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Alla riscoperta della tradizione nautica lariana: progetto di un museo sull'acqua e valorizzazione della baia di Piona. P

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Politecnico di Milano - scuola di Architettura e Società A.A. 2014/2015

Alla riscoperta della tradizione nautica lariana:

progetto di un museo sull'acqua e valorizzazione della baia di Piona.

Relatore: Pier Federico Caliari

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Indice

Abstract ... 4

Il territorio altolariano ... 6

Colico ... 9

Vicende storiche e evoluzione del paesaggio ... 10

Analisi dei caratteri ambientali ... 16

Il lago e i paesaggi insubrici – caratteri identificativi ...16

1 Analisi geomorfologica ...19

2 Analisi climatica ...20

3 inquadramento paesistico-ambientale e pedologico ...20

4 Uso del suolo ...22

Analisi delle emergenze naturalistiche-paesistiche e storico-artistiche ... 22

1. Promontorio di Olgiasca ...23

2. Area Montecchio sud ...29

3. Aree pianeggianti tra Montecchio sud e piazza Garibaldi...32

4. Area Montecchio nord e Erbiolo ...33

5. Area Montecchio nord del Forte di Fuentes ...34

6. Aree pianeggianti interposte tra le aree 4 e 5 ...39

7. Area di Fontanedo ...40

Conclusioni ...41

Il museo ... 42

Obiettivi ... 42

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L’esposizione ... 50

Il linguaggio architettonico ... 52

Le imbarcazioni del Lario ... 56

Il Lario e i suoi venti ... 56

Analisi delle tipologie delle tradizionali imbarcazioni lariane ... 58

Metodo costruttivo ...58 Le barche da pesca ...63 Il quatrass ...66 Il navet ...68 Il batell ...71 La barca di Pescarenico ...74 Il canotto da pesca ...76 La spingarda ...78 Le barche da trasporto ...80 La gondola lariana ...84 Il Comballo ...87 Le barche da diporto ...90 Inglesina ...95 Lancia da passeggio ...98 Dinghy 12 piedi ... 100 Bibliografia ... 103

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Abstract

L’intervento progettuale prende vita dall’intento di rispondere a più esigenze. In primo luogo vi è la necessità di creare un luogo di riscoperta delle tradizioni del territorio altolariano, che documenti in particolar modo l’evoluzione della navigazione dai tempi più antichi fino agli inizi del secolo scorso.

Parallelamente vi è la necessità di valorizzare uno scenario unico in tutto il lago di Como, che è quello della baia di Piona, potenziandone la fruibilità e

sviluppandone la vocazione turistica.

In quest’area infatti la costa, a causa di disorganici insediamenti e attrezzature ricettive all’aperto, ha perso i suo caratteri originali ed è penalizzata dalla mancanza di un percorso che la renda fruibile e visitabile.

L’obiettivo è quindi operare una riqualificazione dal punto di vista

paesaggistico, attraverso la creazione di un nuovo percorso che stabilisca un dialogo tra lago natura e preesistenze storiche.

Da qui è nata l’idea del museo, un museo sulle imbarcazioni tradizionali del lago di Como.

La barca è forse quell’oggetto che più di ogni altro può rappresentare quella che è stata, per secoli, la vita delle popolazioni lariane.

Fondamentale mezzo di lavoro ma non solo; anche casa, rifugio dal freddo e dalle intemperie durante le lunghe trasferte per le battute di pesca.

L’imbarcazione lariana è frutto di una maestria pari a quella dello scultore; come un’opera d’arte è unica e irripetibile, risultato di un costante impegno verso il miglioramento sia funzionale che formale.

Si è quindi voluto omaggiare questa ricchissima tradizione creando uno spazio che ospitasse le tipologie più famose ideate nel corso dei secoli.

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Il museo, come le barche che ospita, si colloca sull’acqua, punto di arrivo di un lungo pontile che lo collega alla terra ferma.

Una posizione privilegiata, che permette di osservare il paesaggio da un inedito punto di vista: ad ovest si ammira il colle di Piona-Olgiasca con il magnifico complesso abbaziale, ad est i verdi boschi che ricoprono il Montecchio sud, a nord il lago, a sud il monte Legnone.

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Il territorio altolariano

“ Le Prealpi ...

si rimarca anzi tutto in esse il contrasto,

di effetto meraviglioso davvero, fra quelle creste dentate,

ignude e bianche come scheletri, che si tingono d’azzurro sovente nelle giornate serene

e di giallo e di rosso

al sorgere e al tramontare del sole.” Antonio Stoppani

La parte orientale della riviera altolariana fa parte della Provincia di Lecco e si caratterizza, oltre che per la bellezza paesaggistica, per la sua notevole

importanza economica.

Conosciuta come la Riviera di Lecco, è da sempre considerata un’importante via si transito tra Milano e i passi alpini.

Già in epoca romana, e ancor più durante il Medioevo, i paesi che ne costellano la sponda furono luoghi d’approdo per soldati e mercanti, quando gli eserciti cercavano di ottenerne il controllo, pur senza riuscirvi, poiché la potenza milanese difendeva con molta forza questi territori. A testimonianza di queste contese territoriali rimangono le numerose torri che si possono ammirare ancora oggi lungo tutto il percorso sia lungo il lago che a monte.

Gli spagnoli riuscirono alla fine ad ottenerne il dominio e si adoperarono a rafforzare le preesistenti fortificazioni da Colico a Lecco, in modo tale da fronteggiare le pretese delle leghe svizzere a nord e dei Veneziani ad est.

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Oltre all’interessante posizione geografica, la sponda orientale può vantare anche una notevole importanza geologica. Per molti secoli l’utilizzo delle rocce ferrose ha garantito lo sviluppo dell’economia locale. La generosa disponibilità di marmi e materiali ferrosi, notata anche da Leonardo da Vinci durante il suo soggiorno milanese, permise la rapida crescita del settore estrattivo e

siderurgico al punto che agli inizi del XVIII secolo nello Stato di Milano era proprio il territorio lariano a possedere il monopolio della produzione e della lavorazione del ferro. Questa fiorente attività fu messa in crisi a causa della calata dei Lanzichenecchi e dalle epidemie di peste.

A porre fine a questa lunga decadenza fu la nascita e lo sviluppo, nel XIX secolo, dell’industria serica che, nel lecchese, apri numerose filande e filatoi. La ritrovata fortuna industriale della Riviera di Lecco e della Valsassina è riuscita a sopravvivere fino ai giorni nostri, nonostante alcune crisi.

A fine Ottocento alle vie d’acqua e di terra si aggiunge la linea ferroviaria

Milano-Lecco-Colico-Sondrio. Questo favorisce il sorgere del turismo, che verrà potenziato ulteriormente dopo l’inaugurazione della nuova superstrada.

Non da ultimo è da ricordare il patrimonio artistico custodito dal territorio, la cui valorizzazione potrebbe incrementare notevolmente l’afflusso turistico locale.

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Il sentiero del viandante

La sponda orientale del Lario è percorsa da un antico sentiero che collegava Milano ai paesi alpini. Questa mulattiera, conosciuta come via Ducale o strada del Viandante, si snoda fra Mandello e Colico su 45 kilometri e corre parallela alla riviera con numerosi saliscendi.

La storia di questo percorso affonda le sue radici nell’età antica;

probabilmente la sua origine si deve ai romani, ma i primi documenti che ne citano ufficialmente l’esistenza risalgono al XIV secolo.

L’itinerario è costellato da numerosi oratori, edicole e pilastri votivi, nonché chiesette dedicate principalmente ai patroni dei poveri, dei malati, dei

mercanti e dei pellegrini. Molti anche gli ospizi che erano destinati ad

accogliere e rifocillare i viandanti. Il percorso si dipana in senso parallelo al bacino lacustre con un susseguirsi di scorci panoramici: il vero protagonista del paesaggio è proprio il Lario che si allunga verso la Svizzera con il suo ramo settentrionale.

Viene abbandonata nell’Ottocento, quando il governo austriaco apri la strada militare per lo Stelvio che corrisponde alla vecchia statale Lecco Colico. Da allora è trascurata per un lungo periodo e solo recentemente ha iniziato ad essere rivalutata, per i notevoli aspetti storico-naturalistici e paesaggistici. Nel 1992 viene infatti sistemata e segnalata dall’Azienda di Promozione Turistica del Lecchese, rendendola più fruibile per gli escursionisti. Il percorso attuale parte da Abbadia Lariana e termina al Santuario della Madonna di Valpozzo, nel comune di Piantedo, alle porte della Valtellina. Non parte da Lecco poiché i lavori di costruzione della ferrovia e della strada provinciale hanno cancellato ogni traccia dell’antico percorso.

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Colico

La tranquilla cittadina è adagiata in un ampia conca di montagne che creano un grandioso scenario, e presenta una struttura geomorfologica unica nel suo genere.

Infatti tra il limitar del lago e l’imponente monte Legnone (m 2609) e il vicino Legnoncino (m 1714), si ergono quattro colli disposti simmetricamente uno dopo l’altro, di dimensioni pressoché uguali.

Partendo da sud abbiamo il primo colle, chiamato Montecchio di

Piona-Olgiasca, il secondo colle, il Montecchio sud, il terzo colle, il Montecchio Nord, e il quarto, il Forte di Fuentes; quest’ultimo fu così chiamato in omaggio al

governatore di Milano Pedro Enriquez de Azevedo, conte di Fuentes, che vi costruì la nota fortezza nel 1603. La loro presenza e la loro particolare struttura, diversa dagli altri colli Briantei, fu opera dell’ultima glaciazione.

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Colico si pone al limite di un importante trivio che smista il traffico verso Lecco, la Valchiavenna e la Valtellina. Le fa da sfondo il monte Legnone che si

specchia nelle acque del fiume Adda.

Vicende storiche e evoluzione del paesaggio

Il territorio di Colico fu certamente abitato sin dall’età neolitica, come

testimoniano i reperti di asce litiche, rinvenute nelle torbiere alla base del Forte di Fuentes, dove abbondava il pesce e la fauna palustre. Nell’età del bronzo giunsero poi i liguri da sud (del cui passaggio restano oggetti di uso quotidiano e forse dei toponimi locali), seguiti dai Celti (organizzati probabilmente in comunità rurali di carattere collettivista) ed, infine, dai Romani nel II sec a.c; questi ultimi inclusero le valli dell’Adda e del Mera nella “Regio XI

Transpadana” e attribuirono queste terre al Municipium di Novum Comun (l’attuale Como). I collegamenti con il capoluogo avvenivano mediante

navigazione e, successivamente, anche attraverso la strada imperiale Aurelia (strada “regia” o “regina”), tracciata lungo la sponda occidentale del lago, ma forse anche con un’altra strada, meno battuta perché più impervia, sulla sponda orientale, come potrebbero dimostrare i resti di una via romana ritrovati a Curcio-Piantedo, nella zona est di Colico.

I terreni agricoli vennero suddivisi tramite centuriazione, da cui il toponimo Centoplagio, spesso nominato nei documenti.

Con l’avvento del Cristianesimo si diffonde il culto di S. Fedele, soldato romano martire del IV secolo, che forse approdò alla frazione di Laghetto per scampare alle persecuzioni del tempo.

Colico faceva parte della diocesi di Como e della pieve di Olonio; nel 617 per volere del vescovo Agrippino viene costruito a Piona l’oratorio di S. Giustina, primo nucleo della futura chiesa di S. Nicolò.

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Dal VI secolo, al venire meno dei legami interni dell’Impero Romano, da nord qui giungono prima i Franchi e poi i Longobardi (lasciando in eredità i toponimi locali, ma conservando quasi intatta l’organizzazione della “curtis” romana: una cascina o villa con cortile chiuso per le opere dell’azienda agricola).

Nei secoli VIII-IX ai piedi del monte Lineone (citato in un documento dell’879) si stabiliscono e vivono comunità rurali con beni comuni o concilia.

In questi anni nel territorio prosperano diverse istituzioni monastiche, come quelle di Curcio e la Corte, base anche politica del futuro sistema feudale fino al XII secolo.

Dal 1200 Colico si erige a Comune.

L’importanza della sua posizione strategica si accresce sul finire del Medio Evo per le lotte continue tra i Signori delle valli e quelli del lago, così che torri e fortificazioni vengono erette nei punti di passaggio (le cui fondamenta in alcuni casi sono visibili ancora oggi) e le strade vengono talvolta sbarrate con porte murate.

Nel XIV secolo Colico diventa feudo dei Visconti; nel XV secolo viene creata in queste terre una Contea a difesa dei confini settentrionali del Ducato di Milano, anche per contrastare Venezia, che mirava ad avere una nuova via di transito per i suoi traffici verso le terre del nord.

Nello periodo si verifica un'alluvione del torrente Inganna che distrugge l'insediamento originario di Colico Piano.

Nel 1512 giungono i Grigioni da nord, respinti dai Francesi, ma poi cacciati dagli Spagnoli nel 1521. Per lungo tempo il confine tra i Grigioni e il Ducato di Milano si stabilisce nel mezzo del territorio di Colico, separando il centro

comunale da suo retroterra, dal Pian di Spagna e dalle valli più a nord. Sono secoli di guerre continue tra le grandi potenze dell’epoca: Francesi, Spagnoli, Veneziani, Grigioni ed infine Austriaci che riducono il territorio ad un eterno campo di battaglia, deprimendo pesantemente l’economia locale.

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Il Forte di Fuentes è una testimonianza di quel clima bellico: l’enorme fortezza dominava il lago e le sue valli (venne distrutta nel 1796 per ordine di

Napoleone ma i suoi resti sono ben visibili tutt’oggi).

È questo un periodo di decadenza della popolazione e Colico diventa "terra di confine" fra due stati in guerra anche religiosa: il Milanesado spagnolo

baluardo del cattolicesimo e i Grigioni che hanno aderito al Protestantesimo e controllano la Valtellina, che dovranno abbandonare in seguito alla rivolta del 1620 nota come "sacro macello".

Nel 1603 il Governatore di Milano Don Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes, fa erigere in gran fretta sul montecchio più vicino al confine una fortezza per tenere a bada i Grigioni.

Durante la guerra del trent’ anni, che devasta l'Europa, le truppe mercenarie dei Lanzichenecchi nel 1629 scendono dalla Germania dirette a Mantova in aiuto degli Spagnoli, fanno tappa a Colico, saccheggiano e diffondono la peste che spopola il paese.

Solo nel XIII secolo la comunità di Colico inizia a riprendersi, grazie al governo “illuminato” di Maria Teresa d’Austria che impone tasse più eque e favorisce gli investimenti nel settore agricolo. La popolazione aumenta, anche grazie

all’immigrazione di braccianti e massari.

Il Catasto teresiano del 1722 mostra estese proprietà di enti ecclesiastici, nonché di nobili milanesi e industriali della seta che investono in redditizie aziende agricole nel territorio di Colico.

Si coltivavano cereali e castagni per il consumo famigliare, le viti per pagare le tasse e i fitti, canapa e lino che insieme alla lana venivano tessuti a casa dalle donne; sempre per la sussistenza della famiglia, venivano allevati maiali, pecore, capre e mucche.

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Nel secolo successivo si svilupperanno le piantagioni di gelsi, per allevare i bachi da seta sempre più richiesti dall’industria serica in espansione.

Nella zona altolariana, in corrispondenza dei corsi d’acqua, sorgono setifici e filatoi.

A Colico, nei primi anni del Novecento, iniziano la loro attività tre “incannatoi” per la seta, dove lavorano principalmente donne e bambine.

Le zone pianeggianti lungo il lago e il Pian di Spagna rappresentano ancora un grosso problema; si tratta di aree paludose e improduttive e causano epidemie di malaria, costringendo dunque gli abitanti di Colico a trasferirsi nel periodo estivo in luoghi elevati e salubri, seguendo il bestiame in montagna e

addirittura in Valle Spluga, a Teggiate, nell’altopiano degli Andossi.

Vi crescono soltanto erbe palustri, caréch, vi nidificano diverse specie di uccelli che attraggono compagnie di cacciatori provenienti dal milanese.

La frazione più popolosa in questo periodo è Villatico, sede dell’unica

parrocchia, favorita da una maggiore salubrità dell’ambiente; qui si trovavano mulini, forni, torchi, segherie e, a metà Ottocento, la prima scuola.

La bonifica della Piana di Colico inizia all’alba del diciannovesimo secolo, grazie al lavoro dell’ingegnere francese Giacomo Rousselin e del medico varesino Luigi Sacco. Quest’opera comporta non poche difficoltà: si scavano canali, si aprono strade (per Piantedo), si estrae torba, si coltivano le terre prima acquitrinose.

Agli Austriaci si deve la realizzazione di importanti opere pubbliche: l’incanalamento in un alveo rettilineo del corso dell’Adda nel 1858, ed il potenziamento della rete stradale per scopi militari (aprendo nel 1809 la Colico-Sondrio che poi proseguirà fino a Bormio e allo Stelvio, nel 1822 la Colico-Chiavenna che continua fino a Coira attraverso lo Spluga).

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Il paese acquista così notevole importanza nella rete viaria dell’epoca, indirizzandosi verso uno sviluppo economico e sociale grazie anche alla costruzione del porto nel 1818. Da qui transitano le merci da e per i paesi d’oltralpe e, con l’arrivo dei battelli a vapore, esso diventa il punto d’attracco più importante dell’alto lago.

Aumenta la popolazione nelle frazioni, formando parrocchie autonome intorno alle nuove chiese.

Colico Piano si amplia e, grazie alla sua posizione e al porto, si avvia a diventare il centro del comune.

Il Lario diventa sempre più meta di turisti: dai viaggiatori tedeschi del XVI secolo che ci hanno lasciato i loro appunti di viaggio, agli amanti del 'Gran Tour' affascinati dalle rovine del Forte, dall'Orrido di Bellano, dalle ville. A fine secolo iniziano le escursioni alpinistiche sul Monte Legnone e sorgono, accanto ad attività artigianali e a piccoli opifici, numerosi alberghi.

Colico vede confermato il suo ruolo strategico nella rete delle comunicazioni con la costruzione della linea ferroviaria per Sondrio nel 1885, Chiavenna nel 1886 e Lecco nel 1894, che verranno elettrificate nel 1902 e favoriranno lo sviluppo della sponda orientale del lago.

Ma la crisi dell’agricoltura, fino ad allora principale attività lavorativa, spinge molti abitanti ad emigrare, cercando maggiore fortuna soprattutto negli stati Uniti, nell’America Latina e in Australia.

Nei primi decenni del Novecento sono ancora tanti coloro che migrano oltreoceano, tornando dopo alcuni anni con piccoli capitali che investono nell’acquisto di appezzamenti di terra. Le rimesse degli emigranti rendono possibile una ridistribuzione della terra e una certa mobilità sociale.

Negli anni '50 si assiste a un progressivo abbandono dell'agricoltura, che sopravvive come lavoro integrativo accanto a quello in fabbrica. Uomini e donne trovano lavoro nelle industrie di Dervio (Redaelli), Bellano (cotonificio

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Cantoni), Mandello (Moto Guzzi), Abbadia (tubettificio), Lecco(Badoni), Talamona (Nuova Pignone) che raggiungono ogni giorno coi treni dei 'pendolari'.

Con la costruzione della nuova SS 36, completata con l'attraversamento di Colico, si mettono le basi per la creazione in paese di un'area industriale

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Analisi dei caratteri ambientali

Il lago e i paesaggi insubrici – caratteri identificativi

L’invaso lacustre ha una morfologia costituita prevalentemente da versanti ripidi a picco sul lago, risultato dei modellamenti glaciali.

Lo specchio d’acqua è l’elemento naturale che domina visivamente il paesaggio e rappresenta un elemento di arricchimento e valorizzazione dello scenario prealpino, attenuando la severità dei rilievi e delineando linee di fuga

orizzontali sui divergenti profili dei monti.

Lungo le sponde lacustri, essenza e fulcro del paesaggio, si ritrovano i luoghi paesisticamente più singolari, quali punte e penisole (Piona), rilievi morfologici (Montecchi di Colico), insenature, scogli e rupi: molti di questi luoghi hanno assunto negli anni una precisa identificazione collettiva.

Allo sbocco delle valli secondarie si collocano due grandi conoidi di deiezione dove insistono i principali insediamenti (Colico, Bellano, Dervio; Mandello del Lario), caratterizzati da un tessuto urbano edificato e da un retrostante ambito rurale, anch’esso costruito, spesso attraverso ingenti opere di sistemazione agraria dei versanti (terrazzamenti e ciglionamenti).

Il lago è alimentato dal fiume Adda e da torrenti montani che scendono ripidi verso lo specchio lacustre, dando luogo a caratterizzazioni geomorfologiche come gli orridi e le cascate.

La funzione termoregolatrice delle acque permette alla vegetazione di manifestarsi con scenari decisamente unici a queste latitudini. La flora, sia spontanea che introdotta dall’uomo, presenta una grande varietà di specie (associazioni del leccio e sempreverdi d’impianto antropico come cipressi, olivi, ecc.), propria dell’area mediterranea o sub-mediterranea, con una disposizione

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delle fasce fitoclimatiche che, grazie al clima insubrico, comprendono la zona del lauretum.

Numerosi sono gli elementi di singolarità paesistica indotti dalla presenza del lago, come l’organizzazione degli spazi (tipo di colture, d’insediamento, attività tradizionali come la pesca, relazioni per vie d’acqua, ecc.), le

testimonianze storiche, la percezione e la fruizione del paesaggio come scenario di soggiorno e turismo.

Uno degli elementi di maggiore identificazione del paesaggio lacustre sono le ville borghesi con i relativi parchi e giardini: si tratta degli elementi primari del tipico “paesaggio da riviera”, la cui origine è legata al richiamo del lago.

In passato, specie nel XIX secolo, la costruzione del lungolago e l’aumento delle ville borghesi non ha mai assunto caratteri e dimensioni tali da

compromettere l’estetica dei luoghi (sebbene criticabile sotto il profilo della conservazione della trama urbanistica dei borghi lacuali). Anzi, in molti casi ha rappresentato elemento di ulteriore valorizzazione, tale da conferire ad alcuni centri maggiori fama turistica a livello internazionale (come Varenna).

I borghi lacustri possiedono un impianto urbanistico dotato di connotati di assoluta unicità, con andamenti e assi pedonali perpendicolari alla linea di costa e sistemazioni edilizie a gradonate (Varenna, Bellano).

I versanti sporgenti sul lago ospitano numerosi belvedere e punti di

osservazione, spesso consacrati dalla presenza di santuari o edifici religiosi, accessibili quasi esclusivamente tramite percorsi pedonali.

Caratteristico del paesaggio lacustre è l’insediamento di conoide, che sfrutta sapientemente la sicurezza di una posizione elevata e quindi al sicuro dalle esondazioni e la vicinanza con suoli alluvionali molto produttivi.

Per tale motivo il nucleo si colloca quasi sempre sul punto più elevato del conoide. Il territorio di Colico è l’esempio emblematico di questa tipologia

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importanza, Villatico; verso la fine del XIX secolo, grazie all’attivazione della navigazione lacuale, gli interventi di bonifica, la costruzione della nuova strada (via Nazionale), e il prolungamento del tratto ferroviario da Colico a Lecco, si sviluppa e consolida quale centro abitato e manifatturiero.

La presenza di elementi del paesaggio agrario tradizionale è ancora oggi diffusa: coltivazioni tipiche come frutteti, uliveti, castagneti; i versanti a lago sono spesso caratterizzati da sistemazioni agrarie terrazzate di grande valenza paesistica (come Dorio, Bellano, la penisola di Piona oggi coperta da boschi). Attualmente le sponde lacustri sono coinvolte da fenomeni di compromissione; tutto ciò è causato dall’estesa privatizzazione delle aree demaniali lungolago, dalla crescente tendenza abitativa sviluppatasi negli anni lungo la viabilità litoranea, dall’edificazione lungo le sponde e, infine, dalla recente espansione che ha alterato i luoghi fino a sostituire la lettura dell’impianto urbanistico originario dei borghi lacuali.

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1 Analisi geomorfologica

L’origine del territorio di Colico è strettamente legata al modellamento

geomorfologico altolariano, ed è dovuta ai ripidi versanti del monte Legnone, i cui torrenti, nel corso del tempo, hanno apportato una grande quantità di

detriti, generando una successione di tre conoidi estesi tra Olgiasca e Piantedo. Grazie a questi depositi, interposti tra la riva lacustre e gli erti versanti del monte, si è creata una frangia collinare-montana su cui si è sviluppato l’ambito urbano di Colico.

L’avvento delle glaciazioni non solo ha formato l’odierna conca lacustre lariana, ma ha anche apportato considerevoli depositi morenici e fluvio-glaciali sui conoidi colichesi, variegandone ulteriormente il quadro geomorfologico.

Nell’analisi del contesto territoriale non va poi dimenticata la presenza del Pian di Spagna, un’estesa piana alluvionale di origine relativamente recente,

costituita da detriti trasportati e depositati dall’Adda nel corso del tempo. Questi ultimi sono essenzialmente sedimenti a granulometria grossolana, in genere limoso-sabbiosa.

L’area pianeggiante del Pian di Spagna contrasta con i Montecchi.

Questi dossi rappresentano una reminiscenza dell’antica dorsale che delimitava le valli dell’Adda e del Mera, in seguito demolita dall’avanzata delle glaciazioni quaternarie. Sono modellati sulle stesse rocce cristalline che costituiscono il settore occidentale del versante orobico valtellinese.

Dal punto di vista geomorfologico si possono individuare, nel territorio di Colico, quattro ambiti:

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Ambito 1: Area collinare-montana dei conoidi e dei conoidi di deiezione Ambito 2: Area pianeggiante perilacustre in continuità con il Pian di Spagna Ambito 3: Sistema dei Dossi Colico-Piona (“Montecchi”)

Ambito 4: Area montuosa e accidentata (Versante del Monte Legnone)

2 Analisi climatica

Il clima di Colico è a regime sub-litoraneo padano I, un regime pluviometrico con il massimo principale in autunno (ottobre o novembre) e con il minimo assoluto in inverno (gennaio o febbraio). I massimi secondari sono presenti in primavera e in estate, i minimi secondari in estate e in autunno.

3 inquadramento paesistico-ambientale e pedologico

Secondo i dati forniti dall’ERSAF, il territorio di Colico si inserisce nella regione Pedologica Insubrica alpina, precisamente nel distretto “Alto Lario”.

Questa porzione di territorio è caratterizzata dalla presenza di versanti

circumlacuali fino a 800m-1000m (con conoidi), piana alluvionale e/o lacustre recente delle basse valli dell’Adda e del Mera e le Valli Varrone e bassa

Valsassina a morfologia glaciale. Il substrato è alluvionale medio-fine con torbe nei fondovalle pianeggianti, micascisti e conglomerati sui versanti dei bacini Varrone e Pioverna. Le precipitazioni sono abbondanti (sino a 1800mm/annui) mentre le temperature medie annue sono superiori a 10°C).

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La copertura vegetale è dominata da foreste latifoglie (faggete e aceri-frassineti), con prati nelle zone acclivi e coltivi nei fondovalle pianeggianti. Le caratteristiche dei suoli colichesi sono fortemente influenzate dalla natura geologica del sottosuolo, a sua volta legato all’affioramento di depositi

alluvionali, glaciali, quaternari, conoidi o affioramenti di Basamento Cristallino (gneiss e micascisti).

Tipologie di suolo presenti nel territorio di Colico:

Regolsols: tipici suoli dei fondovalle alluvionali pianeggianti ed ambienti umidi, presenti prevalentemente a quote basse. La tessitura è franco-sabbiosa con scheletro comune/abbondante. Si trovano in tutte le zone pianeggianti e collinari tra Piona e S.Agata (<800m) e il loro uso è a prato stabile, seminativo o frutteto.

Fluvisols: tipici suoli dei fondovalle pianeggianti a bassa quota, poco fertili per il cattivo drenaggio. La tessitura è franco-sabbiosa con scheletro abbondante.

Si trovano nel Pian di Spagna e il loro uso è, se drenati, a prato stabile o seminativo, altrimenti la loro utilizzazione è scarsa o nulla.

Cambisols: suoli originati da materiale detritico di versante o da

anfiteatri morenici tardo wurmiani, presenti sotto varie coperture vegetali ( bosco di latifoglie e castagneti, bosco misto o di conifere, prati stabili) a quote medio basse. La tessitura è franco-sabbiosa con scheletro

abbondante. Spesso sono aridi e assumono colorazioni rossastre. Si trovano alle pendici del monte Legnone e il loro uso è a prato stabile, a boschi (produzione legna) o castagneti.

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4 Uso del suolo

Nel territorio sono presenti quattro forme di gestione/utilizzo dei suoli: Vocazione forestale (castagneti): presente sui tutti i Montecchi. Il castagno si trova prevalentemente tra l’Olgiasca e l’Abbazia di Piona, a Fontanedo e in zone limitate degli altri Montecchi. Abbonda anche nei versanti del monte Legnone dove termina l’ambito urbano; in genere il governo è a ceduo o a ceduo composto.

Vocazione Agro Silvo pastorale e/o foraggiera (praterie pascolate o per produzione di foraggio): presente sui suoli di campagna, in tutto il territorio. L’utilizzo principale è lo sfalcio, e secondariamente il pascolo. Vocazione a seminativo: si tratta principalmente di piantumazione di granoturco.

Analisi delle emergenze naturalistiche-paesistiche e storico-artistiche

Nell’esame delle emergenze naturalistiche-paesistiche e storico-artistiche di Colico sono state individuate sette aree:

1- Promontorio di Olgiasca

2- Area Montecchio sud - Cascina Folletto 3- Area tra Montecchio sud e piazza Garibaldi 4- Area Montecchio nord e Erbiolo

5- Area Montecchio nord del Forte di Fuentes 6- Aree pianeggianti interposte tra le aree 4 e 5 7- Area di Fontanedo

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1. Promontorio di Olgiasca

Il colle di Olgiasca, anticamente denominato Piona, rappresenta oggi uno dei luoghi più importanti di Colico, sia dal punto di vista turistico-paesistico che da quello floristico-vegetazionale.

In passato il luogo ospitava un’intensa attività agricola.

Nel 1241 fu dato in affitto dalla Chiesa di San Vincenzo di Gravedona

all’Abbazia di Piona, il cui meraviglioso complesso è ancora oggi il protagonista della piccola penisola e del paesaggio circostante.

Nel XIV secolo venne edificato il Castel Mirabei, mentre nel XVII secolo Olgiasca perse la sua autonomia diventando parte del comune di Colico. La particolare conformazione peninsulare dell’area consente una visuale quasi a 360° del Lago di Como, che può essere ammirato dal Laghetto di Piona. Quasi ¾ dell’area è priva di urbanizzazione, e ciò ha permesso la

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di formazioni di Erica arborea in prossimità delle rive rocciose, fa di questo settore un importante esempio di paesaggio insubrico xero-mediterraneo. Nelle zone in prossimità dei dossi e i versanti distanti dalle rive sorgono invece

boschi di castagno, in prevalenza cedui composti.

L’area si distingue anche per la grande importanza in ambito geologico, in quanto interessata da attività estrattiva di filoni di Pegmatite, un particolare tipo di roccia che nel Lario è presente solo in questa porzione di Colico. I filoni di pegmatite contengono numerose specie mineralogiche, alcune molto rare. Un altro elemento di fondamentale importanza, sia dal punto naturalistico-paesaggistico che storico-monumentale, è la presenza della già citata Abbazia di Piona.

Infine, nell’area dell’Olgiasca è presente una rete sentieristica denominata “baia di Piona”(di tipo turistico, tempo percorrenza: 2 ore e 15 minuti) e un percorso che unisce l’Abbazia alla frazione abitata (di tipo escursionistico, tempo percorrenza: 1 ora e 10 minuti).

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L’abbazia di Piona

L’Abbazia di Piona è sicuramente uno dei complessi conventuali più suggestivi dell’Alto Lario, sia per l’indiscutibile fascino dell’ambiente naturale, sia per la presenza di testimonianze artistiche molto importanti.

La chiesa presenta una facciata a capanna con una grande finestra centrale a tutto sesto; l’interno è costituito da un’unica navata, di dimensioni 27,60m x 8,00m, e un’altezza di 9,50m, con abside circolare rivolto a oriente.

La copertura è costituita da un tetto a capriate, il soffitto piano è portato da grosse travi di larice a vista, ben riquadrate.

La planimetria della chiesa presenta una forma irregolare, a testimonianza del fatto che l’edificio venne eseguito in tempi successivi.

All’ingresso sono collocati due leoni marmorei accovacciati su piedistalli, sul cui dorso poggia un’acquasantiera, ma che probabilmente in origine

sostenevano una colonna o un pulpito, come ancor oggi si osserva in molte chiese medievali.

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L’interno presenta decorazioni in affresco nella parte absidale: il ciclo pittorico è di notevole valore artistico e risale al XIII secolo.

Nel centro del catino vi è Cristo nella mandorla, con il libro aperto, in atto di benedire, attorniato dai quattro simboli degli evangelisti.

Probabilmente un Cristo nella forma pantocratica all’uso bizantino, diffuso all’epoca anche nelle nostre zone.

Nell’area sottostante sono presenti i dodici apostoli, mentre nella volta – attorno a Cristo benedicente fra angeli – di nuovo gli apostoli, in due gruppi, in gesto di acclamazione.

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Il chiostro

Mentre per la chiesa di S. Nicolò esiste, tra storia ed arte, una certa discordia di giudizio, il chiostro è invece di datazione certa: due lapidi marmoree con epigrafe latina recitano, con caratteri gotici, date e nome dell’autore; le due targhe sono collocate una di fronte all’altra appena sopra l’arco centrale dei due colonnati.

Al chiostro vi si accede dal lato destro della facciata della chiesa, attraverso un portale ad arco acuto.

Lungo il perimetro del cortile corrono quarantuno colonne e quattro pilastri di marmo i cui capitelli, finemente decorati con motivi di fiori, foglie e animali, sostengono un piano superiore con ghiere in cotto e fasce di marmo bianco, rosso e nero interrotte da eleganti bifore.

All’ingresso del chiostro vi è un affresco, risalente al XV-XVI secolo,

raffigurante l’apparizione di Cristo alla Madonna, mentre sopra l’ingresso del portico che porta alla chiesa è raffigurato un busto di Cristo. Sotto il portico, a ridosso della chiesa, in uno stile semplice e dal tono popolare, si trova un calendario affrescato, elemento decorativo davvero singolare e di cui ne esistono pochi esemplari in tutta Europa.

Si compone di una lunga fascia divisa in due registri: in quello superiore sono rappresentati i singoli mesi attraverso le occupazioni agricole caratteristiche (settembre, ad esempio, è caratterizzato dalla preparazione delle botti, luglio dalla battitura del grano), in quello inferiore vengono raffigurati undici santi nel momento del martirio. L’affresco, risalente a un epoca precedente alla costruzione del chiostro, era situato in origine all’esterno della chiesa.

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In basso, sopra un supporto si trova il cippo con l’epigrafe di S. Agrippino, che recita come nel 616 il santo, approdando a Piona, diede inizio alle secolari vicende di questo luogo.

Subito dopo, alcuni segni indecifrabili sulla parete testimoniano la presenza di una seconda epigrafe, sicuramente coeva a quella situata in chiesa del 1138. Dal chiostro si accede alla stupenda aula capitolare, degna delle migliori tradizioni cenobitiche. La sala è ampia, arredata da preziosi stalli di noce intagliati del XVIII secolo, su cui domina dall’alto la raggiera dello Spirito Santo. Gli stalli provengono da S. Zeno di Verona e, dopo un meticoloso e lungo restauro, hanno trovato qui la loro perfetta e definitiva collocazione. In ultimo, su una delle del porticato, si trova un dipinto raffigurante S.

Benedetto in atto di respingere la tentazione (da alcuni interpretato come un angelo che conduce in cielo l’anima di un convertito defunto).

Il chiostro, e tutto ciò che lo compone, è asimmetrico, disuguale e

contrastante: dalla planimetria alle colonne, disposte nella sequenza di 8-10-11-12, dagli archi diseguali ai simboli scolpiti su capitelli e pulvini in cordiale discordia fra loro; sembra quasi che l’artista o gli artisti abbiano voluto divertirsi con numeri ed elementi discordi, creando con questi, come per miracolo, una mirabile armonia.

E per ciò che riguarda gli artisti, è opinione condivisa tra gli studiosi che, nell’arte profusa nel chiostro, non sia da escludere l’opera dei gloriosi “Maestri Cumacini”, presenti all’epoca in tutta Europa.

Questo, a maggior ragione, vista la ricchezza del committente Bonacorso de Canova, il quale aveva certamente desiderio che l’arte locale trovasse qui la sua genuina espressione.

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2. Area Montecchio sud

Questo settore comprende il Montecchio posto tra Cascina del Pero e Cascina Folletto. E’ un’area in prevalenza boscata, composta principalmente da robinieti misti e castagneti. In corrispondenza del versante volto sul lago si trovano le vegetazioni più pregiate (in prossimità di Cascina Folletto); il versante opposto è invece minacciato dall’eccessiva proliferazione della robinia.

Anche la sommità del Montecchio sud presenta punti panoramici di notevole rilevanza, che consentono di ammirare il Pian di Spagna e le montagne della Val Chiavenna.

L’area è resa percorribile da un sentiero escursionistico che parte da Piazza Garibaldi (lunghezza 3,4 km, tempo percorrenza: 1 ora e 30 minuti).

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Il Pian di Spagna

Il Pian di Spagna si colloca a nord del lago, fra la riva occidentale e quella orientale, alla confluenza dei fiumi Adda e Mera nel Lario, segnando il confine naturale fra le provincie di Como, Lecco e Sondrio.

La vasta area umida , nota per il suo alto valore ecologico e paesaggistico, costituisce una delle più importanti riserve naturali della regione Lombardia. Si tratta di una pianura alluvionale, formatasi per l’apporto di materiale detritico da parte del fiume Adda.

La zona paludosa in passato era perennemente allagata e quindi ricca di stagni e vegetazione palustre.

Abitato fin da epoca romana, come confermato dai ritrovamenti archeologici in zona di Sant’Agata (dove sorgeva la romana Aneunia), il piano di Spagna deve il suo nome al dominio spagnolo (sec. XVI-XVIII).

Vista la sua posizione strategica questa pianura ospitò, a partire dall’età medievale, diverse fortificazioni, che vennero successivamente ampliate dagli spagnoli. Qui infatti passava il confine tra il Ducato di Milano, allora sotto la corona di Spagna, e i Grigioni, che controllavano la Valtellina.

Per questo motivo il conte di Fuentes, governatore di Milano, decise di costruirvi un forte, situato sull’ultimo Montecchio di Colico.

In quell’epoca iniziarono le prime bonifiche, continuate poi sotto il dominio austriaco. La situazione idrogeologica era infatti instabile e le continue alluvioni causavano non pochi problemi alle popolazioni locali.

Le cose migliorarono notevolmente nel 1858, anno in cui fu portata a termine una grossa opera di bonifica che comportava la rettificazione e la

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lago di Como. Dei vecchi percorsi meandreggianti del fiume rimase comunque una traccia evidente sul territorio. Ancora oggi la cartografia riporta la

presenza di fasce leggermente depresse a forma di grandi anse.

Oggi la riserva , che occupa complessivamente 1500 ettari, è il risultato di secoli d’interazione tra attività umane e storia naturale, un mosaico di elementi naturalistici e zone recuperate all’agricoltura e al pascolo. Tale

riserva, creata dalla Regione Lombardia nel 1985, è affidata in gestione ad un consorzio di comunità montane appartenenti alle province interessate. Questo al fine di conservare le caratteristiche naturali e paesaggistiche della zona umida e per assicurare l’ambiente idoneo alla sosta e alla nidificazione dell’avifauna migratoria.

La palude più estesa e rilevante occupa la fascia a Nord del Pian di Spagna ed è in comunicazione diretta con il lago di Mezzola. Ulteriori macchie di canneto si ritrovano a ridosso del lago di Como, in località Borgofrancone, lungo il canale del Mera e nei paleoalvei o ai bordi di canalette ricavate dai paleoalvei. Le vaste distese di canne e cariceti (torbiere) costituiscono uno degli aspetti più caratteristici del Pian di Spagna, ma si posso notare anche zone boschive formate da pini silvestri, robinie, ontani, salici e pioppi.

Dall’ambiente naturale si passa gradatamente ad aree dove è stata tentata la conversione in prati da sfalcio, ma dove tuttavia continuano ad essere presenti la canna di palude e i carici, chiari indici della tendenza al ristabilimento delle condizioni naturali se vi fosse la sospensione delle attività umane.

Il vero patrimonio della Riserva è costituito dagli uccelli, sia nidificati che migratori. Ne sono state individuati esemplari appartenenti a circa 200 specie diverse, tra cui il voltolino, il martin pescatore, l’airone cenerino, la cannaiola. Nelle zone di esondazione nidifica regolarmente una piccola popolazione

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3. Aree pianeggianti tra Montecchio sud e piazza Garibaldi

E’ l’area di forma allungata compresa tra il Montecchio sud e la ferrovia Lecco-Sondrio, una zona di importanza strategica per la conservazione del paesaggio naturale di Colico. Questo perché ha la funzione di fare da ponte tra la Baia di Piona e il Montecchio.

Si tratta di un settore di massima sensibilità e che necessita di tutela, per evitare che vada a rompersi la continuità tra i Montecchi.

L’indagine di campo ha rilevato la presenza diffusa di praterie umide, intervallate da seminativi di granoturco. Ciò ha permesso la conservazione della percezione paesaggistica con numerosi punti panoramici in direzione del Montecchio sud, del lago e della zona dell’alto Lario.

L’area è attraversata da una strada di campagna - via dei Ciacc – che funge anche da percorso ciclabile.

I fattori che hanno permesso che la zona si conservasse nel tempo sono: la presenza della rete ferroviaria, che ha bloccato l’espansione dell’ambito

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urbano; la presenza di prati umidi, non completamente bonificati, posti tra la ferrovia e il Montecchio sud.

4. Area Montecchio nord e Erbiolo

Quest’area include parte del Montecchio nord, prima dell’ultimo sperone in cui sorge il Forte di Fuentes. E’ quasi interamente ricoperta di vegetazione, ad eccezione le località Roccolo e Montecchio. La tipologia boschiva maggiormente presente è quella originata dalla compenetrazione tra Castagneti e Robinieti misti. Nelle zone rocciose prevalgono le formazioni a Erica arborea e Bagolaro. L’area è attraversata dal Sentiero dei Forti, di notevole importanza dal punto di vista turistico; collega il Forte Lusardi con il Forte di Fuentes ( 4 km, tempo di percorrenza: 1 ora e 45 minuti).

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5. Area Montecchio nord del Forte di Fuentes

E’ l’area che include il piccolo Montecchio, dove è insediato il Forte di Fuentes, e un dosso di modeste dimensioni noto come Monteggiolo.

L’area è ricoperta da vegetazioni miste composte prevalentemente da castagno, Robinieti e boschi misti.

Gli affioramenti rupestri sono colonizzati da specie tipiche delle rocce silicee, quali: Erica arborea, Sedum maximum, Sempervivum tectorum, Asplenium septentrionale, Rumex scutatus e, in prossimità dei boschi umidi, il rarissimo Oplismemum undulatifolium.

Da Monteggiolo è possibile salire all’interno del Montecchio dove sorge il Forte di Fuentes, un esempio unico di architettura fortificata in ambito lariano. Prima del Forte si incontra un roccolo privato in buono stato di conservazione (piccola costruzione per la cattura degli uccelli, generalmente di tre piani e mimetizzate da piante rampicanti). La struttura, composta dai classici filari di carpino bianco, conserva ancora l’aspetto originale.

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Nel XIX secolo il territorio di Colico era costellato da queste strutture, che sorgevano sia sui Montecchi sia in montagna (il più altro era il “Corte del Pra”). La sommità del Montecchio presenta scorci panoramici in direzione della

Valtellina, della Val Chiavenna e in particolare sul Pian di Spagna.

L’area è attraversata da un percorso di tipo escursionistico (7,5 km, tempo di percorrenza 3 ore).

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Il Forte di Fuentes

Essendo stata nei secoli passati crocevia di importanti vie di comunicazione, tutta l’area di Colico fu interessata, fin dall’età medievale, dalla costruzione di numerose fortificazioni.

Il Forte fu costruito tra il 1603 ed il 1604 per volere di don Pedro Enrique de Acevedo, conte di Fuentes, governatore dello Stato di Milano per conto della corona di Spagna.

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La fortezza, di pianta irregolare, misura in lunghezza 300 metri ed in larghezza 125 metri, è dotata di una costruzione a "U" che comprende gli alloggiamenti dei soldati, il palazzo del governatore, la chiesa, il mulino con il forno, alcune cisterne per l'acqua e, nei sotterranei, i magazzini.

Costituivano opere accessorie del Fuentes la torre di Sorico, la torretta del Passo, il fortino d'Adda, il torrino di Borgofrancone, la torretta di Curcio e la torre di

Fontanedo.

- Il palazzo del governatore: occupa interamente il lato di fondo della piazza d’armi. E’ un grande edificio di due piani con sette camere per ciascun piano, oltre ai magazzini. Dalle descrizioni storiche risulta che vi fosse un pregiato portico colonnato e, all’interno, una grande scala in pietra, oggi perduti. Rimangono le tracce del grande camino principale e dei camini più piccoli delle stanze adiacenti. Il palazzo fu solo raramente abitato dai governatori, che preferivano risiedere nelle più salubri cittadine della sponda nord-occidentale del lago, soprattutto a Domaso, lontano dai rischi della malaria che imperversava nelle malsane paludi del Pian di Spagna.

- Il quartiere dei soldati: occupano tutto il lato sud-est della piazza d’armi. Costruiti, come tutti gli altri edifici del forte, con muratura in pietra legata e

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intonacata, si sviluppano su due piani e, stando ai documenti, furono creati per ospitare più di 300 uomini. La caserma è ben protetta dalla roccia e si trova, come il Palazzo del Governatore, immediatamente al di sotto della cosiddetta “piattaforma” che scendeva dal quartiere San Cristoforo, il punto più elevato del Forte. Esistevano anche altri alloggiamenti secondari, posti all’esterno del perimetro della piazza. Questi potevano ospitare un altro centinaio di uomini.

- Le postazioni blindate: furono costruite durante la Prima Guerra Mondiale come difesa da una eventuale invasione tedesca o austro-ungarica dalla Valtellina o dalla Valchiavenna. Sono due massicce postazioni realizzate in calcestruzzo e disposte a L, destinate ad ospitare in otto pezzi d'artiglieria. Lo scopo era quello di mantenere efficiente lo sbarramento di Colico nell'ambito del sistema difensivo alla Frontiera Nord verso la Svizzera, essendo stati

rimossi i cannoni dal vicino Forte Montecchio Nord. Fortunatamente il territorio di Colico non subì nessun attacco e le postazioni non furono mai armate. Al di sotto di queste postazioni vi è un ampio deposito per il munizionamento, scavato in roccia e protetto da una spessa volta in calcestruzzo. Nei pressi del Forte esistono inoltre alcune gallerie, in parte utilizzate un tempo per cavare minerale di ferro.

Dal 2012 il forte è manutenuto e gestito dal Museo della Guerra Bianca in Adamello.

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6. Aree pianeggianti interposte tra le aree 4 e 5

Questa vasta parte di territorio include al suo interno svariati ettari di seminativi, di prati stabili umidi di valore naturalistico e, in prossimità del limite nord, locali appezzamenti di fragmiteti a canna palustre e lische. Le caratteristiche delle vegetazioni presenti (ricche di specie adatte a sopravvivere su suoli umidi), la relativa vicinanza del lago, del canale

Borgofrancone e dell’Adda rendono l’area una zona di transizione con il Pian di Spagna. Il tracciato ferroviario Lecco-Sondrio e la strada statale 36 del Lago di Como-Spluga interrompono purtroppo tale continuità.

L’area vanta una notevole apertura paesaggistica, consentendo di

approssimare lo sguardo in direzione dei due Montecchi (aree 4 e 5) e delle Montagne dell’Alto Lario (M. Berlinghera e Sasso Canale).

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7. Area di Fontanedo

E’ un’ampia area di forma poligonale i cui vertici corrispondono a Rodondello, Chiarello, Fontanedo, e Monte Strecc.

Al suo interno si possono riconoscere due zone distinte. La prima,

comprendente l’asse Monte Strecc-Robustello, è caratterizzata dalla morfologia dell’alveo del torrente Inganna, ed è ricoperta da boschi di robinieti misti o formazioni a Buddleja davidii. La seconda, collocata lungo l’allineamento Fontanedo - Torre e Fontanedo – Chiarello, presenta pregevoli boschi di castagno con intercalate radure.

Il territorio è attraversato da diversi percorsi di rilevanza paesistica: l’anello di Fontanedo, l’anello Robustello, il sentiero del Breganin, l’anello di Rusico, il rifugio Scoggione e il sentiero dei torrenti.

Questa diffusa rete sentieristica, contornata di elementi di rilevanza, fa di questo settore un punto importante per apprezzare la porzione collino-montana di Colico (600m-1000m).

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Conclusioni

Dall’indagine conoscitiva emerge come il territorio di Colico si contraddistingua per l’elevato valore naturalistico – storico – paesaggistico, grazie alla presenza dei Montecchi, della baia di Piona e delle vaste praterie.

Molti sono gli elementi di interesse storico (in particolare storico bellico) associati a presenze puntiformi come i roccoli.

I percorsi stradali e campestri di impianto storico non hanno subito sostanziali modifiche, conservando un ruolo secondario di collegamento tra i diversi nuclei abitati.

La rete sentieristica e stradale che permette di raggiungere e percorrere il territorio è segnalata in modo adeguato e, in molti contesti, classificata in funzione delle valenze con l’aiuto di pannelli esplicativi.

D’altra parte, non si può trascurare l’eccessiva frantumazione dei corridoi ecologici che risultano interrotti a causa della distribuzione della rete viaria e ferroviaria; in particolare, è netta la separazione con l’area della riserva naturale del Pian di Spagna.

Dunque Colico presenta un territorio molto frammentato, fruibile solo a tessere.

Altro elemento di criticità è legato all’occupazione della linea di costa

(campeggi, che in realtà sono dei villaggi di roulottes stanziali, edificazioni su aree spondali), alla formazione di fronti continui (recinzioni e

campeggi/villaggi) lungo costa, che impediscono qualunque permeabilità tra lago e retroterra.

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Il museo

Obiettivi

L’intervento progettuale prende vita dall’intento di rispondere a più esigenze. Innanzitutto nasce dalla volontà di creare un luogo di riscoperta delle tradizioni del territorio altolariano, che documenti in particolar modo l’evoluzione della navigazione dai tempi più antichi fino agli inizi del secolo scorso.

Parallelamente vuole valorizzare uno scenario unico in tutto il lago di Como, che è quello della baia di Piona, potenziandone la fruibilità e sviluppandone la vocazione turistica.

Le sponde lacustri sono oggi interessate da fenomeni di compromissione, a causa della tendenza insediativa sviluppatasi negli anni lungo la viabilità litoranea, della privatizzazione estesa delle aree demaniali lungolago, dell’edificazione lungo le sponde e, infine, dell’espansione recente che ha alterato i luoghi fino a sostituire la lettura complessiva dell’impianto urbanistico originario dei borghi lacuali.

Nell’area interessata dal progetto la costa, a causa di disorganici insediamenti e attrezzature ricettive all’aperto, ha perso i suo caratteri originali ed è

penalizzata dalla mancanza di un percorso che la renda fruibile e visitabile. L’obiettivo è quindi operare una riqualificazione dal punto di vista paesaggistico attraverso la creazione di un nuovo percorso che stabilisca un dialogo tra lago, natura e preesistenze storiche.

A questo si accompagna poi la volontà di “rendere vivo” questo luogo così ricco di risorse ma scarsamente valorizzato.

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La strategia progettuale

Il lavoro progettuale ha dunque mosso i suoi passi partendo dall’obiettivo della valorizzazione, declinandola sotto tre principali aspetti:

⋅ valorizzazione paesaggistica

⋅ valorizzazione turistica

⋅ valorizzazione della memoria

Il segno lasciato dal nuovo intervento è stato studiato con il fine di inserirsi armoniosamente in un contesto oggettivamente già ricco di risorse naturali e architettoniche, ma scarsamente “vissute”.

Quindi lo studio si è concentrato nel creare l’elemento costruito che meglio risponda a queste esigenze e che, allo stesso tempo, non stravolga i delicati equilibri del paesaggio attuale.

Il tema della valorizzazione in questo progetto è stato sviluppato cercando di trovare una soluzione che permettesse di rendere da un lato più fruibile il territorio, dall’altro di rendere maggiormente conoscibile il ricchissimo patrimonio di cui il lago ed il suo territorio sono custodi.

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Da qui è nata l’idea del museo, un museo sulle imbarcazioni tradizionali del Lario.

L’imbarcazione è forse quell’oggetto che più di ogni altro può rappresentare quella che è stata, per secoli, la vita delle popolazioni lariane.

Fondamentale mezzo di lavoro ma non solo; anche casa, rifugio dal freddo e dalle intemperie durante le lunghe trasferte per le battute di pesca.

La barca è poi una vera opera d’arte, frutto di una maestria pari a quella dello scultore; come un’opera scultorea anch’essa era unica e irripetibile, il risultato di un costante impegno verso il miglioramento sia funzionale che formale. Si è quindi voluto omaggiare questa ricchissima tradizione creando uno spazio che ospitasse le tipologie più famose ideate nel corso dei secoli.

E, accanto a ciò, raccontare anche di come queste venivano realizzate. Narrare la storia del lago, delle sue barche, della vita quotidiana delle popolazioni.

Un museo che, come le barche, si collocasse non sulla terraferma ma sull’acqua, creando un nuovo dialogo con la superficie lacustre.

Una posizione privilegiata, che permette di osservare il paesaggio da un inedito punto di vista: ad ovest si ammira il colle di Piona-Olgiasca con il magnifico complesso abbaziale, ad est i verdi boschi che ricoprono il Montecchio sud, a nord il lago, a sud il monte Legnone.

E, come collegamento tra architettura e terra ferma, si è pensato ad un lungo pontile che, oltre ad unire i due elementi, permettesse di effettuare una

passeggiata sopra il lago; questo in modo tale da superare il problema della frammentarietà dei percorsi pedonali lungo costa.

Quindi l’idea è stata quella di creare una strada che non necessariamente

debba portare al museo, ma che abbia semplicemente anche solo la funzione di camminamento per godere del paesaggio da un nuovo punto di vista.

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Da qui si è quindi delineata la forma del pontile che, con un’ampia curvatura, si appoggia sulla superficie lacustre ad abbracciare idealmente la baia di Piona.

Ai suoi lati si innestano due volumi costruiti che, riprendendone la direttrice e lo sviluppo

orizzontale, ne costituiscono il prolungamento. Di questi il primo è destinato ad accogliere il museo vero proprio, il secondo invece è pensato come spazio multifunzionale.

Se da un lato infatti il museo è il luogo della valorizzazione storico-culturale del territorio dall’altro, ai fini della valorizzazione turistica, è stato ritenuto

necessario l’inserimento di funzioni complementari volte alla fruizione di un maggiore numero di visitatori.

Quindi è stato creato un secondo edificio pensato per le attività del tempo libero e dello svago, in particolar modo quelle legate allo sport.

A Colico infatti in questi anni si è sviluppata sempre di più la pratica di sport acquatici, in particolare il windursurf, il kitesurf e la navigazione in canoa. Per cui la realizzazione di un luogo che accolga le associazioni sportive è di fondamentale importanza affinché venga promossa ancora di più questa fiorente attività.

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Il progetto si compone dunque essenzialmente di tre elementi:

• Il pontile: elemento di connessione tra l’edificio e la terraferma

• Il museo: spazio espositivo sull’imbarcazione lariana

• Edificio polifunzionale: uno spazio in parte privato, (clubhouse, sede associazioni sportive) ed in parte pubblico (con servizi complementari al museo)

Per collegarli si è pensato di sviluppare il tema del “filo rosso”, traducendolo in un elemento visivo che desse continuità lungo tutto il percorso, dall’inizio della passeggiata in corrispondenza della costa, fino all’interno degli spazi espositivi. Nello specifico, questo si configura come un segno, presente nei vari elementi costruiti e contraddistinto dal colore rosso: a livello di pavimentazione e a livello delle pareti, assumendo dimensioni e materiali diversi, ma restando ben riconoscibile grazie alla sua caratteristica cromatica.

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L’esposizione

La collezione ospitata all’interno dello spazio museale è composta da una raccolta delle principali tipologie di imbarcazione che hanno navigato le acque del Lario durante i secoli.

Si tratta sia di esemplari originali che di ricostruzioni in scala 1:1, accompagnate da modellini in scala ridotta.

Il fine dell’esposizione è illustrare l’evoluzione della nautica lariana dalle origini fino agli inizi dello scorso secolo, nello specifico analizzando la barca a remi. Parallelamente a questo, vuole raccontare tutto il mondo di tradizioni delle popolazioni a contatto con il lago e, non da ultimo, far conoscere il patrimonio storico-artistico custodito dai territori lariani.

Si è voluto creare una mostra a “più livelli” che, partendo dalle imbarcazioni, vuole ripercorrere la storia del lago in senso più ampio, parlando anche degli aspetti più curiosi e sconosciuti.

Per far ciò l’esposizione vera a propria, composta da imbarcazioni e modellini, è accompagnata da delle proiezioni che raccontano tutto ciò che non può

materialmente esposto: come, ad esempio, la realizzazione delle barche stesse (di cui non ci sono pervenuti documenti scritti, essendo tradizionalmente

tramandata per via orale), e le varie tecniche di pesca (che erano diverse in base al tipo di imbarcazione utilizzata).

Lo spazio della mostra è organizzato in un'unica sala longitudinale: al suo interno si trovano quindici imbarcazioni, collocate in apposite vasche.

Il “filo conduttore” che guida l’esposizione è il filo rosso che idealmente unisce gli elementi del progetto intero: partendo dal pontile, nella fascia centrale della pavimentazione, si ritrova qui dentro su due livelli:

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⋅ a livello della pavimentazione e del bancone espositivo, sul quale sono collocati i modellini delle imbarcazioni

⋅ a livello della parete esplicativa, organizzata con immagini, descrizioni, proiezioni.

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Il linguaggio architettonico

Le scelte progettuali sono state effettuate avendo come prima linea guida la necessità di rispettare la specificità del luogo, ancor oggi rimasto

prevalentemente allo stato originario.

In contesti simili, con forte connotazione naturalistica, è oggi sempre più diffusa la realizzazione di pontili fissi in legno, che riprendono i materiali e le tecniche tradizionali.

Questa soluzione è stata ritenuta la più adeguata anche in questo caso: il progetto si configura proprio come una lunga via in legno sull’acqua che,

partendo dalla terra ferma, accoglie il visitatore e lo conduce lungo un percorso immerso nel paesaggio naturale, permettendo di osservare quest’ultimo da un punto di vista privilegiato, ossia il centro del lago.

Dopo aver effettuato questa lunga passeggiata ci si ritrova di fronte ai due padiglioni costruiti, concepiti come un prolungamento del pontile stesso: a destra il museo, a sinistra l’edificio polifunzionale.

Questi ultimi si configurano come due volumi posti ai lati della passeggiata, della quale riprendono sia la direttrice che lo sviluppo orizzontale.

Questa scelta è stata dettata dalla volontà, prima citata, di armonizzare il progetto con l’ambiente naturale circostante.

E, sempre in questo senso, anche il materiale principalmente utilizzato rimane il legno.

Ciò che differenzia edificio e pontile è invece la connotazione cromatica: mentre la passeggiata è composta da elementi lignei dal colore naturale, gli edifici sono caratterizzati dal colore bianco. Questo colore neutro ben si inserisce in un contesto naturale come quello del lago.

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“l’architettura è fatta dagli uomini, è statica, non cambia, non cresce nel tempo. È la natura che cambia durante il giorno, nel corso delle stagioni, e il candore degli edifici aiuta a riflettere la differenza tra ciò che è stato fatto dall’uomo è ciò che è naturale. Ci aiuta a percepire la natura che ci circonda e il modo in cui l’architettura la riflette.”

Richard Meier

Sia dal punto di vista dell’impianto compositivo che del linguaggio formale l’edificio adotta soluzioni simili a quelle presenti nel River Museum di David Chipperfield.

Più precisamente, l’idea di sviluppare due volumi tra loro paralleli ed uniti da un percorso, viene ripresa nel presente progetto e adattata alla curvatura del pontile: si hanno dunque due lunghi padiglioni caratterizzati da una forte orizzontalità e dall’andamento non lineare.

In secondo luogo vi sono delle affinità nella scelta costruttiva e compositiva dell’involucro edilizio: le facciate sono costituite da due fasce; la prima, a livello più basso, con una vetrata continua, la seconda, in alto, con il tamponamento in legno.

L’inserimento di grandi parti vetrate permette di stabilire un rapporto visivo diretto con il paesaggio anche all’interno dei due edifici.

Nella parte museale questa soluzione è necessaria anche per poter osservare le imbarcazioni collocate all’esterno.

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Lo studio progettuale si è orientato anche ad individuare un elemento di connessione che, dal punto di vista visivo, legasse tutti gli elementi nel loro insieme, partendo dall’inizio della passeggiata fino ad arrivare all’interno dello spazio espositivo.

Si è scelto di sviluppare il tema del “filo rosso”: questo si configura nella fascia colorata della pavimentazione centrale del pontile, partendo dal livello del piano calpestabile e variando ad intervalli regolari la sua quota per dare vita alle sedute.

Questa fascia rossa è organizzata, dal punto di vista funzionale, appunto con gli elementi di seduta e l’illuminazione, e divide in modo simmetrico il piano di camminamento.

In questo modo si ottengono due fasce laterali dedicate alla percorrenza, separate dalla centrale destinata alla sosta.

Il filo rosso continua poi all’interno degli edifici; nella parte museale la sua funzione è quella di legare gli elementi dell’esposizione, per scandire il racconto organizzato su più livelli:

. a livello della pavimentazione le sue variazioni di quota creano il supporto sul quale vengono organizzati i modellini delle imbarcazioni

. a livello delle pareti si configura come elemento di connessione delle immagini e delle proiezioni

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Le imbarcazioni del Lario

Il Lario e i suoi venti

Il lago di Como, molto profondo e con sponde ripide, per secoli è stato il collegamento naturale tra la pianura padana e le valli alpine.

La sua navigazione ha svolto quindi un ruolo fondamentale per il commercio delle popolazioni locali, collegando Colico con Como e Lecco.

L’andamento dei venti è regolare: questo ha favorito, specialmente in estate, lo spostamento dei traffici grazie alla vela.

Il Tivano e la Breva sono i venti caratteristici del Lario.

Il primo soffia da Nord durante le prime ore del mattino, con una velocità media di 20-25 km/h, raggiungendo la massima intensità nella città di Lecco. Tale vento, proveniente dalla vicina Valtellina, quando assente indica

solitamente l’avvicinarsi del brutto tempo.

La Breva invece giunge regolarissima da Sud a mezzogiorno, inizia

dolcemente, arriva fino a venti nodi costanti e dura fino dopo il tramonto. La presenza di questi due venti, provenienti da direzioni opposte, ha fatto in modo che i traffici potessero svolgersi regolarmente e non ci fosse bisogno di sviluppare un altro tipo di vela oltre a quella di forma rettangolare.

Oltre a questi venti regolari esistono però i colpi impetuosi dati dalla tramontana del Nord, detta “Vento”, che talvolta soffia con raffiche fino a sessanta nodi, polverizzando l’acqua e rendendo impossibile la navigazione. In inverno spesso è concomitante con le nevicate che imbiancano le vicine Alpi e può durare ininterrottamente sino a tre-quattro giorni.

Indice di forte moto ondoso, causato da Vento, è il fenomeno delle “ochette”(la spuma che si forma sulla cresta dell’onda che frange ricorda il galleggiare di questi uccelli acquatici, a maggior ragione se visibili da sopravvento).

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Di origine temporalesca vi sono invece il San Vincenzo, il Menaggino, il San Benedetto, l’Argegnino, la Bergamasca e il Bellanasco, che rappresentano un imprevisto e drammatico incontro per i navigatori.

Sono i venti più temuti: repentini nel presentarsi, brevi nella durata (poche decine di minuti) quanto spaventosi alla vista (creano onde molto alte) e talvolta devastanti nelle conseguenze.

Nelle tranquille serate estive spirano invece le montive, leggere brezze da terra, provenienti dallo sbocco delle valli laterali sul bacino lacuale (Tuee, Palanzun, Volen, San rocco per citarne alcune).

Per quanto riguarda le correnti acquatiche, caratterizzate da direzione e intensità del tutto variabile, il loro effetto sulla navigazione a remi e a vela è del tutto irrisorio rispetto a quello dei venti.

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Analisi delle tipologie delle tradizionali imbarcazioni lariane

La navigazione sul lago di Como, pur affondando le proprie origini

nell’antichità, può essere studiata e valutata accuratamente solo a partire dal secolo XVIII. Solo da allora i documenti a noi pervenuti diventano meno frammentati e più circostanziati, mentre l’iconografia si fa più ricca e attendibile.

Metodo costruttivo

Le tradizionali barche da lavoro lariane sono il frutto di secoli di affinamenti, che hanno prodotto una continua metamorfosi volta al raggiungimento della massima efficienza funzionale, compatibilmente con i materiali da costruzione disponibili.

E’ certo che i costruttori non si applicavano nella rigorosa ripetizione, tesi nella sperimentazione di soluzioni sempre nuove.

Nel momento in cui ogni ulteriore modifica comportava un peggioramento applicativo, quello era l’istante in cui l’imbarcazione diventava “perfetta” per l’utilizzo a cui era destinata.

Le maestranze addette alla costruzione delle barche da lavoro venivano

chiamate sepulton. Egli dava vita alle imbarcazioni, utilizzando i pochi materiali a sua disposizione e applicando tecniche costruttive ben precise.

Le barche a remi tradizionali del Lario venivano realizzate rigorosamente ad occhio e con il sistema a guscio, ossia facendo prima il fasciame e poi

mettendo la struttura. Quest’ultima veniva applicata in un secondo momento perché altrimenti avrebbe richiesto uno studio preliminare della forma dello

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scafo. In questo modo, invece, il costruttore poteva vedere nascere la forma e andare a correggere eventualmente gli andamenti che riteneva sbagliati.

Per la costruzione si procedeva dal fondo: il costruttore di poneva ad una certa distanza dalla poppa dell’imbarcazione e stabiliva l’inselidüra, la curvatura longitudinale che è in relazione alla curvatura dei fianchi e, dunque, con la rotondità dello scafo; da quest’ultimo, con ottimo senso delle proporzioni, si stabilivano lunghezza e larghezza della barca finita.

Questo era in sostanza l’approccio per la definizione delle dimensioni delle barche tradizionali, cioè quelle con fasciame “a paro” o “a caravella”.

Tale metodologia rimarrà invariata anche con l’avvento delle imbarcazioni a fasciame sovrapposto. In questo caso il costruttore, dopo aver realizzato lo specchio di poppa, vi si poneva dietro guardando verso la prua, definendo così la linea di quella che sarebbe stata poi l’imbarcazione tipica.

Questo tipo di approccio, che presupponeva una capacità tipica degli scultori di immaginare l’opera finita, è di fondamentale importanza.

Ed è proprio a questo che si deve la difficoltà nel reperire informazioni scritte riguardo a misure, metodologie, progetti.

La tradizione cantieristica si è sempre tramandata solo per via orale e sotto forma di praticantato, dove il maestro trasmetteva in modo parsimonioso la propria esperienza ai collaboratori.

Questa tradizione ha fatto sì che non venissero mai realizzate due barche uguali.

Ciò comporta una maggiore difficoltà dal punto di vista della classificazione delle singole imbarcazioni perché, all’interno della singola tipologia, si

nascondono infinite varianti. Si tratta di differenze sia dimensionali che formali, dettate dalle necessità dei singoli barcaioli o dalla volontà dei vari cantieri che, in qualche modo, firmavano la loro imbarcazione per renderla riconoscibile.

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