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Capitolo 2 Procedimento de libertate e diritto di difesa dell’imputato nel sistema anteriore alla legge 47 del 2015

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Capitolo 2

Procedimento de libertate e diritto di

difesa dell’imputato nel sistema anteriore

alla legge 47 del 2015

2.1 Premessa

Indipendentemente dalla natura, amministrativa o giurisdizionale, del procedimento avente ad oggetto un provvedimento limitativo della libertà personale deve spettare sempre al destinatario di quel provvedimento “il diritto allo svolgimento di una integrale difesa. Mancano vere e proprie regole concernenti tale diritto dell’imputato colpito da una misura restrittiva della libertà personale. La cultura giuridica in questa materia, si era più che altro concentrata sulla necessità di individuare le finalità della custodia cautelare per raggiungere un certo livello di legalità, sulla necessaria motivazione dell’atto restrittivo e ai suoi contenuti. L’assenza di decisioni notevoli sul punto è dovuta non tanto ad un eccesso se vogliamo di “mitezza”, quanto più ad una scarsa sensibilità della cultura giuridica in materia. La necessità iniziale era quella di individuare i casi ed i modi di privazione della libertà personale. Sicuro è che, il diritto di difesa, deve

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sempre avere una massima espansione, non potendo essere limitato se non in funzione di valori prevalenti. Un diritto che merita tutela in quanto consente di tutelare beni di rango primario. Le incertezze in ordine alla sua salvaguardia, non sono certo mancate anche nel procedimento de libertate. Con la sentenza 45 del 1991, con la quale la Corte costituzionale doveva pronunciarsi su una eccezione di legittimità degli articoli 309 comma 8 e 127 comma 3 c.p.p., sollevata sotto il profilo di un contrasto con l’art 24 Costituzione (nella parte in cui le disposizioni impugnate prevedono che l’imputato, se detenuto in luogo fuori della circoscrizione del giudice del riesame, deve essere sentito, qualora ne faccia richiesta, dal magistrato di sorveglianza del luogo, anziché dal Tribunale del riesame), la Corte stessa ha rigettato tale eccezione non senza operare tuttavia alcune fondamentali puntualizzazioni. Più precisamente, la Corte ha riaffermato il diritto all’autodifesa dell’imputato nel giudizio di riesame, anche quando sia detenuto in luogo esterno dal circondario. Rigettata anche una eccezione di legittimità degli articoli 309 e 324 c.p.p., con la quale si era lamentato che le norme impugnate fossero in contrasto con l’articolo 24 della Costituzione, sul presupposto che il principale interesse dell’indagato nel nuovo rito è quello di conseguire una decisione del giudice del riesame rapida, ma anche accuratamente ponderata. La Corte ha osservato che, contrariamente al giudice remittente, la previsione di un termine perentorio per l’adozione della decisone non può essere lesiva del diritto di difesa ma al contrario realizza una forma di tutela del soggetto colpito dal provvedimento cautelare evitando cosi che questi possa essere in alcun modo danneggiato da inadempienze o ritardi dell’autorità giudiziaria. Tale termine dice la Corte offre un’adeguata garanzia, a condizione che la

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decorrenza dello stesso (giorno di ricezione degli atti nonché la data di decorrenza del termine previsto per la spedizione degli atti ex articolo 309 comma 5 c.p.p.) sia individuato in un momento “definito e determinabile con certezza” (questa tematica sarà poi di grande interesse per il legislatore della riforma).

Queste alcune delle pronunce e delle opinioni espresse dalla nostra Corte costituzionale, ma come ben sappiamo sopratutto in ambito europeo si è affermata l’esigenza di assicurare un processo equo. L’articolo 24 comma 2

della Cosituzione, si presenta decisamente povero rispetto all’articolo 6 della Cedu. Potrei affermare in un certo modo la presenza di una forte dipendenza del diritto di difesa da quelli che sono i valori propri dell’interprete, dal contesto storico, dall’ordiamento giuridico a cui facciamo riferimento. Il Tribunale della libertà, pur nato come svolta all’emergenza, nella necessità di recupero di molte garanzie, era un istituto caratterizzato da segretezza, scrittura, assenza di un contraddittorio; era espressione dell’inquisitorietà del processo penale1. Solo oggi siamo più

vicini al modello dell’habeas corpus2, c’è stata una rimodulazione dei

diritti, delle facoltà, dei poteri e doveri che competono ai soggetti nella vicenda cautelare. Questo non significa che il procedimento de libertate debba presentare tutte le forme tipiche del processo principale, ma sicuro è, che alcuni diritti di chi è sottoposto ad un’accusa penale possano essere riconosciuti anche in una fase anteriore, non strettamente processuale.La

1 M. Chiavario, “Il nuovo riesame: quale dosaggio di garanzie?, in Legisl. Pen., 1983,

p.573 ss..

2 Nel momento cruciale della procedura tipica relativa al writ of habeas corpus, incombe a

chi ha la responsabilità della custodia del detenuto l’onere di dimostrare in contraddittorio le buone ragioni della misura adottata; con l’alea, pertanto, di una scelta: o porre a disposizione del giudice della libertà una serie più o meno consistente di dati ritenuti utili per convincere quel giudice; o rifiutarsi di scoprire le carte per non farle conoscere alla difesa.

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considerazione poi, che si discute di un diritto fondamentale come la libertà personale, fa si che qualsiasi procedimento rientrante nel campo di applicazione dell’articolo 5 paragrafo 4 Cedu, debba rispettare, in linea di principio, per quanto possibile in una fase di preliminare investigazione, le esigenze fondamentali di un processo equo. Per assicurare un processo equo le regole fondamentali sono la fissazione di un’udienza nella quale vengono discussi, nel contraddittorio delle parti, con pari poteri di intervento e di interlocuzione, tutti i profili rilevanti in ordine alla legittimità della detenzione. Si tratta di un vero e proprio diritto di partecipazione (l’affermazione secondo cui il diritto di difesa implica la partecipazione al compimento dell’atto fu più volte ribadita e il diritto di difesa veniva cosi iscritto nel più ampio quadro del principio del contraddittorio). Lo schema deve essere strutturato in modo che nessuna parte possa essere presente davanti al giudice in assenza dell’altra, l’obiettivo è la realizzazione della parità delle parti. Che non significa identità di poteri. Un tale regime è sicuramente auspicabile nel momento del contraddittorio nella formazione della prova, ma non può essere la regola nell’intero svolgimento del processo. E’ necessario però un patrimonio conoscitivo comune, la possibilità di accedere al fascicolo dell’accusa, disporre del tempo necessario per preparare la propria difesa, interloquire davanti al giudice partecipando quindi consapevolmente all’udienza.

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2.2 L’avvio del procedimento e il diritto di difesa

Per quel che concerne la forma dell’istanza di riesame, si richiede che questa contenga la descrizione essenziale del provvedimento impugnato, nonché della data e del giudice che l’ha emesso: si tratta di requisiti essenziali perché indispensabili all’individuazione dell’ordinanza gravata. Quanto al contenuo, si è consolidato l’orientamento secondo cui non è necessario che l’istanza di riesame contenga l’indicazione dei motivi di impugnazione. Ciononostante non può non rilevarsi come l’esposizione dei motivi per i quali si intende impugnare il provvedimento coercitivo assuma un’importanza fondamentale, anche se avvenga attraverso apposite memorie depositate in sede di udienza camerale ed a seguito dell’analisi degli atti investigativi trasmessi al Tribunale della libertà. In tal modo, invero, si ha l’occasione di sottoporre al giudice ogni specifica doglianza idonea a confutare la tesi accusatoria e a mitigare l’intento colpevolista che potrebbe facilmente portare alla conferma dell’ordinanza cautelare. Non occorre che la richiesta contenga l’individuazione dei singoli capi o punti della decisone impugnata, essendo sufficiente la manifestazione della volontà di voler sottoporre a controllo il provvedimento coercitivo. A pena di inammissibilità l’istanza deve contenere anche le richieste finali e la sottoscrizione della richiesta, anche quando il nome del difensore risulti impresso in calce all’atto. Per quanto riguarda le modalità di presentazione dell’istanza, si osservano le forme previste dagli articoli 582 e 583 del

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c.p.p.. Pacifica è la presentazione a mezzo di spedizione di telegramma o raccomandata. Non si prevede l’ammissibilità del gravame proposto mediante telefax, strumento ritenuto inidoneo a garantire la provenienza. L’articolo 309 rinvia all’articolo 582 del codice di rito, e permette che la richiesta di riesame possa essere presentata anche da un incaricato del soggetto legittimato: la qualifica dell’incaricato deve risultare da un atto di delega rilasciatogli dal diretto interessato ovvero da un’attestazione del pubblico ufficiale che, ricevendo la richiesta, dovrà dichiarare di agire per delega resagli dal presentatore che, in tal modo assumerà la relativa responsabilità3. La richiesta di riesame potrà, inoltre, essere presentata

dall’indagato o dall’imputato detenuto al direttore della casa circondariale, potrà essere esibita anche presso l’ufficio matricola del carcere da parte dell’indagato detenuto: tale richiesta deve considerarsi direttamente ricevuta dall’autorità giudiziaria destinataria. Chi è sottoposto agli arresti domiciliari o alla custodia in luogo di cura, può inoltrare l’istanza di riesame direttamente ad un ufficiale di polizia giudiziaria, che provvederà alla trasmissione dell’autorità competente.

Per semplificare l’accesso al controllo della cautela, il legislatore ha designato la sede dell’organo ad quem, quale depositaria dell’istanza di riesame. Lo si desume dall’articolo 309 comma 4 del c.p.p.. Sempre con riferimento al rinvio operato dall’articolo 309 c.p.p. alle disposizioni di cui agli articolo 582 e 583 c.p.p., è pacifico che la richiesta di riesame possa essere presentata dal privato o dal difensore anche nella cancelleria della sezione distaccata del tribunale del luogo in cui essi si trovano, se tale luogo è diverso da quello in cui fu emesso il provvedimento, ovvero

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davanti ad un agente consolare all’estero. Per quanto concerne il termine di presentazione dell’istanza, se ne deve sottolineare la perentorietà, esso è di dieci giorni, che decorrono per l’imputato, dal giorno dell’esecuzione o della notificazione del provvedimento; per l’imputato latitante dal giorno della notificazione del provvedimento eseguita ai sensi dell’articolo 165 c.p.p., salvo che, sopravvenuta l’esecuzione, l’imputato provi di non aver avuto tempestiva conoscenza dello stesso4; per il difensore dal giorno in

cui, ex articolo 293 comma 3 c.p.p., riceve la notifica dell’avviso di deposito dell’ordinanza che ha disposto la misura. In particolare quindi, nell’ipotesi di latitanza, è necessario che al difensore venga notificata la copia integrale del provvedimento coercitivo. Nell’ipotesi in cui gli venga notificato il solo avviso di deposito, dalla data di notifica decorre il termine per l’esercizio del diritto all’impugnazione spettante al difensore, mentre per l’imputato trova applicazione la già menzionata disposizione dell’articolo 293 comma 1 c.p.p.. Nonostante l’uniforme entità del termine, l’individuazione del dies a quo viene rapportata alle molteplici ipotesi di conoscibilità dell’atto. In una prospettiva generale, quando la decorrenza del termine per l’impugnazione è diversa per l’imputato ed il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo. Non è chiaro se il termine di dieci giorni decorra dal momento in cui il soggetto interessato abbia avuto conoscenza dell’esistenza dell’ordinanza che ha disposto l’applicazione della misura coercitiva. Tale problema si è posto soprattutto con riferimento ai casi in cui il difensore, si trovi a presenziare all’interrogatorio di cui all’articolo 294 c.p.p., in data anteriore a quella nella quale il medesimo riceve la notifica dell’avviso di deposito della

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relativa ordinanza. La Suprema Corte, dopo aver considerato la presenza del difensore all’interrogatorio, quale atto equipollente alla notifica dell’avviso di deposito dell’ordinanza, ha optato per una soluzione più garantista, indicando che la decorrenza del termine per proporre istanza di riesame decorre dal difensore dalla notifica suddetta, con esclusione di qualsiasi altro atto, seppur equipollente, che ne anticiperebbe il decorso5.

La soluzione non è la più condivisibile, al riguardo è necessario porre in evidenza come al contenuto minimo del diritto di difesa (ravvisabile nella conoscenza degli atti depositati mediante loro visione) deve accompagnarsi la facoltà di poterne estrarre copia per agevolare le diverse esigenze del difensore di disporre direttamente e materialmente degli atti per preparare la difesa ed utilizzarli nella redazione degli scritti difensivi. La notifica può dirsi finalizzata anche a garantire tale possibilità.

Con il deposito dell’istanza di riesame presso la cancelleria del Tribunale della libertà si dà il via ad un meccanismo improntato a garantire al soggetto ristretto in forma cautelativa il diritto di difendersi. Il legislatore ha stabilito che, ricevuta l’istanza, il presidente del tribunale cura che sia dato avviso all’autorità procedente, la quale trasmette gli atti presentati a norma dell’articolo 291 comma 1, nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini. Nessun vincolo di forma è imposto per la trasmissione degli atti, potendo essere trasmessi anche in copia non autenticata. La giurisprudenza maggioritaria, ritiene che gli atti in lingua straniera debbano essere tradotti in lingua italiana. In realtà, la trasmissione degli atti (che deve avvenire integralmente) entro il termine perentorio di cinque giorni, assume rilevanza per la preparazione della linea

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difensiva del soggetto sottoposto a misura restrittiva della libertà. Gli atti trasmessi dall’autorità procedente permetteranno al tribunale di avere contezza della vicenda cautelare, ma soprattutto garantiranno alla difesa la possibilità di rappresentare doglianze e censure al titolo cautelare, attraverso l’esercizio consapevole del diritto di difesa. La cd discovery è la prima occasione utile per il soggetto di conoscere, tramite il suo difensore, le ragioni e gli elementi in base ai quali è stata inoltrata la domanda cautelare ed emessa l’ordinanza coercitiva. La precisa delimitazione del quadro indiziario è condizione indispensabile per instaurare, nel procedimento incidentale, un effettivo contraddittorio tra le parti, assicurare al soggetto ristretto il diritto di difesa e permettere al giudice del controllo di vagliare la rilevanza degli elementi posti a base del giudizio di probabile reità e l’iter logico attraverso il quale si perviene alla decisone6. Le Sezioni

Unite hanno avuto modo di specificare che, nella fase delle indagini, quando il pubblico ministero a sua discrezione apre una finestra cautelare, devono trovare applicazione tutti i criteri legali di formazione e valutazione della prova in dibattimento7. La conoscenza preliminare degli elementi

indiziari a carico dell’indagato, costituisce quindi condizione necessaria per la realizzazione di un meccanismo procedimentale contraddittorio attraverso il quale ottenere un controllo effettivo. Secondo gli orientamenti provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, “il diritto ad un processo penale in contraddittorio implica, per l’accusa come per la difesa, la facoltà di prendere conoscenza, prendere in considerazione il fatto che in alcuni casi può essere comunque necessario dissimulare alcune prove alla

6 E. Nadia La Rocca, “Il riesame delle misure cautelari personali”, Milanofiori Assago,

2012.

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difesa, per preservare i diritti fondamentali di un altro individuo è salvaguardare un interesse pubblico”. Per riconoscere inoltre l’effettività del diritto di difesa non è necessario che il suo esercizio sia identico in ogni tipo di procedimento e in ogni fase processuale; anzi, la modulabilità delle forme e dei contenuti in cui si articola tale diritto è stata ritenuta dalla Corte Costituzionale come legittima espressione della discrezionalità legislativa. Tuttavia, le diverse modalità secondo cui si articola il concreto esercizio della difesa, non ne dobbono in alcun modo compromettere o menomare la funzione.

L’articolo 309 c.p.p. impone al pubblico ministero di trasmettere tutti gli atti già presentati al giudice per le indagini preliminari ex articolo 291 c.p.p., e altresì tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini8 (il riferimento a questi ultimi è espressione della

tendenza a rafforzare le garanzie della difesa). L’obbligo di trasmettere gli elementi favorevoli sopravvenuti non si estende agli atti e ai documenti che siano già nella disponibilità della difesa, che può produrli con la richiesta di riesame ovvero in sede di udienza. Sono da considerare elementi sopravvenuti favorevoli all’indagato, le eventuali dichiarazioni rese da coindagati che scagionino lo stesso, modificandone sostanzialmente la posizione9. Non rientrano tra questi invece: il verbale dell’interrogatorio di

garanzia ex articolo 294 c.p.p., che pertanto va trasmesso solo se in

8 Per elementi a favore si intendono quegli elementi fattuali di natura oggettiva che sono

idonei a contrastare concretamente gli indizi di colpevolezza o le esigenze cautelari poste alla base della misura coercitiva e la cui valutazione spetta esclusivamente al Tribunale del riesame. In tal senso v. Cass., sez. I, 5 marzo 2003, Pignatelli, in Mass Uff., 226846.

9 Cass., sez. IV, 25 giugno 2005, Oreste, in Mass Uff., 231749. Ed in proposito, nel caso di

più destinatari di un provvedimento applicativo della misura coercitiva, la trasmissione degli atti per i primi impugnanti non estende i suoi effetti anche agli altri.

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concreto contenga tali elementi10, si escludono le memorie difensive,

depositate nell’interesse del prevenuto ovvero una sentenza di proscioglimento intervenuta per un diverso reato, siccome inidonea ad influire sul quadro indiziario della colpevolezza. Costituiscono inoltre atti favorevoli, che il pubblico ministero è tenuto a trasmettere all’autorità giudiziaria procedente, quelli formati dalla difesa nell’esercizio delle facoltà d’investigazione difensiva e dalla stessa messi a disposizione dell’accusa. Un più attento esame sulla questione dell’esibizione degli atti e sul novum in sede di riesame e d’appello, verrà comunque effettuato nei paragrafi successivi.

Da evidenziare inoltre, che per esperire il diritto di difesa nel procedimento de libertate le Sezioni Unite hanno stabilito che al diritto del difensore di accedere alle registrazioni (di conversazione o comunicazioni intercettate ed utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare) corrisponde un obbligo del pubblico ministero di assicurarlo, trattandosi di diritto incondizionato, essendo venute meno le esigenze di segretezza in riferimento alle comunicazioni poste alla base dell’ordinanza cautelare. Ove al difensore venga impedito il diritto di accesso, si determina una nullità a regime intermedio ex articolo 178 comma 1 lettera c), c.p.p.. Solo la conoscenza degli stessi può assicurare il diritto ad una difesa consapevole11. Chiarito questo punto, deve essere sottolineato che il diritto

de quo è garantito al solo difensore e non anche a colui che viene attinto dal

10A. Vassallo, “L’interrogatorio di garanzia va trasmesso al Tribunale del riesame solo se

favorevole all’imputato”, in Foro it., 2001, p. 217.

11 Si richiama in tal senso la linea di pensiero della Corte di Strasburgo sul punto, che ha

statuito come “il diritto ad un processo penale contraddittorio implica, tanto per l’accusa quanto per la difesa la facoltà di conoscere le osservazioni e gli elementi di prova addotti dalla controparte, nonché di discuterli”, Corte eur., 4 luglio 2000, Niedbala c. Polonia.

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provvedimento cautelare, e che grava sulla difesa l’onere di formulare la richiesta di accesso alle registrazioni e di rilascio della copia dei files audio delle stesse. L’impressione è quella che anche in questo caso si cerchi a tutti i costi di restringere i diritti della difesa in virtù di presunte prerogative legate a problematiche di carattere organizzativo, che non possono prevalere su garanzie costituzionalmente protette.

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2.3 L’ udienza camerale: la disciplina, le particolarità e i diritti delle

parti

Per completezza nella trattazione, è necessario volgere lo sguardo al procedimento in camera di consiglio, alla regolamentazione prevista dal codice e alle differenze rispetto al procedimento de libertate, che adesso è più facile cogliere a seguito della modifica intervenuta con la legge 47 del 2015.

Il procedimento cautelare presuppone la fissazione di un’udienza alla quale possono partecipare, in condizioni di parità, le parti processuali12. In ambito

internazionale, il termine “hearing”, richiama immediatamente il concetto di “ascolto” delle diverse ragioni, il quale, a sua volta, implica un contatto tra giudice e parti processuali. Richiedere la fissazione di un oral hearing, significa imporre un obbligo di disposizione di un luogo, un contesto processuale, nel quale possa instaurarsi un dialogo a più voci13. L’art 309

8°comma del c.p.p. dispone che il procedimento davanti al Tribunale del riesame si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’articolo 127 del c.p.p.14, ed individua una serie di ulteriori regole procedurali che si

12 Corte eur., 25 marzo 1999, Nikolova c. Bulgaria.

13M. Chiavario, “Commento all’art. 6”, in AA.VV., “Commentario alla Convenzione

europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, Padova, 2001

14 In sede di impugnazioni cautelari, deve quindi ritenersi operante il modello-tipo del

giudizio camerale, di cui vengono mutate le previsioni relative allo svolgimento dell’udienza, all’assenza del pubblico, alla redazione in forma riassuntiva del verbale, al carattere eventuale della partecipazione dei destinatari dell’avviso all’udienza camerale. Quindi, dopo l’accertamento della regolare costituzione delle parti e la relazione orale che, è affidata ad un componente del collegio designato dal presidente, seguono l’ostensione degli

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sovrappongono, integrano e derogano alle disposizioni indicate nel codice di procedura penale. Secondo l’originale articolo, le parti (ovvero l’accusa nella persona del pubblico ministero, il difensore e l’imputato/indagato e la persona offesa con l’avvocato che la rappresenta) hanno solitamente il diritto di partecipare alla camera di consiglio ma non anche l’obbligo. Infatti, una delle caratteristiche peculiari di questo procedimento è quella di non rendere necessaria la partecipazione delle parti, delle persone interessate e dei rispettivi difensori. La scelta, sulla quale ha senz’altro influito la natura autonoma ed incidentale del procedimento de libertate, pur essendo giustificata dalla necessità di non appesantire eccessivamente gli adempimenti di cancelleria in una procedura con termini particolarmente ristretti, non sembra possa sottrarsi a critiche, considerato, in particolare, l’interesse della persona offessa alla partecipazione all’udienza in cui si discute in merito all’adozione dei provvedimen più “adeguati” nel caso di misura cautelare disposta ai sensi dell’articolo 282-bis c.p.p.. Sotto quest’ultimo profilo, l’opzione legislativa, se trova una sua giustificazione nell’individuazione dell’oggetto, devoluto al Tribunale della libertà, mostra come il sistema processuale sia ancora poco rispettoso delle esigenze di tutela della vittima del reato che, nelle fase preliminari, ha solo il potere sollecitatorio nei riguardi del pubblico ministero. Potrebbe sembrare superfluo trattare della partecipazione o meno della parte privata, denunciante o querelante, e cioè della “persona offesa” propriamente detta, al procedimento di riesame del provvedimento applicativo della misura restrittiva della libertà personale. Invero, stante la pacificità del dato letterale contenuto nell’articolo 309 (così come nell’articolo 310 c.p.p.), eventuali apporti istruttori e le deduzioni argomentative dei soggetti intervenuti. P. Spagnolo, “Il Tribunale della libertà”, Milano, 2008, p. 202 ss..

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non dovrebbero sussistere dubbi circa la giustificata esclusione, da parte del legislatore, di una legittimazione della persona offesa dalla procedura incidentale che riguarda la coercizione dell’imputato/indagato15. Sono

necessarie comunque delle chiarificazioni, al cospetto di maniacali pretese di risultato da parte dei soggetti offesi dal reato e dei loro difensori, i quali, ignari dei principi che governano il potere di limitare la libertà personale, agiscono nella convinzione di far permanere lo stato detentivo del solo presunto colpevole. Molte di queste strategie difensive cadono nell’inammissibilità per carenza di legittimazione. Tempo fa la corte di legittimità ha chiarito, che nei confronti dei soggetti privati risulta indifferente la sorte della vicenda cautelare personale16. Si tratta di “carenza

di potere” di suddetti soggetti, ad avere titolo legittimante un loro intervento nelle decisioni sulla sorte dello status libertatis di un soggetto non ancora sottoposto a processo penale. E’ il diritto al risarcimento del danno il solo titolo a legittimare l’offeso ad intervenire nel processo penale17. Nel novero dei soggetti che possono proporre la richiesta di

riesame, non è compreso inoltre, il pubblico ministero; tuttavia, in una

15 E. Nadia La Rocca, “Il riesame delle misure cautelari personali”, Milano, 2012, p. 34 ss. 16Cass., sez. I, 13 marzo1995, Briglia, in Cass. Pen., 1996.

17 Il quadro sistematico del rito penale in tema di partecipazione nel processo di parti

eventuali è il seguente: il danno da reato fonda il presupposto della costituzione di parte civile, in una fase distinta e separata a quella propria dell’incidente cautelare. Invero, l’eventuale azione della persona offesa, non costituisce contributo all’esercizio dell’azione penale che, è tesa a dimostrare la responsabilità dell’imputato, relegando sullo sfondo il fine di ottenere una riparazione economica, e mai, la coercizione dell’imputato. A tanto deve aggiungersi il contenuto inderogabile del principio di legalità delle misure privative della libertà, che possono essere disposte e mantenute solo attraverso un atto dell’autorità giurisdizionale su richiesta del titolare dell’esercizio dell’azione penale. L’articolo 272 c.p.p., nel dettare una specifica riserva di legge, vincola rigorosamente alle disposizioni di rito l’esercizio del potere cautelare: l’intenzione del legislatore, attraverso l’introduzione di tale norma, è stata proprio quella di dare, secondo lo schema delle regole di tassatività, una portata, in via di principio, esaustiva sia quanto a presupposti legittimanti, sia quanto a dinamica esplicativa del potere di restringere la libertà del singolo in via cautelativa. Si tratta di uno schema legale che non lascia spazio a deroghe e in base al quale, a preiscindere dalle singole pretese delle “vittime” e dei loro difensori, nessun potere di esprimersi sulla coercizione dell’indagato è attribuito alle persone offese. E. Nadia La Rocca, “Il riesame delle misure cautelari personali”, Milano, 2012, p. 35 ss..

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prospettiva di processo di parti, quest’ultimo ha la possibilità di scegliere se partecipare o meno all’udienza camerale (possibilità che si trasforma in una scelta, potendo ritenere opportuno astenersi dall’assistere all’udienza, non depositare le sue richieste o presentare solo memorie scritte, senza che ciò comporti alcun vizio procedimentale). A seguito delle prime incertezze attorno all’individuazione dell’ufficio del pubblico ministero legittimato a partecipare all’udienza di riesame, la Corte di cassazione stabiliva che non ci fossero ragioni a derogare ai principi che vogliono correlati pubblico ministero e giudice, e per le quali le funzioni di pubblico ministero sono affidate all’uffico del pubblico ministero presso il giudice competente18. Si

è trattato però di una soluzione inadeguata, idonea a creare un collegamento incoerente tra pubblico ministero dominus delle indagini e pubblico ministero a cui le indagini sono ignote, ma che ha la possibilità di intervenire in un udienza di cui non conosce le ragioni a difesa dell’accusa. Per ovviare a tali incongruenze il legislatore con la legge 652 del 1995 ha apportato delle modifiche all’articolo 309 c.p.p., per le quali “l’avviso della data dell’udienza è comunicato […] al pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7” della stessa norma e, se diverso, a quello che ha richiesto l’applicazione della misura. E’ una misura sicuramente più adeguata a garantire un, seppur eventuale, contraddittorio vero e proprio con la parte pubblica che, qualora decida di partecipare al procedimento di riesame, abbia la certezza delle sue ragioni19. Quindi, l’articolo 127 comma

3 c.p.p., stabilendo che il pubblico ministero, gli altri destinatari dell’avviso, nonché i difensori sono sentiti se compaiono, definisce un

18 G. Spangher, “Quale organo è legittimato ad esercitare le funzioni davanti al Tribunale

della libertà”, in Cass. Pen. 1991, p. 24.

19 La nuova regola è valida solo per il procedimento di riesame avverso le misure cautelari

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modello ad “oralità eventuale”: ricevuto un regolare avviso importa poco che i destinatari siano o no presenti, i comparsi interloquiscono20. La scelta

codicistica può essere criticata: in primo luogo il legislatore ha interpretato la previsione nel suo contenuto minimo quale diritto soggettivo ad intervenire, più che necessità oggettiva dell’intervento, in secondo luogo, la mera facoltà di partecipazione, anche se congeniale alle più varie tattiche processuali delle parti, necessita di un’interpretazione adeguatrice del rigido disposto normativo, per consentire, il pieno ed effettivo esplicarsi di quella facoltà. Con riguardo alle impugnazioni cautelari, poi, sembra potersi affermare che avere lasciato alle parti la responsabilità di intervenire, ha si risolto il dibattito in ordine alla necessità delle conclusioni del pubblico ministero (si riteneva necessario il parere del pm), ma ha relegato la garanzia del contraddittorio ad una semplice facoltà di partecipazione21. Qualora la difesa decisesse di intervenire, si potrebbe

trovare a dover contraddire in mancanza del suo interlocutore (questo non giova certo alla difesa). Ciò non toglie che sotto il profilo del diritto di intervenire stesso, il sistema italiano garantisce in maniera adeguata la partecipazione dei soggetti interessati (ciò verrà ampiamente dimostrato a seguito della novella del 2015).

Ulteriore peculiarità di questo modo di svolgere attività giurisdizionale penale è quella dell’assenza del pubblico22 (pubbliche sono invece in

20 P. Spagnolo, “Il Tribunale della libertà”, Milano, 2008, p. 211 ss..

21 Ed è chiaro come la garanzia dell’intervento e non del contraddittorio prevista

dall’articolo 127, per, quanto incerta, non può certo essere compressa sino al punto di essere snaturata attraverso l’assimilazione al concetto di eventualità.

22 Si evidenzia che tutte le volte in cui la Corte europea ha censurato lo svolgimento in

camera dell’udienza de libertate, la critica ha riguardato non l’esclusione del pubblico, ma il fatto che l’udienza fosse interdetta al solo indagato e al suo difensore e non all’organo dell’accusa. Si trattava di ipotesi in cui, più che la pubblicità, era lesa la parità tra le parti processuali, in quanto si consentiva esclusivamente al pubblico ministero di prendere

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genere le udienze penali) in considerazione degli effetti negativi che la pubblicità processale può avere non solo riguardo la speditezza del procedimento di controllo sulla detenzione, ma anche con riferimento alla presunzione di innocenza (per l’interessato che può non aver avuto ancora l’opportunità di svolgere adeguate investigazioni difensive e che non è ancora al corrente di tutto il materiale raccolto dal pubblico ministero). Nel procedimento de libertate è prevista un’abbreviazione (da dieci a tre giorni prima della data dell’udienza) del termine stabilito per il corrispondente avviso al pubblico ministero presso lo stesso tribunale, all’imputato ed al suo difensore, ai fini della loro possibile comparizione. Termine breve ma non considerato inidoneo, anzi, la sua ristrettezza è “necessaria e funzionale per ottenere una verifica immediata a salvaguardia della libertà personale”. Inoltre sussistono comunque i termini tecnici necessari per una difesa, senza dimenticare che il difensore che ha instaurato la procedura, ha già avuto modo di visionare gli atti ai sensi dell’art 293 comma 3. c.p.p. In vista dell’esercizio del contraddittorio in ogni caso, fino al giornodell’udienza, gli atti trasmessi al tribunale ai sensi del precedente comma 5° debbano rimanere depositati in cancelleria, con facoltà del difensore di esaminarli ed estrarne copia (la cassazione penale ha precisato che non sussiste nullità per violazione del diritto di difesa, ai sensi dell’articolo 178 lettera c) del c.p.p., per il solo fatto che nel procedimento di riesame il difensore non sia stato messo in condizione di estrarre copia di alcuni atti, in quanto è sufficiente che egli abbia potuto esaminare tutti gli atti depositati e sia stato messo nelle condizioni di visione delle osservazioni presentate dai ricorrenti senza che agli stessi fosse concesso visionare quanto dedotto dall’accusa e replicarvi. Corte eur. 28 ottobre 1998, Assenov c. Bulgaria, Corte eur., 31 luglio 2003, Al Akidi c. Bulgaria.

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interloquire sull’intero materiale probatorio). Il termine di tre giorni deve considerarsi libero, pertanto non va computato né il “dies a quo” né il “dies ad quem”. La violazione del termine è causa di nullità dell’udienza camerale e della successiva pronuncia del tribunale, senza che ciò intacchi la misura coercitiva (nullità di regime intermedio). L’atto iniziale del procedimento secondo l’articolo 127 del c.p.p. è il decreto di fissazione dell’udienza. Come già affermato, il giudice, a pena di nullità e dieci giorni prima la data predetta, ne fa dare avviso alle parti23, alle altre persone

interessate e ai difensori (il diritto di partecipare all’udienza, qualsiasi tipo di udienza come precedentemente detto costituisce la massima espressione del diritto di difesa)24. Se l’omissione dell’avviso di fissazione dell’udienza

di riesame riguarda l’imputato si ha una nullità di carattere assoluto ed insanabile. Il mancato o nullo avviso al difensore o il mancato rispetto del termine dilatorio tra l’avviso di fissazione dell’udienza e lo svolgimento della stessa da luogo ad una nullità di carattere intermedio (soggetta quindi ai limiti di deducibilità e alle sanatorie previste dagli articoli 182, 183, 184 c.p.p.). Lo stesso per la comunicazione al pubblico ministero. Per quanto riguarda gli avvisi ai difensori è interessante sottolineare che si verifica una invalidità qualora siano stati nominati due difensori di fiducia e la notificazione non sia fatta ad entrambi, a prescindere dal fatto che a

23 L’avviso di fissazione dell’udienza camerale non deve essere notificato anche al

coimputato non impugnante, il quale, non è, quindi, legittimato a partecipare al procedimento instaurato dal concorrente. L’esclusione del diritto di partecipare, non implica tuttavia che quest’ultimo non possa giovarsi del decisum in bonam partem: la necessità di evitare iniquità evidenti, di fronte ad identità di contenuti e motivazioni dei provvedimenti limitativi della libertà personale, giustifica l’applicazione, anche in sede cautelare, dell’effetto estensivo della decisione. Cass., Sez. un., 22 novembre 1995, Venturini, in Cass. Pen., 1996.

24 Il rigore mostrato dalla giurisprudenza nel rendere effettivo il diritto all’avviso

dell’udienza, come adempimento che consente la partecipazione alla stessa, merita piena adesione. Analogo rigore non si registra, invece, quando dal diritto di essere informati, ci si sposti all’effettivo diritto alla partecipazione. P. Spagnolo, “Il Tribunale della libertà”. Milano, 2008, p. 216.

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proporre la richiesta di riesame sia stato uno solo di essi. Questo a garanzia del diritto dell’imputato, previsto dall’articolo 96 c.p.p. di nominare fino a due difensori di fiducia, per avvalersi delle capacità e delle competenze professionali di entrambi. Per il procedimento d’appello, l’articolo 310 c.p.p. non sancisce alcuna deroga all’individuazione dei soggetti destinatari dell’avviso rispetto a quanto previsto in via generale dall’articolo 127 c.p.p..

L’articolo 420-ter del c.p.p. stabilisce che un'udienza in tribunale può essere rinviata qualora l'imputato coinvolto, pur manifestando la volontà di comparire di fronte ai giudici, non possa ivi comparire per caso fortuito e forza maggiore (l’attuale articolo 309 comma 9-bis della legge 47 del 2015 indica che su richiesta formulata personalmente dall’imputato, entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi, ma della questione e del significato dei giustificati motivi, ne tratterò più avanti). L’impedimento del difensore non avrebbe costituito invece, valido motivo di rinvio. Anche questa disposizione è prevista a pena di nullità affinché sia effettivo il diritto di difesa dell’indagato/imputato/condannato, che deve poter essere personalmente presente quando un organo giudiziario deve assumere delle decisioni che lo riguardano. Tale orientamento giurisprudenziale non è apparso del tutto condivisibile, recentemente, nel 2014, la Corte di Cassazione si è pronunciata25, enunciando il seguente principio di diritto: «in relazione alle

udienze camerali, in cui la partecipazione delle parti non è obbligatoria, il

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giudice è tenuto a disporre il rinvio della trattazione in presenza di una dichiarazione di astensione del difensore, legittimamente proclamata dagli organismi di categoria ed effettuata o comunicata nelle forme e nei termini previsti dall'articolo 3, comma 1, del vigente codice di autoregolamentazione». Si ammette inoltre il rinvio dell’udienza anche nelle ipotesi in cui il difensore adduca ragioni di salute. Una cosa è certa, negare rilievo al legittimo impedimento del difensore rischia di recare danni all’assistenza difensiva stessa, di non consentire che la persona accusata disponga dei tempi e delle condizioni necessarie per preparare la propria difesa, sminuisce il valore del contraddittorio (tematica anche questa fortemente toccata dalla riforma). Come precedentemente detto, nel giudizio di riesame, l’avviso non dovrà essere inviato anche alle altre persone interessate. Persona offesa e parte civile costituita non hanno nessuno titolo per intervenire.

La partecipazione personale dell’imputato, la sua possibilità di interloquire direttamente nel procedimento camerale è una conquista relativamente recente. La scelta è sicuramente espressione della consapevolezza raggiunta da parte del legislatore, che all’individuo, debba essere riconsciuto un ruolo attivo, il ruolo di soggetto che apporta il proprio contributo. Qualora si discuta esclusivamente di profili attinenti all’interpretazione del diritto (le c.d. questioni di diritto) è sufficiente la presenza del legale, che assicura il necessario supporto di difesa tecnica; quando invece, vengono in rilievo questioni di fatto, come quelle collegate alle condizioni personali del

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detenuto, la sua presenza in udienza diventa imprescindibile26. Le garanzie

di partecipazione sono state tradotte, come già accennato, nella previsione di una nullità assoluta ex articolo 179 c.p.p., in quanto inerente alla vocatio in iudicium, per le ipotesi di omissione dell’avviso di fissazione dell’udienza, nella riconosciuta rilevanza del legittimo impedimento dell’imputato, nell’espressa previsione del diritto dell’imputato detenuto (che ne faccia richiesta), di essere ascoltato dal magistrato di sorveglianza o, qualora non sia ristretto “in luogo diverso da quello in cui ha sede il giudice”, dallo stesso tribunale decidente. L’articolo 127 c.p.p. operava quindi, prima della novella, delle distinzioni in base a fattori indipendenti ed estranei alla volontà dell’interessato come lo status (di detenuto o libero) ovvero il locus custodiae (intra o extra circondario). Tale disposizione, con la nuova legge di riforma non troverà più applicazione27. Nella disciplina

anteriore si prevedeva: quanto allo status, per chi è sottoposto a misure non custodiali, la partecipazione all’udienza include il diritto di essere sentito (tutti i destinatari dell’avviso, nonché i difensori delle parti, devono essere sentiti, se presenti, indipendentemente dalla loro richiesta), mentre chi è detenuto, sia fuori che dentro il circondario, partecipa solo in quanto abbia formulato una richiesta di audizione28; quanto al locus detentionis, chi si

trova in un luogo compreso nella circoscrizione del tribunale rappresenta le proprie ragioni davanti all’organo chiamato ad emettere la decisione; viceversa, l’interessato che si trovi ristretto altrove sarà sentito, prima del

26 In proposito, Corte eur., 1° giugno 2006, Mamedova c. Russia, Corte eur., 10 dicembre

2002, Waite c. Regno Unito.

27 La novella sopirà in maniera tranchant il contrasto che, sul punto, vedeva fronteggiarsi, in

cassazione, opzioni interpretative diverse, circa l’ampiezza del diritto del detenuto o internato in luogo posto fuori dalla circoscrizione del tribunale di presenziare, su sua richiesta, all’udienza dinanzi al Tribunale della libertà.

28 E. Amodio, “Articolo 127 c.p.p.”, in AA. VV., “Commentario del nuovo codice di

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giorno dell’udienza, dal magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione. Diversi, per chi è detenuto e per chi non è soggetto a misure custodiali, sono anche i tempi di decisone, l’articolo 101 disp.att. c.p.p. individua il momento della decorrenza dei termini di cui all’articolo 309 comma 10 c.p.p. in quello in cui pervengono al tribunale gli atti assunti dal magistrato di sorveglianza, che dovrà trasmetterli con il mezzo più celere. In giurisprudenza si è ritenuto che i termini della decisone ex art 309 c.p.p. restino sospesi fino a quando il tribunale non riceva atti “validi” dal magistrato di sorveglianza. La ragione di un regime diversificato è da ricondurre alla necessità di ridurre le traduzioni della persona detenuta, sia per i pericoli derivanti da tale pratica, sia per i costi in termini di uomini e mezzi. I rischi di contrasto con il principio di uguaglianza e dell’inviolabilità della difesa sembrano poter essere prevenuti assicurando all’interessato la possibilità di far sentire comunque le sue ragioni e al giudice quella di valutare l’opportunità di una presenza fisica se appaia utile ai fini della decisione. La legittimità costituzionale di questo meccanismo fu presto vagliata dalla Corte costituzionale, che ne propugnò una lettura idonea a consentire al giudice di procedere all’audizione diretta del detenuto fuori del suo circondario, allorquando il soggetto ne faccia istanza o l’autorità giudiziaria lo ritenga opportuno29. A sostegno di tale

interpretazione si poneva anche l’articolo 309 comma 6 c.p.p., che ammette che davanti al giudice del riesame, possono essere presentati motivi nuovi “prima dell’inizio della discussione”, facoltà che non potrebbe essere esercitata se si ritenesse che il detenuto fuori circondario possa essere ascoltato unicamente dal magistrato di sorveglianza all’uopo delegato.

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Secondo questa lettura, il detenuto avrebbe un vero e proprio diritto alla comparizione in udienza. Non vi sarebberò più, quindi, distinzioni tra detenuti intra o extra circondario. In questa prospettiva, la c.d. delega rogatoria al magistrato di sorveglianza diverrebbe un’eventualità sussidiaria, alternativa all’audizione diretta da parte del giudice del riesame30. In giurisprudenza invero, sarebbe rimessa al giudice la

valutazione dell’opportunità di fare eccezione alla regola generale dell’audizione da parte del magistrato di sorveglianza, dovendosi riconoscere un vero e proprio diritto all’ascolto diretto unicamente nelle ipotesi in cui sono prese in esame questioni di fatto concernenti la condotta dell’interessato, quando, cioè, costui voglia contestare le risultanze probatorie ed indicare circostanze favorevoli31. Tale orientamento

comunque desta alcune perplessità. Privare l’indagato del diritto di essere sentito dal proprio giudice naturale, compromette notevolmente l’autodifesa, sminuisce l’apporto che l’interessato può fornire in ordine agli elementi di fatto. Ancorando la previsione di intervento del detenuto alla possibilità di presentare il novum, si finisce per configuarare il diritto alla presenza (e dunque all’autodifesa) solo sotto il profilo del diritto “a parlare, a presentare elementi, rischiando di dimenticare che, oltre questa possibilità, va riconosciuto il diritto di partecipare restando in silenzio, ascoltando ciò che accade nel contesto processuale32. Tale interpretazione

lede anche il principio di uguaglianza: lo stato di detenzione determina una

30 Cosi, M. Ceresa. Gastaldo, Il riesame delle misure coercitive nel processo penale”,

Milano, 1993.

31 In quest’ottica, gli spazi per un intervento diretto del detenuto, finiscono per essere

completamente annullati in sede d’appello cautelare, dove, non sono ammessi motivi nuovi in udienza e dove i margini per un’integrazione probatoria nei limiti del devolutum appaiono piuttosto ristretti. Eppure proprio in sede d’appello cautelare più frequentemente si pongono questioni “di fatto”, concerneti le condizioni personali del detenuto. P. Spagnolo, “Il Tribunale della libertà”, Milano, 2008, p. 228-

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disparità di trattamento tra soggetti sottoposti a misure cautelari. Sembra che il ricorrente libero goda di maggiori garanzie rispetto ai soggetti detenuti, ciò, è agli antipodi di quanto richiesto in sede internazionale, dove si afferma che, più è incisivo l’intervento dell’autorità sui diritti di libertà del soggetto, maggiori devono essere le garanzie. Concludendo, sarebbe più conforme al diritto di difesa, lasciare all’interessato, la scelta di intervenire personalmente in udienza o meno. Di fronte ai rischi per la sicurezza, derivanti dalle “trasferte dei detenuti”, un ruolo potrebbe essere svolto dall’istituto della videoconferenza. In relazione al modus procedendi, la disciplina processuale dei collegamenti audiovisivi si colloca nel solco degli interventi normativi volti a migliorare l’efficienza dell’ accertamento processuale dei delitti di mafia e dei gravi reati a struttura associativa (possibile in tali casi in camera di consiglio, il ricorso alla videoconferenza ai sensi dell’articolo 45 bis disp. att. c.p.p che garantirebbe l’immediatezza del contraddittorio).

Per assicurare una partecipazione consapevole dell’imputato è altresì necessario che, ogni qualvolta sia fissata un’udienza, sia nominato un interprete per il soggetto alloglotta, cosi come per i soggetti che per infermità di mente non percepiscono la lingua utilizzata all’interno del procedimento (muto, sordo). Ciò è confermato dall’art 111 della Costituzione. La ratio della disposizione è assicurare al soggetto interessato, la comprensione del contenuto dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale, la conoscenza di informazioni e documenti, per consentirgli di esercitare il diritto di difesa. L’esigenza di un ausilio comunicativo è particolarmente sentita nella giurisprudenza internazionale:

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il diritto all’assistenza gratuita di un interprete, espressamente previsto nell’articolo 6 paragrafo 3 lettera e) della Cedu. D’altronde, se il diritto all’assistenza gratuita di un interprete si pone quale ausilio all’autodifesa attiva del soggetto che, per difficoltà linguistiche, non è in grado di comprendere il compimento degli atti a cui partecipa, e di conseguenza, di esercitare pienamente i propri diritti difensivi, questo diritto sorge anche nell’udienza camerale per gli habeas corpus proceedings, considerato che qui la persona ristretta esercita, per la prima volta pienamente, il diritto di contraddire in posizione di parità davanti al giudice33. In questa prospettiva

è evidente la disuguaglianza tra le parti se solo una di queste conosce l’idioma utilizzato nel procedimento. Da sottolineare che, la giurisprudenza di legittimità, non ritiene necessaria la traduzione dell’avviso di udienza camerale non essendo un elemento dell’accusa ma contenendo tale avviso solo la data dell’udienza per esaminare l’impugnazione. Proprio in relazione al suo contenuto, la mancata traduzione dell’avviso non determinerebbe alcuna lesione dei diritti connessi alla partecipazione personale all’udienza. Questo aspetto è doverosamente criticabile in quanto l’interessato per esercitare consapevolmente i diritti che la legge gli attribuisce dovrà comprendere il contenuto dell’atto che gli è indirizzato. In ambito europeo si avverte una maggiore sensibilità in relazione a questa tematica. Comprendere il contenuto dell’atto che gli è indirizzato significa conoscere l’ordinanza cautelare. L’articolo 5 paragrafo 2 Cedu sottolinea l’insufficienza di una comunicazione riguardante solo l’imputazione, per l’esercizio effettivo del diritto di difesa l’interessato deve essere al corrente degli elementi probatori sulla base dei quali il giudice ha deciso e il

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Tribunale del riesame deve pronunciarsi. Il contributo dell’imputato non si esaurisce nelle concrete occasioni in cui egli direttamente interloquisce a sua difesa (interrogatorio, ecc.), ma presuppone un continum di consapevole partecipazione agli sviluppi della vicenda processuale, non potendo il suo ruolo essere solo quello di spettatore passivo di quanto accade sulla scena processuale. Al riguardo la giurisprudenza di legittimità, ha un’atteggiamento di chisura. Quand’anche le sue decisoni riconoscono nella mancata assistenza di un interprete una nullità a carattere intermedio, collegano il diritto ad usufruire di un interprete all’espressa richiesta dell’imputato di essere sentito34. L’autodifesa in sede di impugnazione de

libertate viene limitata al diritto di essere ascoltato e non comprende il diritto di ascoltare quanto si sta svolgendo nell’udienza camerale. Ne emerge una lettura restrittiva del diritto alla partecipazione consapevole. Dovrebbe integrare una nullità ai sensi del combinato diposto degli articoli 178 lettera c) e 180 del c.p.p., la mancata indicazione, nell’avviso di fissazione dell’udienza, della necessità di dichiarare espressamente la propria volontà di partecipare all’udienza stessa. Sia chi comprende la lingua italiana che l’alloglotta dovrebbero essere edotti, insime all’avviso di fissazione dell’udienza, della possibilità di essere sentiti personalmente (considerando che la giurisprudenza condiziona all’adempimento di un onere di espressa richiesta la possibilità di una loro audizione)35.

La conoscenza degli atti è senza ombra di dubbio necessaria per il pieno esercizio dei dirtti connessi agli habeas corpus proceedings. Al di là della garanzia per la quale ogni persona deve sapere il perché della propria

34Cassaz., sez. I, 23 maggio 2000, Ilir, in C.E.D Cass. n. 216285.

35 A. Confalonieri, “Il controllo giurisdizionale sulla custodia cautelare. Esperienza

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detenzione, per assicurare un’idonea difesa sulla legittimità della misura, deve essere resa nota anche una serie di dati ulteriori, concernente gli elementi di fatto che giustificano la detenzione. Il diritto di difesa può, in realtà, efficacemente esercitarsi, solo se l’interessato possa prendere direttamente cognizione degli elementi probatori sulla ci base il giudice ha deciso e il tribunale de libertate è chiamato a pronunciarsi36. L’articolo 293

c.p.p. prevede, come già indicato, la consegna di tutto il materiale probatorio al giudice, e, gli articoli 309 comma 8 e 310 comma 2 c.p.p., il necessario deposito degli atti nella cancelleria del Tribunale della libertà per far si che le parti possano esaminare ed estrarne copia. La mera conoscenza degli atti, non accompagnata dal diritto di estrarne copia, può rappresentare un’ingiustificata restrizione del diritto di difesa. Il deposito nella cancelleria del Tribunale della libertà appare diretto all’attuazione del contraddittorio in sede cautelare, tutti i soggetti della vicenda processuale devono poter contraddire su materiale comune. L’imputato deve averer a propria disposizione un mezzo agile, efficacie ed a critica libera per poter riguadagnare, o sperare di riguadagnare, il proprio status libertatis.

36Sotto questo profilo, una delle maggiori novità del codice del 1988 in tema di

impugnazioni cautelari consiste nell’aver fatto si che il materiale probatorio, sulla base del quale il collegio de libertate sarà chiamato a pronunciarsi, sia comune a difensore, pubblico ministero e giudice.

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2.4 L’esibizione degli atti nel riesame e nell’appello

L’evoluzione giurisprudenziale in tema di trasmissione degli atti, orientata verso la necessità di una discovery e verso l’esigenza di un controllo pieno sull’ordinanza cautelare, ha portato ad una rinnovata concezione del riesame. E’ opportuno un esame approfondito su questa tematica, visto gli effetti che si materializzano sul diritto di difesa. I giudici della Suprema Corte, escludendo che la omessa o tardiva trasmissione al Tribunale del riesame di atti cogniti dal giudice per le indagini preliminari determini automaticamente la perdita di efficacia del provvedimento coercitivo, (art. 309 5°comma e 10°comma c.p.p.) hanno elaborato una sorta di visione sistematica dell’attività acquisitiva nell’ambito del procedimento incidentale de libertate, ispirato al principio di effettività delle garanzie processuali. La discovery attuata già a misura eseguita con il deposito degli atti previsto dall’articolo 293 c.p.p. e la facoltà del difensore di estrarne copia, hanno svuotato l’accezione di riesame inteso come strumento per utilizzare, per far scoprire le carte dell’accusa, rimodulando la funzione stessa della difesa37. Quando la misura cautelare è emessa nel corso delle

indagini preliminari il compendio probatorio comprende gli elementi presentati dal pubblico ministero al giudice di prima istanza insieme alla richiesta, gli atti, gli atti selezionati dall’accusa, tutti quelli favorevoli all’imputato (il potere selettivo del pm si è comunque andato attenuando)

37 Cassazione sez. II 22 febbraio 2007 n. 15077 e Cassazione sez. I 17 gennaio 2008, n.

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compiuti dal pm o dalla polizia giudiziaria, le eventuali deduzioni e memorie difensive depositate, gli atti di investigazione del difensore direttamente prodotti al giudice ai sensi dell’articolo 391-octies del c.p.p., tutti gli elementi favorevoli sopravvenuti alla presentazione della richiesta. Le Sezioni Unite in questa prospettiva distinguono tra atti di natura processuale, (es. decreto di riapertura delle indagini) che possono essere sempre acquisiti anche al di là del termine previsto dall’articolo 309 5°comma del c.p.p., e atti a contenuto sostanziale con diretto rilievo ai fini del merito della questione cautelare. Il Tribunale del riesame è chiamato quindi a verificare la rilevanza o meno degli atti non trasmessi, potendo confermare il provvedimento impugnato sulla base di elementi desumibili dagli altri atti nella propria disponibilità. Il compendio probatorio minimo andrà trasmesso al tribunale immediatamente e non oltre il quinto giorno e ciò sarà adempimento indispensabile, in quanto la mancata trasmissione di tali atti determina la perdita del potere decisorio del tribunale stesso. La Suprema Corte però ha chiarito che, la prescrizione di cui al 309 5°comma c.p.p., riguarda solo la documentazione minima che il pubblico ministero è tenuto a trasmettere al tribunale entro un termine perentorio e che, il comma 9°, permette alle parti di addurre elementi ulteriori che il tribunale deve prendere in esame ai fini della decisone. La caducazione della misura non può conseguire a generiche deduzioni riguardo l’omessa trasmissione di atti, ma è sanzione processuale; una specifica omissione di dati sostanziali decisivi che alterino l’equilibrio tra le parti in danno dell’indagato. La Cassazione ha comunque recentemente espresso un orientamento contrario38, e ha ritenuto che l’articolo 309 comma 5° e

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comma 10° non operi alcuna distinzione tra atti rilevanti o meno. Vige il principio di onere di allegazione del difensore e dell’indagato che si lamentino dell’omessa trasmissione di qualche atto. L’autorità procedente non può poi procedere ad una cernita ulteriore rispetto a quella compiuta dal pubblico ministero; ciò comporta problemi organizzativi, difficoltà in cui può intercorrere lo stesso nella selezione, soprattutto nei processi con più imputati. In sostanza il vero dominus del fascicolo cautelare è il pubblico ministero, non potendo il tribunale sanare il deficit cognitivo ex officio. Tra gli atti prodotti dalle parti che possono essere presi in considerazione nel procedimento di riesame, vi sono quelli successivi all’adozione della misura, quali i verbali di interrogatorio, consulenze tecniche di parte, documenti, verbali di prova e sentenze provenienti da altro procedimento. Escluso che il tribunale possa utilizzare elementi di cui abbia avuto conoscenza aliunde, stante la sicura lesione del diritto di difesa (non sono ad esempio stati ritenuti utilizzabili dal tribunale gli atti trasmessi in busta chiusa perché coperti da segreto investigativo). Tra gli atti non soggetti all’obbligo di trasmissione si annoverano la certificazione della data di iscrizione del procedimento, la nota di iscrizione dell’indagato nell’apposito registro. Non devono essere trasmessi nel termine di cui al 309 5°comma c.p.p. gli “atti interni”, quindi sentenze, provvedimenti de libertate, il certificato penale, potendo essere recepiti d’ufficio dal tribunale. Per quanto riguarda gli atti acquisiti precedentemente e non trasmessi al giudice per le indagini preliminari, possono essere presentati direttamente all’udienza di riesame? La cassazione è orientata in senso contrario39. E’ stata esclusa l’innefficacia per mancata trasmissione degli

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atti, nelle ipotesi in cui l’autorità giudiziaria abbia provveduto alla tempestiva trasmissione e gli atti non siano stati rinvenuti dal tribunale de libertate perché sottratti o smarriti. La sanzione di inefficacia del provvedimento per l’omesso invio da parte del pubblico ministero, non opera per gli atti sopravvenuti dopo la scadenza del termine stesso. Questa parte, non verrà interessata particolarmente dalla riforma.

Per l’appello cautelare l’articolo 310 comma 2 c.p.p. indica che la piattaforma probatoria sono gli atti su cui si fonda l’ordinanza. L’art 100 disp. att. indica come necessaria la trasmissione di tutti gli atti necessari per decidere sull’impugnazione. Se ne deduce la trasmissibilità degli atti presentati in primo grado e di quelli utilizzati a fondamento della decisione. Quindi: gli atti adottati dal pubblico ministero a supporto della richiesta, quelli forniti dallo stesso in sede di intervento avverso l’istanza di revoca o sostituzione presentata dall’imputato (vedi art. 299 comma 3-bis e 4-bis c.p.p.), documenti offerti dalla parte privata, accertamenti eventualmente svolti dal giudice ex art. 299 4-bis c.p.p.. In appello non è prevista la sanzione della perdita di efficacia della misura.

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2.5 Ulteriori riflessioni sul delicato tema del novum in sede di

riesame e del novum in appello

Paola Spagnolo nel suo testo “Il Tribunale delle libertà”, discute, in maniera approfondita, in merito agli elementi nuovi presentati nel riesame. L’autrice sottolinea che nelle impugnazioni de libertate, il contraddittorio dovrà esercitarsi unicamente su quanto fornito dalle parti, in prima battuta e nel corso dell’udienza40. Si attua un contraddittorio argomentativo, un

dibattito argomentativo pluralista, dove le parti presentano, discutono, espongono le proprie ragioni davanti al giudice; possono presentare in udienza elementi, cioè atti a contenuto probatorio, materiale sopravvenuto, ulteriore rispetto a quanto unilateralmente presentato dal pubblico ministero, dagli elementi favorevoli all’interessato, e da quanto apportato dal difensore. Il pubblico ministero in tale ottica, ha la possibilità di presentare direttamente in udienza materiale nuovo ma preesistente rispetto

40 Precendentemente si è accennato al fatto che la sede cautelare è uno degli ambiti dove

meglio si coglie la progressione dei meccanismi di tutela del contraddittorio. Da un sistema nel quale la difesa si vedeva inibita non solo la possibilità, di intervenire personalmente all’udienza camerale, ma soprattutto quella di conoscere gli atti sulla base dei quali il giudice aveva ritenuto di esercitare il proprio potere cautelare, si è approdati ad uno dove le garanzie difensive appaiono nel complesso soddisfacenti. Si aggiunge che, il riconoscimento di spazi sempre più ampi agli apporti difensivi ha determinato il parziale superamento delle critiche espresse dalla dottrina in ordine alla subalternità cognitiva del giudice rispetto alle determinazioni del pubblico ministero. E’ vero che ancora oggi il controllo per il giudizio di riesame sembra inappagante, in quanto il tribunale non avendo la possibilità di supplire alle carenze informative con un’autonoma attività istruttoria, rischia di essere un organo talora ignorante e inefficace. Ancora non sembra possibile assimilare la logica del giudizio cautelare a quella sul merito del processo. P. Bronzo, “Tutela cautelare e “giusto processo”, in AA. VV., Guida alla riforma del giusto processo, Milano, 2002, M. Nobili, “Dal garantismo inquisitorio all’accusatorio non garantito?., In ID., Scenari e trasformazioni del processo penale, Padova, 1998, A. Confalonieri, “I controlli giurisdizionali sulle misure cautelari”; AA. VV., Le impugnazioni penali, Torino, 1998.

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alla richiesta cautelare. Questo non è sicuramente giusto, equo e ragionevole. Per quanto riguarda il materiale producibile dal difensore non vi era una specifica regolamentazione, era invalsa addirittura la prassi di canalizzare sul pubblico ministero l’attività difensiva. Tali incongruenze sono state risolte poi successivamente con la legge 332 del 1995 che diede la facoltà al difensore stesso di interloquire direttamente con il giudice per le indagini preliminari e il Tribunale del riesame. La disciplina donava effettività alle indagini difensive. Successivamente, con la legge 397 del 2000 risulterà chiaro che il difensore, può fornire direttamente al giudice competente per la misura cautelare elementi a favore del proprio assistito, o depositarli presso il pubblico ministero, che dovrà poi presentarli al giudice della cautela che dovrà tenerne conto. Il riconoscimento di spazi più ampi agli apporti difensivi ha determinato il superamento delle critiche espresse dalla dottrina che vedevano il Tribunale delle libertà un giudice costretto a decidere ascoltando solo il pubblico ministero. Il primo aspetto da considerare riguarda quindi l’attuazione, nel giudizio di riesame, del “diritto di difendersi provando”: ai sensi dell’articolo 309 comma 9 c.p.p. le parti possono presentare direttamente in udienza “elementi” di cui il tribunale dovrà tenere conto ai fini della decisione41. Attraverso la

produzione in udienza, si amplia la piattaforma probatoria a disposizione del giudice originariamente costituita da quanto unilateralmente presentato dal pubblico ministero, sia pur comprensivo degli elementi favorevoli, e dal difensore. Il novum prodotto in udienza può quindi essere costituito da

41 Il termine elementi è stato interpretato come possibilità di dare ingresso ad atti a

contenuto probatorio, dovendosi escludere che con la suddetta espressione il legislatore intendesse riferirsi alla mera esposizione di argomenti logico-giuridici o ad un sinonimo di “motivi nuovi”, espressamente previsti dall’articolo 309 comma 6 c.p.p. Cass., sez. VI, 5 novembre 1992, Vinciguerra, Arch. n. proc. pen., 1993.

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