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3.2. L’AMBIGUITÀ IRRIDUCIBILE : IL DIAVOLO

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Academic year: 2021

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3.2. L’AMBIGUITÀ IRRIDUCIBILE: IL DIAVOLO

Analizzando il personaggio di Riobaldo, ci siamo imbatutti – lateralmente – in un’altra figura che non è propriamente un personaggio, ma che costituisce una presenza costante all’interno del romanzo: il diavolo. Infatti è proprio intorno all’esistenza o alla non esistenza del demonio che si struttura il discorso del narratore all’uomo di città. In questo capitolo prenderemo in esame questa particolare tipologia di demonio, cercando di collocarla all’interno della tradizione popolare sertaneja, ma soprattutto identificandone la funzione all’interno di Grande sertão, in quanto ‘figura’ dell’ambiguità.

È d’obbligo iniziare la trattazione col citare un brano molto celebre, situato circa all’inizio del romanzo e in cui, in poche parole, ci vengono fornite le prime essenziali coordinate per comprendere con che tipo di “personaggio” abbiamo a che fare quando parliamo del diavolo in Grande sertão:

O diabo existe e não existe? Dou o dito. Abrenúncio. Essas melancolias. O senhor vê: existe cachoeira; e pois? Mas cachoeira é barranco de chão, e água se caindo por ele, retombando; o senhor consome essa água, ou desfaz o barranco, sobra cachoeira alguma? Viver é negócio muito perigoso... Explico ao senhor: o diabo vige dentro do homem, os crespos do homem – ou é o homem arruinado, ou o homem dos avessos. Solto, por si, cidadão, é que não tem diabo nenhum. Nenhum! – é o que digo. O senhor aprova? Me declare tudo, franco – é alta mercê que me faz: e pedir posso, encarecido. Este caso – por estúrdio que me vejam – é de minha certa importância. Tomara não fosse... Mas, não diga que o senhor, assisado e instruído, que acredita na pessoa dele?! Não? Lhe agradeço. Sua alta opinião compõe minha valia. Já sabia, esperava por ela-já o campo! Ah, a gente, na velhice, carece de ter sua aragem de descanso. Lhe agradeço. Tem diabo nenhum. Nem espírito. Nunca vi. Alguém devia de ver, então era eu mesmo, este vosso servidor. Fosse lhe contar... Bem, o diabo regula seu estado preto, nas criaturas, nas mulheres, nos homens. Até: nas crianças – eu digo. Pois não é ditado: “menino –

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trem do diabo”? E nos usos, nas plantas, nas águas, na terra, no vento... Estrumes. ... O diabo na rua, no meio do redemunho...1

Il brano appena citato ci dà delle informazioni importanti tanto sulla caratterizzazione della figura del demonio quanto sul rapporto che con essa istituisce il narratore, attraverso la mediazione di una figura terza: l’interlocutore. Prenderemo in esame distintamente questi due aspetti. Iniziamo dalla caratterizzazione del “personaggio”.

Oltre a fare riferimento a un sostrato di usanze popolari e credenze animiste («nos usos, nas plantas, nas águas, na terra, no vento») bollate come “superstizione” dalla mentalità progressista che ha animato – tra le altre cose – la Campagna di Canudos, il diavolo a cui si fa riferimento è un essere che «existe e não existe». Esiste nel modo particolare in cui esiste una cascata, che di per sé non è niente: è qualcosa l’acqua della cascata ed è qualcosa il suo terreno scosceso; la cascata però non è né l’acqua né il terreno scosceso; non nè nessuna delle due cose e al tempo stesso è entrambe. Questa definizione ci ricorda da vicino ciò che nella parte introduttiva del lavoro si diceva a proposito del meticcio e, per traslazione, del Brasile. Questo diavolo, che esiste non esistendo, che è a partire dal fatto di non essere, è infatti una delle più compiute myse en abyme del romanzo stesso; vale a dire una delle più compiute rappresentazioni dell’identità paradossale della semiperiferia. Egli è l’avesso, l’opposto, il negativo, ma rispetto a cosa? Guimarães Rosa ci dà una risposta poche pagine più avanti: «Deus é definitivamente; o demo é o contrário Dele...»2. Se Dio rappresenta il polo della presenza, del pieno, del definitivo, il diavolo è l’assenza, il vuoto, il provvisorio. Ma è anche il polo del molteplice, contro l’unità che è Dio3. È colui che vive dentro «os crespos do homem», nelle increspature, vale a dire negli spazi vuoti, nei terzi spazi tra identità separate; dove avvengono gli incontri e le

1 Ivi, pp. 6-7. 2 Ivi, p. 52.

3 Il diavolo di cui si parla nei Vangeli non ha tratti interpretabili iconograficamente. Il demonio che

Gesù caccia dal corpo degli indemoniati di Gadara afferma: “Il mio nome è Legione, perché siamo in molti” (Mt 8,28-34).

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contaminazioni: in mezzo alla strada, in mezzo al vortice (O diabo na rua, no meio do redemunho), nelle encruzilhadas:

a pessoa vai, em meia-noite, a uma encruzilhada, e chama fortemente o Cujo – e espera. Se sendo, há-de que vem um pé-de-vento, sem razão, e arre se comparece uma porca com ninhada de pintos, se não for uma galinha puxando barrigada de leitões. Tudo errado, remedante, sem completação...4

È un diavolo questo che simboleggia la mistura costitutiva di ogni essere («ele está misturado em tudo»)5, l’impossibilità di ogni purezza, l’eccedenza rispetto a ogni definizione. Come Riobaldo, il diavolo è un individuo sem nenhum caráter, che non è niente eppure è molte cose insieme, che è innominabile eppure è pieno di nomi:

O Arrenegado, o Cão, o Cramulhão, o Indivíduo, o Galhardo, o Pé-de-Pato, o Sujo, o Homem, o Tisnado, o Coxo, o Temba, o Azarape, o Coisa-Ruim, o Mafarro, o Pé-Preto, o Canho, o Duba-Dubá, o Rapaz, o Tristonho, o Não-sei-que-diga, O-que-nunca-se-ri, o Sem-Gracejos... Pois, não existe!6

Non si tratta di un personaggio “malvagio”, ma piuttosto di un burlone, che si diverte a fare scherzi, a mischiare le carte della vita della gente:

E sei que em cada virada de campo, e debaixo de sombra de cada árvore, está dia e noite um diabo, que não dá movimento, tomando conta. Um que é o romãozinho, é um diabo menino, que corre adiante da gente, alumiando com lanterninha, em o meio certo do sono7.

Questo tipo di diavolo non è una novità nel panorama delle letterature in lingua portoghese. Le sue radici affondano nella cultura popolare portoghese, la cui tradizione è confluita in Brasile e ha avuto proprio nel sertão un terreno di attecchimento privilegiato. Passiamo rapidamente in rassegna questa tradizione.

4 Ivi, p. 60. 5 Ivi, p. 8. 6 Ivi, p. 48. 7 Ivi, p. 405.

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Il diavolo della cultura popolare portoghese, cantato dalle quadras e dalle leggende orali è un diavolo dispettoso e confusionario, ma che in fondo non fa male a nessuno. La sua caratterizzazione non differisce troppo da quella di alcuni dei maggiori santi popolari, sant’Antonio e san Giovanni in particolare, che come lui si divertono a fare scherzi ai mortali8. Nella cosiddetta ‘religione popolare’ portoghese9 «o Diabo não é tao feio como o pintam»10 e con lui conviene essere tanto riverenti quanto lo si è con qualsiasi santo. Manca, in pratica, una distinzione di natura sostanziale tra il demonio e i santi – parimenti umanizzati e abbassati – tanto che alcuni di questi (ad esempio san Bartolomeo) hanno fama di intrattenere con lui delle relazioni amichevoli e addirittura possono essere usati come intermediari per invocare il Maligno. Inoltre, in alcuni racconti popolari, Satana è il padrino dei bambini poveri, che nessun altro protegge; in altri è colui che presta soccorso alle donne maltrattate dai mariti. Insomma un personaggio tutt’altro che “diabolico”, nel senso che siamo soliti dare al termine.

Questa rappresentazione, nata dal sincretismo tra iconografie pagane (quella di Pan in particolare) e la tradizione cristiana su di esse innestata, si diffuse nel Medioevo, lasciando importanti tracce anche nella letteratura “colta” (per esempio le cantigas mariane – ma più in generale tutto il corpus della lirica galego-portoghese – e gli autos gilvicentini). Legata alla confusione, al comico, all’inventitività linguistica, al rovesciamento, al carnevale, la figura del diavolo, nel Medioevo, era molto più “quotidiana” e “familiare” di quanto lo sarebbe divenuta in seguito. Ciò in conseguenza della permeabilità tutta medievale tra cultura popolare e cultura “alta”, che favoriva un proliferare di tradizioni più o meno eretiche, le quali, prodotte e diffuse principalmente in occasione di feste e

8

Numerose sono le quadras che raffigurano Sant’Antonio e San Giovanni come ragazzini usi ad alzare le gonne alle fanciulle e di Sant’Antonio si dice che si divertisse a rompere le brocche delle ragazze che si recavano a prendere l’acqua, e poi a ripararle.

9 Per ‘religione popolare’ si intende tutto un’insieme di credenze e riti, vivissimi in Portogallo,

giudicati eretici dal Cristianesimo ufficiale e che hanno avuto origine dal sincretismo di quest’ultimo con credenze pagane ad esso preesistenti.

10 M

OISÉS DO ESPÍRITO SANTO, A Religião Popular Portuguesa, prefazione di ÉMILE POULAT, Lisboa, A Regra do Jogo, 1984, p. 14.

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manifestazioni collettive, non potevano che mantenere un carattere ludico e leggero11.

Questo carattere medievale delle rappresentazioni del demonio si manterrà in Portogallo meglio che in altri paesi europei (all’interno di un contesto di tenuta straordinaria di tutto un insieme di rituali più o meno informali mantenutisi fino ai nostri giorni)12, tanto da lasciare strascichi in testi letterari anche molto tardi. Un esempio tra tutti è un testo anonimo portoghese del XVIII secolo13, attribuito a António José da Silva (o Judeu) e intitolato Obras do Diabinho da Mão Furada (o Obras do Fradinho da Mão Furada)14. Esso racconta delle peripezie del soldato Peralta, che, tornando a casa da una guerra, è sorpreso da una tempesta che lo costringe a penottare in una casa in rovina dentro un villaggio abbandonato. Qui incontra il Diabinho da Mão Furada, che lo seguirà per tutto il suo viaggio, facendolo incorrere in varie peripezie e mettendone a dura prova la moralità15. Questo personaggio è frutto di un sincretismo tra la tradizione cristiana e un subtrato di leggende celtiche diffuso in area galego-portoghese dai Celtiberi (VII/ II sec. a. C.). Inizialmente noto come Duende da Mão Furada divenne in seguito Diabinho (ma anche Fradinho), nell’ambito del processo di demonizzazione che – come nel caso di Pan – colpì molte delle figure risalenti a tradizioni pagane preesistenti, nei territori cristianizzati. Si tratta di una sorta di elfo domestico, con tanto di cappello rosso, che si diverte a ordire inganni e scherzi, ma che può

11 Ne è un esempio la straordinaria fioritura della cosiddetta literatura de cordel, meglio

conosciuta in Brasile come literatura de folheto, vale a dire la serie di testi che circolavano in fascicoli sciolti, venduti nelle fiere. Il cordel è il filo teso a cui venivano appesi i fascicoli per essere esposti al pubblico.

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Si pensi alle feste in onore dei cosiddetti “santi popolari” (Sant’Antonio, San Giovanni e San Pietro).

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Ma sarà pubblicato per la prima volta in Brasile, tra il 1860 e il 1861, sulla «Revista Brasileira», ad opera del poeta romantico Manuel de Araújo Porto Alegre.

14 A

NTÓNIO JOSÉ DA SILVA, Obras do Fradinho da Mão Furada, a cura di BERNARD EMERY, Coimbra, Fundação Calouste Gulbenkian, 1997.

15 Tra gli episodi narrati, spicca, nel capitolo II, il sogno di un viaggio all’Inferno, costruito sul

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talvolta concedere favori: può far sparire vestiti e altri oggetti e rovinare il cibo appena cucinato, ma anche portare pace e felicità nella casa, se si ritiene soddisfatto dell’ospitalità (in particolare, se ogni notte gli viene lasciato un piatto di pane inzuppato nel latte, in un angolo qualsiasi della casa). Quando è di cattivo umore, entra dalla serratura della porta nelle camere dei dormienti e, posandosi sopra di loro, causa incubi. Le mani forate indicano che è un personaggio in cui non si può confidare (nelle cui mani non si può affidare niente).

Questa figura intermedia tra un diavolo e un trickster, un esserino giocoso e impertiente che si diverte a scombinare i piani dei mortali, è destinata a trovare in Brasile un terreno incredibilmente fertile, dando luogo a riterritorializzazioni e nuove contaminazioni. E sarà proprio il sertão il territorio privilegiato di tutto ciò. Nei canti popolari diffusi dalla letteratura de folheto o direttamente intonati dai cantadores e violeros nordestini, troviamo una schiera foltissima di diavoli e indemoniati. Per dare un’idea della mole del materiale, riportiamo l’elenco fornito da Andrea Ciacchi nel numero 15-24 dei «Quaderni Portoghesi»:

Como Antônio Silvino fez o Diab chocar, O Anti-Cristo no mundo, A moça de mini-saia que foi dançar no Inferno, O exemplo de uma moça que fez uma promessa para dar penteado ao Diabo, Mensageira do Diabo ou a mulher vampiro, Casamento de Lampião com a filha de Satanaz, Baião da Penha ou Satanaz no frevo, O sanfoneiro que foi tocar no Inferno, A mulher que botou chifre no Diabo, Satanaz invade a Terra em discos voadores, Carta de Satanaz a Roberto Carlos, Discussão de Satanaz com Roberto Carlos, O exemplo de Carnaval ou Satanaz fazendo passo, Uma apresentação de Chacrinha no Inferno, A mulher que deu o filho ao Diabo, A eleição do Diabo e a posse de Lampião no Inferno, Peleja de um cantador de coco com o Diabo, O rapaz que matou a família aconselhado pelo Diabo, Explicação de Jesus e o Desabafo de Satanás, O velho que enganou o Diabo, Uma queixa de Satanaz a Cristo sobre a corrução do mundo, O Papa do Diabo que apareceu no Esatado de Sergipe, A história de Satanás embraigado no forró, A surra que Pe. Cicero deu no Diabo, O debate do católico como o Papa do Diabo, Peleja de Manoel Riachão com o Diabo, O exemplo da moça que vendeu os cabelos ao Diabo e visituou o Inferno, O Barulho de Lampião no Inferno, A moça de mini-saia que tomou banho de mar com o Satanás na Praia de Amarelina, João

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Soldado. O valente praça que meteu o Diabo num saco, O casamento de Satanás com a Besta Fera, Brasil 7 x Inferno 0. Il motivo dell’incaranzione diabolica è presente in Roberto do Diabo, História de João da Cruz, O exemplo interessante de Carolina, História do Boi Mandingueiro e o Cavalo Misterioso, O Boi Misterioso, A vinda da Besta Fera, ecc.16

Si noti la presenza, in questo elenco, dei nomi dei già citati Silvino e Lampião. Di quest’ultimo in particolare, sono numerose le storie che lo legano alla figura del diavolo, una delle quali fa riferimento a un vero e proprio patto tra il rei do cangaço e il padrone delle tenebre17. Ai cangaceiros di epoca moderna si affiancano eroi mitici della tradizione medievale europea, che talvolta trovano proprio nel sertão il luogo di maggiore permanenza. È il caso del leggendario Roberto do Diabo, personaggio di cui si è smarrita l’identità originaria18 e di cui numerosi cantastorie nordestini hanno fatto un simbolo del valore al servizio del Male, ma anche del pentimento e della conversione finale in soldato di Dio19. Il diavolo sertanejo, oltre che alla figura del bandito, è parimenti legato alla figura dell’herói sem nenhum caráter. Del diavoletto dispettoso e ingannevole della tradizione mediaevale portoghese troviamo infatti tracce nella figura di

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ANDREA CECCHI, Il diavolo nella letteratura brasiliana (La scheda), in «Quaderni portoghesi», n. 15-24 (1989), pp. 27-36, pp. 31-32.

17 Nel foglio anonimo O marco de Lampião, dopo avere a lungo combattuto tra di loro, Satana e

Lampião stabiliscono un patto, siglato con il sangue di quest’ultimo. Il diavolo promette di proteggere sempre il cangaceiro, in cambio dell’aiuto a ottenere nuove anime fra quelle che il campione spedirà all’altro mondo nel corso delle sue imprese. In un’altra leggenda anonima, divulgata come História do Capitão Lampião, il re dei cangaceiros si serve dello stregone

compadre Macumba per acquistare la forza e l’invulnerabilità di cui ha bisogno per compiere

indisturbato i suoi crimini. Queste informazioni si ricavano da SILVANO PELOSO, Medioevo nel

sertão, cit., p. 75.

18 Gli studiosi hanno tentato di affrontare la questione, identificando Roberto do Diabo con vari

duchi e pricipi normanni, a cominciare da Rollone (morto nel 931), primo duca di Normandia. Queste informazioni si ricavano da SILVANO PELOSO, Medioevo nel sertão, cit., p. 73.

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Pedro Malasartes20, individuo astuto e manipolatore, protagonista di centinaia di folhetos e destinato a diventare uno degli emblemi della cultura brasiliana21. Non a caso, tra i “parenti” di Malsartes c’è quello stesso Macunaíma che Mário de Andrade ha eletto a simbolo del Modernismo brasiliano. Originariamente Macunaíma (inizialmente detto Macunáima) era un’importantissima divinità indigena: nato da una vergine, era signore degli animali e degli alberi e parlava tutte le lingue. Nelle religioni caraibiche rappresentava il dio supremo, lo spirito creatore, ma – per il consueto processo di demonizzazione di molte figure appartenenti a tradizioni “pagane” – fu trasformato in un anti-dio nell’interpretazione gesuitica e francescana. In questa veste egli divenne una divinità ingannevole, astuta e maligna: un demonio appunto.

Sorte simile è toccata a uno delle figure più importanti (e più controverse) del pantheon afro-brasiliano: Exu. Nel candomblé22, questi è un intermediario tra il divino e l’umano. È il rappresentante dell’elemento dinamico dell’esistenza del mondo, principio di comunicazione e espansione. Non è un orixá ma a questi è strettamente legato: ogni orixá possiede il suo particolare exu, dotato di un nome

20 La figura ha origine in acune leggende medievali iberiche, in cui è conosciuta come Pedro de

Urdemalas; con questo nome la ritroviamo nell’omonima commedia di Cervantes, del 1615.

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Graça Aranha ne fa il protagonista di un’omonima opera teatrale (Malasartes 1911) e Érico Veríssimo lo erige a protagonista di un racconto in cui questi incarna «le qualità e i difetti del brasiliano di origine lusitana e possibilmente con un po’ di sangue indio. Malasartes sarebbe così intelligente, generoso, sentimentale, pigro, sensuale e immaginoso fino al punto da diventare mitomane». Citiamo dalla traduzione di Silvano Peloso (cfr. Medioevo nel sertão, cit., p. 117). L’opera in questione è Malazarte, pubblicata nella raccolta Fantoche e outros bichos (1932). Non è difficile riconoscere in questo personaggio un parente prossimo del Macunaíma di Mário de Andrade.

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Il Candomblé è una religione afrobrasiliana tuttora praticata in Africa e diffusa prevalentemente in Brasile, ma anche in stati vicini come l'Uruguay, il Paraguay, l'Argentina e il Venezuela, nonché in alcuni paesi europei (Portogallo, Spagna, etc.). Di origine africana (Nigeria, Togo, Congo, etc.), questa religione consiste nel culto degli orixá. Questi ultimi non sono divinità, ma spiriti, emanazioni del Dio unico, Olorun. Gli orixá rappresentano archetipi antropologici; ad essi sono associati determinati colori, attività umane, tipi di alimenti, erbe mediche, etc. Essi trasmettettono agli umani axé, cioè l'energia universale che è in tutte le cose.

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differente, ma in realtà manifestazione di un unico Exu, nello stesso modo in cui gli orixá sono manifestazioni dell’unico dio. A seconda delle sue funzioni e delle modalità di rappresentazione, questi può assumere nomi e caratteristiche differenti: Exu Brasa, Exu Caveira (il principe dei cimiteri), Exu cheiroso, Exu da Capa Preta, Exu das Almas, o Tranca-ruas, Exu das Matas, Exu-de-duas-cabeça (una di Cristo e una di Satana), Exu de Luz, Exu do Lodo, Exu gira-mundo, Exu Inã, Exu Jelu, Exu Lalo, Exu Mangueira (che “lavora” nelle encruzilhadas), Exu meia-noite (al servizio di Yemannjá, madre di tutti gli orixá), Exu menino, Exu Ojíxe, Exu pagão, Exu pinga fogo, Exu pomba-gira (femminile, provocante e malvagia), Exu sem rabo, Exu sete-capas, Exu sete-catacumbas, etc. Non sorprende che una tale figura si sia sincretizzata con il diavolo cristiano che siamo fin qui venuti delineando, arrivando addirittura ad assumere, nell’iconografia Umbanda23 e nei culti di influenza Bantu, gli attributi caratteristici costituiti da corna, tridente (o forcone, o lancia) e mantello rosso e nero.

Tutto questo portato di leggende e ionografie è presente nel diavolo di Grande sertão. Ma prima di tornare al testo vogliamo soffermarci su un’altra modalità di caratterizzazione del demonio, che a nostro parere si avvicina non poco al diavolo di cui Riobaldo cerca disperatamente ma inconcludentemente di negare l’esistenza: il diavolo della Gnosi.

La tradizione gnostica – molto diffusa in Portogallo, anche per il tramite di ordini culturalmente forti come l’Ordine dei Cavalieri del Tempio e la Massoneria24 – vede in Dio non il creatore del mondo, ma semplicemente un

23 Religione sincretica diffusa in Brasile e nata dall’unione di credenze africane con il

Cristianesimo europeo. È propria di questa religione la credenza in un unico Creatore Supremo, detto Olodumare e nei suoi orixá, molti dei quali si sono sincretizzati con alcuni santi cattolici. Essi agiscono come manifestazioni dell’energia divina, attraverso le forze della natura. Figure intermedie tra il divino e l’umano sono gli spiriti degli antenati, che consigliano i propri discendenti e li proteggono negli affari del mondo materiale.

24 Nel 1317, all'indomani della dissoluzione dell'Ordine del Tempio per l’azione congiunta di

Clemente V e Filippo il Bello, sarà proprio Dom Dinis (re di Portogallo) a salvarlo dalla distruzione totale, inglobandolo nel nuovo Ordine di Cristo. La croce a otto punte (simbolo dei Templari e esemplificata nella pianta ottagonale del tempio di Tomar) passerà sulle vele delle

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architetto, sottomesso anch’egli a forze che presiedono mondi gerarchicamente superiori al nostro, in quanto situati in un più alto livello di realtà. Non essendo onnipotente, egli ha bisogno di avvalersi dell’aiuto del diavolo per portare a compimento la sua attivita di “organizzazione” e “gestione” del mondo. In questo senso, sebbene l'azione di quest’ultimo tenda alla menzogna e all’irrealtà, essa contribuisce alla costruzione del mondo e, di conseguenza, della verità, una verità posta – ancora gnosticamente – al di là degli opposti, laddove verità e menzogna non si autoescludono, ma anzi si integrano nella formazione di un’unità che supera e include in sé tutti i dualismi (verità e menzogna, appunto, ma anche spirito e materia, Bene e Male). Se infatti Dio è il polo della presenza, della certezza, della fissità, del pieno, della luce, il diavolo è quello altrettanto importante dell’assenza, dell’incertezza, della mobilità, del vuoto, dell’ombra. Questo tipo di diavolo sarà ripreso da Pessoa in A hora do diabo, che mette in scena un demonio che è paradosso puro, esistenza nella non esistenza:

Non ho mai avuto né infanzia né adolescenza, perciò non sono arrivato neanche all’età virile. Sono il negativo assoluto, l’incarnazione del nulla. Ciò che si desidera e non si può ottenere, ciò che si sogna perché non può esistere – in questo consiste il mio regno nullo e su ciò poggia il trono che non mi fu dato. Quello che avrei potuto essere, quello che avrei potuto avere, quello che la Legge o la Sorte non mi hanno dato – li ho gettati a piene mani nell’anima dell’uomo ed essa è rimasta turbata nel sentire la vita viva di ciò che non esiste. Sono l’oblio di ogni dovere, l’esitazione di tutte le intenzioni. I tristi e stanchi della vita, dopo essersi innalzati al di sopra dell’illusione, alzano gli occhi verso me, perché anche io, a mio modo,

caravelle che porteranno a compimento le missioni coloniali. Alla permanenza di un forte apparato di sette e credenze eretiche diffuse nel Paese a partire dal Medioevo (come l’eresia gioachimita) va anche ricondotto il fiorire sul territorio di culti esoterici tutti portoghesi, tra cui spiccano il

Sebastianismo e il mito del Quinto Império. Entrambi ebbero larga diffusione in Brasile e il

secondo fu concepito ad opera di quel padre António Vieira che visse per gran parte della sua vita nel Paese, dove ebbero rispettivamente inizio e termine le sue predicazioni (Nel 1614, iniziò i suoi studi nel Colégio dos Jesuítas di Salvador da Bahia e sempre nella Bahia morì nel 1694, dopo aver viaggiato a lungo tra Portogallo, Roma e le Azzorre).

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sono la Stella lucente del Mattino. Ed è tanto tempo che lo sono! Un altro è venuto a sostituirmi25.

E ancora:

Le aspirazioni vaghe, i desideri futili, i fastidi del banale, anche quando l’amiamo, le noie di ciò che non annoia – tutto questo è opera mia, nata da quando, disteso sulla riva dell’abisso, penso che neanche io so nulla. Allora il mio pensiero scende, vago effluvio, nelle anime degli uomini ed essi si sentono diversi da loro stessi. Sono l’eterno Differente, l’eterno Rinviato, il Superfluo dell’abisso. Sono restato fuori dalla Creazione. Sono il Dio dei mondi che furono prima del Mondo – i re di Edom che regnarono male prima di Israele. La mia presenza in questo universo è quella di chi non è stato invitato. Porto con me i ricordi di cose che non sono arrivate ad essere ma che sono state sul punto di essere. (Allora faccia non vedeva faccia e non c’era equilibrio).

La verità, però, è che non esisto – né io né qualunque altra cosa26.

Con una tradizione del genere alle spalle, Guimarães Rosa può, senza forzature, creare il suo diavolo come un essere paradossale, mescolato, continuamente mobile che «Não é, mas finge de ser»27, esiste in quanto non esistenza:

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FERNADO PESSOA, L’ora del diavolo, traduzione di ORIETTA ABBATI, in Racconti

dell’inquietudine, a cura di PIERO CECCUCCI, Milano, BUR, 2007, pp. 13, 29, p. 19. Si cita dalla traduzione italiana per comodità di reperimento.

26 Ivi, pp. 22-23. A un diavolo siffatto Pessoa affida il ruolo di patrono della poesia e del mito,

ricollegandosi, in tal modo, al diavolo descritto da Eça de Queirós nelle Prosas Bárbaras. Questi, però, è molto più debitore della tradizione romantica e decadente, che vede in Satana un eroe del Male sì, ma anche della libertà, nonché il rappresentante perfetto di quella nostalgia del totalmente altro (dell’ideale, del cielo) che animava gli stessi poeti e che ben si esprime nel termine portoghese saudade: «O diabo é a figura mais dramática da História da Alma. A sua vida é a grande aventura do Mal. Foi ele que inventou os enfeites que enlanguescem a alma, e as armas que ensanguentam o corpo. E todavia, em certos momentos da história, o Diabo é o representante imenso do direito humano. Quer a liberdade, a fecundidade, a força, a lei. É então uma sorta de Pã sinistro, onde ruem as fundas rebeliões da Natureza...O Diabo ao mesmo tempo tem uma tristeza imensa e doce. Tem talvéz a nostalgia da céu». Cfr. EÇA DE QUEIRÓS, O senhor Diabo, in Prosas

Bárbaras, Lisboa, Livros do Brasil, s.d., pp. 197-198.

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A prova minha, era que o Demônio mesmo sabe que ele não há, só por só, que carece de existência28.

Un diavolo, insomma, che è identità “scivolosa” che sfugge a ogni identificazione, confusione di ogni purezza e di ogni definizione, perdita della bussola, impossibilità di orientarsi all’interno di uno spazio costitutivamente plurale e continuamente mutevole:

Às vezes não aceito nem a explicação do Compadre meu Quelemém; que acho que alguma coisa falta. Mas, medo, tenho; mediano. Medo tenho é porém por todos. É preciso de Deus existir a gente, mais; e do diabo divertir a gente com sua dele nenhuma existência. O que há é uma certa coisa – uma só, diversa para cada um – que Deus está esperando que esse faça. Neste mundo tem maus e bons – todo grau de pessoa. Mas, então, todos são maus. Mas, mais então, todos não serão bons? Ah, para o prazer e para ser feliz, é que é preciso a gente saber tudo, formar alma, na consciência; para penar, não se carece: bicho tem dor, e sofre sem saber mais porquê. Digo ao senhor: tudo é pacto. Todo caminho da gente é resvaloso. Mas; também, cair não prejudica demais – a gente levanta, a gente sobe, a gente volta! Deus resvala?29

Questo diavolo interviene a vanificare la saggezza manichea e rassicurante del compare Quelemém, la principale istanza di ordine interiorizzata da Riobaldo e a cui egli attinge continuamente per creare un ponte comunicativo con il razionalismo (parimenti manicheo) che è proprio del pensiero colonialista dell’uomo di città. Interviene insomma a ribadire quel nel sertão non c’è posto per il Pensiero Unico proprio del discorso coloniale – che giudica la molteplicità sulla base di parametri fissi, sempre gli stessi, quelli della cultura egemone – , ma ogni verità (e ogni identità) ha bisogno di essere continuamente rinegoziata («tudo é pacto»), ogni tradizione ha bisogno di essere continuamente messa in discussione. Un luogo insomma in cui il tempo non è rappresentabile attraverso una linea continua; in cui passato presente e futuro non sono posti in una successione causale ma coesistono come parti di uno stesso presente, eternamente

28 Ivi, p. 670. 29 Ivi, p. 440.

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performativo, in un processo di risignificazione continua del passato e di reimmaginazione continua del futuro:

Consegui o pensar direito: penso como um rio tanto anda: que as árvores das beiradas mal nem vejo... Quem me entende? O que eu queira. Os fatos passados obedecem à gente; os em vir, também. Só o poder do presente é que é furiável? Não. Esse obedece igual – e é o que é. Isto, já aprendi. A bobéia? Pois, de mim, isto o que é, o senhor saiba – é lavar ouro. Então, onde é que está a verdadeira lâmpada de Deus, a lisa e real verdade?30

Se Dio rappresenta la fissità, la certezza («a lisa e real verdade»), il tempo finalizzante degli ‘individui definitivi’ («Acho que Deus não quer consertar nada a não ser pelo completo contrato: Deus é uma plantação»)31, il diavolo rappresenta il tempo plurale, il percorso che torna continuamente su stesso, che è e non è allo stesso tempo (contro ogni logica aristotelica), che procede in ogni direzione e, così facendo, perde qualsiasi direzione, lo spazio circolare e labirintico della travessia:

Mas o demônio não existe real. Deus é que deixa se afinar à vontade o instrumento, até que chegue a hora de se dançar. Travessia, Deus no meio32.

Ma come nella Gnosi, il contrasto tra Dio e il diavolo è solo apparente. Dio coincide solo a uno sguardo molto superficiale con il Pensiero Unico, con il tempo vuoto e omogeneo della Storia. A un livello più profondo, egli non è negazione della complessità; anzi, si serve della stessa complessità rappresentata dal diavolo per manifestare se stesso nel mondo.

O ancora:

Deus nunca desmente. O diabo é sem parar. Saí, vim, destes meus Gerais; voltei com Diadorim. Não voltei? Travessias... Diadorim, os rios verdes33.

30 Ivi, p. 485. 31 Ivi, p. 481. 32 Ivi, p. 435. 33 Ivi, p. 436.

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Si noti nel brano appena citato il passaggio dal diavolo a Diadorim, facilitato dall’allitterazione del suono di che corrisponde alla radice indicante il doppio, il biforcato, dunque l’ambiguo. Torneremo su questi temi quando arriveremo a parlare del significato di Diadorim all’interno del romanzo.

In queste vesti, il demonio di Grande sertão rappresenta un’ambiguità ineseauribile, che pesa sulla vita di Riobaldo come una minaccia o una condanna e gli impedisce di raggiungere quell’ordine e quella linearità a cui egli – come abbiamo visto – aspira con tutte le sue forze, e che è rappresentata in modo molto più compiuto dalle figure parimenti fantasmatiche del compare Quelemém e dell’uomo di città. A entrambi questi personaggi Riobaldo affida il compito di rassicurarlo, liberandolo dall’ombra che pesa da sempre sulla sua tranquilla esistenza di fazendeiro. Il romanzo – come abbiamo visto nel brano citato all’inizio di questo capitolo – si apre con il narratore che si fa rassicurare dal suo interlocutore sulla non esistenza del diavolo e si chiude all’incirca nello stesso modo. Nelle ultime righe dell’opera leggiamo, infatti:

Amável o senhor me ouviu, minha idéia confirmou que o Diabo não existe. Pois não? O senhor é um homem soberano, circunspecto. Amigos somos. Nonada. O diabo não há! É o que eu digo, se for... Existe é homem humano. Travessia.

Poche righe più sopra, Riobaldo aveva raccontato nel suo primo incontro col compare Quelemém (per intercessione di Zé Bebelo), durante il quale, per la prima volta, aveva detto a qualcuno del suo patto col diavolo, sentendosi confortare con queste parole:

“Tem cisma não. Pensa para diante. Comprar ou vender, às vezes, são as ações que são as quase iguais...”34

Ma a dispetto degli sforzi del compare o dell’uomo di città, la liberazione dall’ambiguità, per Riobaldo, è impraticabile. Non a caso il libro si chiude con la parola travessia seguita dal punto fermo e subito sotto, dal simbolo dell’infinito,

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quasi a invalidare quel punto stesso. In quel «mare senza fine» che è il sertão, l’ambiguità è costitutiva e irriducibile e resiste ai tentativi di normarla:

Mas, então? Ah, então: mas tem o Outro – o figura, o morcegão, o tunes, o cramulhão, o debo, o carocho, do pé-depato, o mal-encarado, aquele – o-que-não-existe! Que não existe, que não, que não, é o que minha alma soletra. E da existência desse me defendo, em pedras pontudas ajoelhado, beijando a barra do manto de minha Nossa Senhora da Abadia! Ah, só Ela me vale; mas vale por um mar sem fim... Sertão35.

Non cè Legge o legge che valga:

Olhe: o que devia de haver, era de se reunirem-se os sábios, políticos, constituções gradas, fecharem o definitivo a noção – proclamar por uma vez, artes, assembléias, que não tem diabo nenhum, não existe, não pode. Valor de lei! Só assim, davam tranqüilidade boa à gente. Por que o Governo não cuida?

Ah, eu sei que não é possível. Não me assente o senhor por beócio. Uma coisa é pôr idéias arranjadas, outra é lidar com país de pessoas, de carne e sangue, de mil-e-tantas misérias36.

Riobaldo desiderebbe che tutto l’establishment della Repubblica si mettesse d’impegno per chiudere del tutto con questa ambiguità, ma la sua esperienza di vita nel sertão fa di lui un personaggio che – a dispetto dei ripetuti tentativi – non potrà mai raggiungere la “saggia ottusità” del compare Quelemém, né la logica analitica e consequenziale propria della cultura “illuminista” dell’uomo di città. Riobaldo infatti, al contrario di entrambi, sa benissimo – perché l’ha sperimentato sulla sua pelle, perché si è immerso fino al collo nel turbine scomposto e centrifugo dell’esistenza – che «Uma coisa é pôr idéias arranjadas, outra é lidar com país de pessoas, de carne e sangue, de mil-e-tantas misérias». In questo senso, egli rimarrà sempre «muito do sertão»37, in quanto non riuscirà mai del tutto a normare il sertão che è dentro di lui, a mettere in squadra le sue esperienze.

35 Ivi, pp. 424-425. 36 Ivi, p. 14. 37 Ivi, p. 435.

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L’identificazione del diavolo col sertão – in quanto rappresentazioni di un’ambiguità irriducibile e non “normalizzabile” – è resa esplicita durante la battaglia finale, quando Riobaldo, dall’alto della sua posizione sopraelevata, sente delle voci e vorrebbe gridare il nome del diavolo per scacciarlo, ma dalla sua bocca esce solo la parola sertão:

e, então, eu ia denunciar nome, dar a cita: ... Satanão! Sujo!... e dele disse somentes – S... – Sertão... Sertão...38

L’allitterazione della “s” rende fluido il passaggio tra il nome di Satana e il termine sertão, creando un effetto di sfumato in cui i due concetti sembrano naturalmente sovrapporsi; effetto simile a quello che abbiamo visto, poco più indietro per le parole diabo e Diadorim.

Il percorso biografico di Riobaldo, benché interpretabile come un percorso lineare e progressivo, manterrà sempre un che di oscuro e sfuggente ai tentavi di comprenderlo in un ordine logico; proprio nel modo in cui il sertão (e così il Brasile) manterrà sempre un fondo irriducibile alla sua “messa in ordine”, iniziata durante la Prima Repubblica e che troverà il suo compimento nella costruzione di Brasilia. Tale oscurità di fondo, tale impossiblità di comprensione totale del senso della sua esistenza, si condensa per lui intorno alla figura del demonio e – come vedremo – di Diadorim.

Eppure – come abbiamo visto – è proprio con il diavolo che il Tatarana stipula quel patto che lo farà diventare prima l’Urutu Branco e poi il fazendeiro di San Gregorio, legittimo erede del potente Selorico Mendes. E infatti, poco dopo l’episodio del patto, la rappresentazione del demonio muta totalmente di segno:

Aí mesmo, no momento, fui ecogitando: que a função do jagunço não tem seu que, nem p’ra que. Assaz a gente vive, assaz alguma vez raciocina. Sonhar, só, não. O demônio é o Dos-Fins, o Austero, o Severo-Mor. Aporro!39

38 Ivi, p. 850. 39 Ivi, p. 604.

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Ma si tratta di una modalità di rappresentazione destinata a rimanere isolata all’interno del romanzo stesso e che è frutto del mutato atteggiamento di Riobaldo, il quale – come abbiamo visto – sceglie di fare un patto col diavolo più che altro per rafforzare la sua capacità di decisione.

Come l’uscita di Riobaldo dal sertão passa attraverso una sua immersione nel più profondo di esso (come si è detto, è attraverso il jaguncismo che egli acquista un posto nell’alvo degli ‘individui definitivi’), così il percorso di messa a tacere dell’ambiguità rappresentata dal diavolo passa attraverso uno scendere a patti con questa stessa ambiguità. Ma la messa a tacere non è mai definitiva, poiché in quel mare immenso che è il sertão non può entrare mai del tutto il tempo vuoto e omogeneo della Storia.

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