso.

A questo punto uno studio accurato del paziente è determinante per la buona qualità del manufatto protesico in quanto è durante questa fase che viene ricavata la maggior parte delle informazioni necessarie per la realizzazione della protesi ed il corretto posizionamento degli impianti endossei.

Nella tecnica del carico immediato, infatti, è fondamentale che la chirurgia implantare sia guidata dalla pianificazione protesica: solo così l’asse maggiore dell’impianto e l’asse protesico ideale potranno coincidere e solo così l’applicazione della protesi potrà essere realmente “immediata”.

Diversamente il carico sugli impianti non sarebbe assiale e determinerebbe eccessive sollecitazioni all’interfaccia osso-impianto.

Per prima cosa vengono prese le impronte preliminari che servono alla realizzazione del modello di studio sul quale l’odontotecnico esegue una ceratura diagnostica.

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51 Una volta realizzata, la ceratura viene provata direttamente nella bocca del paziente al fine di determinarne i corretti rapporti occlusali e la dimensione verticale.

Ciò risulta particolarmente utile nel caso di pazienti totalmente edentuli.

La ceratura diagnostica serve, poi, per la realizzazione della dima radiologica (e chirurgica), oltre che per la fabbricazione della nuova protesi, sia essa un’overdenture o una protesi fissa.

In alcuni dei casi in cui si intende realizzare un’overdenture la buona qualità della protesi totale rimovibile indossata dal paziente permette di riutilizzarla e di trasformarla in un’overdenture.

In questo caso il tecnico non esegue una ceratura, ma si limita a riprodurre la protesi del paziente in resina acrilica trasparente che funzionerà da dima.

Dalla ceratura diagnostica viene, infine, ricavato il cucchiaio individuale che servirà al momento della presa dell’impronta definitiva, mentre nel caso in cui si decida di riutilizzare la protesi del paziente, sarà utilizzata quest’ultima come “cucchiaio individuale”.

Una volta ottenuta la dima radiologica il paziente esegue una nuova ortopantomografia (OPT) e/o una TC Denta Scan; successivamente la dima viene trasformata in laboratorio da radiologica a chirurgica.

Ciò può essere realizzato ponendo nella dima radiologica dei fori guida per le frese.

A questo punto tutto è pronto per iniziare la fase chirurgica.

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52 FASE CHIRURGICA

La decisione di eseguire la chirurgia con anestesia loco regionale in poltrona oppure con anestesia generale in sala operatoria dipende dalle condizioni generali del paziente, dalla durata prevista dell’intervento e da specifiche richieste del paziente.

Nella maggior parte dei casi, comunque, è sufficiente il blocco farmacologico bilaterale del nervo alveolare inferiore e del nervo linguale alla spina dello Spix con Mepivacaina cloridrato (Carbocaina) con o senza adrenalina.

Nella tecnica del carico immediato, utilizzando impianti transmucosi o semplicemente fixtures connesse direttamente al momento dell’inserimento agli abutments, non è richiesta una copertura ermetica dell’impianto e pertanto viene praticata una incisione crestale.

Essa si estende all’incirca dalla sede del primo molare di un lato a quella del lato controlaterale.

Vengono, poi, eseguite un’incisione verticale mediana e/o due incisioni oblique distali di rilascio; non tutti gli autori, però, sono d’accordo sulla necessità delle incisioni di scarico.

Dopodiché si scolla un lembo a spessore totale sia vestibolare che, in misura inferiore, linguale, e si localizzano i forami mentonieri. Ove necessario si esegue un rimodellamento della parte più coronale dell’osso alveolare con frese da osso a rosetta al fine di ottenere uno spessore vestibolo-linguale della cresta ossea tale da permettere l’inserimento di impianti con un diametro minimo di 3,4 mm e lunghezza minima di 10 mm.

A questo punto si posiziona la mascherina chirurgica e si marcano i siti implantari, procedendo, poi, con la preparazione degli stessi attraverso l’uso delle apposite frese

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53 fino al conseguimento della sede implantare desiderata sia per quanto riguarda il diametro che la lunghezza.

Per individuare l’inclinazione mesio-distale e vestibolo-linguale degli impianti si utilizzano la mascherina chirurgica e gli appositi pins di parallelismo che permettono di verificare l’angolazione della preparazione anche rispetto all’arcata superiore.

Nel posizionare gli impianti è utile raggiungere il bicorticalismo, almeno nella zona mentoniera della mandibola. A questo punto i lembi vengono suturati con punti staccati e vengono posizionati “abutments” e perni da impronta, o solamente questi ultimi, a seconda del tipo di impianti utilizzati; dopodiché si procede con la presa dell’impronta definitiva per la realizzazione della barra o della struttura metallica.

La presa dell’impronta può avvenire attraverso l’impiego di resina acrilica autopolimerizzante o di materiale per impronta siliconico. Per la copertura antibiotica profilattica viene prescritta dell’amoxicillina da 1 g somministrata per os 2 o 3 volte al dì, a seconda del peso del paziente, per 5-7 giorni.

Per il controllo del dolore si consigliano farmaci antiinfiammatori non steroidei (escludendo, però, l’acido acetilsalicilico) al bisogno.

Si consiglia, inoltre, al paziente di utilizzare clorexidina gluconato allo 0,12% dopo ogni pasto per due settimane a partire dal giorno dopo l’intervento e di iniziare a spazzolare la barra o la protesi fissa con uno scovolino 1 settimana dopo la chirurgia.

Per le due settimane successive al posizionamento della barra si istruisce il paziente a mangiare cibi morbidi o semiliquidi.

Prima del posizionamento della barra o della protesi fissa il paziente viene sottoposto ad un controllo radiografico postchirurgico tramite l’esecuzione di un’ortopantomografia (OPT).

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54 Il paziente può, così, lasciare lo studio odontoiatrico per ritornarvi entro 48 ore per il posizionamento del manufatto protesico.

Alcuni autori, pur parlando di carico immediato, applicano la protesi dopo 7-20 giorni.

FASE PROTESICA E CONTROLLI

L’impronta definitiva non appena rilevata viene consegnata all’odontotecnico per lo sviluppo dei modelli di lavoro ed il confezionamento del manufatto protesico.

OVERDENTURES

L’odontotecnico nel laboratorio provvede alla fabbricazione della barra, generalmente con una lega aurea del IV tipo.

I sistemi di ritenzione delle overdentures possono essere classificati in due gruppi:

• Tipo I: ritentori contenuti nella protesi che si ancorano ad una barra che connette due o più impianti.

• Tipo II: ritentori contenuti nella protesi che si ancorano ad impianti singoli.

Poiché nella tecnica del carico immediato è necessario splintare gli impianti gli uni agli altri al fine di distribuire i carichi funzionali gli attacchi singoli non possono venire utilizzati. Si impiegano, infatti, barre di Dolder. Le barre a snodo, come quelle di Akermann o Dolder a sezione rotonda trasmettono i movimenti della protesi direttamente e senza mitigazione alla barra, ai suoi connettori e agli impianti. Pertanto, quando c’è la necessità di avere overdentures con movimenti limitati sotto carico funzionale (come nella metodica del carico immediato) non si dovrebbero impiegare

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55 questi tipi di barra. Per evitare carichi controassiali dei pilastri implantari e ottenere, invece, un carico prevalentemente intrusivo sugli stessi molti autori preferiscono utilizzare una barra di Dolder con profilo ad U, a guida laterale parallela e, quindi, a frizione continua supportata da 4 impianti.

Data l’importanza della precisione e rapidità nella fabbricazione della barra, nella tecnica del carico immediato è preferibile affiancarsi ad un laboratorio odontotecnico dotato di saldatrice laser.

Dopo aver realizzato la barra il tecnico adatta i cavalieri a frizione alla lunghezza desiderata e li inserisce sulla protesi nella giusta posizione.

A questo punto la barra viene provata in bocca. Alcuni autori sottolineano l’importanza del fatto che la barra calzi con assoluta passività sui monconi protesici degli impianti. In realtà gli impianti a carico immediato sembrano tollerare un lieve grado di tensione iniziale in quanto non essendo ancora avvenuta l’osseointegrazione tra osso ed impianto, essi non sono ancora connessi rigidamente e si pensa che si possa condizionare la guarigione dell’interfaccia osso-impianto nella posizione desiderata. La rete di fibrina che si viene a formare nel sito implantare subito dopo il posizionamento dell’impianto, infatti, permette un lieve spostamento dell’impianto stesso.

Se la barra è corretta viene eseguita una ribasatura morbida della protesi per permetterne un miglior adattamento ai tessuti molli edematosi, ed, infine, la protesi viene applicata alla barra.

Per le prime giornate è bene che il paziente non tolga la protesi, essa verrà rimossa solo al momento delle visite di controllo per eseguirne la pulizia, evitando così incongrue eccessive sollecitazioni agli impianti da parte del paziente.

La ribasatura morbida viene ripetuta dopo 15 giorni dall’intervento ed ad un mese si esegue un controllo dell’occlusione. Vanno considerate frequenti ribasature per qualche

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56 mese dall’applicazione della protesi fino alla completa maturazione dei tessuti molli.

Dopodiché si esegue la ribasatura definitiva.

LA CHIRURGIA COMPUTER-ASSISTITA: UNA NUOVA FRONTIERA NEL CARICO IMMEDIATO

Un sistema di chirurgia computer-assistita, grazie alle sue funzionalità, permette di pianificare ed eseguire un corretto e preciso inserimento di impianti endossei, abutments e protesi provvisoria in una singola seduta16. Il software computerizzato offre indubbiamente numerosi vantaggi nelle riabilitazioni implanto-protesiche per pazienti totalmente o parzialmente edentuli.

Questi vantaggi possono essere riassunti rispettivamente nelle tre fasi principali racchiuse in un intervento: fase pre-chirurgica; fase chirurgica; fase protesica.

Nella fase pre-chirurgica, dominata dalla pianificazione dell’intervento che deve essere il più possibile precisa. La possibilità di visualizzare ed individuate le strutture anatomiche nobili e a rischio, poter valutare la corretta posizione degli impianti valutando la loro angolazione, la loro emergenza, oltre che all’esatto numero, diametro e lunghezza, è di grande aiuto nel realizzare una chirurgia protesicamente guidata.

Inoltre, la tecnologia della chirurgia computer-assistita permette un accurato inserimento degli impianti dopo un’analisi dell’osso alveolare. Grazie a ciò è possibile utilizzare interamente l’osso residuo, aumentando cosi la possibilità di ottenere l’osteointegrazione degli impianti17, garantendo la massima area di contatto tra osso e impianto, permettendo di avere torque di inserimento elevati.

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57 Nella fase strettamente chirurgica, la possibilità di essere guidati in ogni singolo passaggio dell’inserimento flapless dell’impianto, riduce marcatamente la durata dell’intervento, aumentandone per contro la sicurezza.

Infine, la possibilità da parte del tecnico di realizzare una protesi pre-fabbricata, prima dell’intervento chirurgico stesso, sulla base delle informazioni ottenute dalla guida chirurgica, permette di azzerare i tempi d’attesa protesici garantendo un’immediata funzionalizzazione degli impianti inseriti18.

Tutto ciò ovviamente non preclude il rispetto delle linee guida proposte per il carico immediato, riducendo cosi il rischio di fallimenti19.

È infine da sottolineare la marcata diminuzione di complicanze di tipo chirurgico che possono insorgere sia durante la chirurgia implantare che nel periodo post-operatorio grazie all’utilizzo di questo protocollo.

Difatti i pazienti non riportano sanguinamento, edema, infezioni o dolore persistente.

Grazie ai risultati ottenuti la qualità di vita dei pazienti rimane pressoché invariata rispetto a quella presente prima dell’intervento.

Per quanto riguarda la riabilitazione protesica sono rare le complicanze, come frattura di elementi protesici o implantari, perdita di viti o altro.

Infine la realizzazione di una protesi pre-fabbricata consegnata nell’immediato post- operatorio consente il corretto ottenimento di risultati estetici e funzionali di ottimo livello.

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58 CONCLUSIONI

Dopo un’accurata revisione della letteratura clinica presente ed avvalorato dalla pratica clinica quotidiana la conclusione degli autori è che il carico immediato rappresenta una realtà clinica affidabile e predicibile nei risultati.

Tuttavia, un corretto protocollo operativo, preceduto da una corretta pianificazione e una successiva riabilitazione protesica è condizione essenziale per il successo di questa procedura

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