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Conclusioni critiche Il mio lavoro di ricerca si è posto come obiettivo di analizzare la difficoltà reale di collaborare in situazioni di emergenza

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Academic year: 2021

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Conclusioni critiche

Il mio lavoro di ricerca si è posto come obiettivo di analizzare la difficoltà reale di collaborare in situazioni di emergenza239. Come succede anche agli

esperimenti di laboratorio si devono mettere in conto i fallimenti, le reazioni non riuscite. Questo è uno degli aspetti più importanti, perché si delineano le alternative, riflettendo meglio sul complesso degli elementi in gioco e apportando le opportune modifiche. Personalmente, proprio attraverso questa crescita, il cammino di ricerca mi ha portato a tentativi, risvolti e sviluppi, in realtà geografiche specifiche, giungendo a concludere che una tra le chiavi più importanti e concrete per una proficua collaborazione in situazioni di emergenza sia una formazione personale (sviluppare le capacità) a monte, precedente all’emergenza240, ma contemporanea anche

allo sviluppo del gruppo (a seconda del tipo di organizzazione) con cui si interagisce (già attivo in situazione di normalità). Un sistema bivariante dove

l'uomo dà forza e coesione a sè e al gruppo e dove il gruppo crea coesione

e forza nell'uomo.

I risultati ottenuti attraverso tutto il mio ultimo quadriennio Universitario, attraverso ricerche, laboratori, tecniche sperimentate, convegni e studi si possono dunque riassumere in tre filoni trasversali e complementari per una progettualità matura.

Il primo è lo studio e l’implementazione della figura del gruppo guida241,

passando dalla figura del Disaster Manager242, ma collocandosi nella

formazione di un team che aiuti a sviluppare collaborazione negli addetti e 239 Vedasi, in particolare, per la collaborazione il par. 1.3 e, per l’emergenza, il collegamento tra il par.

1.2 e il par. 1.4.

240 Cfr. le idee al cap. 2.

241 Cfr. l’impostazione successiva del cap. 3. 242 In specie affrontato al par. 2.2.

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tra la popolazione e le istituzioni, che faccia crescere il livello base di cultura del rischio e il ruolo partecipativo e di fiducia243 per una comunicazione

tramite una mappa logoterapica244 creativa, senza sostituirsi alle comunità.

Sempre si è pensato all’emergenza come qualcosa da affrontare personalmente o integrandoci con le forze “responsabili” come la Protezione Civile o la Prefettura. Ma questo non basta né è più sufficiente. Collaborare significa crescere personalmente verso una relazione consapevole di fiducia e di intesa, dove tutti tentiamo di diventare attori positivi e forza comune nel momento “del bisogno”. Certo, la strada è ancora lunga, ma è adesso chiara: è necessario cioè far maturare una cultura che accolga queste scoperte.

Il secondo filone porta alla luce le innovative riflessioni e le sperimentazioni attive fatte con alcune techiche metodologiche del SE’ (Maratona245, Psicodramma246) e con gli ALTRI (lo Stare in rete e la nascita

dell’istituto EPII–GN247; il dedicarsi alla crescita nei bambini, dove la

plasticità cerebrale è maggiore, passando dagli aquiloni alle mongolfiere, iniziando un progetto innovativo nelle scuole e affacciandosi alle Protezioni Civili), fino ad arrivare a vere e proprie tecniche relazionali, quali il Focus

Group248 e T–Group249.

È qui che si sottende una Formazione, a vari livelli, prima di tutto sulla crescita della persona in quanto tale, in quanto necessità di diventare consapevoli dei propri sogni e bisogni. In tutte le età evolutive e in ogni campo di studio e soprattutto utile in emergenza. Al proprio modo di essere,

243 Cfr., “come ingenerare le motivazioni” al par. 2.4 fino al par. 3.2.1 per la nascita dell’intesa. 244 In realtà una tecnica maieutica per la ricerca del proprio significato, descritta al par. 2.3. 245 Cfr. il par. 4.1.1 nei primi capoversi.

246 Capoversi conclusivi, sempre al 4.1.1. 247 Cfr. note 4 e 211.

248 Vedi nota 220 e par. 4.2.

249 Vedi nota 228 e par. 4.2 al termine.

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di divenire, per progettare razionalmente ed emotivamente nel conoscersi e nell’incontrare i propri contemporanei, il saper essere250.

Effettivamente, una volta “in formazione”, una volta “competenti”, aperti alle nostre e alle esigenze altrui, tutto può andare in crisi, in conflitto interno ed esterno, se nel gruppo non sappiamo collaborare. Questa ricerca, queste esperienze volutamente vissute in prima persona sviluppano la riflessione e mettono in connessione varie discipline, in modo da far fluire le energie al meglio, nel giocarsi integralmente, il saper stare251.

Un’emergenza che richiama un palcoscenico dove tra gli attori, oltre ai disastrati, ci sono gli stessi operatori, che vi partecipano senza sapere quello che possono trovare, ma mettendo in atto una sorta di corresponsabilità

creativa. Gli operatori devono cioè essere stati formati a “sentirsi in grado di

partire per gestire l’incertezza252”, partire avendo in tasca il biglietto di ritorno

d’integrità psicofisica, per mettere in atto poi le tecniche e i protocolli più opportuni. Di tornare infine laddove però preferenzialmente si era già attivato un lavoro preventivo di collaborazione, di gruppo, di comunità al fine di non fare solo “becchinaggio psicologico”, ma sostegno reciproco su relazioni culturali già vive.

Infine il terzo punto di creatività specifica per l’emergenza concerne la messa a punto e il perfezionamento del software Haria–2253 sviluppato da

sociologi, antropologi culturali in collaborazione con informatici ed ingegneri,

250 In sintesi il par. 4.1.1. 251 In sintesi, il par. 4.1.2.

252 Cfr. De Marchi B. – Pellizzoni L. – Ungaro D., 2000, Il rischio ambientale, Il Mulino, Bologna, pp.

63–68 ed uscito il mese scorso, Pellizzoni L. (a cura di), 2005, La deliberazione pubblica, Meltemi edu, Trieste, cap.1 e cap.3 pp. 91–114. Si tratta di distinguere, rischio, certezza ed incertezza, soprattutto a livello economico, storico e sociologico, ma anche dal punto di vista “psicologico, culturale, sociale, etico e politico–amministrativo”. E principalmente “in ogni valutazione del rischio entrano due elementi: la possibilità di accadimento di un certo evento e la magnitudo delle sue conseguenze, che si intendono negative quando si tratti di salute o di ambiente.”

253 I passaggi notevoli sono al par. 3.2.3, 4.1.2, nel cap. 4.2 e in Appendice, ognuno con un aspetto

concatenato al tema.

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con idee ed intuizioni di psicologi, di pedagoghi, di geologi, di persone comuni e di addetti ai lavori, comprovato in alcune esercitazioni, e tuttora in corso d’opera.

Ecco che collaborare in “emergenza” è un progetto pre–emergenza, dove si sviluppa un gruppo guida, si “mastica” formazione e crescita personale, e di gruppo, nella realtà specifica dove siamo in allerta, in cooperazione con gli addetti ed i responsabili d’ufficio. Si sviluppano competenze collaborative da utilizzare in contesti anche “fuori dai margini”, fuori dall’ordinarietà, come cultura preventiva progettuale, imparando una gestione di software, di tecniche GIS, mettendosi in rete e imparando attraverso l’esperienza sul campo delle esercitazioni, e non solo, che collaborare è possibile, ed è anche l’unica scelta di partecipazione che dovremmo poter mettere in atto consapevolmente nell’ordinarietà, perché quest’ultima lo sia davvero, e lo sia in pace254.

254 Vedi, tra gli altri, Consorti P., 2002, L’avventura senza ritorno – Intervento e ingerenza umanitaria

nell’ordinamento giuridico e nel magistero pontificio, Edizioni Plus – Pisa University Press, pp. 28 e

ss. ed anche pp. 99 e ss. nella citazione dalla Pacem in Terris (1963) del Magistero di Giovanni XXIII “Quare aetate hac nostra, quae vi atomica gloriatur, alienum est a ratione, bellum iam aptum esse ad violata iura sarcienda”. Cfr. anche l’idea strutturale riferibile a Consorti P., 2005, Legislazione del

Terzo settore, Edizioni Plus – Pisa University Press, pp. 61 e ss.

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